Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: heliodor    19/10/2017    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La città di sabbia

Alil condusse il gregge verso la città seguendo una pista.
Joyce lo seguì ma non si accorse della pista se non quando furono a meno di un miglio dalla città.
Non aveva idea di come il ragazzo riuscisse a non perdersi in quel deserto che era tutto uguale.
Mar Qwara sorgeva ai piedi di una grande montagna color rosso porpora. Mura color sabbia circondavano la città. Alte torri svettavano come mute sentinelle che vegliavano sugli abitanti. Joyce ne contò venti prima di annoiarsi.
C'erano tra cancelli attraverso i quali si accedeva alla città ed erano tutti sorvegliati dalle guardie. Numerose carovane formate da cavalieri e carri pieni di merci erano in attesa di entrare.
Joyce e Alil si misero in fila e attesero il loro turno. Lei notò che alcuni cavalieri avevano la pelle bianca o solo un po' abbronzata, di un colore bronzeo. Altri avevano occhi dal taglio obliquo e parlavano una lingua che non riusciva a comprendere.
Si chiese da dove provenissero quelle persone.
L'aria era piena di odori strani e pungenti, a volte dolciastri al punto di essere disgustosi.
Un uomo dalla pelle ramata coperta di tatuaggi colorati reggeva sul braccio un'aquila dal collo bianco.
Il rapace si guardava attorno con aria di sfida, come se stesse scegliendo la sua prossima preda tra quelli che erano in fila.
Joyce osservò a lungo una donna dal cranio lucido che indossava un'armatura color del bronzo e portava al fianco una spada. Parlava con altri due uomini in armatura che ridevano e annuivano.
Un uomo con le vesti da stregone parlottava con una ragazza dall'aspetto minuto. Entrambi erano in sella a due cavalli e si guardavano attorno incuriositi.
Joyce non aveva idea di chi fossero quelle persone e del motivo per cui fossero in città, ma ne era affascinata lo stesso.
Per la prima volta in vita sua era in un posto straniero, senza alcuna protezione. Settimane prima si sarebbe sentita atterrita e spaventata, ma i poteri che aveva imparato le davano sicurezza.
Anche lei doveva essere un mistero per quelli che aspettavano in coda. Si chiese cosa pensasse di lei il tizio tatuato con l'aquila appoggiata sul braccio o la donna guerriera dal cranio rasato. E la ragazza minuta? Era l'allieva dello stregone o la sua amante?
"Tu" disse una delle guardie. "Vieni avanti."
Joyce e Alil avanzarono verso il cancello.
Le guardie adocchiarono subito le capre. "È vietato portare animali vivi in città" disse l'uomo. Indossava una pesante armatura. Come tutti i soldati di guardia aveva la pelle scura. "Non è salutare."
"Causano malattie" disse un altro soldato.
"È un dono per sua grazia Obasi" disse Joyce.
"Lo stregone?" domandò la guardia.
"In persona" si affrettò a dire Joyce.
"Devo controllare." La guardia si allontanò. Quando fu di ritorno non era solo. Con lui c'era un albino.
Come Obasi mostrava uno sguardo ostile dietro gli occhi chiarissimi. "Prendo io queste bestie" disse.
Dal tono Joyce non riuscì a capire se si stesse rivolgendo alle capre o a loro due. Era preparata a un'eventualità del genere. "Devo consegnarle a sua grazia Obasi in persona."
L'albino sgranò gli occhi. "Ti ho detto che me ne occuperò io. Credi che non ne sia capace?"
"Vostra grazia" disse Joyce trattenendo la rabbia a stento. "Condurre un gregge è un'attività indegna. Cosa direbbero di voi se vi vedessero passeggiare in città con queste bestie?"
L'albino le rivolse un'occhiataccia. "Sei sfacciata, ma hai ragione. Gli inferiori si occupano di certe cose." Rivolse un cenno alla guardia. "Loro due entrano con me. Bestie comprese."
Il soldato s'inchinò. "Come ordinate. Voi, venite avanti."
Joyce fece un cenno ad Alil che guidò le pecore oltre il cancello.
