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Autore: Old Fashioned    20/10/2017    17 recensioni
Siamo nel 1230. Un gruppo di pellegrini tedeschi che sta attraversando la Palestina si imbatte in una santa reliquia e decide di portarla in patria. A scortare il prezioso carico ci sono anche due cavalieri dell'Ordine Teutonico, che si troveranno, una volta raggiunto il paese d'origine dei pellegrini, a fronteggiare le incursioni di una misteriosa belva assetata di sangue e nello stesso tempo i sospetti di un inquisitore alla ricerca di vittime.
Seconda classificata al contest indetto da E.Comper sul sito, ‘Cronache di Cacciatori’.
Genere: Azione, Mistero, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come sempre, grazie a tutti coloro che hanno dato un'occhiata a questa storia. Poiché tutti gli autori amano i commenti, ringrazio in particolare fiore di girasole, morgengabe, Saelde_und_Ehre, Syila, Dark_sky114, miciaSissi, Me91, innominetuo, TotalEclipseOfTheHeart, PawsOfFire e Spettro94 per avermene lasciato uno^^






Capitolo 4


Non era ancora l'alba quando Udo aprì gli occhi accanto a sua moglie Bertha. Stando attento a non svegliare né lei né i due figli più piccoli, che dormivano insieme a loro, scivolò fuori dalle coltri, raccolse l'involto dei vestiti e andò nella stanza del camino. Accese un lume, quindi frugò nella cenere alla ricerca di braci superstiti. Una volta che ebbe scavato fuori qualche scintilla arancione vi buttò sopra degli sterpi secchi.
Mangiò un pezzo di pane nell'attesa che il fuoco si ravvivasse, poi vi aggiunse qualche bastoncino più grosso e uscì. Il suo apparire fu salutato da un coro di grugniti.
Buoni, buoni,” disse, mentre dava sfogo alla natura, “Adesso papà Udo vi porta a mangiare.”
Finì di fare i suoi bisogni, si sistemò e tolse il paletto a un recinto, dal quale subito si riversò fuori un branco di maiali.
Andiamo nel bosco a cercare le ghiande,” annunciò, quindi prese un bastone che teneva appoggiato al muro per la bisogna e cominciò con quello a spingere gli animali verso la strada.
Il branco sapeva già dove andare, e Udo non doveva fare altro che stare attento a non farlo disperdere troppo. Inspirò soddisfatto e cominciò a fischiettare un'aria, che echeggiava nel silenzio del primo mattino.
Poi all'improvviso si udì un urlo. Qualcosa che non era né umano né animale, un lamento lungo e sinistro che gli fece ghiacciare il sangue nelle vene e spinse i maiali a fuggire stridendo in tutte le direzioni. “Signore Iddio!” esclamò il porcaro, tappandosi le orecchie. Si guardò intorno: il sole non era ancora comparso all'orizzonte, e nella penombra incerta si vedeva troppo poco per capire se ci fosse qualche belva, o per capire dove fossero andati a finire i porci.
Si spostò verso la strada e cominciò a chiamare i suoi animali. Mentre era così impegnato, notò che poco lontano c'era qualcosa per terra. Una sagoma scura e immobile.
Per un po' rimase a guardarla titubante, aveva ancora nelle orecchie quell'orrendo ululato e la paura gli rendeva i piedi più pesanti del piombo, poi pian piano si avvicinò, e quando fu alla distanza giusta si accorse che si trattava di un uomo raggomitolato.
Signore?” chiamò incerto. “Signore? Viandante?”
Nessuna risposta.
Signore?”
Si avvicinò ancora, l'uomo rimaneva immobile, rannicchiato in una specie di viluppo scuro.
Alla fine, Udo si fece coraggio, lo afferrò per una spalla e lo voltò sulla schiena.
Quello che vide gli fece fare uno scomposto salto indietro. Rotolò a terra con un gemito di raccapriccio, quindi si rialzò, si disinteressò del tutto dei maiali e corse in paese più forte che poteva, urlando con quanto fiato aveva in corpo.

