Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: Happy_Pumpkin    11/12/2017    8 recensioni
“Naruto… attivati.”
Ci fu più luce, in quel momento. Fuori era buio e continuava a piovere, mentre i neon della Cittadella rilucevano per le strade.
Poi, ci fu Naruto. E Sasuke seppe dare una risposta ai suoi perché.
Quella sera dei primi del 181, Naruto prese più a fondo coscienza di sé, della sua identità, e per la prima volta vide il suo Creatore.
[AU mini-long in un universo fantascientifico, omaggi ad Asimov e a Blade Runner, ma anche alla cultura della fantascienza in generale (Mass Effect, Star Trek, Star Wars) | SasuNaruSasu ]
Questa fanfiction partecipa alla challenge Lettere a Babbo Natale, indetta dal gruppo Facebook SASUNARU FanFiction Italia, ed è una gift-fiction per Blair Behemoth
Genere: Introspettivo, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Suigetsu | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Vite Sintetiche'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A







Us



II
The Great Gig in the Sky




Il Purgatory era un locale gradevole, con pareti metalliche dalle sfumature quasi argentate, neon dai colori vicino all’azzurro e al verde che correvano lungo i muri e tavolini intagliati in forme curve, morbide ma irregolari, accanto a divanetti tecnologici dotati di sensori per il comfort. Sulla superficie del tavolo era presente un menu digitale dove poter ordinare, arricchito dalla possibilità di vedere video e accedere alla rete.


A Sasuke quel posto piaceva perché la musica non era sparata a volume troppo alto, gli altri clienti sapevano farsi i fatti loro e i cocktail erano buoni. Ordinò sullo schermo il suo Crisi Seldon e attese l’arrivo del suo ex-collega storico, rimasto sulla Terra per dedicarsi ad attività in realtà illegali nel retro del locale: in quel posto apparentemente dimenticato dalla Legge Robotica, la gente si faceva addormentare per anni allo scopo di sognare la vita perfetta.

Immobile, Sasuke occhieggiò l’anonima porta d’accesso, confine tra la legalità e l’illegalità, ma deviò lo sguardo, finché vide arrivare il suo amico.

Suigetsu era un uomo particolare, apparentemente eccentrico, con i capelli dal colore modificato tramite operazione genetica e i denti resi aguzzi, ma in realtà capace di un certo spirito di comprensione che gli aveva permesso di proseguire quella sottospecie di amicizia con una persona tendenzialmente poco brava nei rapporti sociali, come il suo un tempo collega Uchiha, per l’appunto.

Attorno a loro altri tavoli, altra gente, alcuni andavano, altri ancora si sedevano e attendevano, di bere, di parlare, di avvicinare la persona con cui forse, tra qualche ora, sarebbero finiti a letto in uno sterile rapporto d’amore. Passavano umani dalla pelle liscia di varie sfumature rosa, poi più scure, un tempo vicine all’ebano; Gorn simili a lucertole con le loro scaglie resistenti al fuoco che parlavano un linguaggio sibillino, Turian coriacei abituati alla guerra e indefessi nell’attitudine militare, ma anche ricchi mercanti Ferengi con le gigantesche orecchie e le arcate sopraccigliari in evidenza.

Un crogiolo di esseri viventi riunito in un unico locale dalle musiche tecnologiche, le luci, l’atmosfera vitale eppure sobria. Molte ballerine erano eleganti Asari, di sembianze femminili eppure in realtà prive di un vero e proprio genere come inteso da molte specie, trovate comunque attraenti in tante galassie; in alcuni casi si esibivano dei robot dotati di cervello positronico, addestrati fin nel dettaglio nei movimenti da eseguire, soprattutto nel modo di offrire agli occhi degli spettatori l’idea di una vita dove, in realtà, non c’era.

