14
La prima volta
La notte, Nemeria non
chiuse occhio. I tagli sulla schiena e il dolore che da essi scaturiva
la tormentarono, scacciando il sonno alla stregua di una iena affamata
con uno stormo di avvoltoi. Strinse la pietra di luna finché
il braccio non iniziò a formicolare, e mantenne la presa
anche dopo aver perso sensibilità nelle dita.
Pregò in silenzio che la Madre la conducesse nel regno dei
sogni, senza nemmeno la forza di singhiozzare, respirando
così piano che l'aria le sibilava appena tra i denti.
Tuttavia, pure nei momenti in cui la Dea si dimostrava misericordiosa,
il dolore la seguiva come un segugio implacabile, sempre sulle sue
tracce: ringhiava, le azzannava gli arti e la dilaniava, incurante
delle sue urla di aiuto, mai sazio, mentre attorno a lei, accompagnate
dalla risata irridente di Mina, danzavano le ombre di Etheram,
Rakshaan, Hedyie e di tutti i morti e i vivi che aveva deluso. C'era
anche il predone, nascosto tra i fantasmi, si muoveva silenzioso come
uno spettro, una sagoma nera contornata da un alone bianco su uno
sfondo rosso insanguinato. Quando il pugnale calava sulla sua gola,
Nemeria apriva gli occhi.
Noriko era lì, seduta al suo capezzale. Le passava una
pezzuola umida sulla fronte e poi sulla schiena, sembrava sempre sapere
dove tamponare. Talvolta, al suo fianco compariva Nande e nell'aria si
diffondeva un fresco profumo di salice e iperico.
Quando, al sorgere del sole, il gallo cantò, il dolore
l'aveva lasciata esanime sul materasso impregnato di sudore. Con le
zanne arrossate si era ritirato sotto pelle, un graffiare sordo che si
concentrava sulle scapole e sulla spina dorsale. Nel momento in cui si
alzò, le tremarono le labbra nel tentativo di trattenere un
gemito. Quando Nande tornò per cambiarle i bendaggi,
ricacciò indietro le lacrime e sopportò
stoicamente.
- Appoggiati a me. -
Noriko le offrì il braccio e Nemeria dovette fare un enorme
sforzo per scuotere la testa.
- Non mi sembri in condizioni di fare l'orgogliosa. -
- Non è questione di orgoglio. Ti sei occupata di me tutta
la notte, non... -
La ragazza inclinò la testa: - Non? -
- Voglio farcela da sola, almeno ad arrivare a colazione. -
Non aveva mentito, ma distolse comunque lo sguardo. Era stanca di
sentirsi vulnerabile, più di quanto non fosse disposta ad
ammettere.
Trasse un sospiro di sollievo quando Noriko ritirò il
braccio e le fece cenno di seguirla.
Il refettorio si trovava al piano terra ed era uno spazio circolare,
illuminato dalla luce opaca del sole. Le cucine erano state relegate in
fondo. A dividerle dall'ambiente chiassoso e dal vociare dei commensali
c'era solo una porticina di legno rinforzata in ferro. Le guardie,
almeno una decina, stavano dritte vicino alle pareti e tenevano
sott'occhio i gladiatori che si alzavano per andare a prendere la prima
o, addirittura, la seconda razione di pane e formaggio di capra.
Non appena entrarono, il cicaleccio diminuì fino a svanire.
Nemeria si ritrovò gli occhi di tutti addosso e rimase
paralizzata sul posto. Si guardò intorno con aria spaurita,
occhieggiandoli, in attesa che accadesse qualcosa che sciogliesse il
silenzio di ghiaccio che era piombato nel refettorio.
- Andiamo. -
Il tocco familiare e risoluto di Noriko le trasmise la determinazione
sufficiente per riprendere a camminare. L'amica irradiava un'aura di
sicurezza che traspariva a ogni suo passo e si espandeva come una bolla
attorno a lei, avvolgendo sia se stessa che Nemeria. Al fianco di
Noriko le veniva più semplice ignorare le occhiate degli
astanti, come se non pesassero più, ridotte al solletico di
una piuma sulla nuca.
- Tieni, questo è il tuo. -
Noriko le porse il vassoio con una ciotola con una pappa di farro, orzo
e fagioli, accompagnata da tre fette di pane imburrate. Il cucchiaio,
il bicchiere e il vasetto di miele erano di legno, così come
il resto. Nonostante l'aspetto non appetitoso, Nemeria ci si
fiondò non appena si sedettero. Vicino a loro gli sgabelli
erano vuoti.
- Dovresti mangiare più lentamente. Masticare bene ogni cosa
aiuta la digestione. -
- È che ho fame... -
- Lo so, ma sarebbe meglio che mi dessi retta. - la fissò in
tralice da sotto le ciglia rosse, - Questo è il nostro pasto
e dovremo farcelo bastare fino all'ora di pranzo. -
Nemeria si fermò prima di addentare la fetta di pane.
- Di solito, se vai in cucina a chiedere qualcosa da mangiare, non ti
fanno storie, di fagioli e verdure ne hanno in abbondanza. Sayuri ci
terrà lì finché non avremo finito
tutti gli esercizi. - assaggiò la minestra e solo dopo
averla assaporata ingoiò l'intera cucchiaiata, -
È capitato un paio di volte che non si fermasse, nemmeno
alla pausa pranzo. -
- E nessuno dice nulla? -
Noriko fece spallucce: - È la maestra, la syad dell'aria.
