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Autore: EffyLou    22/11/2017    1 recensioni
Johann Trollmann è un pugile, beniamino del popolo tedesco negli ultimi anni della Repubblica di Weimar.
Indisciplinato, imprevedibile, borioso. Non sono i suoi difetti più grandi. Johann Rukeli Trollmann appartiene ad un popolo scomodo: è uno zingaro. Conquista le platee di Germania e fa innamorare le donne tedesche.
Nella sofferenza che porterà il Nazismo, il suo unico punto fermo e pilastro incrollabile è Frieda. Johann tocca l'apice e il fondo, assaggia il successo e la disperazione, conosce la serenità e la guerra. La derisione nazista si scontra con l'orgoglio di uno zingaro, che proprio non vuole saperne di abbassare la testa a quelle umiliazioni.
C'è solo un modo per far tacere quell'anima in rivolta: ridurlo ad un numero e darlo in pasto al Porajmos, l'Olocausto del popolo zingaro.
- - - - - -
I veri combattenti non temevano la loro ultima battaglia, e se c'era una cosa che Rukeli aveva sempre fatto, era dimostrare di non temere neppure il Diavolo. Neppure il Nazismo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Novecento/Dittature, Olocausto
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20. In der Art von Johann Trollmann

 
 
Gli ultimi dieci giorni che seguirono, Rosa li vide riavvicinarsi. Forse si era sbagliata, non si era spezzato niente.
Lui andava vicino alla ragazza e l’abbracciava teneramente, pensando di non essere visto da nessun altro. Le passava le braccia intorno ai fianchi mentre lei era di spalle, l’attirava a sé con una dolcezza che Rosa non aveva mai visto. Come se Frieda fosse la creatura più fragile e preziosa che Johann possedesse. Le baciava il collo, sotto l’orecchio, i capelli.
Davanti alla zia, si prendevano in giro con frecciatine, scherzavano come due buoni amici. Johann le faceva sempre i dispetti, poi lei si vendicava.
Frieda gli insegnò come sistemare giacche scucite, ricucire buchi sugli indumenti, piccole nozioni che gli sarebbero potute tornare utili. Si mettevano nel retrobottega e gli impartiva brevi lezioni.
Rosa, dalla cassa della boutique, sentiva Johann che ogni tanto lanciava un: «Ahia, maledizione!» seguita dalla voce della nipote che scoppiava a ridere.
Il giorno di riposo in cui la boutique era chiusa, Frieda lo portò in giro per Praga. Lui aveva fatto un giro da solo, qualche volta, ma non si allontanava molto. Con lei invece affittarono un paio di biciclette e fecero un lungo giro, tornando solo di sera a casa. Le aveva comprato zucchero filato e poi le aveva finalmente dato il regalo, la collanina.
«Non sono molto bravo con queste cose» cercava di dire, grattandosi la testa imbarazzato. Lei si era voltata, dandogli le spalle e invitandolo a metterle la collana. Con le sue grosse dita, trafficò un po’ prima di riuscire ad aprire quel minuscolo gancetto, imprecò tra i denti facendola scoppiare a ridere. Quando ci riuscì, allontanò le mani accarezzandole i capelli.
Era un sottile filo d’argento che terminava con la stampa un piccolo fiore metallico stilizzato, nel cui centro c’era un minuscolo brillante. Era fine, delicata, e le stava benissimo. Frieda l’aveva riempito di baci. Non l’avrebbe più tolta.
La sera, ormai, non dormiva più nella camera che gli era stata assegnata. Dopo che zia Rosa si addormentava, e la sentiva perché russava, andava a bussare alla porta di Frieda.
Si sdraiavano sul letto, le lenzuola blu. A volte parlavano tutta la notte, facendo progetti mentre si strofinavano i piedi e si pungolavano a vicenda. Con lei, Johann stava riscoprendo la dolcezza. L’amore. Tutto quello che gli era mancato durante quel drammatico anno trascorso senza di lei. Avevano parlato di loro, rivelandosi cose che non si erano ancora detti, si raccontavano della loro vita in quell’anno di lontananza. Le raccontava della signora Berger, di Clara, del cane Ulma, del lavoro e delle persone che aveva conosciuto, degli sprazzi d’allegria e del resto dei momenti tristi.
Lei gli raccontava delle lezioni di cucito di Rosa, della zia, di Hedy, della sua crescita. Quanto rinnovato vigore c’era in lei, quanta speranza. In quegli ultimi dieci giorni, aveva trasmesso a Johann un carico di positività senza eguali.
Facevano l’amore tutte le notti, in silenzio, dopo lunghe chiacchierate al buio. Come se il loro amore fosse un segreto, da custodire gelosamente.