Ogni tanto, alla fine di qualche esibizione, l’impianto olografico regalava un corredo di luci simili a fuochi d’artificio, polvere d’oro e d’argento che volava nell’aria per poi sparire, come bolle di sapone. Emozionava, anche nella semplice conclusione di un ballo finalizzato all’attrazione, quasi come se si potessero vedere davvero quei colori e sentirli sulla pelle.

Un tempo, Sasuke aveva visto Sakura ballare, esattamente dove in quel preciso istante si trovava un’Asari. Era stata aggressiva, fuoco e lava, nel muoversi, nel danzare, nell’attraversare con il proprio corpo il flusso della musica, dei suoni e dei colori. All’epoca, Sasuke si era reso conto di quanta bellezza e forza ci fosse in quella donna; poi... la passione, confusa, di chi come lui avrebbe voluto essere vittima di quelle stesse fiamme anche se il suo cuore era già cenere.

Ma ogni tanto il ricordo di lei ancora bruciava, e amava, incapace di spegnere ciò che un tempo li aveva legati.

Sasuke smise di pensare. Appena arrivò il suo cocktail bevve una sorsata abbondante, scambiò qualche chiacchiera con Suigetsu, infine, quando la gente all’interno del locale diminuì e loro furono più soli, l’ingegnere aerospaziale pose la sua richiesta al collega sulla Terra, consapevole di aver maturato quell’idea ben prima di rientrare dalla missione.

Quando l'ingegnere concluse di parlare, l’altro sgranò gli occhi, infine sghignazzò, per poi commentare:

“Chi è questa volta il pervertito che vuole… – vide l’occhiata fulminante dell’uomo e sospirò – va bene, va bene, come non detto. Si può fare, Sasuke. Ma ci vorrà tempo, direi parecchi mesi. Più è sviluppata l’I.A. più il contenitore dovrà essere performante per reggere la mole di dati che dovrà calibrare; nulla a che vedere con quelle scatolette preimpostate dei robot.”

Il cervello positronico, ancora, non era in grado di reggere il surriscaldamento dovuto ai movimenti da coordinare con un’I.A. altamente sviluppata e dotata di libero pensiero. Principalmente, perché la ricerca scientifica aveva fortemente limitato le sperimentazioni in quel ramo così pericoloso, temendo un’effettivamente probabile superiorità delle Intelligenze Artificiali.

“Conosco le tempistiche. Tu vedi di procurarmi quello che ti ho chiesto, al resto penserò io.” Tagliò corto Sasuke.

Suigetsu fece una smorfia, lamentando il solito fare indisponente dell’ormai storico collega di lavoro, infine mostrò un sorriso sornione, anche se gli occhi attenti erano leggermente assottigliati:

“Sei qui da due giorni. Non c’è qualcuno con cui vuoi uscire?”

“A te cosa importa?” domandò secco, finendo il cocktail per poi alzarsi. Aveva bisogno di andarsene di lì e camminare. All’improvviso, le pareti erano troppo strette e la gente… la gente eccessiva.

“E a te, invece, importa?” ribatté Suigetsu, seduto con le gambe accavallate e un gomito sul divanetto. Aveva uno sguardo quasi di sfida, gli occhi taglienti.

Sasuke non rispose. Si limitò laconicamente a salutare il collega, lasciandolo solo, con il bicchiere svuotato che un tempo conteneva una Crisi Seldon.

*

Anno 181 S.I. (dal primo Salto Interstellare)

“Certo che sono proprio stronzi!”

Esclamò Naruto con accorato ardore da oltre lo schermo, mentre Sasuke era tornato a sedersi di peso sulla sedia dopo essere corso a riparare la sua maltratta navicella Viger, colpita di strascico da alcuni raggi sparati da navi Krogan – una delle razze più bellicose delle vicine galassie, intenta a farsi vicendevolmente guerra in una lotta tra clan. Nel mezzo dei vari salti spaziali suddette navi dovevano essere erroneamente capitate vicino alla Terra, generando un po’ di scompensi tra i presenti e qualche danno collaterale, ma nel giro di poco le flotte erano scomparse verso altri orizzonti, all’improvviso, esattamente come all’improvviso avevano fatto il loro rocambolesco arrivo.