§

Era da poco passata l’alba quando il porcaro fu introdotto nella sala delle udienze del barone von Obenstein.
Il pover’uomo stava ancora tremando, ed era pallido come un morto. Mio signore!” esordì prosternandosi, “Mio signore, una belva!”
Il nobile gli si fece più vicino. “Una belva? Dove?”
Ha ucciso un uomo sulla strada per Norimberga.”
Che stai dicendo?”
Von Obenstein cercò di cavare fuori altre notizie al porcaro, ma questi continuava a balbettare di orsi e lupi e sembrava non sentire nemmeno le sue domande.
Alla fine, il feudatario spazientito chiamò il guardiacaccia e alcuni armigeri, poi si risolse ad andare sul posto personalmente.
Quando arrivò, notò per prima cosa un capannello di gente che si scambiava commenti preoccupati. Qualche volenteroso aveva radunato i porci di Udo, soprattutto per impedire che andassero a grufolare intorno alle spoglie. Si palpava il sollievo derivante dal fatto che la vittima era un forestiero.
Ulrich von Obestein scese da cavallo, la folla fece ala al suo apparire. Il nobile ordinò per prima cosa agli armigeri di far allontanare tutti, e i paesani, brontolando sottovoce, si dispersero per tornare alle loro attività.
Successivamente si avvicinò alla vittima, che si trovava ancora nella posizione in cui il porcaro l’aveva lasciata. Si trattava di un uomo sui trent’anni, vestito con dignitosa sobrietà, in uno stile che faceva pensare più a un letterato o a un dottore in legge che a un mercante.
Il volto era cereo, impietrito in una spaventosa espressione di orrore. I capelli di un rosso fiammante, lunghi fino alle spalle, erano arruffati e impiastricciati. La gola era stata squarciata con una forza che non poteva essere umana.
Il barone si chinò per osservarlo meglio, e notò che oggetti di valore e denari erano ancora al loro posto. Il pugnale che il poveretto portava in cintura non era uscito dal fodero, il bastone da viandante giaceva abbandonato poco lontano.
Mentre era assorto nelle sue osservazioni, la voce di Wernhart, il suo capo-guardiacaccia, lo distrasse: “Voi permettete, mio signore?” Si inginocchiò anche lui accanto al corpo e lo esaminò.
Una cosa del genere potrebbero averla fatta dei lupi,” disse dopo un po’, “o forse un orso.” Fece una pausa, si tolse il cappello adorno di una lunga penna di urogallo, si grattò la testa. Poco convinto soggiunse: “Ma adesso non è stagione. Né di orsi né di lupi. Non si avvicinano così tanto al paese, in primavera inoltrata.”
Una lince, allora?” propose von Obenstein.
L’altro si strinse nelle spalle. “Non c’è un’impronta,” disse poi. Si alzò, fece un giro tutt’intorno scrutando il terreno, controllò anche le foglie dei cespugli e i tronchi degli alberi. Scosse la testa, sembrava più perplesso che deluso. “Niente,” concluse lapidario.
Un cinghiale?”
Mio signore, un cinghiale avrebbe lasciato molte più tracce, e data la sua altezza l’avrebbe colpito al ventre.”
Forse l’uomo era chinato per qualche motivo.”
E soprattutto, mio signore, né cinghiali, né linci, né orsi né lupi lasciano la loro preda praticamente intera ma senza più una goccia di sangue in corpo.”
Il Barone lo fissò stupito. “Che stai dicendo?”
Che io sia dannato se non è così, mio signore.” Indicò lo squarcio che la disgraziata vittima aveva sulla gola. “Dov’è finito tutto il sangue che sarebbe dovuto uscire da qui?” Si fece il segno della croce e soggiunse: “Che Sant’Uberto ci protegga tutti, mio signore.”
Il nobile alzò lo sguardo e notò che anche gli armigeri si stavano lanciando l’un l’altro occhiate cariche di preoccupazione. La cosa lo fece quasi sorridere: soldati che scendevano in guerra senza la minima esitazione, si ammucchiavano come pecore tremanti di fronte a un guardiacaccia che, probabilmente troppo ubriaco per riconoscere le tracce di selvatico, cercava di buttarla sul soprannaturale per salvare la faccia.
Basta con queste sciocchezze da comari!” esclamò. “Ordino che sia data sepoltura cristiana a queste spoglie. Oltre ad affidare a Dio l'anima di questo poveretto, padre Caspar si occuperà di risalire alla sua identità, se sarà possibile, e farà restituire i suoi averi alla famiglia. In caso contrario, li userà per opere di carità.”

