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Autore: I_love_villains    10/12/2017    0 recensioni
Pharrell College= scuola privata inglese per giovani sidhe.
Sidhe= creature fatate facenti parti del Piccolo Popolo.
Pandora= tutti i doni. Ma alcuni sono oscuri.
Coraggio= capacità di affrontare situazioni difficili e pericolose, talvolta per fare la cosa giusta.
Amicizia= vivo e scambievole affetto tra due o più persone, ispirato dalle più svariate cause.
Paura= stato emotivo di repulsione e di apprensione in prossimità di un vero o presunto pericolo.
Sfortuna= cattiva fortuna, sorte avversa. Le disgrazie non vengono mai da sole e i mostri sono reali.
Genere: Fantasy, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“C- c’è qualcuno?” fece Viola, prossima al pianto.
“Viola?”
“Hope!”
Le due bambine si strinsero l’una all’altra, confuse e spaventate.
“Ma dove siamo?” chiese la castana.
“Non lo so, è tutto cambiato.”
“Ho tanta paura, sono una fifona!”
“Anche io, cerchiamo gli altri … Eve!”
Il fantasma si avvicinò alle piccole, impietosito dai loro tremori.
“Eve, sai come uscire?”
“Ti prego, aiutaci!”
“Tranquille, vi condurrò via da questo luogo. Seguitemi.”
Le bambine si guardarono un attimo prima di seguirla, camminando abbastanza vicine da abbracciarsi.
“Tu abiti qui?” domandò Hope, per non udire il silenzio innaturale del bosco.
“No, prima la mia casa era normale, è stato lui a portarci la nebbia e tutto il resto.”
“Lui chi?” domandarono insieme le ragazzine.
“Una creatura malvagia. Non gli interesso perché sono già morta, ma vuole fare del male ai bambini.”
Evelyn cercò di tenere a freno le paure di Hope e Viola raccontando loro le sue esperienze come spirito, senza avere molto successo. Ad un certo punto fu visibile una flebile luce in mezzo alla nebbia. Camminando ancora, scoprirono che era l’insegna di un parco divertimenti abbandonato. Non era molto grande. Una mezza dozzina di giostre lo circondava, mentre al centro vi era un gigantesco tendone da circo.
“A- andiamo via da qui” piagnucolò Hope.
La faccia ghignante del clown dipinto all’ingresso del tendone non le piaceva per niente.
“No. È spaventoso ma innocuo, per ora.”
“Per ora?”
“Sì. Vi assicuro che al momento siete al sicuro.”
Eve riuscì a tranquillizzarle e pensò a come procedere. Intanto le bambine guardarono le giostre arrugginite: c’erano le montagne russe, l’autoscontro, la ruota panoramica, il carosello, le tazza che giravano e uno scivolo altissimo. Scorsero un vecchio carretto di popcorn. Entrambe desideravano andarsene al più presto da quel posto da brividi.
“Dovete essere coraggiose” le esortò Evelyn, nel tono più persuasivo e fiducioso che conosceva. “Andrà tutto bene. Credo che per prima cosa dobbiamo attirare i vostri amici qui.”
“Come facciamo, Eve?” chiesero insieme le piccole.
“Dovete attivare le giostre: produrranno luce e musica.”
“M- ma potrebbero richiamare anche i mostri” esitò Viola.
“E come, Eve? Non vedo spine, forse non c’è corrente” aggiunse Hope, anche lei poco convinta.
“Si accenderanno sicuramente. Quanto ai mostri … prima o poi arriveranno lo stesso, meglio che arrivino i vostri amici prima di scappare, no?”