In tutto questo, Sasuke si era ritrovato a dover saldare componenti danneggiati di Viger, sudare freddo per manovre al limite del possibile in modo da non schiantarsi contro altre navi dei suoi colleghi a causa delle ingombranti astronavi Krogan e, nel mezzo, sperare di non saltare in aria, giusto perché gli sarebbe stato parecchio sul culo morire proprio prima di tornare a casa dopo un mese di permanenza nello spazio.

Per tale, fondamentale, motivo si mostrò concorde con Naruto senza nemmeno troppa resistenza, anzi, passandosi le mani tra i capelli appiccicati di sudore e sporco dei meccanismi appena riparati, Sasuke sbottò:

“Figli di puttana.”

Grugnì qualcos’altro ma Naruto scoppiò a ridere, per poi trasmettergli di sua iniziativa l’elenco dei danni riportati, i pezzi da cambiare una volta atterrati sullo spazioporto e l’insieme delle probabili domande che l’Organismo per la Diplomazia tra Razze Galattiche avrebbe inviato da lì a breve, giusto per placare gli animi e arginare per tempo eventuali crisi dovute a piccoli incidenti diplomatici.

Ormai Naruto, dopo quasi un anno di attività su Viger, era in grado di destreggiarsi estremamente bene tra i meccanismi della nave e conosceva i protocolli, al punto che ormai lo stesso Sasuke, un tempo diffidente, gli lasciava liberamente accesso al sistema, riconoscendo che in quel modo la mole di lavoro collaterale era decisamente, se non proprio diminuita del tutto, almeno abbondantemente agevolata. Inoltre, l’I.A. ormai sapeva a menadito le routine dell’ingegnere, dopo averlo accompagnato vocalmente in ogni azione quotidiana, da quelle di manutenzione legate al lavoro, alla semplicità di ricordargli che le sue barrette di frutta secca preferite stavano esaurendosi e che avrebbe dovuto comprarle, una volta sceso sulla Terra.

Senza rendersene conto, Naruto era entrato così progressivamente nella sua vita, da rendergli difficile ricordare come fosse prima che lui esistesse. Forse c’era del vuoto, esattamente come stare nello spazio. Guardò, nel mezzo degli strumenti di riparazione appoggiati sul banco della consolle con i comandi, una scatoletta anonima, protetta da del cartonato rinforzato per resistere a eventuali urti.

All’improvviso, mentre Naruto ancora borbottava con energica esuberanza sulla possibilità di installare torrette laser su Viger e andare a combattere nel mezzo dello spazio profondo, in modo da proteggere i Krogan indifesi – tsk, come se esistessero nerboruti e tarchiati Krogan indifesi – Sasuke lanciò la sua domanda:

“Ti piacerebbe vedere la Terra, Naruto?”

Sembrava disinteressata, quasi casuale, senza particolari inflessioni emotive di voce.

Naruto bloccò il suo sproloquio di parole e, con un’incertezza che non gli apparteneva, inquisì: “Che intendi dire?”

Terminò quasi con una punta ironica, come se avesse dovuto prepararsi a un improbabile quanto imbarazzante scherzo di Sasuke che, a onor del vero, si limitava sempre a un tagliente sarcasmo.

“Quello che ho detto, stupido. Posso chiederti di calcolarmi la massa solare di una stella ma non sai rispondere a un interrogativo così semplice?”

In quel caso c’era aperta ironia, detta però con un tono decisamente più morbido di molte altre volte. Sembrava quasi affettuoso.

“Certo che mi piacerebbe vedere la Terra! – l’altro si riprese in fretta – E stupido sarai te, Uchiha-senza-torretta-su-Viger!”

“Per l’ennesima volta, non ho intenzione di mettere su Viger una torretta che spara raggi laser!” sbottò l’altro, armeggiando con la scatoletta mentre occhieggiava il monitor, come per nascondere una certa incomprensibile tensione.