Il barone rientrò al castello immerso in tetri pensieri: c'era una belva nelle sue terre. Che si trattasse di orso, lupo o lince, poco importava: era necessario stanarla e ucciderla.
Una belva libera di predare significava pericolo, e significava che i contadini non sarebbero andati nei campi, i pastori non avrebbero più portato fuori le greggi, e in generale nessuno avrebbe più fatto il proprio dovere.
Bisogna organizzare una caccia,” disse, rivolgendosi a Wernhart, che si trovava ancora al suo fianco.
Una caccia, certo, mio signore. Per quando?”
Partiamo il prima possibile. Raduna i battitori e fa preparare i cani.”
Volete dire oggi, mio signore?”
Sì, questa non sarà una caccia di piacere. Dobbiamo uccidere la belva.”
Mastro Wernhart assunse un'espressione indefinibile. Di nuovo si tolse il cappello, si ravviò i capelli brizzolati e se lo rimise in testa, quindi estrasse dalla camicia la medaglietta di Sant'Uberto che portava al collo.
Non sarà una caccia di piacere,” confermò.
I due si fissarono negli occhi per un istante, poi l'uomo si inchinò e disse: “Con il vostro permesso, barone, vado a preparare il necessario.”
Una volta che il guardiacaccia si fu allontanato, von Obenstein fece chiamare anche i due fratelli cavalieri.
È necessario stanare una belva,” li accolse sbrigativo, ancora sotto l'effetto dello strano comportamento di mastro Wernhart, “Ho dato ordine di approntare cani e battitori. L'animale è pericoloso, la notte scorsa ha ucciso un uomo sulla strada per Norimberga, per cui desidero che voi siate al mio fianco.”
I due chinarono il capo in segno di assenso. Fratello Adalrich chiese: “Di che belva si tratta?”
Non lo sappiamo. Neppure il mio capo-guardiacaccia è riuscito a capirlo.” Evitò di alludere alle strane preoccupazioni dell'uomo. “Partiremo appena possibile,” disse.

Tornarono solo all'imbrunire, con un niente di fatto. Una volta liberati, i cani avevano cominciato a ululare in modo strano, come se avessero trovato la migliore delle piste ma al tempo stesso fossero spaventati o confusi da qualcosa. Peraltro non si erano lanciati a seguirla, erano rimasti tutto il tempo intorno al gruppo dei cacciatori, badando a non allontanarsi troppo. Nemmeno i veltri più intraprendenti e vigorosi avevano mai interrotto il contatto visivo con i padroni.
I battitori avevano percorso il lungo e in largo la foresta, ma non avevano trovato traccia di grossi animali da nessuna parte.
Un po' in disparte rispetto al resto del gruppo, i due cavalieri dell'Ordine procedevano fianco a fianco. “Ti vedo pensieroso,” ruppe il silenzio fratello Hermann. “Cosa c'è?”
L'altro scosse la testa. “Niente di importante.”
La Regola consente la caccia. Inoltre, in questo caso non sarebbe neppure da considerare divertimento, dato che c'è in giro una belva pericolosa che bisogna uccidere.”
Fratello Adalrich emise un sospiro. “Non è questo il problema.”
E allora cosa c'è?”
Non lo so. Ho una brutta sensazione, non riesco a spiegartelo meglio. Io sapevo che oggi non avremmo trovato nulla, non chiedermi perché.”
Fai ancora quegli strani sogni?”
Sì.”
Hermann stava per ribattere, quando un grido lo riscosse: “Eccolo! Eccolo!”
I due si voltarono verso il gruppo dei cacciatori, e videro che era animato di un insolito fermento. C'erano uomini che preparavano picche e reti, i cani latravano e ululavano come impazziti, ma nessuno di essi sembrava volersi addentrare nella macchia.
Si avvicinarono al barone, che subito disse loro: “Hanno visto un animale grosso, dal manto giallo macchiato di nero.” Sorrise compiaciuto e aggiunse: “Lo dicevo, io, che era una lince.”
Adalrich aggrottò le sopracciglia. “Perché i cani non seguono la traccia?” chiese insospettito.
Sotto l'effetto della frenesia venatoria, il barone rispose: “E che ne so? Stupidi bastardi pulciosi, dirò al guardiacaccia di punirli a dovere. Però ora andiamo, non vorrei che scappasse!”
Spronò il cavallo e scomparve nella selva, salvo poi tornare dopo poco con le pive nel sacco: si stava facendo buio e la belva aveva fatto perdere le sue tracce. Non era più possibile cacciare. “Domani torneremo,” promise al misterioso animale, poi voltò il cavallo per rientrare.

§

Il bambino piangente in braccio, Gertrud stava facendo del suo meglio per addormentarlo, ma fino a quel momento senza alcun successo: la creatura continuava a vagire con quanto fiato aveva in gola. Aveva provato a dargli il seno, a cullarlo, a cambiarlo, ma il piccolo non ne voleva sapere di calmarsi.
Con un sospiro, la giovane donna si avvicinò alla finestra, appoggiò il lume sul davanzale e socchiuse lo scuro per far entrare un po' d'aria fresca. In quel momento udì un tramestio, e una figura passò rapida all'esterno, attraversando il quadrato di luce che la candela proiettava per terra. Era un uomo pallido come un morto, con i capelli rossi tutti arruffati e un abito nero. Aveva la gola squarciata da un orecchio all'altro.
Santa Vergine!” mormorò Gertrud, quindi si fece indietro e sbarrò la finestra, poi corse a letto e si rannicchiò accanto al suo sposo con ancora il figlio fra le braccia.
Svegliato di soprassalto, mastro Oswald chiese: “Che c'è, moglie?”
Tremante, la donna si strinse a lui e in un soffio disse: “Ho visto il morto.”
Il morto? Che morto?”
Quello di stamattina. È passato di corsa davanti alla finestra.”
L'altro emise uno sbuffo infastidito. “Gertrud, te l'ho sempre detto: tu immagini troppe cose. Chissà cos'avrai visto.”
Ti dico che era lui. L'ho guardato bene in faccia, quando Bertha e Leni l'hanno cucito nel sudario.”
Se l'hai guardato così bene, avrai anche visto che era morto, e i morti non camminano: giacciono sottoterra.”
Era lui,” ripeté caparbia Gertrud.
Ti ripeto che i morti non camminano,” rispose l'uomo accarezzandole la schiena. “Ora dormi. Domattina andremo a parlare con Padre Caspar, e vedrai che lui ti tranquillizzerà.”

