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Autore: Himenoshirotsuki    10/11/2017    3 recensioni
Le Jinian, un popolo, una leggenda. Dimenticate dagli umani e anche da tutte le altre razze, questa tribù di quasi solamente donne viaggia da una parte all'altra del mondo. Nascoste agli occhi di ogni mortale, sono le uniche ancora in grado di usare la magia elementale, senza che essa, a lungo andare, le corrompa. Nemeria è solo una delle tante bambine della tribù e non ha niente di speciale. Adora sua sorella Etheram e il suo dolce fratellino Rakhsaan, ama combinare guai e, come tutte le sue compagne, si è sempre esercitata nell'arte della magia e della manipolazione degli elementali che vivono in lei per poter un giorno diventare una Jinian. Ma tutto cambia all'improvviso quando la sua tribù viene attaccata da una banda di briganti, vestiti con un'armatura completamente nera e una maschera bianca a coprir loro il viso. Il destino mette Nemeria davanti a una scelta: diventare un vero guerriero e combattere per sopravvivere oppure vivere all'ombra di ciò che il fato ha scritto per lei.
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Fuoco 2

14

La prima volta

"Guardiamo una cosa mille volte; forse dovremmo guardarla un milione di volte prima di vederla per la prima volta."
Dylan Thomas

La notte, Nemeria non chiuse occhio. I tagli sulla schiena e il dolore che da essi scaturiva la tormentarono, scacciando il sonno alla stregua di una iena affamata con uno stormo di avvoltoi. Strinse la pietra di luna finché il braccio non iniziò a formicolare, e mantenne la presa anche dopo aver perso sensibilità nelle dita. Pregò in silenzio che la Madre la conducesse nel regno dei sogni, senza nemmeno la forza di singhiozzare, respirando così piano che l'aria le sibilava appena tra i denti. Tuttavia, pure nei momenti in cui la Dea si dimostrava misericordiosa, il dolore la seguiva come un segugio implacabile, sempre sulle sue tracce: ringhiava, le azzannava gli arti e la dilaniava, incurante delle sue urla di aiuto, mai sazio, mentre attorno a lei, accompagnate dalla risata irridente di Mina, danzavano le ombre di Etheram, Rakshaan, Hedyie e di tutti i morti e i vivi che aveva deluso. C'era anche il predone, nascosto tra i fantasmi, si muoveva silenzioso come uno spettro, una sagoma nera contornata da un alone bianco su uno sfondo rosso insanguinato. Quando il pugnale calava sulla sua gola, Nemeria apriva gli occhi.
Noriko era lì, seduta al suo capezzale. Le passava una pezzuola umida sulla fronte e poi sulla schiena, sembrava sempre sapere dove tamponare. Talvolta, al suo fianco compariva Nande e nell'aria si diffondeva un fresco profumo di salice e iperico.
Quando, al sorgere del sole, il gallo cantò, il dolore l'aveva lasciata esanime sul materasso impregnato di sudore. Con le zanne arrossate si era ritirato sotto pelle, un graffiare sordo che si concentrava sulle scapole e sulla spina dorsale. Nel momento in cui si alzò, le tremarono le labbra nel tentativo di trattenere un gemito. Quando Nande tornò per cambiarle i bendaggi, ricacciò indietro le lacrime e sopportò stoicamente.
- Appoggiati a me. -
Noriko le offrì il braccio e Nemeria dovette fare un enorme sforzo per scuotere la testa.
- Non mi sembri in condizioni di fare l'orgogliosa. -
- Non è questione di orgoglio. Ti sei occupata di me tutta la notte, non... -
La ragazza inclinò la testa: - Non? -
- Voglio farcela da sola, almeno ad arrivare a colazione. -
Non aveva mentito, ma distolse comunque lo sguardo. Era stanca di sentirsi vulnerabile, più di quanto non fosse disposta ad ammettere.
Trasse un sospiro di sollievo quando Noriko ritirò il braccio e le fece cenno di seguirla.
Il refettorio si trovava al piano terra ed era uno spazio circolare, illuminato dalla luce opaca del sole. Le cucine erano state relegate in fondo. A dividerle dall'ambiente chiassoso e dal vociare dei commensali c'era solo una porticina di legno rinforzata in ferro. Le guardie, almeno una decina, stavano dritte vicino alle pareti e tenevano sott'occhio i gladiatori che si alzavano per andare a prendere la prima o, addirittura, la seconda razione di pane e formaggio di capra.
Non appena entrarono, il cicaleccio diminuì fino a svanire. Nemeria si ritrovò gli occhi di tutti addosso e rimase paralizzata sul posto. Si guardò intorno con aria spaurita, occhieggiandoli, in attesa che accadesse qualcosa che sciogliesse il silenzio di ghiaccio che era piombato nel refettorio.
- Andiamo. -
Il tocco familiare e risoluto di Noriko le trasmise la determinazione sufficiente per riprendere a camminare. L'amica irradiava un'aura di sicurezza che traspariva a ogni suo passo e si espandeva come una bolla attorno a lei, avvolgendo sia se stessa che Nemeria. Al fianco di Noriko le veniva più semplice ignorare le occhiate degli astanti, come se non pesassero più, ridotte al solletico di una piuma sulla nuca.