“Comunque sei stupido non per la torretta.”

“Bene, perché lì l’idiozia è tutta roba tua.” Replicò, rapido.

Una leggera risata da parte di Naruto, intrisa di una nota malinconica, infine la constatazione più lucida: “E’ una domanda stronza, la tua, quella di vedere la Terra. Sono bloccato qui e non vedo proprio un bel niente, pur avendocela di fronte.”

Il volto di Sasuke si distese, perdendo quell’aria di impassibilità. Emise un brevissimo, quasi impercettibile sospiro, infine domandò:

“Davvero mi reputi così stronzo? – Naruto fece per ribattere, ma lui non gli diede tempo, aggiungendo  – Ho tra le mie mani un contenitore capace di tenere milioni e milioni di dati digitali al suo interno. Ci sono voluti parecchi mesi per procurarmelo, ma sono oggetti di cui tendenzialmente dispone il governo e non è semplice entrarne in possesso. Nonostante le apparenze tu sei estremamente evoluto e una semplice scheda di memoria non sarebbe mai bastata per trasportarti.”

Data l’informazione ricevuta, evidentemente l’I.A. Naruto dovette soprassedere parecchio in fretta a quell’offensivo nonostante le apparenze, per concentrarsi invece a elaborare e digerire l’idea che quella volta, magari, dopo quasi un anno di permanenza nello spazio lui sarebbe potuto scendere assieme a Sasuke e sconfinare i limiti metallici di Viger, seppure nascosto in un ben poco entusiasmante borsone a tracolla.

“Parlerò anche con qualcun altro, quindi? Mi descriverai com’è fatta casa tua, mentre ti muovi, mangi, vivi?”

Perché, ovviamente, il resto non sarebbe cambiato. In un modo o nell’altro, Naruto sarebbe comunque rimasto all’interno di una scatoletta di metallo – forse a rischio e pericolo di Sasuke nel suo sistema informatico domestico – ma almeno l’ambiente avrebbe avuto connotati del tutto diversi, era già qualcosa. Probabilmente, le influenze delle storie a lieto fine di Bardo dovevano aver plasmato in meglio carattere dell’I.A., rendendolo così ottimista ed entusiasta.

Tutto sommato, Sasuke accennò a un sorriso. Poi scrollò le spalle e commentò:

“Vedremo, Naruto, vedremo. Magari ti lascio chiuso da qualche parte a prendere polvere, dipende da quanto tempo impiegherò a irritarmi per il tuo continuo parlare a macchinetta.”

“Sese, certo, tu adori sentirmi parlare.”

Ridacchiò e Sasuke lo avvisò: “Non prenderti meriti che non hai, razza di S.A. pretenziosa.”

“S.A… cioè?” ribatté l’altro, perplesso. Per quanto Naruto potesse, effettivamente, essere perplesso.

“Stupidità Artificiale.” Replicò asciutto, con un mezzo sorriso che emergeva a forza dalle labbra.

“Maledetto Uchiha stronzo e sociopatico, un tempo volevo delle mani per mangiare ramen, ora so di per certo che le userei per strozzarti.”

La replica per Sasuke fu troppo invitante per essere evitata: “Strozzarmi? Pensavo, in base a come dicevi qualche mese fa, che tu volessi sfiorare i miei mobili e fare cose come toccarmi.”

Doveva essere puro e semplice sarcasmo, ma nelle sue note ci fu qualcosa di più profondo. E, per qualche miracolo, forse grazie a tutti quei mesi di convivenza reciproca, Naruto parve leggere dietro ogni sfumatura, finendo semplicemente per rispondere:

“Certo che vorrei toccarti, Sasuke. Sono felice che tu non l’abbia dimenticato, anche a distanza di tutti questi mesi.”

Allora, Sasuke non seppe cosa rispondere. Affondò di più nel sedile, osservando lo schermo davanti a sé, mentre il cuore era più leggero e volava oltre la gabbia della cassa toracica.