«Ce l’hai una casa dei sogni?» gli chiese lei, sdraiata su di lui, nella sua ultima notte a Praga.
Johann teneva una mano dietro la testa, con l’altra le accarezzava la schiena con la punta delle dita. Il tessuto della sottana liscia al tatto, la curva della schiena sul suo corpo. Ogni tanto l’occhio gli cadeva sui seni di lei, schiacciati contro il suo petto.
«No. Sono uno zingaro, è impensabile avere una dimora fissa» rispose ironico, facendole un sorriso.
«Io ce l’ho»
«Ah sì? Indovino: in campagna, magari a due piani e una soffitta, e un giardino così grande da tenerci una stalla con i cavalli»
Frieda sorrise. «Beh, messa così è allettante. – gli disegnò un cerchio sotto la clavicola. – No, la mia casa dei sogni è con te»
Lui abbozzò un sorrisetto timido. «Sei diventata romantica. Ma io sarò sempre con te, mro vòci, te lo giuro. – le accarezzò una guancia col pollice, il sorriso che gli aveva increspato le labbra sparì per lasciare spazio ad uno sguardo più serio. – È solo un brutto periodo. Quando le cose con il lavoro si sistemeranno, tornerò a Praga. Ci resterò insieme a te. Siamo insieme da troppi anni, ormai non vedo più un futuro dove non ci sei. Ti voglio con me per tutta la vita»
Gli occhi di Johann affondarono in quelli di Frieda. Intensi, bollenti, simili a cioccolato fondente fuso. Terribilmente seri. Ebbe l’impressione che stesse cercando di comunicarle qualcosa con lo sguardo. Frieda si perse in quel baratro, non riuscendo neanche più a decifrare quell’occhiata, e si accorse di aver trattenuto il respiro.
«È una specie di proposta?» sussurrò lei, riprendendo fiato.
«Dipende. – un sorriso sornione. – Vale lo stesso anche se non sono in ginocchio, non ho fatto nessuna fatidica domanda e non ho un anello da farti vedere?»
Lei fece scattare la testa verso di lui, per fissarlo negli occhi. «Vuoi sposarmi?» domandò, incredula.
Alzò un sopracciglio, astuto e malizioso come una volpe. «Ma non ero io a dovertelo chiedere?»
Frieda scoppiò a ridere, si tirò su per mettersi a cavalcioni su di lui, per guardarlo meglio con sopracciglio alzato e il sorriso di un folletto. Un dito che gli accarezzava il petto, scendendo fino agli addominali. Lui che fissava quel movimento banale, ipnotizzato, le labbra schiuse.
«Proposte di matrimonio alla maniera di Johann Trollmann» mormorò, guardandolo da sotto le ciglia.
«Già. – concordò, abbandonandosi a lei, le mani sui suoi fianchi. – Fatte senza stare in ginocchio, senza anello da mostrare, e senza nessuna domanda esplicita»
«Detto così sembra che sia stata io a fraintendere le tue intenzioni. – gli fece un sorrisetto. ─ Va a finire che nemmeno all’altare mi darai l’anello» lo prese in giro pungolandogli il naso.
Johann lo arricciò con un sorriso divertito. «Disgraziata, non sono così squattrinato. I soldi per le fedi posso trovarli»
«Ah, le tue intenzioni sono serie, allora!» scoppiò a ridere.
«Donna di poca fede, ne dubitavi, forse? Le intenzioni ci sono. – sospirò lui. – I soldi, l’organizzazione, il tempo. Quelle un po’ mancano, ma è solo questione di tempo»
«Sono la fortunata vincitrice della proposta di matrimonio di Johann Trollmann. Credo che tutte le fanciulle di Berlino l’abbiano sognata almeno una volta»
Lui sorrise astuto, mordendosi il labbro. «E tu?»
«Io non ti sopporto per più di due ore, figuriamoci per tutta la vita!»
«Neanche io ti sopporto. Però sto facendo un atto di bene nei confronti del popolo maschile, almeno qualche poveraccio non sarà costretto a sopportarti. Mi faccio carico di questo compito gravoso» si portò una mano sul cuore, con teatralità.
«Johann Wilhelm Trollmann, il migliore amico dell’Uomo»
«Olga Frieda Bilda, la mia Pandora, che fa uscire da questo scrigno – si indicò. – tutti i Mali del mondo lasciandoci solo la Speranza»
Lei arrossì e sorrise timida, ma cercò di mascherarlo deviando il discorso. «Fai come ti pare anche con i miti greci, sei incredibile»
«E tu non sei come le altre donne che ho conosciuto» replicò cercando il suo sguardo sfuggente.
Sfarfallò le ciglia con fare angelico. «Ovviamente in senso positivo»
«Ma sei matta? Mica sono il principe azzurro, che dico le cose in “senso positivo”» e le pizzicò una guancia.
«Ah giusto, tu sei il lupo cattivo»
«Sei tu che hai scelto il lupo. Perché lo sai che ti guardo e ti ascolto bene. Ma sai anche che ti mangio ancora meglio».
 