L'albino li precedette lungo la strada. Joyce si guardò attorno cercando di cogliere ogni particolare utile. Mar Qwara era una città fatta di mattoni e pietre. C'erano pochi alberi e ancor meno spazi verdi, ma ogni tanto si imbattevano in un giardino o un pozzo. Gli abitanti, che fossero uomini o donne, indossavano lunghe vestaglie colorate. Rosse e viola per le donne. Blu e verdi per gli uomini. I bambini vestivano di bianco o grigio. Ne notò molti che giocavano per le strade polverose rincorrendosi.
Al passaggio dell'albino sparivano tutti per poi tornare in strada dopo che erano passati.
L'albino dispensava sguardi severi a tutti quelli che incrociavano. I pochi che osavano restare sulla strada si inchinavano al suo passaggio.
Si fermarono di fronte a un cancello di ferro. Oltre le mura si vedeva un giardino e una palazzina di due piani color ocra.
"Questa è la tenuta di sua grazia Obasi" spiegò l'albino.
Quindi Obasi era ricco?
L'albino ne parlava con rispetto e deferenza.
"Aspettate qui" disse entrando nella tenuta.
Quando tornò era in compagnia di tre persone dalla pelle scura, due donne e un uomo. Indossavano delle vesti marroni chiuse in vita da una cintura rossa. "Portate dentro le bestie" ordinò l'albino.
Alil guidò il gregge nella tenuta seguito dai tre. Joyce stava per seguirli quando l'albino disse: "Tu no. Resta qui."
Joyce ubbidì.
"Non sei di queste parti. Da dove vieni, straniera?"
"Valonde" rispose.
"È oltre il mare delle tempeste" disse l'albino sorpreso. "Cosa ti ha portato così lontana dalle tue terre? E perché te ne vai in giro con quell'inferiore?"
"Inferiore?"
"Le persone dalla pelle scura" spiegò l'albino. "La tua pelle invece è del colore giusto. Dalle vostre parti la pensate in modo diverso?"
Chi è questa gente?, si domandò Joyce. "Da noi le persone della pelle scura sono molto rare."
"Capisco. Qui invece sono molto comuni. Per fortuna nessuno di loro nasce con i poteri. È una specie di maledizione."
Joyce avrebbe voluto approfondire, ma in quel momento Alil tornò trascinato a forza da uno dei servitori.
"Non fargli del male" disse Joyce all'uomo.
"Io? Semmai è lui che è pericoloso. Non ha fatto altro che scalciare e dimenarsi."
Alil lottò per liberarsi. "Lasciami" disse.
Joyce lo strappò dalle mani dell'uomo. "Calmati."
"Ma io..."
"Ne parliamo dopo." Cosa l'aveva sconvolto così tanto? Alil era un ragazzo tranquillo.
L'albino lo fissò disgustato. "Inferiori. Non sai mai come si comporteranno. Io devo tornare all'ingresso."
"Vostra grazia" disse Joyce chinando la testa.
"Stai attenta a dove metti i piedi, straniera. Non cercare guai o saremo noi a cercare te."
"Resterò in città solo il tempo necessario" rispose lei.
L'albino se ne andò senza salutarli.
Rimasti soli, Joyce prese da parte Alil. "Mi dici che ti è preso? Queste persone sono pericolose. Non bisogna provocarle."
"Ho visto Faiza."
"Chi?"
"Mia sorella" disse il ragazzo.
"Dove?"
"Nella grande casa. È stata presa insieme a tutti gli altri due mesi fa. Dobbiamo liberarla."
"Ci penserò io" disse Joyce. "Ma dobbiamo agire con calma. Ci serve un piano."
Si allontanarono dalla magione di Obasi. Joyce stava già pensando a come introdursi nella residenza.
 
"Vennero una notte" raccontò Alil mentre mangiavano qualcosa in una taverna.
"Chi?" domandò Joyce.
"Gli albini con i soldati."
"Quanti erano?"
"Dieci albini e un centinaio di soldati. Ordinarono a tutti gli adulti di radunarsi al centro del villaggio."
"Perché nessuno si è ribellato?"
"Gli albini ti uccidono subito se osi guardarli storto" disse Alil. "Lo sanno tutti."
Joyce li odiava sempre di più. Voleva fare qualcosa per Alil e la sua gente, in fondo gli doveva la vita, ma lei era sola. Non poteva combattere contro decine se non centinaia di streghe e stregoni.
Le serviva un piano. Un ottimo piano.
Se voleva liberare Faiza doveva anche trovare un modo per farla uscire dalla città e riportarla sana e salva al suo villaggio.