Perché? Perché frasi come quelle, tanto spontanee, dovevano farlo stare così bene, quando un’intera schiera di persone là fuori, sulla Terra, non ci riusciva?
E ora si trovava lì, in una scatoletta di metallo fluttuante nello spazio, a sorridere stupidamente per un qualcosa pronunciato da un computer, un insieme di programmi altamente sviluppato che non aveva mai avuto a che fare con nessun altro essere vivente. Lucidamente, in un certo senso Sasuke ebbe anche l’idea che se Naruto si fosse interfacciato con altri umani, con ogni certezza li avrebbe trovati più interessanti rispetto a un esperto di informatica che rispondeva con frasi brevi e taglienti come lame Krogan.

Sospirò, per poi ricevere comunicazione dalla Base Bussard.

Poteva tornare a casa. E, con lui, Naruto.

*

Non appena Sasuke entrò nel suo appartamento nella periferia della Cittadella, lanciò il borsone a terra, si tolse sbrigativamente le scarpe e afferrò dalla borsa la scatola, nascosta dentro quella che sembrava una banalissima confezione di cereali nutritivi comprata allo spazioporto. Controllò i collegamenti della piattaforma informatica domestica, modificata nel tempo per gestire programmi elaborati e integrazioni piuttosto fuori dalla legge ma, dato il lavoro per il governo, a quei livelli poteva ancora permettersi qualche trasgressione.

Infine, sistemò gli ultimi componenti che, mesi fa, aveva chiesto a Suigetsu durante il loro incontro al Purgatory. Quando caricò l’I.A. Naruto nel sistema, Sasuke sentì un insieme di sensazioni che includevano, nel mezzo, una tensione impossibile da togliersi di dosso e una sorta di aspettativa profonda, come se tutto il bello del mondo dovesse trovarsi lì, in quella stanza.

Accese ogni componente del sistema. Attese qualche secondo. Infine disse, con nel petto un vago timore che tutto, ogni cosa, fosse andata perduta:

“Naruto, attivati.”

Passarono altri secondi. Sasuke trattenne il fiato, ignorando l’odore di chiuso dell’appartamento, la polvere, la luce che si era accesa solo in seguito all’avviamento dei programmi.

Infine, la sua voce:

“Eccomi, Sasuke.”

“Benvenuto sulla Terra.” Replicò l’altro, mentre la casa cominciava a scaldarsi, il collegamento con la Food Station locale a ronzare, l’acqua ad avere una temperatura ideale per una doccia.

Poi, dopo un istante, domandò ancora: “Naruto, dimmi una cosa: come ti immagini, se solo fossi umano?”

“Perché me lo chiedi?” domandò l’altro, curioso.

“Tu dimmelo e basta.” Tagliò corto Sasuke, al solito incapace di perdersi in lunghe quanto inopportune spiegazioni.

Allora, mentre Sasuke si preparava una tazza di caffè liofilizzato e ordinava del cibo da materializzare attraverso la Food Station, Naruto immaginò se stesso come se stesse raccontando una storia di fantasia, allo stesso modo in cui Bardo narrava al suo pubblico di uditori le avventure di esseri fantastici, provenienti da ogni parte dell’Universo. Si raccontò, la sua immagine, la sua idea, a Sasuke che silenzioso come sempre e,
come sempre, anche attento, udiva ogni sua parola, mentre fuori, nella metallica e grigia Cittadella, aveva cominciato a piovere e le finestre non pulite lacrimavano, commosse da quanta vita ci fosse in quella stanza.

*

Una volta ultimate le modifiche finali, in quella serata di ritorno a casa passata tra ascoltare Naruto e darsi una sciacquata veloce, dopo aver lasciato a metà una porzione di noodles di Trantor Sasuke si scrocchiò il collo, per poi massaggiarsi la cervicale e mormorare, mentre l’I.A., una volta finito, era stata momentaneamente spenta:

“O la va, o la spacca.”