Può fare ciò che vuole, basta che siamo in grado
di far divertire il pubblico quando ce lo chiedono. -
Nemeria chiuse le dita a pugno e inspirò piano. Anche
Etheram, quando aveva dovuto intraprendere il Primo Sentiero, quello
che per lei era rappresentato dell'elemento dell'aria, si era
sottoposta a un'alimentazione molto rigida a base di verdura, frutta e,
quando possibile, cereali. Nemeria la ricordava mentre mangiava una
minuscola ciotola di patate e frumento, mentre lei, sua madre e suo
fratello si godevano dolci a base di liquirizia e zucchero.
- “Sii moderato con il cibo e non gravare il tuo corpo con
pesi inutili, dagli solo quello che richiede, ed esercitati nel digiuno
quando è indebolito.” - Noriko
sorseggiò il bicchiere d'acqua, - È questo il suo
motto. Non basterà la tua protesta a indurla a provare
pietà, anche perché non è l'unica a
pensarla così. -
- Chi altri la sostiene? -
“Chi è il pazzo?”
- La conoscerai. Si chiama Ahhotep, era un membro della banda dei
Falchi. -
Il boccone le andò di traverso. Per riprendersi, Nemeria
dovette trangugiare un intero bicchiere d'acqua.
- Qualcosa ti preoccupa? -
- Era... era... -
Non riusciva nemmeno a mettere insieme le parole, l'agitazione e la
paura le distanziavano prima che potessero comporsi in frasi. Gli
squassi della tosse le causarono una fitta di dolore così
acuta da farla tornare in sé.
- Quando li ho incontrati la prima volta erano al loro limite, avevano
gli occhi neri come quelli dei Jin. -
- Solo Shaya e Unal, infatti sono stati abbattuti. Non hai sentito la
notizia? Ha destato non poco scalpore. -
Nemeria scosse appena la testa.
- Sei disattenta. -
- Sono solo... - deglutì un altro boccone, - Dimmi cosa
è successo e basta. -
- I Kalb li hanno dovuti uccidere. Li avevano quasi catturati, quando i
due hanno perso il controllo e si sono trasformati in Jin. Come hai
detto tu, erano già al loro limite, la lotta per la fuga ha
solo rotto una diga già da tempo crepata. -
- Hanno fatto del male a qualcuno...? -
- Non ne hanno avuto il tempo, sono stati neutralizzati prima. So che
ci è voluta una squadra di rinforzo per contenerli e che
hanno ammazzato sei Kalb, ma i danni sono stati contenuti. -
sbocconcellò la sua fetta di pane e rivolse lo sguardo
altrove, - In ogni caso, ti allenerai con noi soltanto per qualche
giorno, poi sarai affidata a Roshanai. -
- Quindi io e te non ci vedremo che la sera, giusto? -
Noriko annuì e il cuore di Nemeria inciampò nel
petto. Non conosceva la syad del fuoco, ma se il suo temperamento era
come quello del suo elemento, l'attendevano tempi molto duri.
- Su, andiamo, siamo già quasi in ritardo. -
Uscirono a grandi falcate dal refettorio e si diressero verso il campo
del giorno prima. Sayuri era lì ad attenderle, vestita con
un pantalone di cotone nero molto ampio e una giacca a maniche lunghe
rossa. Davanti a lei, dritte come steli d'erba congelati, immobili
nella posizione del loto, c'erano due ragazze. Quella a sinistra non si
mosse e, a giudicare dall'altezza, doveva avere un paio d'anni
più di Noriko, mentre l'altra aveva l'età di
Nemeria. Quando furono vicine, si girò e le puntò
addosso due occhietti da furetto gialli come quelli di un gatto.
- Durga, non ti ho dato il permesso. - la riprese Sayuri e la bambina
si ricompose in un sussulto.
La syad attese che avesse riacquistato la posizione, prima di spostare
la sua attenzione sulle nuove arrivate. Noriko si inchinò e
Nemeria si affrettò a imitarla, anche se non con la stessa
compostezza.
- Sono stupita che tu riesca a reggerti in piedi dopo l'allenamento di
ieri. Non sei così debole come pensavo. - la
salutò e accennò un sorriso che riempì
Nemeria d'orgoglio.
La stanchezza e il dolore passarono immediatamente in secondo piano.
- Durga, Ahhotep. Riposo. -
A quel comando, la bambina balzò in piedi e si
sgranchì le gambe, mentre Ahhotep roteò le spalle
con calma, alzandosi con aria indifferente. Era alta, superava Noriko
di un paio di pollici, magra e sinuosa come un serpente, con la pelle
abbronzata tesa sulle clavicole sporgenti, sfiorate dai ciuffi sfuggiti
alla coda.
- Prima di riprendere l'allenamento, ora che ci siete tutte, le
spiegazioni mi sembrano d'obbligo. Sarò breve: tu e tu. -
indicò Nemeria e Durga con un gesto del mento, - Rimarrete
con me fino a quando la syad del fuoco non si sarà ripresa.