 
 
Il giorno dopo, Johann partì a mezzogiorno per tornare ad Hannover.
Rosa l’aveva riempito di abiti che, a detta sua, valorizzavano il suo corpo statuario. Gli aveva fatto preparare qualcosa da mangiare da portarsi sul treno. Frieda l’aveva accompagnato fino alla stazione. Lei con il suo vestitino azzurro e un largo cappello di paglia e fiori.
Johann sistemò la sua valigia nello scomparto sopra i sedili della terza classe. Scese sul marciapiede vicino al treno fermo, dove c’era Frieda.
La guardò a lungo, impresse il suo viso nella sua mente. Non sapeva quando l’avrebbe rivista.
Guardò le onde d’oro dei suoi capelli, che scendevano morbidi sulle spalle; gli occhi da cerbiatto che avevano rubato il colore al cielo d’estate; il naso a punta, le labbra delicate e morbide del colore delle ciliegie. Intrecciò le dita alle sue.
«Ti chiamerò e ti scriverò, promesso» le disse, piano.
«Sicuro che non vuoi che venga con te?» ci riprovò.
«Non ci provare. – sorrise, pizzicandole la guancia. – Resta qui, ti raggiungerò appena possibile»
l’attirò a sé per abbracciarla forte, le diede un bacio tra i capelli inspirando il profumo di lavanda.
«In carrozza!» urlò il capotreno.
Johann balzò sul treno, si sporse col corpo per baciarla un’ultima volta. Le sue labbra, il miele della saliva. Nell’ultimo anno l’aveva perduta, e perderla era come smarrire il suo unico punto fermo, il suo pilastro, la sua sicurezza. L’aveva ritrovata e, anche se doveva separarsene di nuovo, non era come prima. Ora non si sarebbe più sentito alla deriva.
«A presto, signora Trollmann» le sussurrò strizzandole l’occhio, un sorriso sfacciato sul bel viso tenebroso, si sentiva così fiero di darle il suo cognome. Frieda avvampò. Lui scomparve e riapparve poco dopo facendo capolino da uno dei finestrini.
 La ragazza si portò la mano alla collana. «Ti aspetterò»
Il treno partì. Si salutavano con la mano mentre il treno si allontanava. Lei restò con la mano sollevata finché non sparì alla sua vista. Gli occhi si riempirono di lacrime, il cielo minacciava pioggia.
Era così doloroso. Si erano lasciati con una promessa senza tempo, ma quanto poteva passare prima che si sarebbero rivisti?