- Tieni, questo è il tuo. -
Noriko le porse il vassoio con una ciotola con una pappa di farro, orzo e fagioli, accompagnata da tre fette di pane imburrate. Il cucchiaio, il bicchiere e il vasetto di miele erano di legno, così come il resto. Nonostante l'aspetto non appetitoso, Nemeria ci si fiondò non appena si sedettero. Vicino a loro gli sgabelli erano vuoti.
- Dovresti mangiare più lentamente. Masticare bene ogni cosa aiuta la digestione. -
- È che ho fame... -
- Lo so, ma sarebbe meglio che mi dessi retta. - la fissò in tralice da sotto le ciglia rosse, - Questo è il nostro pasto e dovremo farcelo bastare fino all'ora di pranzo. -
Nemeria si fermò prima di addentare la fetta di pane.
- Di solito, se vai in cucina a chiedere qualcosa da mangiare, non ti fanno storie, di fagioli e verdure ne hanno in abbondanza. Sayuri ci terrà lì finché non avremo finito tutti gli esercizi. - assaggiò la minestra e solo dopo averla assaporata ingoiò l'intera cucchiaiata, - È capitato un paio di volte che non si fermasse, nemmeno alla pausa pranzo. -
- E nessuno dice nulla? -
Noriko fece spallucce: - È la maestra, la syad dell'aria. Può fare ciò che vuole, basta che siamo in grado di far divertire il pubblico quando ce lo chiedono. -
Nemeria chiuse le dita a pugno e inspirò piano. Anche Etheram, quando aveva dovuto intraprendere il Primo Sentiero, quello che per lei era rappresentato dell'elemento dell'aria, si era sottoposta a un'alimentazione molto rigida a base di verdura, frutta e, quando possibile, cereali. Nemeria la ricordava mentre mangiava una minuscola ciotola di patate e frumento, mentre lei, sua madre e suo fratello si godevano dolci a base di liquirizia e zucchero.
- “Sii moderato con il cibo e non gravare il tuo corpo con pesi inutili, dagli solo quello che richiede, ed esercitati nel digiuno quando è indebolito.” - Noriko sorseggiò il bicchiere d'acqua, - È questo il suo motto. Non basterà la tua protesta a indurla a provare pietà, anche perché non è l'unica a pensarla così. -
- Chi altri la sostiene? -
“Chi è il pazzo?”
- La conoscerai. Si chiama Ahhotep, era un membro della banda dei Falchi. -
Il boccone le andò di traverso. Per riprendersi, Nemeria dovette trangugiare un intero bicchiere d'acqua.
- Qualcosa ti preoccupa? -
- Era... era... -
Non riusciva nemmeno a mettere insieme le parole, l'agitazione e la paura le distanziavano prima che potessero comporsi in frasi. Gli squassi della tosse le causarono una fitta di dolore così acuta da farla tornare in sé.
- Quando li ho incontrati la prima volta erano al loro limite, avevano gli occhi neri come quelli dei Jin. -
- Solo Shaya e Unal, infatti sono stati abbattuti. Non hai sentito la notizia? Ha destato non poco scalpore. -
Nemeria scosse appena la testa.
- Sei disattenta. -
- Sono solo... - deglutì un altro boccone, - Dimmi cosa è successo e basta. -
- I Kalb li hanno dovuti uccidere. Li avevano quasi catturati, quando i due hanno perso il controllo e si sono trasformati in Jin. Come hai detto tu, erano già al loro limite, la lotta per la fuga ha solo rotto una diga già da tempo crepata. -
- Hanno fatto del male a qualcuno...? -
- Non ne hanno avuto il tempo, sono stati neutralizzati prima. So che ci è voluta una squadra di rinforzo per contenerli e che hanno ammazzato sei Kalb, ma i danni sono stati contenuti. - sbocconcellò la sua fetta di pane e rivolse lo sguardo altrove, - In ogni caso, ti allenerai con noi soltanto per qualche giorno, poi sarai affidata a Roshanai. -
- Quindi io e te non ci vedremo che la sera, giusto? -
Noriko annuì e il cuore di Nemeria inciampò nel petto. Non conosceva la syad del fuoco, ma se il suo temperamento era come quello del suo elemento, l'attendevano tempi molto duri.
- Su, andiamo, siamo già quasi in ritardo. -
Uscirono a grandi falcate dal refettorio e si diressero verso il campo del giorno prima. Sayuri era lì ad attenderle, vestita con un pantalone di cotone nero molto ampio e una giacca a maniche lunghe rossa. Davanti a lei, dritte come steli d'erba congelati, immobili nella posizione del loto, c'erano due ragazze. Quella a sinistra non si mosse e, a giudicare dall'altezza, doveva avere un paio d'anni più di Noriko, mentre l'altra aveva l'età di Nemeria. Quando furono vicine, si girò e le puntò addosso due occhietti da furetto gialli come quelli di un gatto.
- Durga, non ti ho dato il permesso. - la riprese Sayuri e la bambina si ricompose in un sussulto.
La syad attese che avesse riacquistato la posizione, prima di spostare la sua attenzione sulle nuove arrivate. Noriko si inchinò e Nemeria si affrettò a imitarla, anche se non con la stessa compostezza.
- Sono stupita che tu riesca a reggerti in piedi dopo l'allenamento di ieri. Non sei così debole come pensavo. - la salutò e accennò un sorriso che riempì Nemeria d'orgoglio.
La stanchezza e il dolore passarono immediatamente in secondo piano.