Si stupì che dalla sua voce fosse uscito solo un sussurro; la salivazione, anche dopo aver bevuto bicchieri d’acqua, mancava.

Perché, per la prima volta dopo quasi un anno, Sasuke avrebbe potuto vedere Naruto.

Riconoscerlo con un aspetto definito, osservare gli occhi che lui stesso aveva immaginato e che l’altro aveva fantasticato, sentirlo ridere e contemplare, effettivamente, un sorriso; guardare le sue mani mentre attraversavano l’aria, fendendo una scia di colore e di luce.

Sarebbe stata solo un’elaborata proiezione olografica, per il momento, perché anche solo sperare di impiantare un’I.A. evoluta come Naruto in un cervello positronico da robot modificato era un lavoro estremamente lungo e complesso. Inoltre, Sasuke non aveva i mezzi per plasmare un corpo metallico standard in modo da farlo assomigliare a un umano.

In futuro, però…

Si morse un labbro. Perché stava facendo tutto questo? Perché rendere reale qualcosa che, sostanzialmente, esisteva in un insieme di circuiti in costante evoluzione digitale?

“Fanculo.” Si disse, per poi alzarsi in piedi, osservando un’ultima volta la disposizione dei sensori olografici e guardare un istante la piattaforma di controllo che, silenziosa, attendeva un suo ordine.

Si passò una mano tra i capelli, infine pronunciò:

“Naruto… attivati.”

Ci fu più luce, in quel momento. Fuori era buio e continuava a piovere, mentre i neon della Cittadella rilucevano per le strade.

Poi, ci fu Naruto. E Sasuke seppe dare una risposta ai suoi perché.

Quella sera dei primi del 181, Naruto prese più a fondo coscienza di sé, della sua identità, e per la prima volta vide il suo Creatore.

Per questo, prima di guardare se stesso, le proprie mani, l’incarnato circondato da un leggero alone luminoso per via della riproduzione olografica, i piedi, il petto, Naruto guardò Sasuke e sorrise, genuinamente, nel realizzare che appariva proprio come se lo era immaginato nei suoi circuiti.

I capelli scuri, lunghi fino quasi alle spalle, un ciuffo più corto che ogni tanto si spostava sugli occhi, altrettanto neri, attenti, come per non lasciare fluire le emozioni, mentre la bocca sottile spariva nella pelle chiara, di chi il sole lo vedeva ma non lo afferrava.

“Beh, come sono?” domandò alla fine Naruto, allargando le braccia.

Sasuke non parlò. Allungò una mano, senza muovere un qualsiasi altro muscolo del proprio corpo, e sfiorò con i polpastrelli il torace dell’uomo olografico di fronte a sé. Sembrava così vero, così reale, che quando le dita affondarono oltre l’insieme di colori riprodotti, increspandosi come un’onda, Sasuke per un brevissimo istante credette di potergli entrare davvero dentro e toccare il cuore.

Sollevò gli occhi, incrociando quelli azzurri, paradossalmente vitali e sfrontati nella loro allegria, dell’altro, poi contemplò i capelli, l’espressione, ogni dettaglio, stentando a credere che ci fossero algoritmi in quella manifestazione di cosa avrebbe potuto essere un umano.

“Sei…”

Non concluse la frase, sigillò le labbra, guardando altrove, verso la finestra. Naruto allungò a sua volta un indice, provando a toccargli la guancia. Sembrò quasi riuscire a sfiorarlo, quando il polpastrello svanì, sparendo oltre la pelle chiara di Sasuke, in un leggero formicolio di luci e colori.

“Hai le guance meno spigolose di quanto pensassi.” Commentò Naruto, per poi ridacchiare.