Le ragazzine annuirono, mogie. Si tennero per mano mentre premevano levi e pulsanti per azionare le giostre. Le vecchie apparecchiature non funzionavano a dovere, ma tanto a loro non interessava farci un giro sopra. Dopo vari tentativi riuscirono a tenere fermi vagoni e cavallini. La luce più forte proveniva dalla ruota panoramica, la musica più forte dallo scivolo. Tuttavia le bambine disattivarono quest’ultima, distorta e inquietante, preferendo quella più piacevole del carosello. Evelyn le invitò a sedersi su una tazzina. Loro si abbandonarono sui sedili, stanche.
“Siete state brave, tornerete presto a casa” le confortò lo spettro.
“Grazie Eve.”
Hope e Viola restarono sedute, in attesa. Ogni tanto guardavano il perimetro del parco o il tendone, speranzose di scorgere i loro amici e di non vedere nemmeno l’ombra di un mostro.

“M- ma che è successo?”
“Non ne ho idea.”
Simon e Gabriel procedevano vicini lungo un sentiero sterrato. Udirono vari scricchiolii fra gli alberi che affiancavano il sentiero. I ragazzini camminavano speditamente, lanciando continuamente sguardi a destra e a sinistra, timorosi di scoprire cosa produceva quei rumori. Ad un certo punto Gabriel si fermò. Simon fece lo stesso e fissò interrogativo l’amico.
“Questa strada non conduce da nessuna parte” disse il moro. “Vedi? Sembra estendersi all’infinito.”
“Hai ragione. Aspetta, la nebbia si è diradata!”
“Vero, ora il bosco è più illuminato. Torniamo indietro, credo che abbiamo sbagliato direzione.”
“Non saprei … Sono abbastanza sicuro che dietro di noi ci sia villa Anderson.”
“Appunto. Credo che una volta scesi dalla collina siamo finiti in quest’altro luogo, dunque se ripercorriamo i nostri passi …”
Stavolta gli scricchiolii provennero da dietro di loro. Entrambi sgranarono gli occhi nel trovarsi di fronte una decina di bambini zombie. Per alcuni secondi restarono immobili a fissarli, agghiacciati, senza rendersi conto di trattenere il respiro. Gli scricchiolii erano prodotti dalle loro ossa disarticolate, nascoste solo parzialmente da vestiti marci. La loro pelle, se ancora c’era, aderiva completamente allo scheletro ed era putrefatta. Le unghie ed i capelli erano lunghi. Inoltre non erano completi. Infatti a qualcuno mancava un braccio, ad altri la mandibola o le costole. Le mancanze indicavano la causa della loro morte. Ciò che più impressionò i bambini furono i volti di quelle creature. Essi erano completamente trasfigurati e mostruosi. Dagli occhi, se ancora li avevano, traspariva tutto il loro odio. Gli zombie si muovevano lentamente e con loro si avvicinava l’odore di sangue e morte. Un mostro aprì la bocca, mostrando pochi denti gialli e affilati. Dalla sua cassa toracica strisciò fuori un serpente.
A quella vista i due bambini si voltarono e corsero più veloce che potevano. Non si voltarono mai. Quando non ne poterono più si accasciarono sotto un albero, privi di forze. Simon cercò di trattenere i violenti brividi che gli attraversavano il corpo, volendo dire qualcosa a Gabriel, ma non riusciva ad articolare una frase di senso compiuto. Si accontentò di stringergli con forza una mano, trovando così un po’ di conforto.
Nessuno dei due si sarebbe aspettato che con i muscoli doloranti e i polmoni ancora brucianti per lo sforzo sarebbero stati in grado di correre nuovamente. Non si erano ancora ripresi dalla corsa né tantomeno dallo shock, che Simon scorse qualcosa dietro un alto cespuglio e la indicò a Gabe. Si trattava di una bella ragazza orientale con le mani serrate su un ramo del cespuglio. La giovane sorrise mentre i capelli le coprivano il volto, poi strinse le braccia attorno al corpo e sparì dalla loro vista. I ragazzini videro muoversi la base del cespuglio e capirono che stava strisciando, producendo un suono caratteristico.
“Teke Teke” sussurrò sgomento il castano.