§

Il giorno dopo, i coniugi Schreiner, Gertrud con il figlio più piccolo in braccio e mastro Oswald con quello più grandicello per mano, si presentarono alla canonica.
Il prete li accolse affabilmente, li condusse in chiesa. Mentre percorrevano a passi lenti la navata, chiese: “Ebbene, volete dirmi cosa c'è?”
Mastro Oswald prese la parola: “Mia moglie Gertrud ha bisogno della vostra rassicurazione, padre.”
Padre Caspar annuì. A volte capitava che le giovani mogli si sentissero rivolgere determinate richieste dai mariti, e spesso venivano proprio da lui a chiedere cosa Dio permettesse nel talamo e cosa invece no. Lo stupì che la giovane donna avesse con sé due figli: non era un po' tardi per avere dubbi su cosa accadesse tra marito e moglie?
Le fece comunque cenno di seguirlo, e continuando a camminare per la navata distanziò di un po' mastro Oswald. “Ebbene, figlia mia, di cosa volevi parlarmi?” le chiese.
Gertrud deglutì, prese un bel respiro, e infine disse: “Padre, io ho visto il morto ieri notte.”
Il sacerdote interruppe il suo lento passeggiare. “Eh?”
Il morto, quello di ieri. Io l'ho visto correre per il campo. Aveva i capelli rossi e la faccia bianca, e la gola aperta così.” Si passò sul collo la mano che non reggeva il figlio.
Padre Caspar emise un sospiro. “Figliola, ti sarai sbagliata. Quel pover'uomo giace sotto due braccia di terra dietro l'abside della chiesa.”
So quello che ho visto, padre,” rispose imperterrita Gertrud. Una ruga verticale le si disegnò al centro della fronte pallida.
Il religioso scosse la testa: dannate femmine dalla natura impressionabile, che vedevano sempre cose che non c'erano e si spaventavano della loro stessa immaginazione. “Quel pover'uomo era morto,” ripeté adagio, col tono che avrebbe usato per parlare a una bambina, “quindi certamente non poteva correre per il paese. Forse l'idea che ci sia una belva qui nei boschi ti ha scossa e hai creduto di vedere qualcuno.”
Gertrud abbassò la testa evitando di replicare.
Torna alle tue faccende, figlia mia,” le suggerì il religioso, ma la giovane donna sembrava tutt'altro che convinta.
E ora cosa c'è, mia cara?”
Padre, io l'ho visto. Ero affacciata alla finestra, e l'ho visto da qui a dove siede Oswald.” Indicò il marito, che stava facendo saltellare l'altro figlio sulle ginocchia.
Il prete sospirò di nuovo, poi disse: “Va bene, dal momento che le mie parole non hanno effetto, sai cosa facciamo? Ora andiamo fuori a vedere la tomba, così ti convincerai finalmente che ieri notte hai fatto solo un brutto sogno.”
Padre Caspar chiamò il falegname, quindi tutti in fila uscirono per andare sul retro della chiesa, dove, circondato da una siepe di prugnolo, si trovava il cimitero.
Ecco figli miei,” disse il prete, “guardate con i vostri occhi.” Poi volse lo sguardo in direzione della sepoltura, e l'unica parola che riuscì a proferire fu: “Ma...”
Si fece il segno della croce.
La terra era stata spinta ai lati della tomba, al posto della quale c'era solo una fossa irregolare. Anche la tomba accanto, nella quale era stata sepolta la povera Christine Klein, morta di parto due giorni prima, si trovava nelle stesse condizioni. I fiori che la coprivano erano stati sparsi un po' ovunque, la croce era stata divelta e la siepe era stata aperta da qualcosa di grosso che l’aveva attraversata spezzando un paio di rami. Padre Caspar azzardò un'occhiata in quel che restava della tomba e si ritrasse pallido come un cencio. “Signore Iddio,” mormorò con voce spenta.
In quel momento echeggiò un urlo disperato: “Hans! Il mio Hans!”
Si affacciarono sul sagrato e videro che stava arrivando di corsa una donna scarmigliata e piangente.
Il mio Hans!” ripeté ella.
Attirate dai clamori, dalle case intorno cominciarono a uscire altre donne. I negozianti si affacciarono alla porta delle botteghe, e in generale chiunque era sulla piazza rivolse la sua attenzione a quegli strazianti lamenti.
Oswald riconobbe la vedova Egger, madre del suo apprendista più giovane.
Corse verso di lei. “Martha! Che succede?”
La donna singhiozzava così forte che non riusciva ad articolare le parole. “Hans...” balbettò.
Il falegname ricordò che il giorno prima il ragazzo si era ferito. “La mano?” chiese, immaginò che il taglio si fosse infettato.
Non c’è più!” urlò la donna per tutta risposta. “Hans è sparito, non c’è più!” Di nuovo ruppe in singhiozzi scomposti.
Mastro Oswald la prese per le spalle, la costrinse a calmarsi. “Come sarebbe a dire che non c’è più? Oggi deve venire a bottega. Dov’è andato?”
Lo sa Iddio, dov’è andato. Questa notte l’ho sentito uscire per andare alla latrina. Mi sono riaddormentata prima che rientrasse, e quando mi sono svegliata stamattina lui non c’era più. È scomparso!”
Dal capannello di gente che stava ascoltando la vicenda si levò una voce: “Io questa notte ho sentito un ululato terribile!”
Anch’io!” esclamò un’altra, “E di certo non erano lupi!”
No, nessun lupo fa un verso del genere. Mi ha fatto ghiacciare il sangue nelle vene!”
A questo punto, si fece avanti anche il prete. “Basta! Ora calmatevi tutti!” esclamò.
L’autorevolezza della figura religiosa fece sì che pian piano la gente smettesse di agitarsi. Tutti si voltarono verso di lui con aspettativa.
Una belva feroce si sta aggirando intorno a Dürnau,” proclamò allora Padre Caspar, “Uccide le persone e profana le tombe.”
Un mormorio spaventato si levò dalla folla riunita, il sacerdote continuò: “Quindi ora andrò ad avvisare il barone, e gli spiegherò quello che sta accadendo qui in paese. Per grazia di Dio, ci sono presso di lui anche due fratelli cavalieri dell’Ordine Teutonico, e anche i loro soldati, che senza dubbio ci difenderanno.”