 
 * * * *
 


Passavano le ore, i giorni, i mesi.
Da luglio era improvvisamente arrivato settembre. I sinti di Hannover cominciavano a sparire, soprattutto quelli che abitavano nelle campagne lungo il fiume Leine. Nessuno sapeva niente, nessuno tornava. E chi lo faceva, non parlava più per il trauma. Talvolta, chi tornava si lasciava morire dopo poco tempo.
La famiglia Trollmann non veniva toccata, abitavano in città. Ancora a Tiefenthall numero cinque.
Carlo Trollmann, divenuto il capofamiglia, esortava i fratelli a continuare a lavorare e non lasciarsi scoraggiare dalle scomparse dei loro compagni.
Johann proseguiva con i lavori forzati, ma era stato congedato dall’aeroporto di Varheneide quindi aveva la mattinata libera. Scriveva a Frieda, a volte le telefonava. Faceva visita a Friederike, scherzava con la signora Berger, aiutava Clara con le faccende. La badante si occupava della signora, a Johann toccavano gli altri compiti: occuparsi del cane, fare la spesa, sistemare la casa. Gli veniva chiesto in cambio questo, piuttosto che i soldi dell’affitto.
La signora Berger si era affezionata a quel ragazzo. Stava riscoprendo con lui tutto l’affetto di una madre verso il figlio, una nonna verso il nipote.
«Quando morirò. – gli aveva detto un giorno. – Voglio che sia tu a prendere questa casa. E pure il cane visto che ti adora, non si sa perché»
Johann aveva preso una boccata dalla sigaretta, era appoggiato alla finestra della cucina.
«Ma che discorsi vai a fare? L’erba cattiva non muore mai, è risaputo» replicò, cercando di sdrammatizzare. Non gli piaceva prendere certi discorsi. Gli smuovevano le budella.
«Non fare lo spiritoso. Lì fuori è pieno di erba cattiva. Quella gente ci seppellirà, altroché»
Schiacciò la sigaretta nel posacenere sul tavolo, lanciò un’occhiata a Clara.
«È solo politica, signora Berger. Il popolo continua a vivere anche se i leader cambiano, è sempre stato così»
«Stanno sparendo i sinti, ragazzo. Alcune comunità con le carovane vengono attaccate la notte, vengono date alle fiamme e i malcapitati che escono per sfuggire all’incendio vengono brutalmente uccisi. Non sarei molto ottimista fossi in te. – sospirò. – Ho un po’ paura per te. Sei un sinti e sei lo stesso che si è preso gioco dell’ideologia nazista»
Johann si adombrò. «È passato più di un anno»
«Quella gente non dimentica di chi li ha sbeffeggiati e umiliati»
«Li ho sbeffeggiati, ma non umiliati. – replicò. – Sono stato io a perdere quell’incontro, non loro»
«No. È stato l’ariano a perderlo, non lo zingaro. Hai calpestato in ogni modo possibile il loro concetto razziale, e questo non lo dimenticheranno e non te lo perdoneranno mai, Johann»
 
 
 