Scapparono, dando fondo a tutte le loro energie, ma quella creatura era più veloce degli zombie. La ragazza senza gambe afferrò una caviglia di Simon e lo fece cadere per terra. Il bambino urlò. Scalciò con tutte le sue forze, consapevole che se lei lo avesse tagliato a metà lo avrebbe reso a sua volta un Teke Teke. Gabriel tirò a sua volta calci alla creatura e la colpì ripetutamente con un ramo, ma elle restò avvinghiata a Simon. Dal nulla comparve una falce. Facendosi coraggio, il moro prese il Teke Teke da sotto le braccia e riuscì a sollevarla. La lanciò e si affrettò ad usare i suoi poteri per farla volare il più lontano possibile da lì. Stremato, Gabriel si sedette accanto all’amico, che piangeva. Iniziò a piangere anche lui, però quella vittoria gli aveva dato fiducia. Sentiva che c’era una speranza di salvezza.

Gli zombie erano perlopiù innocui, poiché troppo lenti per raggiungere qualcuno. Se ci fossero riusciti lo avrebbero ridotto a brandelli, ma la loro funzione era attirare i bambini verso creature più letali. Questo nessuno poteva saperlo, perciò quando li videro Lilian e Ulfis si diedero da fare per seminarli. Ad un certo punto Lilian inciampò in una radice, finì addosso al mezzo nano ed entrambi rotolarono giù per un declivio. Si fermarono presso le sponde di un lago. A pochi metri da loro un ponte di legno ondeggiava debolmente, mosso dal vento.
“Stai bene?” chiese Ulfis, porgendole la mano.
La bionda annuì e gli permise di aiutarla a rialzarsi, poi si guardò intorno.
“Sembra che qui non ci sia nessuno. Tu …”
“Ulfis.”
“Ulfis, eri preparato a tutto questo?”
“No. Nemmeno gli altri.”
“Lo avevo detto che non bisognava venire!” esclamò Lilian. “Ma dovevate dare retta a Pandora!”
“Ormai siamo qui” fece piano Ulfis.
“Sì” concordò mestamente lei, avviandosi verso il ponte.
“F- ferma, dove vai?”
“Non intendo restare in questo posto a lungo, perciò vado via, mi sembra ovvio.”
“Sì, ma perché da quella parte?”
“Dietro di noi il terreno è troppo ripido. Tu vedi altre vie?”
Ulfis non replicò. In quel momento desiderò essere un sidhe non solo per metà, perché sarebbe potuto diventare un uccello e volare. Non ci sarebbe stato bisogno di attraversare quel ponte, per lui che non sapeva nuotare. Sospirò.
“No, hai ragione. Vado avanti io.”
“No, io, sono più grande.”
“Però sei una ragazza” fece dubbioso lui.
“E allora? So più incantesimi di te e sono più forte!”
Lilian mise piede sulla prima asse del ponte, constatando che era solida. Posò le mani sulle corde e avanzò. Ulfis le andò subito dietro, timoroso, ma non accadde nulla durante l’attraversata. Il bambino lasciò la corda, sollevato, quando si udì un forte battito d’ali. Lilian fece appena in tempo a creare uno scudo che qualcosa si abbatté con ferocia su di loro, costringendoli ad indietreggiare. Il secondo assalto fu solo parzialmente assorbito dallo scudo magico: la bionda cadde per terra, mentre Ulfis indietreggiò finché non cadde in acqua. La ragazzina urlò vedendo le fattezze del suo assalitore, preso ad artigliare violentemente la barriera invisibile che lo separava da lei. Si trattava di un uomo con fattezze di rettile e due enormi ali membranose sulla schiena. L’essere si fermò improvvisamente. Lei trattenne il fiato, non osando distogliere lo sguardo da lui, che non la osservava più. Lilian si rese conto che aveva cambiato bersaglio un attimo prima che il mostro spiccasse il volo. Si alzò in fretta e usò i suoi poteri per protegge Ulfis con un muro d’acqua, che poi lasciò ricadere sulla creatura. Il ragazzino intanto vacillò verso di lei, esausto. Infatti, anche se era caduto vicino alla riva e avrebbe potuto uscire subito dall’acqua, qualcosa si era avvolta intorno alla sua caviglia, impedendogli di mettersi rapidamente in salvo. Solo quando aveva usato un incantesimo fendente era riuscito a liberarsi della cosa tentacolare che lo aveva trattenuto.