Ho notato che non avete una buona preparazione, né fisica
né spirituale. Al corpo si può rimediare, ma
perdere l'anima e la ragione significa diventare Jin e smettere di
essere umani. Gli dei ci hanno imposto di ospitare dentro di noi un
elementale. Il motivo ci è precluso, possiamo solo accettare
questa condizione, senza però abusarne.-
Il tono di tetra rassegnazione con cui pronunciò quelle
parole colpì Nemeria, così come le nuvole che si
addensarono nel suo sguardo. Mantenne le spalle dritte, i suoi occhi
prima in quelli di Noriko, ora in quelli di Durga, dignitosa e fiera,
un soldato solo contro la marea.
- I quattro elementi sono i costituenti dell'universo, da loro la vita
nasce e ad essi torna, in un ciclo eterno di cui noi non siamo altro
che granelli seppelliti nell'infinito divenire. Il fuoco è
lo stato ardente e il caldo, l'aria è quello gassoso e il
freddo, l'acqua è il liquido e l'umido, e infine la terra
è il solido e il secco. La vita nasce dalla loro armonia,
dal loro modo di interagire e dalle qualità che si combinano
per formare tutto ciò che è percepibile ai nostri
sensi. Le chiamiamo rhizai, le radici, e racchiudono e sostengono
l'essenza dell'universo stesso. -
Nemeria si affrettò ad annuire non appena Sayuri
posò lo sguardo su di lei. Non erano cose che non sapesse
già, ma anche ora, come quando era Fakhri a spiegarle, le
sembrarono inutili, teorie complesse per descrivere una
realtà molto più semplice.
- Il fuoco è l'unità, l'aria la
dualità, l'acqua la creazione e la terra la
materialità. I primi due sono attivi, sono gli agenti di
cambiamento spirituali, più sottili e più
perfetti dei loro fratelli passivi, che sono il trampolino per
innalzarli e il peso per trascinarli in basso. - continuò
Sayuri, - Amici e nemici, essi vivono per contrasti. Gli elementali che
risiedono dentro di voi sono così: la materialità
del vostro corpo li tiene inchiodati in una gabbia di carne e ogni
volta che li richiamate, che esigete un prestito della loro potenza,
una parte di questa distrugge la vostra anima. All'inizio non ve ne
accorgerete, vi sembrerà di essere sempre gli stessi, ma una
parte di voi andrà irrimediabilmente persa, annegata,
bruciata, soffocata o sepolta da quel potere che avete richiesto di
poter usare. -
Durga incassò la testa tra le spalle e si fece piccola
piccola. I capelli scompigliati e il viso tondo, schizzato di
lentiggini, le conferivano un'aria da cucciolo bastonato. Agli occhi di
Nemeria era un'anima affine, la sentiva vicina e le sarebbe piaciuto
rassicurarla, anche se per scacciare la paura avrebbe dovuto dirle una
bugia.
- Per questo è vitale che impariate a dosare le vostre
richieste. Siete nati Dominatori e morirete come Jin, ma, per quanto
possibile, dovrete ritardare l'inevitabile. Io e gli altri syad vi
insegneremo a far divertire il pubblico e a tenere sotto controllo la
vostra forza. - concluse e le invitò ad allinearsi davanti a
lei, scandendo bene le parole e disegnando delle mosse precise con
braccia e gambe, - Chi Len Hou Wan Yao. -
Nemeria si mise vicino a Noriko e copiò tutti i suoi
movimenti, come il giorno precedente. Erano tecniche finalizzate a
rafforzare i muscoli senza sforzarli troppo, eppure per lei erano
quanto di più difficile e doloroso avesse mai provato.
Sentire tutte le fibre tendersi contro la pelle tagliata, le loro
contrazioni quando allungava un braccio o si piegava per toccarsi la
punta dei piedi, era una pugnalata che risvegliava il tormento che
l'aveva tenuta sveglia per tutta la notte precedente. Quando Sayuri
diede loro il permesso di andare a mangiare, un'ora dopo che la pausa
pranzo era finita, l'unica cosa che Nemeria agognava davvero era un
letto.
- Se ti sdrai ora, non ti rialzerai più. - la
ammonì Noriko.
“Non volevo, infatti.”
Nemeria trasse un lieve respiro, incurante del formicolio di poco
dietro le costole.
- Tu sei come me! -
Durga le saltellò vicino e le si mise davanti. Il naso a
patata campeggiava nel viso e attirava l'attenzione quasi quanto i suoi
occhi giallo citrino.
- Sono... come te? -
- Anche io domino il fuoco! - rispose, come se fosse la cosa
più ovvia del mondo, - Non l'avrei mai detto, sai? Non hai
la faccia da Dominatrice del fuoco. -
- E come sarebbe? -
La bambina gonfiò le guance e si morse il labbro inferiore,
quello più sottile.
- Dovresti essere più grintosa e meno triste. Ti ho guardato
durante l'allenamento, digrignavi i denti come un cane e avevi le
lacrime agli occhi. -
- Ho solo male per le frustate, tutto qui. -
Durga spalancò gli occhi e le si parò davanti, lo
sguardo acceso dall'entusiasmo.
- Allora sei tu quella che ha fatto volare Roshanai contro la colonna?
Davvero? E come hai fatto? -
“Bella domanda.”
- Ho fame, potete parlare al refettorio. -
Il tono gelido di Noriko freddò la bambina sul posto e pose
fine a qualsiasi tentativo di conversazione. Ahhotep le
scompigliò i capelli e poi le diede una pacca sulla spalla
per incitarla a muoversi.