Quasi tutte le domeniche Johann andava a pranzo da suo fratello Carlo, con gli altri fratelli e sua madre. Non era una casa molto grande, ma c’erano pochi mobili e sembrava spaziosa. Aveva già tre figli, due femmine e un maschio, ma erano bambini.
Con le recenti scomparse dei sinti, le cene di famiglia sembravano più riunioni per decidere il da farsi. Carlo incitava a continuare a lavorare, per quanto faticoso e duro fosse il mestiere. Friederike invece era pensierosa, sempre meditabonda. Si metteva sulla sedia a dondolo all’angolo del salotto del figlio e raccontava storie ai nipoti, oppure cuciva coi ferri.
A Lolo, come al solito, scivolava sempre tutto addosso o comunque non dava a vedere le sue preoccupazioni; Mauso e Stabeli comprendevano la gravità del problema ed erano preoccupati per il mutare del corso degli eventi; Benny la prendeva con ottimismo, un po’ come Rukeli, e non credeva che potessero accadere cose terribili.
«Sono le solite questioni razziali. – disse Benny. – Il governo non c’entra niente»
«Il governo è complice. – ringhiò Carlo. – Lo sanno che i sinti stanno sparendo e non tornano, e non muovono un muscolo per difenderci. È sempre stato così»
Johann si mosse a disagio sulla sedia, estrasse dalla tasca l’astuccio con il necessario per girare una sigaretta. Con estrema cura depositò il tabacco sulla cartina, cercando di concentrarsi su quello piuttosto che sui discorsi cupi dei fratelli.
Lolo prese parola come se stesse sbadigliando. «Forse dovremmo solo smetterla di farci tanti complessi. Ci sono sempre stati casi del genere contro di noi, governo o no, e così come iniziavano finivano»
«Il fatto che ne parli come se fosse normale, è disarmante» commentò Johann, senza guardarlo, mentre girava la cartina con il tabacco per formare la sigaretta.
«Perché è normale. – replicò Ferdinand, aspro. – È la nostra realtà, Rukeli, quella che viviamo da sempre. Quella che il nostro popolo vive da sempre. Ormai rientra nella normalità. Se gli zingari spariscono non importa a nessuno, anzi è meglio, per quella gente! Meno gente che ruba, in fondo, no? Per la gente là fuori ce lo meritiamo»
«Lolo» l’ammonì Carlo, lanciandogli un’occhiata di rimprovero.
«È vero, Carlo! Lo sai che è così!»
«Quindi se per quelli là fuori meritiamo una fine del genere, allora è così davvero?» lo incalzò Rukeli, senza batter ciglio. Parlava lentamente, con tutta la calma del mondo, mentre si accendeva la sigaretta.
«Siamo un popolo di vinti. E poi, lasciatelo dire, ma sei davvero strano. Ti sei sempre sentito in imbarazzo ad essere uno zingaro, cerchi di comportarti come loro, e non credere che non l’abbiamo notato. Ti vergogni delle tue origini, ma poi ti fai cucire “Gibsy” sui pantaloncini da boxe e ti ergi a paladino. Non sei coerente»
«Mi ergo a paladino? Eh? – sbuffò un sorrisetto divertito. ─ Non ti passa per la mente l’idea che per me non esiste la differenza e che ho sempre fatto quello che mi andava senza curarmi delle origini? So di essere uno zingaro, volente o nolente è ciò che sono, c’è poco da fare. Solo che non ho permesso a questo e ai pregiudizi di fermarmi, cosa che invece avete fatto voi. Vi siete fermati al primo insulto, al primo “sporco zingaro” vi siete andati a nascondere con la coda tra le gambe. Scusa, se non ho voluto fare lo stesso»
Lolo aggrottò le sopracciglia, scoccandogli un’occhiata truce. «Adesso, per la prima volta nella tua vita, stai vivendo come noi. Come ci si sente a stare nella poltiglia?»
«Mi prendi in giro? Tutta la mia infanzia, come voi, l’ho passata nella miseria. Dovresti imparare a contare prima di parlare, Lolo. E poi, non capisco quale sia il vostro problema con me, esattamente. – sbuffò il fumo. – Ogni volta avete qualcosa da ridire sulla mia vita. Non mi sembra che io mi metta a giudicare la vostra»
«Rukeli. – Friederike intervenne, per la prima volta da quando erano cominciate le “riunioni di famiglia”. – Lolo sta solo cercando di dire che anche se non è giusta questa omertà del popolo nei nostri confronti, è la nostra normalità. A nessuno importa, la notizia non passa neanche sui giornali o alla radio, è sempre stato così in casi in cui siamo le vittime»
«Sì, e poi ha cominciato a dire che mi vergogno delle mie origini e mi comporto da gagé. Ma che senso ha questa frase? Io mi comporto come voglio, da Johann Trollmann. Non lo zingaro, non il pugile, ma l’uomo»