“S- sei ferita?”
“No. Presto, allontaniamoci ... Zoppichi?”
“Mi ha storto la caviglia, n- nulla di che.”
Il mostro emerse dall’acqua, facendo volare spruzzi tutto intorno. I ragazzini urlarono di sorpresa.
“Vai nella boscaglia, lo trattengo come prima.”
Ulfis aprì la bocca per protestare, ma lei non gliene diede il tempo. Sollevò una manciata d’acqua, creò una sfera e la scagliò contro la creatura. Il bambino cercò di camminare il più velocemente possibile, serrando i denti per il dolore che sentiva. Ogni tanto si voltava indietro, preoccupato. Dopo qualche metro, quando i primi rami degli alberi erano sopra di lui, si bloccò orripilato.
Il mostro, infuriato, aveva schivato gli ultimi attacchi di Lilian e l’aveva afferrata. Lei l’aveva colpito con tutte le sue forze, in preda al panico, senza indurlo a lasciarla andare. La creatura volò più in alto. Ulfis, dimentico della caviglia, cercò di correre per aiutare l’amica, ma cadde. Sentì un tonfo alla sua destra. Si rialzò freneticamente, piangendo.
“Lilian! Ti prego, dimmi che stai bene! Lilian!”
Il castano la raggiunse a fatica. L’agitazione lo faceva tremare violentemente, o forse era l’aspettativa di ciò che avrebbe visto a sconvolgerlo.
“Lilian” singhiozzò piano.
Ebbe il coraggio di sollevarla per le spalle e voltarla nonostante il sangue che macchiava l’erba sotto di lei. La bionda lo fissò con occhi vitrei, senza luce. Poi la testa si ripiegò all’indietro rendendo ancora più evidente la lacerazione alla gola e facendo fuoriuscire altro sangue.
Ulfis non si accorse di lasciarla andare. Rimase seduto a fissarla, inebetito, sentendo che nulla contava più.

“L’ho preso!” esultò Galahad quando il masso che aveva lanciato colpì il viso di uno zombie, il quale cadde e mandò a terra altri suoi simili.
“Bene, dai che li abbiamo seminati.”
Il biondino e Lance si incespicarono su un’altura, per poi scendere in fretta dall’altra parte, dove trovarono una palude. Rallentarono, continuando però ad andare avanti.
“Dove siamo? Questo non è più il bosco” constatò il rosso.
“Ma davvero? Non me ne ero accorto” fece sarcastico Galahad.
“Si può sapere tu che hai? È da ieri che sei strano.”
“Ti ho già detto che cosa c’è che non va.”
“Sì, ma io non c’entro con le decisioni che prende Dory. Ho cercato di convincerla a non venire, per esempio, e non ci sono riuscito. Lullaby lo aveva previsto.”
“Aspetta” disse il biondo fermandosi. “Tu sapevi che saremmo finiti in questo posto?”
“No, solo che recarsi a villa Anderson sarebbe stata una pessima idea. Lullaby … lei ha detto di portarci solo Dory, a mezzanotte, così noi non avremmo avuto più problemi.”
Galahad fece qualche passo avanti e Lance indietreggiò, temendo che lo aggredisse come il giorno precedente.
“E perché non ce lo hai detto?! Avremmo evitato questo schifo!”
Lance guardò l’altro negli occhi e mantenne la calma. Capiva che Galahad era preoccupato e spaventato quanto lui.