Joyce pagò la stanza alla locanda scambiandola con le perle che aveva strappato a ciò che restava del suo bel vestito da sposa. Ciascuna di esse valeva molto di più, ma in quel momento le interessavano solo un tetto e un giaciglio.
Alil dormì avvinghiato ai suoi fianchi, russando e agitandosi per tutta la notte. Questo diede a Joyce il tempo per pensare a un buon piano da mettere in pratica.
Il giorno dopo si fece portare al mercato. Il via vai di carri e merci non era intenso come a Valonde, ma era sufficiente affinché passassero inosservati mentre si aggiravano tra le bancarelle dei mercanti.
La frutta e la verdura erano il cibo più prezioso e richiesto. Chiedendo in giro Joyce scoprì che la città veniva rifornita ogni giorno dai contadini che vivevano all'esterno delle mura. Come a Valonde c'erano fattorie sparse in giro che erano sorte in prossimità dei pozzi e delle fonti d'acqua.
I carri facevano la spola tra la città e la campagna, partendo di notte e tornando il giorno dopo all'alba.
Joyce scelse uno dei carri e vi salì dopo aver detto ad Alil di avvertirla se arrivava qualcuno. Quindi marchiò il fondo del carro e tornò dal bambino.
Quel piano aveva funzionato già una volta, anche se in modo diverso da come aveva sperato. Lei e Oren si erano salvati dall'attacco di Wena, solo per venire poi consegnati alla strega da Roge.
Il pensiero che lei fosse ormai morta la consolò.
Poi ripensò a Oren sepolto dalle macerie e il buonumore scomparve.
"Perché sei triste?" le chiese Alil mentre lasciavano il mercato.
"Niente" rispose tirando su col naso. "Andiamo a mangiare e poi prepariamoci per stanotte."
Quando calarono le tenebre lasciarono la locanda e scesero in strada. Joyce scelse una piazza non troppo lontana dalla magione di Obasi. "Devi aspettarmi qui. Intesi?"
"E se succede qualcosa? Io voglio venire con te."
Joyce doveva agire da sola. "Mi spiace, ma è molto pericoloso."
"Ma io sono grande. So difendermi."
Non da un dardo magico. A meno che tu non abbiamo uno scudo e un'armatura, pensò Joyce. "È più sicuro se rimani qui."
Alil sembrava deluso ma annuì. "Va bene" disse con aria triste.
Marchiò un punto della piazza. Se tutto andava bene sarebbe riapparsa lì fuori con Faiza.
Joyce si allontanò al piccolo trotto, ma rallentò quando raggiunse la residenza di Obasi. La strada era deserta e buia, ma il cielo era sgombro di nubi. Le stelle e la luna erano più che sufficienti.
Come si era aspettata c'erano delle guardie armate di lance e scudi all'ingresso. Alil le aveva detto di averne viste almeno sei all'interno della tenuta.
Forse ce n'erano altre due o tre al massimo.
Intanto doveva pensare alle tre di guardia all'ingresso. Per quelle non c'era problema: le avrebbe aggirate levitando oltre la recinzione.
Si alzò in aria e atterrò sul prato del giardino.
Le guardie non si accorsero di niente.
È stato facile, pensò.
Poi sentì il ringhio alle sue spalle. Fece appena in tempo a voltarsi prima che qualcosa le balzasse addosso. D'istinto saltò di lato e la levitazione la spinse diversi metri lontano.
Un cane cercò di addentarle la gamba ma lei saltò di nuovo, stavolta con più forza e superò il tetto della tenuta.
Mentre scendeva verso il basso notò che una delle guardie stava correndo verso l'animale che continuava ad abbaiare nella sua direzione.
Joyce divenne invisibile e iniziò a scendere verso il tetto della magione.
La guardia si guardò attorno, poi notò qualcosa di piccolo e veloce che scattava tra l'erba del giardino e lasciò andare il cane.
L'animale rincorse la nuova preda sparendo dietro una siepe. Quando riemerse aveva qualcosa tra le fauci.
Era stata così stupida da non prevedere la presenza di un cane da guardia. Per fortuna l'animale era più addestrato a dare la caccia ai topi che alle streghe.
Il tetto della magione era occupato da un terrazzo. Nel buio individuò una porta di legno e vi si avvicinò.
L'aprì e si infilò all'interno.