- Ha ragione, prima mettiamo qualcosa sotto i denti, prima potremo
tornare ad allenarci. -
- Ma io non voglio! -
- Dai, dai, non fare i capricci. -
La bambina si imbronciò e tirò fuori il labbro
inferiore, affondando le mani nelle tasche della tunica di panno.
Assomigliava dolorosamente a Rakshaan, una somiglianza così
accurata da bruciarle più delle ferite sulla schiena.
- Non ti devi intristire. Sei o non sei una Dominatrice del fuoco? -
disse Nemeria, e sorridere le venne naturale quando Durga
incrociò il suo sguardo, - Se ti siedi vicino a me, potrai
farmi tutte le domande che vuoi. -
- Tutte tutte? -
- Tutte tutte. - ribadì e la bambina l'affiancò
zampettando alla sua destra tutta contenta.
Nel refettorio l'attendeva dietro il bancone l'uomo che aveva servito
la colazione quella mattina, in compagnia delle guardie. Non erano le
stesse, ma tutte, notò Nemeria, portavano una tiara e
un'armatura d'oricalco, con spallacci e schinieri senza alcuna
decorazione. Le scrutarono con chirurgica attenzione mentre prendevano
i vassoi di legno e non staccarono gli occhi finché non si
sedettero.
- Bevi, hai bisogno di idratarti. -
Noriko le porse un bicchiere di quella che, agli occhi di Nemeria, era
acqua sporca. Sulla superficie galleggiavano dei semi verdi e
qualcos'altro che non sapeva cosa potesse essere.
- Non è così male. Anche a me all'inizio non
piaceva, poi però mi sono accorta che dopo mi sentivo di
nuovo in forze. - si scoprì il braccio e contrasse il
bicipite, tutta seria, - Se lo bevi tutti i giorni, diventerai forzuta
tanto quanto me! -
- Sei davvero forte, sì. - rispose ed era davvero ammirata,
perché Noriko avevapiù muscoli di lei.
“Io somiglio a un insetto stecco.”
Fissò con preoccupazione il bicchiere ancora un momento, per
poi scolarselo tutto in un sorso solo.
- Com'è? -
- Cosa c'è dentro? -
- Cenere d'ossa, di corteccia e aceto. -
Nemeria arricciò il naso e assottigliò le labbra
in una smorfia schifata. Il sapore dell'aceto si trasformò
in quello del limone, era quasi dissetante. Se non fosse stato per
l'aspetto, avrebbe apprezzato molto di più.
“Anche se non avessi saputo gli ingredienti.”
- E voi bevete questo intruglio tutti i giorni? -
Durga annuì, risoluta: - Lo bevevo anche a casa di Tara, lei
dice che mi farà diventare fortissima. -
- Tara è la lanista a cui appartiene. - la
informò Noriko.
Nemeria annuì e decise di dedicarsi al suo pranzo, che
consisteva in pane nero ai semi di finocchio, due uova sode e pasta con
radicchio e carciofi. Anche se aveva fame, si obbligò a non
fiondarsi sul cibo, non tanto perché credesse a quello che
le aveva detto, ma Noriko era proprio davanti a lei e sapeva che la
teneva d'occhio.
“A Durga non dice niente però.”
Il suo sguardo fu attirato dalla compostezza con cui Ahhotep mangiava.
Teneva le spalle dritte, i gomiti bassi e masticava ogni singolo
boccone come se fosse l'ultimo, senza però la foga di un
affamato. Sembrava farlo a forza e, ogniqualvolta Durga la pungolava
dicendole che era davvero lenta, lei si limitava a un lieve sorriso,
una sorta di increspatura delle labbra elargita per metterla a tacere.
Quando si accorse d'essere osservata, Ahhotep appoggiò la
forchetta a lato del piatto e inclinò la testa nella sua
direzione, piantandole addosso uno sguardo che la raggelò.
Fastidio, disagio e rabbia, tanta, tanta rabbia: nel ventaglio di
emozioni esibite, il rosso scarlatto della collera risaltava tra tutte.
- C'è qualcosa che non va? -
- N-no... no. -
Le dita sottili di Ahhotep si erano allungate verso la forchetta e ora
la impugnavano come un'arma. Durga fece scattare la testa da una
all'altra, ignara di cosa stesse succedendo. Sebbene non riuscisse a
vederla con chiarezza, la tensione che emanava da Noriko le graffiava
comunque la guancia e il braccio.
- 'tep, non fare la cattiva... -
- Mi stavo solo chiedendo perché la nostra nuova amica -
calcò su quella parola con un'enfasi fastidiosa, - continua
a fissarmi senza dire nulla. Ho forse qualcosa fuori posto? -
- N-no, ecco... volevo sapere se finivi la pasta. Mi sembrava che non
ti andasse più, ma non sapevo come chiedertelo. -
improvvisò.
Era più che sazia, in realtà, ma non le era
venuto niente di meglio in mente.
Ahhotep la squadrò con un cipiglio diffidente. Nemeria
trattenne il respiro.
- Se proprio ci tieni, prendi. - le porse il piatto, per
metà intatto, - Per me era troppa. -
- Ti... ti ringrazio. -
Una risata isterica le premeva da dietro le labbra e ci volle ben
più di un boccone per dissiparla. Noriko, davanti a lei,
piluccò il pane in silenzio. A Nemeria non era sfuggito il
modo con cui aveva guardato Ahhotep, un'impassibilità
più affilata di un'ascia.