“Non credo … Lullaby ha detto che un certo lui ci voleva e Eve ha detto la stessa cosa. Ha detto anche che è ingordo, per questo mi ha consigliato di mandare solo Dory per farci lasciare in pace.”
“Perché non ce l’hai detto?” ripeté Galahad, stavolta senza urlare.
“Perché non sarebbe servito. Non capisci? Nessuno l’avrebbe consegnata, anzi, le avremmo impedito di andare. Ma sai che è testarda …”
“Già …” si calmò il biondino. “Ti ha detto altro quella Lullaby?”
“Una cosa che non riesco a decifrare: dove c’è molta luce l’ombra è più nera.”
I ragazzini ripresero a camminare, riflettendo. Si fermarono dopo qualche metro, poiché l’acquitrino raggiungeva già le loro ginocchia e sembrava farsi sempre più profondo.
“Torniamo indietro?” chiese Lance.
“Sì.”
“Buonasera.”
I due si voltarono di scatto. Alla loro sinistra c’era un piccolo stagno e una sirena si era appena seduta sopra un masso sporgente. La creatura li guardava curiosa, sorridendo bonariamente e agitando la lunga coda nera nell’acqua. Anche i capelli erano corvini e molto lunghi. La sirena se li scrollò indietro, incantando i ragazzi. Entrambi ammirarono l’ovale perfetto del suo viso, le labbra sensuali, il naso piccolo, gli occhi grandi e stranamente familiari. I capelli ricoprirono la pelle candida delle belle braccia affusolate e i morbidi seni risaltati da un corpetto nero.
“Non capita mai nessuno da queste parti ed io sono così sola …” si lamentò la sirena.
I bambini si avvicinarono meccanicamente. Lei sorrise dolcemente.
“Mi farete compagnia, vero?”
“Certo” confermarono entrambi, rapiti dalla sua voce e dal suo fascino.
“Ho trovato due amici” esultò la creatura, raggiante. Tese loro una mano.
Galahad si mosse ancora, avanzando come in sogno, Lance invece si fermò. Per un istante gli era sembrato che la sirena avesse un altro aspetto.
“Avanti, amici, venite da me. Ci divertiremo molto insieme.”
Il rosso riprese a camminare e finalmente capì. Il suo potere era l’ipnosi, per questo non poteva essere ingannato a lungo con le illusioni degli altri. Quella sirena in realtà era marcia come il resto di quel luogo. Riuscì a sentire la puzza di pesce della sua coda priva di squame, da cui sporgevano le spine. Si rese conto che per indurli ad avvicinarsi a lei la creatura aveva assunto l’aspetto che avrebbe avuto Pandora da adulta.
“Fermo Galahad!”
Lance strattonò il biondino prima che lui potesse toccare la sirena. Lei urlò infuriata. Scattò in avanti, afferrò il polso di Lance e lo trascinò in acqua. Galahad scosse la testa, vedendo la sirena per ciò che era realmente. La creatura gli sorrise, scoprendo denti simili a quelli di un pesce degli abissi.
“Scappa ragazzino, in fondo sarai felice se lui muore, no?”
Il bambino strinse i pugni, concentrato. Si costrinse a non guardare in faccia la sirena per non rischiare di finire nuovamente sotto il suo incantesimo, poi tese le mani in avanti e sollevò la creatura per aria. Lance emerse fuori dall’acqua, tossendo e ansimando. Galahad tenne sollevata una mano, ignorando gli insulti della sirena, e aiutò Lance a rialzarsi. Il rosso si aggrappò a lui, sorridendogli grato. Lui ricambiò il sorriso, imbarazzato. I bambini si affrettarono ad allontanarsi dalla palude, temendo di ritrovarsi di fronte ad un altro mostro.
“Scusa.”
Lance fissò sorpreso Galahad, che era arrossito.