- Durga, Ahhotep. Riposo. -
A quel comando, la bambina balzò in piedi e si sgranchì le gambe, mentre Ahhotep roteò le spalle con calma, alzandosi con aria indifferente. Era alta, superava Noriko di un paio di pollici, magra e sinuosa come un serpente, con la pelle abbronzata tesa sulle clavicole sporgenti, sfiorate dai ciuffi sfuggiti alla coda.
- Prima di riprendere l'allenamento, ora che ci siete tutte, le spiegazioni mi sembrano d'obbligo. Sarò breve: tu e tu. - indicò Nemeria e Durga con un gesto del mento, - Rimarrete con me fino a quando la syad del fuoco non si sarà ripresa. Ho notato che non avete una buona preparazione, né fisica né spirituale. Al corpo si può rimediare, ma perdere l'anima e la ragione significa diventare Jin e smettere di essere umani. Gli dei ci hanno imposto di ospitare dentro di noi un elementale. Il motivo ci è precluso, possiamo solo accettare questa condizione, senza però abusarne.-
Il tono di tetra rassegnazione con cui pronunciò quelle parole colpì Nemeria, così come le nuvole che si addensarono nel suo sguardo. Mantenne le spalle dritte, i suoi occhi prima in quelli di Noriko, ora in quelli di Durga, dignitosa e fiera, un soldato solo contro la marea.
- I quattro elementi sono i costituenti dell'universo, da loro la vita nasce e ad essi torna, in un ciclo eterno di cui noi non siamo altro che granelli seppelliti nell'infinito divenire. Il fuoco è lo stato ardente e il caldo, l'aria è quello gassoso e il freddo, l'acqua è il liquido e l'umido, e infine la terra è il solido e il secco. La vita nasce dalla loro armonia, dal loro modo di interagire e dalle qualità che si combinano per formare tutto ciò che è percepibile ai nostri sensi. Le chiamiamo rhizai, le radici, e racchiudono e sostengono l'essenza dell'universo stesso. -
Nemeria si affrettò ad annuire non appena Sayuri posò lo sguardo su di lei. Non erano cose che non sapesse già, ma anche ora, come quando era Fakhri a spiegarle, le sembrarono inutili, teorie complesse per descrivere una realtà molto più semplice.
- Il fuoco è l'unità, l'aria la dualità, l'acqua la creazione e la terra la materialità. I primi due sono attivi, sono gli agenti di cambiamento spirituali, più sottili e più perfetti dei loro fratelli passivi, che sono il trampolino per innalzarli e il peso per trascinarli in basso. - continuò Sayuri, - Amici e nemici, essi vivono per contrasti. Gli elementali che risiedono dentro di voi sono così: la materialità del vostro corpo li tiene inchiodati in una gabbia di carne e ogni volta che li richiamate, che esigete un prestito della loro potenza, una parte di questa distrugge la vostra anima. All'inizio non ve ne accorgerete, vi sembrerà di essere sempre gli stessi, ma una parte di voi andrà irrimediabilmente persa, annegata, bruciata, soffocata o sepolta da quel potere che avete richiesto di poter usare. -
Durga incassò la testa tra le spalle e si fece piccola piccola. I capelli scompigliati e il viso tondo, schizzato di lentiggini, le conferivano un'aria da cucciolo bastonato. Agli occhi di Nemeria era un'anima affine, la sentiva vicina e le sarebbe piaciuto rassicurarla, anche se per scacciare la paura avrebbe dovuto dirle una bugia.
- Per questo è vitale che impariate a dosare le vostre richieste. Siete nati Dominatori e morirete come Jin, ma, per quanto possibile, dovrete ritardare l'inevitabile. Io e gli altri syad vi insegneremo a far divertire il pubblico e a tenere sotto controllo la vostra forza. - concluse e le invitò ad allinearsi davanti a lei, scandendo bene le parole e disegnando delle mosse precise con braccia e gambe, - Chi Len Hou Wan Yao. -
Nemeria si mise vicino a Noriko e copiò tutti i suoi movimenti, come il giorno precedente. Erano tecniche finalizzate a rafforzare i muscoli senza sforzarli troppo, eppure per lei erano quanto di più difficile e doloroso avesse mai provato. Sentire tutte le fibre tendersi contro la pelle tagliata, le loro contrazioni quando allungava un braccio o si piegava per toccarsi la punta dei piedi, era una pugnalata che risvegliava il tormento che l'aveva tenuta sveglia per tutta la notte precedente. Quando Sayuri diede loro il permesso di andare a mangiare, un'ora dopo che la pausa pranzo era finita, l'unica cosa che Nemeria agognava davvero era un letto.
- Se ti sdrai ora, non ti rialzerai più. - la ammonì Noriko.
“Non volevo, infatti.”
Nemeria trasse un lieve respiro, incurante del formicolio di poco dietro le costole.
- Tu sei come me! -
Durga le saltellò vicino e le si mise davanti. Il naso a patata campeggiava nel viso e attirava l'attenzione quasi quanto i suoi occhi giallo citrino.
- Sono... come te? -
- Anche io domino il fuoco! - rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, - Non l'avrei mai detto, sai? Non hai la faccia da Dominatrice del fuoco. -
- E come sarebbe? -
La bambina gonfiò le guance e si morse il labbro inferiore, quello più sottile.