- Andiamo, prima che Sayuri si innervosisca. -
- Sì, vero, l'ho conosciuta soltanto oggi e mi sembra una
che si arrabbia tanto. - commentò Durga.
Nemeria abbandonò volentieri il piatto di pasta. Ahhotep fu
l'ultima ad accodarsi e si mantenne a distanza, dieci passi indietro
rispetto a loro. Nel suo sguardo non era rimasto altro che l'arida
desolazione del vuoto.
Non fecero in tempo a raggiungere il portico che i soldati le
circondarono. Durga andò a nascondersi dietro Ahhotep e si
portò il lembo della sua tunica al viso, come se avesse il
potere di farla sparire.
- Nemeria, vieni con me oggi. -
La formazione si aprì, permettendo alla scorta di Tyrron di
farsi avanti.
- Ma devo andare alla lezione di Sayuri. - obiettò
disorientata Nemeria.
L'uomo schioccò la lingua e accantonò la
questione con un gesto brusco della mano.
- Ti porto a vedere qualcosa di più istruttivo. Non ti
preoccupare, poi le riferirò che sono stato io a rapirti. -
Nemeria guardò le altre, in attesa di non sapeva nemmeno lei
cosa. Le dispiaceva e si sentiva anche un po' in colpa ad abbandonarle
tra le grinfie di Sayuri, che, poco ma sicuro, non avrebbe gradito il
loro ritardo. Ma in fondo non era colpa sua, no?
- Dai, muoviti, lo spettacolo comincia tra poco. - si rivolse ai
soldati, - Rimanete qui, siete troppo ingombranti. Morad, con me. -
- Sissignore. -
- E tu, corri a farti cambiare la fasciatura, sia mai che ti venga
un'infezione e ti devo tenere a letto altre tre settimane. -
Nemeria esitò. Il solo pensiero di uscire di nuovo fuori e
di essere seguita dal predone la strappava il respiro, ma non aveva
scelta.
- Cosa stai aspettando? -
Gli occhi di Tyrron le agguantarono il cuore. Nemeria
deglutì, paralizzata da quello sguardo indagatore.
- Nulla, avevo solo male alle gambe. - blaterò e
schizzò in infermeria.
Quando riferì a Nande che era stato Tyrron a spedirla
lì, la donna si mise subito al lavoro. Agì con
destrezza, prendendo gli impacchi e i vasetti senza neanche guardare e
il suo tocco gentile le procurò un dolore sopportabile, che
non le faceva contrarre la mandibola e stringere le palpebre.
- Stasera torna da me, va bene? A qualsiasi ora, è
essenziale tenere quei tagli puliti. -
Nemeria annuì e si precipitò giù dalle
scale. Quando tornò nel cortile, Tyrron stava masticando una
striscia di carne essiccata. L'occhiata che le lanciò, fu
più che sufficiente a mettere a tacere qualsiasi latente
sentimento di ribellione.
- Ma... ma quindi usciamo dalla scuola? -
- Andiamo all'arena. - le rispose Morad.
- Ah. E perché? -
- Te l'ho già detto, dobbiamo vedere lo spettacolo. - le
guardie aprirono immediatamente le porte a un cenno di Tyrron, - E i
gladiatori non aspettano certo noi. -
Proseguirono per un po' sulla stessa strada del giorno prima e poi
deviarono su una via ampia, dove le case non erano altro che blocchi di
pietra bianca ammassati gli uni sugli altri senza criterio. Nemeria si
teneva ben vicina a Morad e alla sua spada di oricalco. Stava
diventando paranoica, se ne rendeva conto, però il pressante
pensiero di essere seguita, che il predone la stesse pedinando
nascondendosi tra la folla, la faceva tremare.
“Non ti ha attaccato la volta scorsa, non lo farà
nemmeno ora.”
In lontananza, come un colosso in mezzo alle formiche, si stagliava
l'arena. Quattro piani di travertino per centocinquanta piedi
d'altezza, con le chiavi d'arco ornate con i busti di
divinità, era una struttura così maestosa da
lasciare Nemeria a bocca aperta. La luce rimbalzava sui clipei bronzei
e sgattaiolava all'interno attraverso le finestre ovali, contornate da
una cornice di mosaico smaltato che cesellava le mensole sporgenti,
nelle quali erano alloggiati dei pali di legno.
- Sai cosa rappresentano? -
La bambina ci mise un momento a capire che la domanda era rivolta a
lei.
- È la prima volta che li vedo così da vicino. -
- Se non ti avessi comprato qui, direi che tu a Kalaspirit non ci hai
mai vissuto. - Tyrron indicò la statua più alta,
quella che pareva sorvegliare la strada, - Da sinistra a destra a
partire da quella: Heydar, Siddhi, Mahendra, Vajra, Priti, Jyeshta,
Harshana, Chitra, Vriddhi.-
“Arsalan mi aveva detto che i mortali erano
complicati.”
Era una cosa che non aveva mai capito. Con così tanti dei,
come facevano a decidere a chi rivolgere le loro preghiere?
Saltarono la fila, lasciandosi alle spalle una folla strepitante e
stipata, e le guardie li lasciarono passare senza obiezioni. Presero
posto sui gradoni del secondo settore, proprio nel bel mezzo. Sopra le
loro teste, a schermarli dal sole, erano stati distesi dei veli in
canapa che coprivano tutta la platea e una parte dell'arena stessa. Da
dove si erano seduti, si potevano vedere i seggi di legno della prima
fila e la balaustra del podio, dove erano stati iscritti diversi nomi.