“E di cosa? Mi hai salvato, grazie!”
“Anche tu, stavo per toccare la sirena … Io a volte dimentico le cose e quindi non riesco a parlare molto bene. Il punto è che vedendoti con Dory io … io …”
“Eri geloso?” Lance sorrise quando lui annuì. “Non avevo capito che ti piacesse, si vede che sono un po’ tonto come dicevi.”
“Però so che è felice, tu non sei cattivo. Forse è per questo che stavo peggio.”
“Mi dispiace …”
“Fa niente, almeno siamo amici, no? Tutti e tre.”
I due camminarono più in fretta, desiderosi di ritrovare tutti i loro amici e di uscire insieme da quell’incubo.

Frithjof trasalì nell’udire un grido di orrore. Avanzò incerto fra gli alberi, pronto a scappare in caso di pericolo. Una ragazza era inginocchiata accanto ad una pozzanghera e dai capelli non poteva trattarsi che di Fujiko. L’elfo la chiamò, contento di vederla. Lei sembrò non udirlo.
“Ehi, Fujiko, stai bene?” domandò Frithjof mettendole una mano sulla spalla.
La veela scostò le mani dal volto e lui rimase senza fiato: somigliava ad un rospo. Gli occhi erano giallastri, grandi e tondi, con pupilla verticale. Il naso era diventato molto piccolo, mentre la bocca si era allargata. La pelle divenne verdastra sotto gli occhi di Frithjof e sulle mani della ragazzina comparvero membrane fra le dita.
“M- ma cosa …? Fujiko, com’è successo?”
Fujiko scosse la testa e ricominciò a singhiozzare disperata. L’elfo la abbracciò, commosso, e lei pianse sulla sua spalla finche non si raddrizzò asciugandosi le ultime lacrime.
“Grazie Frithjof, ne avevo bisogno” mormorò.
“Figurati” le sorrise l’elfo.
“Dicevo sempre che l’aspetto non conta, però così è- è troppo …”
“Tranquilla, sicuramente ci sarà una soluzione. Non è da te deprimerti.”
“Hai ragione.”
Fujiko gli sorrise e si rialzò. Frithjof la imitò, sollevato.
“Da che parte pensi sia l’uscita?”
“Non lo so. Prima ho cercato di trasformarmi per farmi un’idea, ma sono diventata così. Se non possiamo volare non ci resta che arrampicarci per capire dove andare.”
I due ragazzini puntarono verso la collina più alta che trovarono nelle vicinanze.Da lassù non videro granché che potesse aiutarli. Per ciò che riuscivano a scorgere tra la nebbia, c’erano almeno altre quattro alture più grandi della loro, estese file di alberi spogli in ogni direzione e qualcosa che somigliava ad un castello a nord. All’improvviso l’elfo rise, stupendosi di aver avuto una grande idea.
“Fujiko! Conosco un incantesimo per salire ancora di più, se si potesse eliminare la nebbia sarebbe utile.”
“Mmh … forse so quale usare. Per qualche minuto la nostra vista penetrerà qualsiasi barriera.”
“Siamo una grande squadra, eh?”
La ragazzina lo fece contento dandogli il cinque. Frithjof aveva appena iniziato a creare una base sotto i loro piedi che delle radici si avvolsero intorno alle sue gambe e lo misero repentinamente a testa in giù. L’elfo urlò, chiudendo gli occhi. Fujiko scansò le radici e creò un materasso sotto il punto in cui il ragazzino stava per schiantarsi.
“Presto, tagliale!”
Frithjof non riuscì a prendere la mira, ma colpì comunque la radice che l’aveva avvinghiato, liberandosi. Corse da Fujiko, che a sua volta tagliava tutte le radici che si avvicinavano troppo. Coprendosi a vicenda riuscirono a fuggire. Dopo che si furono allontanati abbastanza attuarono il loro piano. L’elfo creò una piattaforma tagliando la terra sotto i loro piedi e le rocce la alzarono sempre più, fino a che i due furono soddisfatti. Dopodiché Fujiko usò il suo incantesimo ed entrambi poterono vedere tutto ciò che si estendeva sotto di loro.