- Dovresti essere più grintosa e meno triste. Ti ho guardato durante l'allenamento, digrignavi i denti come un cane e avevi le lacrime agli occhi. -
- Ho solo male per le frustate, tutto qui. -
Durga spalancò gli occhi e le si parò davanti, lo sguardo acceso dall'entusiasmo.
- Allora sei tu quella che ha fatto volare Roshanai contro la colonna? Davvero? E come hai fatto? -
“Bella domanda.”
- Ho fame, potete parlare al refettorio. -
Il tono gelido di Noriko freddò la bambina sul posto e pose fine a qualsiasi tentativo di conversazione. Ahhotep le scompigliò i capelli e poi le diede una pacca sulla spalla per incitarla a muoversi.
- Ha ragione, prima mettiamo qualcosa sotto i denti, prima potremo tornare ad allenarci. -
- Ma io non voglio! -
- Dai, dai, non fare i capricci. -
La bambina si imbronciò e tirò fuori il labbro inferiore, affondando le mani nelle tasche della tunica di panno. Assomigliava dolorosamente a Rakshaan, una somiglianza così accurata da bruciarle più delle ferite sulla schiena.
- Non ti devi intristire. Sei o non sei una Dominatrice del fuoco? - disse Nemeria, e sorridere le venne naturale quando Durga incrociò il suo sguardo, - Se ti siedi vicino a me, potrai farmi tutte le domande che vuoi. -
- Tutte tutte? -
- Tutte tutte. - ribadì e la bambina l'affiancò zampettando alla sua destra tutta contenta.
Nel refettorio l'attendeva dietro il bancone l'uomo che aveva servito la colazione quella mattina, in compagnia delle guardie. Non erano le stesse, ma tutte, notò Nemeria, portavano una tiara e un'armatura d'oricalco, con spallacci e schinieri senza alcuna decorazione. Le scrutarono con chirurgica attenzione mentre prendevano i vassoi di legno e non staccarono gli occhi finché non si sedettero.
- Bevi, hai bisogno di idratarti. -
Noriko le porse un bicchiere di quella che, agli occhi di Nemeria, era acqua sporca. Sulla superficie galleggiavano dei semi verdi e qualcos'altro che non sapeva cosa potesse essere.
- Non è così male. Anche a me all'inizio non piaceva, poi però mi sono accorta che dopo mi sentivo di nuovo in forze. - si scoprì il braccio e contrasse il bicipite, tutta seria, - Se lo bevi tutti i giorni, diventerai forzuta tanto quanto me! -
- Sei davvero forte, sì. - rispose ed era davvero ammirata, perché Noriko avevapiù muscoli di lei.
“Io somiglio a un insetto stecco.”
Fissò con preoccupazione il bicchiere ancora un momento, per poi scolarselo tutto in un sorso solo.
- Com'è? -
- Cosa c'è dentro? -
- Cenere d'ossa, di corteccia e aceto. -
Nemeria arricciò il naso e assottigliò le labbra in una smorfia schifata. Il sapore dell'aceto si trasformò in quello del limone, era quasi dissetante. Se non fosse stato per l'aspetto, avrebbe apprezzato molto di più.
“Anche se non avessi saputo gli ingredienti.”
- E voi bevete questo intruglio tutti i giorni? -
Durga annuì, risoluta: - Lo bevevo anche a casa di Tara, lei dice che mi farà diventare fortissima. -
- Tara è la lanista a cui appartiene. - la informò Noriko.
Nemeria annuì e decise di dedicarsi al suo pranzo, che consisteva in pane nero ai semi di finocchio, due uova sode e pasta con radicchio e carciofi. Anche se aveva fame, si obbligò a non fiondarsi sul cibo, non tanto perché credesse a quello che le aveva detto, ma Noriko era proprio davanti a lei e sapeva che la teneva d'occhio.
“A Durga non dice niente però.”
Il suo sguardo fu attirato dalla compostezza con cui Ahhotep mangiava. Teneva le spalle dritte, i gomiti bassi e masticava ogni singolo boccone come se fosse l'ultimo, senza però la foga di un affamato. Sembrava farlo a forza e, ogniqualvolta Durga la pungolava dicendole che era davvero lenta, lei si limitava a un lieve sorriso, una sorta di increspatura delle labbra elargita per metterla a tacere. Quando si accorse d'essere osservata, Ahhotep appoggiò la forchetta a lato del piatto e inclinò la testa nella sua direzione, piantandole addosso uno sguardo che la raggelò. Fastidio, disagio e rabbia, tanta, tanta rabbia: nel ventaglio di emozioni esibite, il rosso scarlatto della collera risaltava tra tutte.
- C'è qualcosa che non va? -
- N-no... no. -
Le dita sottili di Ahhotep si erano allungate verso la forchetta e ora la impugnavano come un'arma. Durga fece scattare la testa da una all'altra, ignara di cosa stesse succedendo. Sebbene non riuscisse a vederla con chiarezza, la tensione che emanava da Noriko le graffiava comunque la guancia e il braccio.
- 'tep, non fare la cattiva... -
- Mi stavo solo chiedendo perché la nostra nuova amica - calcò su quella parola con un'enfasi fastidiosa, - continua a fissarmi senza dire nulla. Ho forse qualcosa fuori posto? -
- N-no, ecco... volevo sapere se finivi la pasta. Mi sembrava che non ti andasse più, ma non sapevo come chiedertelo. - improvvisò.
Era più che sazia, in realtà, ma non le era venuto niente di meglio in mente.