C'erano delle scale che scendevano verso il basso. Arrivata all'ultimo gradino iniziava una sala illuminata dalle lampade.
Si mosse stando attenta a non fare troppo rumore e raggiunse una seconda rampa di scale. Quando le discese si ritrovò in un'altra sala più grande.
Nella luce tenue delle lampade riconobbe un tavolo di legno, delle sedie e una specie di cucina con il focolare e qualche tegame sparso in giro.
C'erano delle porte di legno ma erano tutte chiuse.
Si chiese se doveva aprirle tutte per controllare chi vi fosse all'interno, anche se così avrebbe rischiato di essere scoperta.
Nel castello dove viveva la servitù aveva una sua ala riservata. Valeva lo stesso principio anche lì?
Seguì un corridoio fino a raggiungere una stanza più ampia e senza porta. Qui c'erano dei giacigli sistemati lungo la parete e ognuno di essi era occupato da qualcuno che stava dormendo.
A pensarci era normale che fosse così. La stanza era aperta perché la servitù non aveva bisogno di intimità.
Ora le restava solo da scoprire chi fosse Faiza.
Si avvicinò al primo giaciglio e scostò la leggera coperta che copriva la persona che stava dormendo. Incontrò gli occhi di un'anziana matrona dalla pelle scura.
"Mi scusi" disse imbarazzata.
La donna sgranò gli occhi e balzò in piedi. "Tu che ci fai qui?"
Le altre donne presenti nella stanza si svegliarono e guardarono verso di lei.
"Non fate rumore" disse Joyce. "O ci scopriranno."
"Ti ho chiesto che ci fai qui" disse la matrona.
"Chi di voi è Faiza?"
"Lei dorme da un'altra parte" disse una ragazza. Poteva avere al massimo l'età di Bryce. "Al primo piano."
"È l'ancella personale di lady Chare" disse un'altra.
"E chi sarebbe?" chiese Joyce.
"La moglie di sua grazia" disse la matrona.
Quindi Obasi aveva una moglie. "Anche lei è una strega?"
"Tutti gli albini lo sono" spiegò la matrona. "Si uniscono solo tra di loro per mantenere puro il sangue."
Questi albini le piacevano sempre di meno. "Voi restate qui" disse rivolgendosi alle donne. "Io vado a prendere Faiza."
"Sta attenta a Ngono."
"Chi?"
"La guardia personale della signora. Non dorme praticamente mai" disse la matrona. "Lui sta nella camera accanto a quella della signora."
"Di lui mi occupo io" disse Joyce sicura. "Dimmi solo dov'è la stanza di Chare."
"Vai a destra quando sei in cima alle scale, conta due porte, quindi entra nella terza. Ma attenta, di solito è chiusa a chiave."
"Chi ha una copia?"
"Sua grazia, o Ngono."
Tornò alle scale e raggiunse il piano di sopra. In cima alle scale girò a destra e contò due stanze. Si fermò dinanzi alla seconda.
Bussò due volte, quindi divenne invisibile.
Udì dei passi pesanti venire dall'interno e poi la porta si aprì, rivelando il corpo di un guerriero gigantesco.
Quello che Joyce non si aspettava era che fosse nudo.
Aveva già visto dei maschi nudi, in fondo aveva tea fratelli, ma mai un estraneo e mai da così vicino.
Ngono si guardò attorno. "Chi è?" chiese. "Djolla, sei tu? Ho sentito il cane abbaiare."
Joyce si riprese dalla sorpresa e scivolò alle spalle dell'uomo, facendo attenzione a non toccare - e a non farsi toccare da - niente.
La stanza era spoglia, fatta eccezione per un baule e un piccolo armadio. I vestiti di Ngono giacevano su uno sgabello. Joyce si avvicinò e cercò tra gli abiti.
"Allora?" chiese Ngono.
Qualcuno marciò nel corridoio. "Che succede?" sussurrò una voce.
"Lo chiedo a te, idiota" disse Ngono. "Perché sei venuto a bussare alla mia porta?"
"Io non ho bussato" protestò l'altro.
Joyce trovò la chiave in una tasca.
"E allora chi è stato?"
"Te lo sarai sognato" disse l'uomo.
Ngono grugnì qualcosa di incomprensibile.
Joyce scivolò di nuovo alle sue spalle cercando di non guardare né toccare.
"E mettiti qualcosa addosso" disse l'altro. "Se ti vede lord Obasi ti farà frustare.