Alcuni seggi erano già stati occupati da uomini vestiti con
abiti eleganti e donne ingioiellate e agghindate con pesanti tuniche
rosse, rosa e blu. A dividerli dal resto del pubblico c'era un basso
muro di mattoni rossi.
- Quelle davanti sono le famiglie nobili della città, hanno
i posti già assegnati e un cuscino per il loro regale culo.
Possono godersi le loro divertenti conversazioni anche alcuni membri
del Consorzio, che stanno lì per sventare i possibili colpi
di testa dei gladiatori più ribelli. Visto che il podio e la
balaustra, nonché i muri dell'arena stessa, sono fatti in
oricalco, si godono lo spettacolo dalle prime file pur non avendo
sangue nobile. - le sussurrò Tyrron all'orecchio, scatenando
la risatina di Morad, - Sul palco alla tua destra ci dovrebbe essere il
sultano, viene qui abbastanza spesso, anche se non si ferma mai molto.
Adesso siede il governatore con la famiglia e il suo consigliere.
È un amante delle corse dei cavalli, ma non disdegna gli
spettacoli gladiatori. Ha avuto solo un preferito, un ragazzino che si
è trasformato in Jin circa sette settimane fa. -
Nemeria non riusciva a vederlo bene da dov'era, erano troppo in alto,
però era impossibile ignorare le vesti sgargianti che, anche
da così lontano, attiravano l'attenzione.
Quando le trombe squillarono, quello che Nemeria presunse essere il
banditore si sporse dagli spalti più bassi e aprì
le braccia. La folla si zittì.
- Che entrino i gladiatori! Signori, sedetevi e godetevi lo spettacolo!
-
Le grate si alzarono e i due sfidanti fecero il loro ingresso. Si
portarono al centro dell'arena, accompagnati da uno scroscio di
applausi e acclamazioni. Uno sfoggiava un alto cimiero e una coda di
piume di falco che garrivano al vento, mentre l'altro non aveva
protezioni sulla testa e, oltre a un gonnellino, indossava soltanto
degli alti schinieri che lasciavano liberi i piedi e dei bracciali
spessi, abbacinanti sotto la luce del sole, che lo coprivano fin poco
sotto il gomito. Si batterono il pugno sul petto e si inginocchiarono
sotto il palco del governatore. Quand'egli assentì,
balzarono in piedi, i pugni già alzati e pronti a colpire.
- Non hanno armi? -
- Non servono. Si fanno chiamare il Leone e il Grifone. Ti lascio
immaginare chi sia il Grifone. -
La pelle del gladiatore si ritirò e il petto e le braccia
scoperte si rivestirono di pietre rosse, tanti piccoli sassolini
compattati assieme alla sabbia dell'arena a formare un'armatura in
continuità con il corpetto di cuoio nero. Il Leone
caricò l'avversario e, al momento dell'impatto, il pugno si
rivestì di rocce acuminate e sporgenti che esplosero in
mille schegge.
- Sono due Dominatori! - esclamò sorpresa Nemeria.
Tyrron sogghignò: - Molto perspicace. -
Il Grifone riguadagnò la distanza di sicurezza,
richiamò la sabbia sulla mano aperta e la modellò
a forma di lancia. L'arma sibilò nell'aria come se avesse
avuto lo stesso peso del suo corrispettivo di metallo, si
abbatté sullo scudo del Leone e si sgretolò, e i
suoi granelli divennero parte dello stesso, lo allargarono fino a
formarne uno più largo, rettangolare e ricurvo.
- Fate sul serio! -
- Forza, Grifone, forza! -
Sulla curva ovest venne srotolato uno striscione con su cucito un
grifone arancione, sullo sfondo due lance incrociate. I tifosi, quelli
più in alto, battevano i piedi e le mani, mentre sulle curve
est fiorivano le insegne di un leone blu.
- Leone. - intonavano a ritmo, - Leone, leone, leone! -
L'eccitazione divampò come un incendio in una sterpaglia,
riscaldò gli animi di tutti, mentre lo scontro serrato si
perpetrava sotto i loro occhi. Quando il Leone spaccò
l'armatura del suo avversario con una scudata e lo fece volare contro
il muro, un boato fece tremare Nemeria fin nelle ossa e
fomentò un'eccitazione che non credeva di avere.
Scattò in piedi e la sua voce si unì al coro di
urla selvagge che l'attorniavano, si elevò assieme alle
altre e le causò un senso di vertigine inebriante. Il dolore
alla schiena era sempre lì, onnipresente, eppure svaniva nel
clamore e nell'euforia di quel momento. I suonatori sugli spalti
più alti e distanziati dalla folla soffiarono più
forte nelle tube e nei corni, mentre la melodia degli organi ad acqua
divenne più cadenzata e vivace.
Il Grifone si rialzò e sollevò fieramente il
mento, non ancora sconfitto. Levò le braccia al cielo,
grugnì e sbatté un piede a terra. La sabbia si si
staccò dal terreno e tagliò l'aria sotto forma di
proiettili affilati. I primi si bloccarono nello scudo, gli altri
sfondarono la barriera e colpirono il Leone con così tanta
forza da farlo vacillare. Lo scudo cadde a terra e si dissolse in un
nugolo di granelli. Il sangue gli gocciolò sui piedi dalla
spalla, dal petto, dal braccio e da un taglio sul collo.