“Quel castello … credo sia villa Anderson. Non ti pare Fujiko?”
“Sì. Non so se siamo nel bosco che ha subito un incantesimo o altrove, comunque questo posto ha la sua stessa geografia, solo ingrandita e distorta. Guarda, luci.”
Frithjof scorse il parco di divertimenti e vide Eve prima che la vista tornasse normale.
“Dobbiamo andare lì, secondo me” affermò la veela.
“D’accordo, lo spirito sembrava confuso ma benintenzionato. Oddio …”
“Cosa?”
La piattaforma aveva cominciato ad abbassarsi mentre parlavano, ma Frithjof bloccò la discesa vedendo che sotto c’erano una ventina di zombie. Fujiko mosse una mano membranosa di fronte all’elfo, paralizzato.
“Frithjof! Ricordo che le cose putrefatte ti fanno schifo, ma non possono farci niente, capito? Adesso ci teletrasportiamo! Ok, ci teletrasporto io …”
Detto fatto, la ragazzina gli strinse un braccio e sparì con lui. L’elfo preferì non commentare su ciò che era accaduto, ma la prese a braccetto e si incamminò verso il parco.

Quiete e alberi tutti uguali che sembravano non finire mai, con tanto di nebbia. A Pandora fecero venire in mente qualcosa, un film horror con un’ambientazione simile. Seppure non ricordasse quale, sembrò che qualcuno le leggesse il pensiero e avesse capito prima di lei il nome del posto.
Anton e Dory urlarono quando dai rami degli alberi cominciarono ad esserci degli impiccati.
“L- la foresta dei suicidi” disse tremante la sidhe.
“Come?”
“Stavo pensando che questo posto mi è familiare, anche se non ricordavo a cosa …”
“Quindi … quindi se pensiamo a qualcosa di spaventoso questa si avvera?” rifletté il castano ad alta voce.
“Pensiamo a cose felici allora.”
“Vuoi che cantiamo anche canzoni allegre?”
“Stupido” fece lei dandogli una spintarella.
“Ero serio” sorrise lui.
Entrambi tennero lo sguardo basso per non vedere i cadaveri appesi. Forse loro non gradirono di essere ignorati, poiché caddero improvvisamente come frutti maturi. I ragazzini lanciarono di nuovo un breve grido e corsero via. Si fermarono a riposare solo dopo che il paesaggio fu mutato. Si sedettero su un tronco caduto, osservando la valle di fronte a loro. C’erano parecchi massi, molti dei quali erano molto grandi. Oltre quelli vedevano a malapena la cima di qualche albero.
“Non ti sembra che si fa più oscuro?” chiese Anton.
“Sì, eppure non è da molto che siamo qui. Proseguiamo dritti?”
“Purtroppo non ho idee migliori.”
La nebbia si muoveva col vento. Nei momenti in cui era meno fitta, Pandora, che teneva lo sguardo fisso verso il cielo, vedeva le torri di un castello. Rifletté che nei castelli ci abitano i nobili, dunque forse lì abitava il sovrano di quel luogo. Incontrarlo sarebbe stata una buona cosa? Dory non ebbe il tempo di valutare i pro e i contro di una tale scelta. Anton la trattenne per un braccio e si nascose con lei dietro un masso.
Una creatura alta e ossuta stava facendo l’uncinetto su una gigantesca sieda a dondolo. I capelli castani erano legati in uno chignon e dava loro le spalle. I bambini videro però che la sciarpa che l’essere cuciva era molto lunga e su di essa c’erano strane decorazioni.
Anton si ritrasse e si appoggiò alla roccia, pallido.
“Che hai?” bisbigliò preoccupata Dory.