Ahhotep la squadrò con un cipiglio diffidente. Nemeria trattenne il respiro.
- Se proprio ci tieni, prendi. - le porse il piatto, per metà intatto, - Per me era troppa. -
- Ti... ti ringrazio. -
Una risata isterica le premeva da dietro le labbra e ci volle ben più di un boccone per dissiparla. Noriko, davanti a lei, piluccò il pane in silenzio. A Nemeria non era sfuggito il modo con cui aveva guardato Ahhotep, un'impassibilità più affilata di un'ascia.
- Andiamo, prima che Sayuri si innervosisca. -
- Sì, vero, l'ho conosciuta soltanto oggi e mi sembra una che si arrabbia tanto. - commentò Durga.
Nemeria abbandonò volentieri il piatto di pasta. Ahhotep fu l'ultima ad accodarsi e si mantenne a distanza, dieci passi indietro rispetto a loro. Nel suo sguardo non era rimasto altro che l'arida desolazione del vuoto.
Non fecero in tempo a raggiungere il portico che i soldati le circondarono. Durga andò a nascondersi dietro Ahhotep e si portò il lembo della sua tunica al viso, come se avesse il potere di farla sparire.
- Nemeria, vieni con me oggi. -
La formazione si aprì, permettendo alla scorta di Tyrron di farsi avanti.
- Ma devo andare alla lezione di Sayuri. - obiettò disorientata Nemeria.
L'uomo schioccò la lingua e accantonò la questione con un gesto brusco della mano.
- Ti porto a vedere qualcosa di più istruttivo. Non ti preoccupare, poi le riferirò che sono stato io a rapirti. -
Nemeria guardò le altre, in attesa di non sapeva nemmeno lei cosa. Le dispiaceva e si sentiva anche un po' in colpa ad abbandonarle tra le grinfie di Sayuri, che, poco ma sicuro, non avrebbe gradito il loro ritardo. Ma in fondo non era colpa sua, no?
- Dai, muoviti, lo spettacolo comincia tra poco. - si rivolse ai soldati, - Rimanete qui, siete troppo ingombranti. Morad, con me. -
- Sissignore. -
- E tu, corri a farti cambiare la fasciatura, sia mai che ti venga un'infezione e ti devo tenere a letto altre tre settimane. -
Nemeria esitò. Il solo pensiero di uscire di nuovo fuori e di essere seguita dal predone la strappava il respiro, ma non aveva scelta.
- Cosa stai aspettando? -
Gli occhi di Tyrron le agguantarono il cuore. Nemeria deglutì, paralizzata da quello sguardo indagatore.
- Nulla, avevo solo male alle gambe. - blaterò e schizzò in infermeria.
Quando riferì a Nande che era stato Tyrron a spedirla lì, la donna si mise subito al lavoro. Agì con destrezza, prendendo gli impacchi e i vasetti senza neanche guardare e il suo tocco gentile le procurò un dolore sopportabile, che non le faceva contrarre la mandibola e stringere le palpebre.
- Stasera torna da me, va bene? A qualsiasi ora, è essenziale tenere quei tagli puliti. -
Nemeria annuì e si precipitò giù dalle scale. Quando tornò nel cortile, Tyrron stava masticando una striscia di carne essiccata. L'occhiata che le lanciò, fu più che sufficiente a mettere a tacere qualsiasi latente sentimento di ribellione.
- Ma... ma quindi usciamo dalla scuola? -
- Andiamo all'arena. - le rispose Morad.
- Ah. E perché? -
- Te l'ho già detto, dobbiamo vedere lo spettacolo. - le guardie aprirono immediatamente le porte a un cenno di Tyrron, - E i gladiatori non aspettano certo noi. -
Proseguirono per un po' sulla stessa strada del giorno prima e poi deviarono su una via ampia, dove le case non erano altro che blocchi di pietra bianca ammassati gli uni sugli altri senza criterio. Nemeria si teneva ben vicina a Morad e alla sua spada di oricalco. Stava diventando paranoica, se ne rendeva conto, però il pressante pensiero di essere seguita, che il predone la stesse pedinando nascondendosi tra la folla, la faceva tremare.
“Non ti ha attaccato la volta scorsa, non lo farà nemmeno ora.”
In lontananza, come un colosso in mezzo alle formiche, si stagliava l'arena. Quattro piani di travertino per centocinquanta piedi d'altezza, con le chiavi d'arco ornate con i busti di divinità, era una struttura così maestosa da lasciare Nemeria a bocca aperta. La luce rimbalzava sui clipei bronzei e sgattaiolava all'interno attraverso le finestre ovali, contornate da una cornice di mosaico smaltato che cesellava le mensole sporgenti, nelle quali erano alloggiati dei pali di legno.
- Sai cosa rappresentano? -
La bambina ci mise un momento a capire che la domanda era rivolta a lei.
- È la prima volta che li vedo così da vicino. -
- Se non ti avessi comprato qui, direi che tu a Kalaspirit non ci hai mai vissuto. - Tyrron indicò la statua più alta, quella che pareva sorvegliare la strada, - Da sinistra a destra a partire da quella: Heydar, Siddhi, Mahendra, Vajra, Priti, Jyeshta, Harshana, Chitra, Vriddhi.-
“Arsalan mi aveva detto che i mortali erano complicati.”
Era una cosa che non aveva mai capito. Con così tanti dei, come facevano a decidere a chi rivolgere le loro preghiere?