§

Seduti intorno al tavolo nella sala delle udienze, il barone, suo figlio Konrad, il comandante delle guardie, il capo-guardiacaccia e i due fratelli cavalieri ascoltavano quello che padre Caspar stava raccontando.
E quindi, mio signore,” terminò di narrare il prete, “morti che dovrebbero giacere in una sepoltura cristiana sono visti vagare per il paese, le tombe sono profanate, la gente scompare, si odono lamenti e ululati nella notte.” Fece una pausa durante la quale fissò negli occhi i presenti uno per uno, interrompendosi giusto un attimo prima di rivolgere lo sguardo su fratello Adalrich. Con voce cupa concluse: “Io credo che il Demonio sia all’opera in questo luogo.”
Io invece credo che si tratti di una lince,” rispose pacato von Obenstein, senza lasciarsi contagiare dal clima di terrore mistico che il prete aveva evocato. “Oggi andremo nuovamente a caccia e cercheremo di stanarla, così metteremo fine una volta per tutte a questa storia.”
Ma le tombe, mio signore...”
L’animale non ha discernimento. Avrà sentito l’odore del corpo sottoterra e avrà pensato a una preda facile.”
Padre Caspar continuava a essere poco convinto. “E l’uomo che è stato visto aggirarsi con la gola squarciata, mio signore?”
Un brutto sogno di quella donna.”
Alla lapidaria affermazione seguì un lungo silenzio, che fu interrotto dall’arrivo di un paggio che annunciava una delegazione di paesani nel cortile: era stato ritrovato il corpo del povero Hans: giaceva al limitare del bosco, poco lontano da casa sua. Il latore della notizia riferiva che il ragazzo aveva la gola squarciata ed era completamente dissanguato, esattamente come il viandante che avevano sepolto il giorno prima.