Friederike gli fece una carezza sul viso, gli passò la mano tra quei capelli neri e riccioluti. Fin da quando era bambino amava toccarli, arrotolarseli intorno alle dita e vedere come quelle molle scure si arricciassero perfettamente, come cilindri. Non importava se era prossimo ai ventisette anni, se ormai era un uomo, la donna continuava a vedere il bambino che fu.
Johann aggrottò impercettibilmente le sopracciglia, e le posò la mano sul polso. Sua madre non era la donna più affettuosa del mondo, anzi, ma l’amore si dimostrava in molti modi. Per Rukeli, il miglior regalo che i suoi genitori fecero a lui e ai suoi fratelli e sorelle, era la dignità: nonostante la loro povertà, Schnipplo e Friederike avevano sempre cresciuto i figli senza far mancare loro nulla.
Dignità, sacrificio e famiglia. I tre valori fondamentali dei Trollmann.
Rukeli sembrava aver assimilato solo la prima parte degli insegnamenti, con quel suo fare ribelle e fuori dagli schemi, un libero spirito flirtante che non si curava di metter su famiglia o trovare un lavoro fisso. Di fatto, tutti eccetto lui, Albert e Stabeli, avevano figli. E Rukeli era il terzogenito maschio, in totale era il sesto su nove.
Un po’ insolito che alla sua età ancora non fosse nemmeno sposato, e questo aveva fatto mettere le mani nei capelli a Friederike, legata alle “regole” e princìpi della famiglia.
«Forse è diversa dalla loro, ma questa è la tua vita. Non devi dare spiegazioni a nessuno sul come e sul perché la stai vivendo, Rukeli. Lascia che Lolo parli»
Johann scoccò un’occhiata a Ferdinand, che incrociò le braccia al petto con uno sbuffo. Gli venne da ridere, perché quando Lolo faceva così era tale e quale a quando era bambino, che veniva rimproverato ma non replicava perché sapeva di stare nel torto. C’erano alcune cose che non erano cambiate.
«Con me lo fa, mi lascia parlare da solo» borbottò Carlo, fingendosi offeso.
Rukeli gli strizzò l’occhio. «Non sempre, a volte ti rispondo pure»
«È quello che meritate, parlare da soli. – Friederike tornò alla carica con la sua severità. – Non v’impicciate di quello che fanno gli altri, guardate il vostro»
Alle spalle della madre, Johann tirò fuori la lingua in una smorfia sfottò in direzione dei fratelli, con tanto di dito medio sollevato. Quando Friederike si voltò di nuovo per parlare con lui, il ragazzo unì le mani dietro la schiena, rapido.
«Non importa cosa ne fai della tua vita, disgraziato che non sei altro. – gli diede un buffetto leggero sulla guancia. – Tut kamav, mro chavò»
«I me, daju. – inghiottì un fiotto di saliva. – Ho una cosa da dirvi. Nessuna brutta notizia. O meglio, niente a che vedere con le sparizioni dei sinti»
«Ora sgancia la bomba» ridacchiò Mauso.
«Quella l’ho sganciata io» replicò Albert, impassibile.
Il maggiore si voltò a guardarlo. «Sei uno schifo»
«Ma cosa vuoi, anche tu le fai»
Rukeli schioccò le dita. «Ehi ehi, scorreggioni, un attimo d’attenzione. Ho un annuncio importante»
«Due marchi che si sposa» propose Albert a Stabeli, a bassa voce.
«Tre se ha messo incinta Frieda» contrattò, e alla fine si strinsero la mano.
«Ho intenzione di sposarmi» annunciò Johann, tutto d’un fiato.
Tra i fratelli calò il silenzio. Solo Benny mollò una ginocchiata a Stabeli da sotto il tavolo, per farsi passare i soldi della scommessa vinta.
«In che senso?» fece Mauso.
Lolo scoppiò a ridere. «Porca vacca, Rukeli! E perché non ce l’hai detto prima? Quando?»
Lolo si era sposato l’anno prima con Mausi, agli inizi di luglio, praticamente pochi giorni prima dell’incontro tra Johann ed Eder. Era andato al matrimonio con Frieda, aveva rivisto le sue sorelle dopo tanto tempo. A parte Maria, la più grande, le altre due se n’erano andate dalla Germania: Anna era in Svizzera, Wilhelmine in Francia.
«Non lo so quando, c’è solo l’intenzione»
«È pur sempre un punto di partenza, no? – gli sorrise Carlo. – Ne hai già parlato con lei?»
«Sì, certo»
«E…?»
«Ovviamente ha detto sì, ti pare che mi rifiuta» sollevò un sopracciglio, in un teatrale atteggiamento da divo. In realtà non gli aveva dato una risposta esplicita, ma non ce n’era bisogno.
«E come farete, poi?» domandò Lolo.
«Andrò da lei, a Praga»
«Era ora. – sospirò Friederike. – Mi chiedevo giusto quando avrei potuto ufficialmente definirla nuora. Poi, finalmente, un nipotino da te»   
«Minimo ci farà aspettare altri dieci anni per quello» sghignazzò Lolo.
Rukeli scoppiò a ridere e le diede un bacio tra i capelli. «Ti prego, mamma, una cosa per volta!»
 