Saltarono la fila, lasciandosi alle spalle una folla strepitante e stipata, e le guardie li lasciarono passare senza obiezioni. Presero posto sui gradoni del secondo settore, proprio nel bel mezzo. Sopra le loro teste, a schermarli dal sole, erano stati distesi dei veli in canapa che coprivano tutta la platea e una parte dell'arena stessa. Da dove si erano seduti, si potevano vedere i seggi di legno della prima fila e la balaustra del podio, dove erano stati iscritti diversi nomi. Alcuni seggi erano già stati occupati da uomini vestiti con abiti eleganti e donne ingioiellate e agghindate con pesanti tuniche rosse, rosa e blu. A dividerli dal resto del pubblico c'era un basso muro di mattoni rossi.
- Quelle davanti sono le famiglie nobili della città, hanno i posti già assegnati e un cuscino per il loro regale culo. Possono godersi le loro divertenti conversazioni anche alcuni membri del Consorzio, che stanno lì per sventare i possibili colpi di testa dei gladiatori più ribelli. Visto che il podio e la balaustra, nonché i muri dell'arena stessa, sono fatti in oricalco, si godono lo spettacolo dalle prime file pur non avendo sangue nobile. - le sussurrò Tyrron all'orecchio, scatenando la risatina di Morad, - Sul palco alla tua destra ci dovrebbe essere il sultano, viene qui abbastanza spesso, anche se non si ferma mai molto. Adesso siede il governatore con la famiglia e il suo consigliere. È un amante delle corse dei cavalli, ma non disdegna gli spettacoli gladiatori. Ha avuto solo un preferito, un ragazzino che si è trasformato in Jin circa sette settimane fa. -
Nemeria non riusciva a vederlo bene da dov'era, erano troppo in alto, però era impossibile ignorare le vesti sgargianti che, anche da così lontano, attiravano l'attenzione.
Quando le trombe squillarono, quello che Nemeria presunse essere il banditore si sporse dagli spalti più bassi e aprì le braccia. La folla si zittì.
- Che entrino i gladiatori! Signori, sedetevi e godetevi lo spettacolo! -
Le grate si alzarono e i due sfidanti fecero il loro ingresso. Si portarono al centro dell'arena, accompagnati da uno scroscio di applausi e acclamazioni. Uno sfoggiava un alto cimiero e una coda di piume di falco che garrivano al vento, mentre l'altro non aveva protezioni sulla testa e, oltre a un gonnellino, indossava soltanto degli alti schinieri che lasciavano liberi i piedi e dei bracciali spessi, abbacinanti sotto la luce del sole, che lo coprivano fin poco sotto il gomito. Si batterono il pugno sul petto e si inginocchiarono sotto il palco del governatore. Quand'egli assentì, balzarono in piedi, i pugni già alzati e pronti a colpire.
- Non hanno armi? -
- Non servono. Si fanno chiamare il Leone e il Grifone. Ti lascio immaginare chi sia il Grifone. -
La pelle del gladiatore si ritirò e il petto e le braccia scoperte si rivestirono di pietre rosse, tanti piccoli sassolini compattati assieme alla sabbia dell'arena a formare un'armatura in continuità con il corpetto di cuoio nero. Il Leone caricò l'avversario e, al momento dell'impatto, il pugno si rivestì di rocce acuminate e sporgenti che esplosero in mille schegge.
- Sono due Dominatori! - esclamò sorpresa Nemeria.
Tyrron sogghignò: - Molto perspicace. -
Il Grifone riguadagnò la distanza di sicurezza, richiamò la sabbia sulla mano aperta e la modellò a forma di lancia. L'arma sibilò nell'aria come se avesse avuto lo stesso peso del suo corrispettivo di metallo, si abbatté sullo scudo del Leone e si sgretolò, e i suoi granelli divennero parte dello stesso, lo allargarono fino a formarne uno più largo, rettangolare e ricurvo.
- Fate sul serio! -
- Forza, Grifone, forza! -
Sulla curva ovest venne srotolato uno striscione con su cucito un grifone arancione, sullo sfondo due lance incrociate. I tifosi, quelli più in alto, battevano i piedi e le mani, mentre sulle curve est fiorivano le insegne di un leone blu.
- Leone. - intonavano a ritmo, - Leone, leone, leone! -
L'eccitazione divampò come un incendio in una sterpaglia, riscaldò gli animi di tutti, mentre lo scontro serrato si perpetrava sotto i loro occhi. Quando il Leone spaccò l'armatura del suo avversario con una scudata e lo fece volare contro il muro, un boato fece tremare Nemeria fin nelle ossa e fomentò un'eccitazione che non credeva di avere. Scattò in piedi e la sua voce si unì al coro di urla selvagge che l'attorniavano, si elevò assieme alle altre e le causò un senso di vertigine inebriante. Il dolore alla schiena era sempre lì, onnipresente, eppure svaniva nel clamore e nell'euforia di quel momento. I suonatori sugli spalti più alti e distanziati dalla folla soffiarono più forte nelle tube e nei corni, mentre la melodia degli organi ad acqua divenne più cadenzata e vivace.