Partì immediatamente la seconda caccia, questa volta con molti più battitori e cani diversi. Fu mandato un messaggio anche ai nobili dei feudi vicini, non certo perché si trattasse di un evento mondano, quanto piuttosto per avere più occhi e più spade a disposizione.
Furono battute le foreste in lungo e in largo, ma la stagione non era adatta per la grossa selvaggina, che era perlopiù nel profondo della selva ad allevare i piccoli, e quindi la ricerca rimase infruttuosa.
Solo verso sera, mentre gli uomini stanchi rientravano al castello, il barone von Obenstein scorse di nuovo lo strano animale maculato, quasi invisibile nella penombra del crepuscolo.
Eccolo!” gridò, e spronò il cavallo per in seguirlo.
La misteriosa bestia si voltò per un istante nella sua direzione, puntandogli contro occhi che sembravano ardere di un fuoco verde, quindi si gettò di corsa nella foresta.
Il barone le galoppò dietro fino a che non sbucò in una specie di radura. Si guardò intorno: l’animale non c’era più, né si sentivano in giro rumori di frasche smosse. C’era però un vecchio che stava raccogliendo degli sterpi.
Il barone si voltò verso di lui: l’uomo sembrava completamente assorto nel suo lavoro, tant’è che al suo arrivo non aveva neppure alzato la testa. Preso da una strana curiosità, spronò il cavallo e gli si avvicinò. “Buon uomo,” disse.
L’altro fece come se non avesse neppure sentito. Portava una casacca scura, che nella penombra si confondeva con la vegetazione. Era a testa scoperta e aveva radi capelli bianchi che gli scendevano fin sulle spalle.
Buon uomo!” ripeté il barone, alzando la voce.
Il vecchio finalmente alzò la testa e lo fissò. Aveva un volto che sembrava antico di secoli, scuro e rugoso, ma con occhi come carboni ardenti. Von Obenstein dovette faticare per non indietreggiare sotto quello sguardo, che sembrava trapassare come una lama. “Buon uomo, hai visto un grosso animale giallo a macchie nere passare per di qua?”
Il misterioso vecchio esitò per qualche istante, poi gli rivolse uno strano sorriso, che nonostante l’età rivelò una dentatura inaspettatamente candida e robusta. Scosse la testa e si addentrò nella macchia prima che il nobile potesse replicare.
Il barone rimase per un po’ interdetto a fissare la vegetazione in cui l’uomo era scomparso. Non gli pareva di aver mai visto quel vecchio tra i suoi contadini, e si chiese da dove potesse venire.
Mentre era immerso in quei pensieri, udì il fioco richiamo di un corno. Quel suono lamentoso ebbe il potere di riportarlo alla realtà contingente: realizzò che stavano calando le tenebre, e che tra un po’ non avrebbe visto a un palmo oltre il suo naso. Spronò il cavallo per raggiungere i suoi.

Quando tornarono in paese videro una lunga fila di persone che, con provviste e fagotti, stava entrando in chiesa. Sulla porta c’era padre Caspar, che impartiva la benedizione a ogni paesano che varcava la soglia.
Il barone smontò da cavallo, chiamò i due cavalieri e si avvicinò al sacerdote. “Che succede?” gli chiese.
Il prete fece cenno ai fedeli di continuare a prendere posto in chiesa, quindi si allontanò di qualche passo, costringendo il barone e i due Teutonici a fare altrettanto. Quando furono al sicuro da orecchie indiscrete, a bassa voce spiegò: “Il figlio della vedova Egger non era morto.”
Come sarebbe a dire che non era morto?” replicò il barone incredulo. “Non aveva la gola squarciata?”
Il prete si strinse nelle spalle e con un sospiro rispose: “Al momento di chiuderlo nel sudario, quando sua madre si è chinata su di lui per dargli un ultimo bacio, ha aperto gli occhi e l’ha azzannata alla gola uccidendola all’istante. Subito dopo è saltato giù dal tavolo con la rapidità di una lontra, ha fatto lo stesso con Leni e avrebbe ucciso anche Bertha, ma per fortuna le urla hanno attirato mastro Kurt, che è arrivato con la mannaia che usa per tagliare le carcasse.”
Il barone rimase in silenzio per qualche istante, ponderando la spaventosa portata di ciò che aveva appena udito, poi chiese: “E adesso dov’è?”
Hans?”
Sì. È ancora qui? Si può vedere questo redivivo?”
I due cavalieri si scambiarono uno sguardo.
Padre Caspar lanciò un’occhiata alla fila di persone che stava continuando a entrare in chiesa. Passarono un uomo che portava in spalla un vecchio avvolto in una coperta e delle donne con i figli in braccio o attaccati alle gonne. Riconobbe alla luce delle fiaccole Lise che accompagnava per mano la madre cieca. La donna stava cantando in unno sacro, e la sua voce tremula echeggiava nel generale clima di mestizia.
Infine disse: “Hans è scappato, ma temo che possa tornare, e questo è il motivo per cui ho detto alla gente di rifugiarsi nella casa del Signore. Almeno ci sono muri solidi e porte di rovere rinforzato. E Dio, naturalmente.” Toccò la croce che gli pendeva dal collo.
Von Obenstein fissò a sua volta la fila di gente che ormai andava esaurendosi, quindi chiese: “E i corpi?”
Sono chiusi nella bottega di mastro Kurt. Domani vedremo in che condizioni sono. Mastro Kurt è già stato curato.”
Si era ferito?”
Hans l’ha morso, ma non in maniera mortale. Il macellaio si è difeso con la mannaia e gli ha fatto mollare la presa.”
Bertha?”
L’ha morsa solo leggermente, è già con gli altri.”
Manderò degli armigeri.”
Padre Caspar scosse la testa. “In chiesa non entrerà nessuno. Dio, prima dei muri e dei portoni, sarà la nostra fortezza.”
I paesani sono tutti dentro?” domandò il barone, senza farsi contagiare dall’empito mistico.
No, alcuni hanno preferito non abbandonare i loro averi, come se i beni materiali fossero più importanti della vita.”
Allora manderò i soldati a pattugliare il paese questa notte.”
A questo punto prese la parola fratello Adalrich: “Staremo noi in chiesa, e i soldati dell'Ordine daranno man forte ai vostri.” La frase aveva il tono di un’affermazione apodittica.
Il prete e il barone si guardarono, poi si voltarono all’unisono verso il cavaliere, che alla luce delle torce sembrava ancora più imponente e gelido di quanto non apparisse sotto i raggi del sole. Nessuno dei due ebbe il coraggio di contraddirlo. Lui e il confratello si accomiatarono dal barone con un sobrio inchino, quindi entrarono in chiesa. Attesero che anche il prete fosse dentro, quindi fratello Adalrich diede ordine di serrare le porte.