Ngono rientrò nella sua stanza e sbatté la porta.
Joyce, immobile nel corridoio, attese che l'altro se ne andasse prima di muoversi.
Non appena la guardia si fu allontanata, andò alla porta di lady Chare e infilò la chiave nella serratura.
La porta si aprì. Dentro era buio e silenzioso. Con gli occhi ormai abituati all'oscurità, notò subito  due letti posizionati vicino a un'ampia finestra, i tre bauli e l'armadio appoggiato alla parete opposta.
Joyce mise un piede nella stanza e si sentì afferrare il braccio. Cercando di voltarsi colse due occhi chiari che la fissavano ostili.
Si sentì spingere in avanti e poi verso il basso. La spalla avvampò di dolore ma si trattenne dal gridare.
"Ferma" disse una voce femminile alle sue spalle.
Joyce obbedì.
"Chi sei?" le chiese.
"Nessuno."
La donna premette sulla sua spalla facendola gemere per il dolore. "Mi chiamo Sibyl" si affrettò a dire.
"Chi ti manda? Kwame? Dume?"
"Non li conosco."
"Stai mentendo."
"Te lo giuro. Sul mio onore."
"Signora" disse una seconda voce. "La lasci per favore. L'ho vista con mio fratello. Non mi ero sbagliata."
Joyce sentì la pressione sulla spalla allentarsi.
"Sei sicura?" disse la prima donna.
"Non posso sbagliarmi. Riconosco i suoi capelli."
Joyce fu libera.
La donna che l'aveva immobilizzata si piazzò di fronte a lei. Era alta e slanciata, la pelle era pallida nella tenue luce che filtrava dalle imposte chiuse, così come i sottili capelli. Gli occhi erano di un blu chiaro che sembrava innaturale. Joyce si accorse che brillavano come quelli dei gatti.
L'altra voce apparteneva a una ragazza dalla pelle scura. Sedeva su uno dei letti, le gambe incrociate. "Non mi ero sbagliata, vero? Il bambino che era con te era Alil."
"Tu sei Faiza?" chiese Joyce.
"Sono io che faccio le domande qui" disse l'albina. "Che cosa vuoi?"
"Sono venuta a liberare Faiza" disse Joyce.
"E come speri di uscire dalla magione?" chiese l'albina. "Le guardie vi prenderanno."
"Ho un piano." Joyce glielo spiegò.
"Sei una strega" disse l'albina. "Da dove vieni?"
"Valonde."
"Io sono Chare."
"Sei la moglie di Obasi?"
L'albina fece una smorfia. "Purtroppo sì."
"Dobbiamo andare" disse Joyce.
"Non vado via senza le altre" disse Faiza.
"Non so se posso portarvi tutte." L'ultima volta che l'aveva fatto era quasi morta.
Faiza incrociò le braccia sul petto. "Mi dispiace. Io non me ne vado."
Joyce sospirò. "Va bene, andremo via tutte insieme. Ora andiamo di sotto prima che le guardie ci scoprano."
"A loro ci penso io" disse Chare.
"Signora, venite anche voi" disse Faiza.
L'albina scosse la testa. "Anche se venissi, non avrei altro posto dove andare. Voi almeno avete una casa a cui tornare. Purtroppo la mia unica casa è questa."
Le due donne si abbracciarono, quindi Joyce e Faiza uscirono dalla stanza precedute da Chare. "Andate di sotto, io vi coprirò."
Joyce e Faiza andarono nella stanza dove dormivano le altre donne. Vedendole arrivare si allarmarono.
"Ngono verrà a picchiarci se ci scopre" disse la matrona.
"Di lui si occupa la signora" disse Faiza. "Sibyl ci farà uscire dalla magione."
"Sua grazia ce la farà pagare se scappiamo" disse una delle donne.
"Vuoi restare qui per sempre?" domandò un'altra. "Io non voglio fare la fine di Bumi."
Joyce non volle approfondire la questione. "Dobbiamo andare adesso. Chi vuole venire con noi si avvicini. Dobbiamo abbracciarci."
Le donne formarono un cerchio attorno a lei. Joyce mormorò la formula del richiamo. La magione scomparve e al suo posto apparve la piazza dove aveva lasciato Alil.
Solo che il bambino non c'era.

Prossimo Capitolo Sabato 21 Ottobre
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: heliodor