- Grifone, Grifone, Grifone! -
- Combatti, Leone, combatti! -
- Schiaccialo! -
La folla era in visibilio e i tifosi dell'uno e dell'altro gladiatore
si contendevano il primato di urla d'esortazione. La donna vicino a
Nemeria si sbracciava anche più di lei, con i pendagli che
trillavano quando saltava. Ignorò il marito e talvolta le
lanciò dei gran sorrisi. Sebbene non avesse la
più pallida idea di chi fosse, Nemeria si sentì
in dovere di ricambiare.
Il Grifone assaltò il Leone, lo placcò e gli
girò il braccio dietro la schiena, immobilizzandolo a terra
con legacci di sabbia. Era gigantesco, con quel cimiero e il bracciale
di lamiera, sembrava proprio il rapace mitologico di cui portava il
nome. E il Leone, il suo temibile avversario, pareva un cucciolo
intrappolato sotto le sue grinfie.
Crock.
Lo schiocco dell'osso rotto venne sovrastato dal clamore, ma un brivido
si diffuse su tutte le braccia e nella pancia di Nemeria. L'urlo che ne
seguì si spense in un rantolo sofferente e
risvegliò il dolore in dormiveglia, costringendola a
sedersi. Nonostante tutto, però, i suoi occhi rimasero fermi
su quei corpi in lotta nel bel mezzo dell'arena. E l'eccitazione che
animava gli astanti, e che per osmosi l'attraversava e pervadeva, si
accrebbe come una marea.
Il governatore si sporse dalla balaustra e a un suo cenno il Grifone
mollò la presa. Tuttavia, le corde di sabbia non
desistettero e i granelli si innalzarono dal terreno e salirono verso
l'alto in un turbinio caotico, salvo poi ricadere incrostandosi sulle
ferite aperte del Leone.
- Morirà? -
Tyrron storpiò le labbra in un sorriso saputo: - Osserva. -
Il Grifone camminò attorno al suo avversario, tenendolo
sotto tiro con una lancia. Le linee di sabbia, vere e proprie strie
nelle quali i granelli barbagliavano come pagliuzze d'oro, lo seguivano
come i veli di una sposa. Mentre il governatore assisteva dall'alto,
lui abbracciava l'arena con lo sguardo, incoraggiando la folla a
magnificarlo. I suoi tifosi avevano il pollice rivolto verso il basso;
gli altri, quelli che sostenevano il Leone, lo tenevano in su.
Nemeria allontanò la mano per osservarla e poi
dardeggiò un'occhiata interrogativa a Tyrron, che aveva
incrociato le braccia sul petto.
- Chiamano la grazia o la morte per lo sconfitto. - le
spiegò.
- Ma avevi detto che... -
L'uomo le mise l'indice sulle labbra per zittirla.
- Pane e giochi, è questa la formula per mantenere il favore
del popolo, e quindi il trono. Fai assaporare alla gente la sensazione
di avere il potere, e agli occhi degli ammalati, dei poveri e dei
moribondi sarai un Dio. - distolse lo sguardo da lei e lo rivolse
altrove, - Perché una recita sia efficace, il primo attore
deve credere davvero di essere il personaggio che sta interpretando. -
Nemeria seguì i suoi occhi. Si soffermò sulla
figura del governatore, che, fino a quel momento, si era limitato a
godersi la scena dal suo palco. Quando protese il braccio oltre la
balaustra, tutti parvero trattenere il respiro. Gli schiamazzi
cessarono e un silenzio carico di aspettativa si adagiò
sugli spalti. Solo lo sfrigolare lieve della sabbia allentava la
tensione altrimenti tangibile.
Il pollice parallelo al braccio si alzò verso l'alto.
Tutti gli spettatori si alzarono e si abbandonarono a uno scroscio di
applausi entusiasti. Nemeria nemmeno udì i detrattori della
decisione del governatore, né le battute che Tyrron e Morad
scambiarono. La sua attenzione era sul Grifone, che aiutò il
suo avversario a rimettersi in piedi, attento alle sue ferite. Stavano
parlando, poteva vedere le loro labbra muoversi, e mentre venivano
scortati fuori dalle guardie subentrate dalle altre due entrate
laterali, restò rapita da quella confidenza inaspettata.
Quindi l'amicizia tra lei e Noriko poteva esistere in quel mondo?
Oppure anche quella non era altro che una facciata da offrire in pasto
al pubblico?
Rimasero lì fino alla fine degli incontri, anche se nessuno
di quelli che seguirono la conquistò davvero. L'adrenalina
le accelerava il cuore ogni volta che gli sfidanti facevano il loro
ingresso, eppure dopo la forte emozione del combattimento tra il
Grifone e il Leone tutto scoloriva, era acqua a confronto con l'alcol
puro.
Quando abbandonarono l'arena, il sole stava già declinando.
Tyrron e Morad non avevano smesso un momento di discutere
sull'andamento degli incontri, escludendo completamente Nemeria dal
discorso.
“Devono essere proprio sicuri che non
scapperò.”
Si toccò il collare e represse una smorfia. Si sentiva
spossata, immensamente e profondamente stanca, ma il pulsare delle
ferite era un'avvisaglia anche fin troppo chiara che anche quella notte
non avrebbe dormito. Forse poteva chiedere a Tyrron di esonerarla dagli
allenamenti. Si rimangiò subito il pensiero e lo mise da
parte, stipandolo nell'angolino più lontano della sua mente,
da dove non poteva più tentarla.