§

Le ore passavano. Tolti i classici rumori di un gruppo numeroso di persone, colpi di tosse, movimenti, parole sussurrate, nella chiesa c’era silenzio. Qua e là ardevano dei lumi, qualcuno aveva buttato a terra dei pagliericci e stava cercando di dormire. L’uomo che era entrato col vecchio sulle spalle aveva spezzettato un tozzo di pane in una scodella, vi aveva aggiunto un po’ di latte e ora lo stava imboccando.
Quello è un figlio affezionato,” osservò fratello Adalrich.
Fratello Hermann si voltò verso di lui. “Cosa?”
Guarda com'è premuroso.”
L’altro sorrise. “Hai ragione.”
Un bambino che poteva avere un paio d’anni sgusciò via dal viluppo di coperte nel quale era coricato e trotterellò nella loro direzione. Li guardò alternativamente entrambi, infine nella sua innocenza tese le braccine verso fratello Adalrich e fece qualche passo verso di lui. Il cavaliere lo fissò imbarazzato, senza sapere bene che fare.
Nello stesso momento, una giovane donna, probabilmente la madre del bambino, lo raggiunse di corsa e lo tirò indietro prima che potesse arrivare a sfiorare il cavaliere. Con il figlio saldamente in braccio alzò gli occhi su di lui, forse a disagio per quella plateale dimostrazione di sospetto nei suoi confronti, ma rinunciò a dire qualcosa. Si girò e tornò al suo giaciglio.
In quel momento, echeggiò all’esterno un ululato agghiacciante. Un lamento che cominciò cupo e roco, poi si alzò di tono fino a terminare con uno lungo urlo stridulo.
Nella chiesa calò un silenzio di tomba mentre tutti si scambiavano occhiate cariche di preoccupazione.
Padre Caspar sollevò il crocifisso e cominciò a recitare una preghiera, ma si udì un altro ululato, più vicino del precedente. A esso fece seguito un terzo orrendo lamento.
Qualcuno cominciò a singhiozzare, in più punti si udiva il mormorio di preghiere recitate a fior di labbra.
A bassa voce, Adalrich disse a Hermann: “È sotto le finestre.” Accennò con la testa in quella direzione.
Nello stesso momento, mastro Kurt con voce roca balbettò: “Non mi sento molto bene.”
I cavalieri si voltarono verso di lui: aveva il volto stranamente gonfio, pallido e umidiccio. Le occhiaie avevano preso una sfumatura livida. Il respiro si era fatto pesante, gli occhi febbrili. Come in cerca di aria, tentò di togliersi la benda che gli era stata applicata sulla ferita.
L’urlo all’esterno si fece udire nuovamente, qualcosa urtò contro una delle finestre, la gente gridò facendosi indietro. La voce di padre Caspar, che imperterrito continuava a recitare preghiere, salì di tono.
Poi si udì un coro di esclamazioni: mastro Kurt era crollato a terra e rantolava con il volto ormai illividito. La gente si faceva indietro urlando, si udivano pianti e strilli d’orrore.
Fratello Adalrich lo raggiunse a grandi falcate, lo scosse, ma l’uomo sembrava ormai in agonia. Un istante dopo, il cavaliere percepì l’impatto di un corpo contro il proprio: Bertha, il volto gonfio e biancastro come quello del macellaio, gli era crollata addosso priva di sensi, ed era nelle stesse condizioni dell’uomo. Il cavaliere spostò appena la benda e vide che la ferita si era gonfiata e arrossata, e secerneva liquido giallastro come una piaga infetta.
Sulla scena calò un silenzio attonito, rotto soltanto da qualche singhiozzo qua e là nella folla. Fuori continuavano a udirsi gli ululati orribili, che però erano mescolati a richiami e grida delle guardie, e di coloro che non avevano voluto entrare nella chiesa.
Il cavaliere si guardò intorno, poi fissò lo sguardo sul prete, che si fece il segno della croce e in un sussurro disse: “Il Demonio è all’opera qui a Dürnau.” Stava per aggiungere altro quando da fuori giunse una cacofonia particolarmente intensa di grida, colpi e lamenti.
Aprite la porta!” ordinò Adalrich.