“Quella è … v- voglio dire somiglia a mia madre.”
“Eh?!”
Il ragazzino le tappò la bocca.
“Shhh, stupida!” sussurrò spaventato.
“Scusa, solo che … tua madre è tanto gentile. Ricordo quando ha invitato me e Hope a lavarci dopo la battaglia di fango e poi ci ha anche offerto la merenda.”
“So bene com’è fatta, è la persona più buona che conosco, ok? Io …”
“Bambini, venite fuori” li richiamò la creatura, senza alzare la testa dal suo lavoro.
I due impallidirono, ma non erano stati scoperti.
“So che siete qui. Sono troppo vecchia per giocare a nascondino. Forza, da bravi, fatevi vedere.”
“Giusto, vedere! Anton, puoi rendere invisibile anche me?”
“Mh? Certo, però dovrei prenderti per mano.”
“Lance non si ingelosirà … e credo di aver bisogno di stringere la mano a qualcuno.”
Si sorrisero tesi prima di prendersi per mano. Pandora lo vide sparire e si accorse di non vedere più nemmeno se stessa.
“Wow, credevo che tu ti vedessi.”
“Invece no. Il fatto che chi è invisibile può vedere altri invisibili è una fesseria.”
Si mossero lentamente, attenti a non fare rumore. La creatura continuava a cucire e a dondolarsi, allungando la sciarpa. I bambini si strinsero di più fra loro, capendo che le decorazioni erano perlopiù occhi di bambini.
“Coraggio, so che ci sei tu, Anton. Vuoi sempre farmi scherzi? Non ti stufi mai di fare i dispetti agli altri? Combini un sacco di guai … che cattivo …”
Pandora lo sentì tremare. Era forse questo a terrorizzarlo? Il fatto che sua madre fosse delusa da lui? La bambina gli strinse più forte la mano e gli posò l’altra sulla spalla, avvicinando la bocca al suo orecchio.
“Quella befana non è tu madre, Anton. Flore …”
“Io punisco i bambini cattivi. Chi fa piangere i propri genitori, gli dà un sacco di preoccupazioni, gli …”
“Flore è contenta di tutti voi, ne sono sicura. Tu sei buono come lei e i tuoi fratelli, o non saremmo amici.”
“Meriti una punizione. Ti caverò gli occhi, Anton. A te e a quella monella che ti porti appresso.”
“Al mio tre pronto a correre, va bene?”
“Sì …”
“Bene. Uno, due e tre!”
Anton le lasciò la mano e la guardò mentre dava fuoco alla sciarpa. La creatura, furibonda, si alzò e tentò di spegnere le fiamme, ignorandoli. Ebbero così il tempo di superare gli ultimi massi e ritornare tra gli alberi. Il ragazzino si appoggiò ad un tronco e si asciugò le lacrime. Pandora si fermò un po’ distante, imbarazzata.
“Dory, so che la mamma mi vuole bene. È che a volte combino qualche guaio di troppo e non voglio darle problemi …”
“Sei solo un bambino vivace. Simon ci ha detto che somigli molto a vostro padre.”
“Sì, la mamma lo dice spesso. E la cosa le fa piacere, quindi …”
Anton si scostò dall’albero e sembrò aver scordato i tormenti di poco prima. Dory gli sorrise. Stava per proporgli di raggiungere il castello, quando udì il proprio nome. Si accorse che anche Anton aveva sentito. Quando il richiamo si ripeté, un nome le venne spontaneamente alle labbra: “Samael.”



***Angolo Autrice***
Abbastanza spaventoso? Mi auguro di sì.
Il Teke Teke è una leggenda giapponese, mentre per la creatura che cuce mi sono ispirata all'Altra Madre di Coraline.
Purtroppo il capitolo l'ho finito oggi, quindi per i prossimi aggiornamenti ci sarà da aspettare più del solito.
Alla prossima!

   
 
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