I chioschetti d'intorno all'arena erano stati assaltati da spettatori
affamati, che con pochi ètlaon potevano soddisfare il loro
appetito. I bambini dell'età di Nemeria, invece, si
affannavano attorno ai baracchini per comprare una statuetta di
terracotta del loro gladiatore preferito. C'era un'allegria frizzante
che scoppiettava nell'aria fresca nella sera.
Stavano percorrendo la strada che li avrebbe riportati alla via
principale, quando lo vide. All'inizio sussultò e si
strofinò le palpebre pensando fosse un brutto scherzo della
stanchezza, poi l'ombra tra la spazzatura si mosse e un musetto felino
fece capolino da sotto un nido di stracci lerci.
Nemeria si fermò di colpo e si avvicinò
finché l'animale non le soffiò contro, minaccioso
come solo un cucciolo tenta di essere. Aveva il pelo grigio chiaro, due
strisce scure proprio sotto gli occhi verdi e una macchia nera che gli
circondava il muso. Teneva la zampa sinistra sollevata, scossa da
piccoli e quasi impercettibili tremiti.
Nemeria allungò la mano e il gatto si ritrasse, snudando i
denti.
- Così non riuscirai mai ad avvicinarlo. -
Tyrron si era inginocchiato al suo fianco e ora studiava l'animale con
attenzione. Senza perderlo di vista, tirò fuori dalla tasca
delle strisce di carne essiccata.
- Dagliene una, vedrai che uscirà fuori da solo. -
Nemeria titubò un momento prima di accettare. Divise la
carne in due parti e, tenendo il braccio teso davanti a sé,
compì qualche altro passo. Il gatto tirò indietro
la testa, poi però l'odore della carne gli fece cambiare
idea. Diffidente, leccò le dita di Nemeria, gliele
solleticò con la lingua ruvida come se non avesse capito la
differenza tra quelle e la carne, e infine addentò la
striscia di carne. No, non era un gatto, aveva le orecchie troppo
lunghe.
“Non mi è mai capitato di vedere dei peli neri
così...”
- È uno shyahgosh, meglio conosciuto
come “caracal”. Nell'Impero Skandaaleshan viene
ammaestrato per la caccia all'antilope e in alcune dahyu per quella
agli uccelli. Deve essere scappato a qualche mercante, è
troppo piccolo per sopravvivere nel deserto da solo. - disse Morad.
Nemeria si girò a guardarlo e l'uomo ridacchiò.
- Prima di incontrare Tyrron, ero un cacciatore. Qualcosa del mio
vecchio mestiere me lo ricordo. -
Il caracal le addentò il dito, ma senza forza, quasi volesse
richiamare la sua attenzione. Nemeria gli allungò l'altro
pezzetto di carne e lo guardò mentre lo mangiava. Era
davvero un cucciolo, una pallina di pelo ispido e sporco.
- Non... - si morse la lingua e cercò le parole migliori, -
non si possono tenere animali nella scuola? -
Tyrron aggrottò le sopracciglia e Morad smorzò
una risata con un colpo di tosse.
- Mi stai chiedendo il permesso di tenerlo? -
- È piccolo e tutto solo... non mi va di lasciarlo qui. -
L'uomo parve prendere in considerazione la sua richiesta, almeno questo
era quello che Nemeria sperava significasse il suo silenzio.
- Morad, quanto diventa grosso? -
- Circa venti pollici per un peso massimo di quaranticinque libbre. -
Le pupille di Nemeria si spalancarono. Possibile che un cucciolo
così minuto potesse diventare così grande? Le era
difficile anche solo immaginare che potesse essere un predatore.
- Facciamo così. Lo puoi tenere, a patto che sia tu a
occuparti di tutto. Io non ne voglio sapere nulla, chiaro? Se proprio
vuoi dei consigli, chiedi a Morad.-
- S-sì... sì. -
- Bene. - si rialzò, si spazzolò lo sporco dai
pantaloni, per poi consegnarle altre tre strisce di carne, - Muoviti,
si sta facendo tardi e ho una cena importante stasera. -
Nemeria annuì e con un gesto fulmineo che le
procurò una fitta sotto le costole afferrò il
caracal come avrebbe fatto con un gatto. L'animale si dimenò
tra le sue braccia, graffiandole la tunica per liberarsi.
Colpì anche la pietra di luna, quando improvvisamente si
calmò, limitandosi a lanciare un miagolio basso per
pretendere un altro pezzo di carne. Morad inarcò un
sopracciglio, più sorpreso di lei.
- Dovrai dargli un nome se vuoi cominciare ad addestrarlo. -
Nemeria appuntò lo sguardo in quello del caracal.
“Orecchie lunghe e pelose, musetto dolce e ha quasi
più pelo lui degli aculei di un istrice.”
Sorrise e gli grattò la testolina.
- Batuffolo. -
Stavolta fu Tyrron a scoppiare a ridere, quasi si piegò
sulle ginocchia. Morad la fissò a metà tra il
sorpreso e il divertito.
- E quando crescerà? -
- Sarà sempre Batuffolo. -
A quel punto scoppiò a ridere anche lei. Per la prima volta
da quando aveva lasciato la sua tribù percepì una
scintilla di leggerezza depositarsi sul suo cuore.