Se apro, entreranno,” rispose il prete, “non posso.”
Aprite, vi dico! Io e il mio confratello dobbiamo uscire. Non sentite?”
Qualcuno stava chiamando aiuto, si udivano strida orrende, ringhi e soffi.
Aprite!”
Visto che padre Caspar non sembrava intenzionato a ottemperare alla sua richiesta, Adalrich si rivolse a Hermann: “Apri la porta!”
L’altro, abituato quanto lui a mantenere il sangue freddo in combattimento, senza una parola andò al catenaccio e lo tirò, poi schiuse il battente.
Fuori nel frattempo era calato un silenzio di morte. Qua e là erano infisse delle fiaccole, una giaceva abbandonata al suolo accanto al corpo immoto di un armigero. Il sagrato sembrava deserto.
I due cavalieri avanzarono cauti, le spade in pugno. Il soldato era morto, la gola squarciata come le altre vittime. Non una goccia di sangue a macchiare il terreno intorno. Adalrich percepì un fruscio e si girò di scatto, solo per scorgere un’ombra che scompariva dietro la chiesa. “Purché non trovino il modo di entrare,” disse, senza sapere bene di chi stava parlando. Si avvicinarono al grande edificio di pietra, e dietro l’abside cominciarono a udire il suono di qualcosa che veniva ripetutamente strappato, insieme ad ansiti e gorgogli. L’aria era gravata di un pesante tanfo di putrefazione.
Avanzarono ancora e si parò loro dinnanzi la seguente scena: un ragazzo dal volto cereo e gonfio, con una zazzera scomposta di capelli castani e una mano fasciata, era chino su una tomba aperta, dalla quale stava estraendo brani di carne che addentava e divorava. Al loro apparire, esso si voltò verso di loro, rivelando una ferita che gli apriva la gola da un orecchio all’altro. Con un grugnito di disappunto, saltò in piedi e si dileguò nel buio.
Fratello Adalrich estrasse la spada e senza esitare si lanciò al suo inseguimento. Uno dei pochi vantaggi della sua infermità era che di notte vedeva meglio degli altri, per cui anche nel fioco riverbero delle torce riusciva a scorgere la sagoma del ragazzo che si allontanava di corsa.
Lo raggiunse in poche falcate. “Ehi, tu!” lo chiamò.
Il ragazzo si immobilizzò come se fosse andato a sbattere contro un muro, quindi si girò con la repentinità di un serpente, piegandosi sulle gambe come per spiccare un salto. Nel buio il suo volto appariva come una macchia bianca nella quale si aprivano tre voragini nere: due erano gli occhi, e la terza, innaturalmente ampia, la bocca.
Balzò in avanti con un ululato gorgogliante, cercando di avventarsi contro di lui. Il cavaliere si fece sotto, parò il morso con l’avambraccio protetto dall’usbergo, lo passò da parte a parte con la spada, quindi indietreggiò, e nel momento in cui il ragazzo cadeva a terra lo decapitò. Il corpo si accasciò e rimase immobile.
Adalrich si guardò intorno. Il silenzio non era più perfetto, si udivano vaghi tramestii, l’eco lontana di qualche ringhio. Una sagoma, appena visibile nel vago chiarore delle torce, comparve al fondo del sagrato, rimase immobile per un istante e poi si rituffò nel buio del paese.
Stava ancora ponderando se lanciarsi all’inseguimento, quando notò quello che sulle prime gli parve un grosso cane. Era molto più robusto e alto di un cane normale, aveva il manto giallastro e screziato di nero, i quarti posteriori più bassi degli anteriori e le orecchie rotonde come quelle di un orso. La sua chiostra di denti dava l’impressione di poter staccare il braccio di un uomo con un solo morso.
L’animale alzò il muso verso di lui e rimase immobile a mascelle semiaperte, probabilmente cercando di fiutarlo. Adalrich si mosse deciso nella sua direzione, ma il misterioso cane si girò e scomparve nel buio. Quando il cavaliere raggiunse il punto in cui l’aveva scorto, non trovò nemmeno un’impronta.



   
 
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