Il Grifone si rialzò e sollevò fieramente il mento, non ancora sconfitto. Levò le braccia al cielo, grugnì e sbatté un piede a terra. La sabbia si si staccò dal terreno e tagliò l'aria sotto forma di proiettili affilati. I primi si bloccarono nello scudo, gli altri sfondarono la barriera e colpirono il Leone con così tanta forza da farlo vacillare. Lo scudo cadde a terra e si dissolse in un nugolo di granelli. Il sangue gli gocciolò sui piedi dalla spalla, dal petto, dal braccio e da un taglio sul collo.
- Grifone, Grifone, Grifone! -
- Combatti, Leone, combatti! -
- Schiaccialo! -
La folla era in visibilio e i tifosi dell'uno e dell'altro gladiatore si contendevano il primato di urla d'esortazione. La donna vicino a Nemeria si sbracciava anche più di lei, con i pendagli che trillavano quando saltava. Ignorò il marito e talvolta le lanciò dei gran sorrisi. Sebbene non avesse la più pallida idea di chi fosse, Nemeria si sentì in dovere di ricambiare.
Il Grifone assaltò il Leone, lo placcò e gli girò il braccio dietro la schiena, immobilizzandolo a terra con legacci di sabbia. Era gigantesco, con quel cimiero e il bracciale di lamiera, sembrava proprio il rapace mitologico di cui portava il nome. E il Leone, il suo temibile avversario, pareva un cucciolo intrappolato sotto le sue grinfie.
Crock.
Lo schiocco dell'osso rotto venne sovrastato dal clamore, ma un brivido si diffuse su tutte le braccia e nella pancia di Nemeria. L'urlo che ne seguì si spense in un rantolo sofferente e risvegliò il dolore in dormiveglia, costringendola a sedersi. Nonostante tutto, però, i suoi occhi rimasero fermi su quei corpi in lotta nel bel mezzo dell'arena. E l'eccitazione che animava gli astanti, e che per osmosi l'attraversava e pervadeva, si accrebbe come una marea.
Il governatore si sporse dalla balaustra e a un suo cenno il Grifone mollò la presa. Tuttavia, le corde di sabbia non desistettero e i granelli si innalzarono dal terreno e salirono verso l'alto in un turbinio caotico, salvo poi ricadere incrostandosi sulle ferite aperte del Leone.
- Morirà? -
Tyrron storpiò le labbra in un sorriso saputo: - Osserva. -
Il Grifone camminò attorno al suo avversario, tenendolo sotto tiro con una lancia. Le linee di sabbia, vere e proprie strie nelle quali i granelli barbagliavano come pagliuzze d'oro, lo seguivano come i veli di una sposa. Mentre il governatore assisteva dall'alto, lui abbracciava l'arena con lo sguardo, incoraggiando la folla a magnificarlo. I suoi tifosi avevano il pollice rivolto verso il basso; gli altri, quelli che sostenevano il Leone, lo tenevano in su.
Nemeria allontanò la mano per osservarla e poi dardeggiò un'occhiata interrogativa a Tyrron, che aveva incrociato le braccia sul petto.
- Chiamano la grazia o la morte per lo sconfitto. - le spiegò.
- Ma avevi detto che... -
L'uomo le mise l'indice sulle labbra per zittirla.
- Pane e giochi, è questa la formula per mantenere il favore del popolo, e quindi il trono. Fai assaporare alla gente la sensazione di avere il potere, e agli occhi degli ammalati, dei poveri e dei moribondi sarai un Dio. - distolse lo sguardo da lei e lo rivolse altrove, - Perché una recita sia efficace, il primo attore deve credere davvero di essere il personaggio che sta interpretando. -
Nemeria seguì i suoi occhi. Si soffermò sulla figura del governatore, che, fino a quel momento, si era limitato a godersi la scena dal suo palco. Quando protese il braccio oltre la balaustra, tutti parvero trattenere il respiro. Gli schiamazzi cessarono e un silenzio carico di aspettativa si adagiò sugli spalti. Solo lo sfrigolare lieve della sabbia allentava la tensione altrimenti tangibile.
Il pollice parallelo al braccio si alzò verso l'alto.
Tutti gli spettatori si alzarono e si abbandonarono a uno scroscio di applausi entusiasti. Nemeria nemmeno udì i detrattori della decisione del governatore, né le battute che Tyrron e Morad scambiarono. La sua attenzione era sul Grifone, che aiutò il suo avversario a rimettersi in piedi, attento alle sue ferite. Stavano parlando, poteva vedere le loro labbra muoversi, e mentre venivano scortati fuori dalle guardie subentrate dalle altre due entrate laterali, restò rapita da quella confidenza inaspettata. Quindi l'amicizia tra lei e Noriko poteva esistere in quel mondo? Oppure anche quella non era altro che una facciata da offrire in pasto al pubblico?
Rimasero lì fino alla fine degli incontri, anche se nessuno di quelli che seguirono la conquistò davvero. L'adrenalina le accelerava il cuore ogni volta che gli sfidanti facevano il loro ingresso, eppure dopo la forte emozione del combattimento tra il Grifone e il Leone tutto scoloriva, era acqua a confronto con l'alcol puro.
Quando abbandonarono l'arena, il sole stava già declinando. Tyrron e Morad non avevano smesso un momento di discutere sull'andamento degli incontri, escludendo completamente Nemeria dal discorso.
“Devono essere proprio sicuri che non scapperò.”