 



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Piccoli appunti
1) Gagé è il termine in lingua romanì con cui gli zingari indicano chi non lo è. Noi li chiamiamo zingari, loro ci chiamano gagé hahah 
2) Ad un certo punto, Friederike dice a Johann: "Ti voglio bene, figlio mio", e lui le risponde "Anche io, mamma"  in lingua romanì.

 

TADANNN.
Tutta la parte dopo il pezzo della signora Berger l'ho riscritto da capo, perché ho cambiato alcune cose. Secondo una versione, in questo periodo Johann si nascose nella foresta di Teutroburgo e inizialmente rimasi fedele a questa versione. Ma in realtà si faceva confusione con un momento futuro della sua vita, in cui si nasconderà davvero lì per alcuni mesi.
E quindi eccolo qui, ad Hannover, tra famiglia e lavori forzati, tra battibecchi familiari e notizie shock. Non badate al fatto che ogni volta che compaiono i suoi fratelli, c'è un litigio o una discussione accesa. Un po' di conflitto c'era solo con Carlo e a volte con Ferdinand/Lolo, ma niente di grave perché nonostante tutto avevano un rapporto molto profondo, erano tutti molto uniti. 

E insomma, Johann (alla sua maniera) ha chiesto a Frieda di sposarlo e lei (alla sua maniera) ha detto sì. Ma non si sa quando e dove, perché lui deve tornare ad Hannover. Fosse stato per me, e il mio terrificante sadismo di questo periodo, non li avrei più fatti incontrare. Ma ho una biografia da tenere in considerazione, quindi si rivedranno presto hahaha

Vi informo che la storia viene pubblicata anche su Wattpad, perciò potete trovarmi anche lì, e che sempre su quella piattaforma forse comincerò una raccolta a parte in cui inserire tutte le curiosità storiche e i vari contenuti extra su Johann e ciò che lo circonda. 
Un'ultima cosa, è molto probabile che al termine di questa storia (perciò chissà quando) mi dedicherò ad un prequel incentrato sull'infanzia e l'adolescenza di Johann. La sua formazione come pugile, il contesto difficile in cui è cresciuto, ecc. Non ci sarà romanticismo ma solo amicizia, fratellanza e sportività. Ma come ho detto, con calma. Neanche ad un titolo ho pensato ancora, è solo un'intenzione hahah. Vi interesserebbe? Fatemi sapere!

Detto ciò battete un colpo se ci siete e se vi va fatemi sapere cosa ne pensate! Ci sentiamo nel prossimo capitolo!
A presto! ♥


 

 
   
 
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