Si toccò il collare e represse una smorfia. Si sentiva spossata, immensamente e profondamente stanca, ma il pulsare delle ferite era un'avvisaglia anche fin troppo chiara che anche quella notte non avrebbe dormito. Forse poteva chiedere a Tyrron di esonerarla dagli allenamenti. Si rimangiò subito il pensiero e lo mise da parte, stipandolo nell'angolino più lontano della sua mente, da dove non poteva più tentarla.
I chioschetti d'intorno all'arena erano stati assaltati da spettatori affamati, che con pochi ètlaon potevano soddisfare il loro appetito. I bambini dell'età di Nemeria, invece, si affannavano attorno ai baracchini per comprare una statuetta di terracotta del loro gladiatore preferito. C'era un'allegria frizzante che scoppiettava nell'aria fresca nella sera.
Stavano percorrendo la strada che li avrebbe riportati alla via principale, quando lo vide. All'inizio sussultò e si strofinò le palpebre pensando fosse un brutto scherzo della stanchezza, poi l'ombra tra la spazzatura si mosse e un musetto felino fece capolino da sotto un nido di stracci lerci.
Nemeria si fermò di colpo e si avvicinò finché l'animale non le soffiò contro, minaccioso come solo un cucciolo tenta di essere. Aveva il pelo grigio chiaro, due strisce scure proprio sotto gli occhi verdi e una macchia nera che gli circondava il muso. Teneva la zampa sinistra sollevata, scossa da piccoli e quasi impercettibili tremiti.
Nemeria allungò la mano e il gatto si ritrasse, snudando i denti.
- Così non riuscirai mai ad avvicinarlo. -
Tyrron si era inginocchiato al suo fianco e ora studiava l'animale con attenzione. Senza perderlo di vista, tirò fuori dalla tasca delle strisce di carne essiccata.
- Dagliene una, vedrai che uscirà fuori da solo. -
Nemeria titubò un momento prima di accettare. Divise la carne in due parti e, tenendo il braccio teso davanti a sé, compì qualche altro passo. Il gatto tirò indietro la testa, poi però l'odore della carne gli fece cambiare idea. Diffidente, leccò le dita di Nemeria, gliele solleticò con la lingua ruvida come se non avesse capito la differenza tra quelle e la carne, e infine addentò la striscia di carne. No, non era un gatto, aveva le orecchie troppo lunghe.
“Non mi è mai capitato di vedere dei peli neri così...”
- È uno shyahgosh, meglio conosciuto come “caracal”. Nell'Impero Skandaaleshan viene ammaestrato per la caccia all'antilope e in alcune dahyu per quella agli uccelli. Deve essere scappato a qualche mercante, è troppo piccolo per sopravvivere nel deserto da solo. - disse Morad.
Nemeria si girò a guardarlo e l'uomo ridacchiò.
- Prima di incontrare Tyrron, ero un cacciatore. Qualcosa del mio vecchio mestiere me lo ricordo. -
Il caracal le addentò il dito, ma senza forza, quasi volesse richiamare la sua attenzione. Nemeria gli allungò l'altro pezzetto di carne e lo guardò mentre lo mangiava. Era davvero un cucciolo, una pallina di pelo ispido e sporco.
- Non... - si morse la lingua e cercò le parole migliori, - non si possono tenere animali nella scuola? -
Tyrron aggrottò le sopracciglia e Morad smorzò una risata con un colpo di tosse.
- Mi stai chiedendo il permesso di tenerlo? -
- È piccolo e tutto solo... non mi va di lasciarlo qui. -
L'uomo parve prendere in considerazione la sua richiesta, almeno questo era quello che Nemeria sperava significasse il suo silenzio.
- Morad, quanto diventa grosso? -
- Circa venti pollici per un peso massimo di quaranticinque libbre. -
Le pupille di Nemeria si spalancarono. Possibile che un cucciolo così minuto potesse diventare così grande? Le era difficile anche solo immaginare che potesse essere un predatore.
- Facciamo così. Lo puoi tenere, a patto che sia tu a occuparti di tutto. Io non ne voglio sapere nulla, chiaro? Se proprio vuoi dei consigli, chiedi a Morad.-
- S-sì... sì. -
- Bene. - si rialzò, si spazzolò lo sporco dai pantaloni, per poi consegnarle altre tre strisce di carne, - Muoviti, si sta facendo tardi e ho una cena importante stasera. -
Nemeria annuì e con un gesto fulmineo che le procurò una fitta sotto le costole afferrò il caracal come avrebbe fatto con un gatto. L'animale si dimenò tra le sue braccia, graffiandole la tunica per liberarsi. Colpì anche la pietra di luna, quando improvvisamente si calmò, limitandosi a lanciare un miagolio basso per pretendere un altro pezzo di carne. Morad inarcò un sopracciglio, più sorpreso di lei.
- Dovrai dargli un nome se vuoi cominciare ad addestrarlo. -
Nemeria appuntò lo sguardo in quello del caracal.
“Orecchie lunghe e pelose, musetto dolce e ha quasi più pelo lui degli aculei di un istrice.”
Sorrise e gli grattò la testolina.
- Batuffolo. -
Stavolta fu Tyrron a scoppiare a ridere, quasi si piegò sulle ginocchia. Morad la fissò a metà tra il sorpreso e il divertito.
- E quando crescerà? -
- Sarà sempre Batuffolo. -
A quel punto scoppiò a ridere anche lei. Per la prima volta da quando aveva lasciato la sua tribù percepì una scintilla di leggerezza depositarsi sul suo cuore.

  
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