Infine, senza attendere una replica dell’altro, mosse i primi passi nel soggiorno della casa, passando oltre il tavolino basso coperto di pubblicazioni scientifiche, il divano con qualche toppa mai cambiato negli anni, per poi superare Sasuke e avvicinarsi alla postazione informatica che gli consentiva, sostanzialmente, di essere lì, tra quelle mura, di vedere e percepire ciò che lo circondava.

“I sensori sono posizionati in tutto l’appartamento, dunque puoi muoverti dove preferisci, per un cambio di input e riprogrammazione all’interno del sistema olografico sei in grado anche di percepire visivamente quello che…”

Ma le spiegazioni di Sasuke persero momentaneamente d’importanza, non perché fossero effettivamente prive d’interesse, bensì perché Naruto aveva quei metri di metallo, cemento e legno da esplorare, da vedere, con ogni mezzo tecnologico che ora possedeva e, allo stesso tempo, prendeva pienamente consapevolezza del suo spazio nel mondo, benché incorporeo.

Camminò, volteggiando a tratti su se stesso, fissando costantemente il corpo quasi per capire bene cosa comportasse pensare di muovere un braccio e vederlo effettivamente agitarsi, ogni tanto invece guardava gli angoli, i mobili, le finestre attorno a lui per realizzare la portata delle distanze e dei volumi.

Esplorò dunque il soggiorno con il divano un po’ usurato, lo schermo olografico, i computer e i mobili impolverati sostanzialmente vuoti eccetto per qualche reperto d’antiquariato, come dei libri ingialliti e addirittura un orologio che aveva smesso di funzionare. Infine, varcò la soglia della minuscola cucina, con una scatola metallica per riscaldare i cibi materializzati dalla Food Station di fianco e su una mensola quello che sembrava, dal titolo, un altro vecchio libro, quella volta di ricette. Inutilizzabile, ormai, perché nessuno cucinava più in un normale ambiente domestico.

Ritornò nel soggiorno, lanciò un sorriso entusiasta a Sasuke che ricambiò con un mezzo borbottio, infine trasse il respiro – anche se, effettivamente, non aveva bisogno di farlo – e varcò un’ulteriore soglia dell’ultima stanza presente nell’appartamento, un po’ con il timore di scomparire se fosse andato troppo lontano. Lì, c’era un letto a due piazze e poco distante un armadio a muro, oltre a quello, un’applique che si accese con una luce morbida, riconoscendo evidentemente un movimento.

Sasuke, che non si era spostato, con le braccia incrociate vide la testa bionda dell’altro fare capolino da oltre la porta e notare: “E’ qui che dormi, quindi.”

“Ovviamente.” Replicò asciutto, vagamente a disagio per veder violata la propria camera da letto, soprattutto perché si trattava di Naruto, con cui aveva convissuto sostanzialmente ogni singolo giorno dell’ultimo anno.

Dopo un istante aggiunse, indicando un lato del salotto con l’indice: “Se vuoi davvero completare il tour, comunque, a destra c’è il bagno – poi, vedendo il modo allegro ed esuberante con cui Naruto si era apprestato ad andare ribadì – ma se trovi la porta chiusa vuol dire che ci sono io dentro e che quindi devi restarne fuori, anche se coi sensori puoi comunque passare attraverso.”

Naruto fece per ribattere qualcosa sulle funzioni corporali e lo smaltimento programmato su Viger, quando passò oltre la porta semichiusa del bagno e si bloccò. Sasuke, poco distante, preoccupato che quell’improvviso silenzio fosse dovuto a un malfunzionamento, più che a un effettivo mutismo volontario di Naruto, con rapide falcate spalancò la porta del bagno ma si arrestò.

Perché vide l’I.A. guardare, per la prima volta, il suo volto, riflesso nello specchio. Gli occhi azzurri, i capelli, la sua faccia dalle linee in qualche modo morbide, l’espressione di pieno stupore che possedeva davanti a qualcosa di inaspettato. Probabilmente, rifletté Sasuke, Naruto avrebbe avuto la stessa espressione nello scoprire la sua risata.

Naruto portò un braccio verso lo specchio e a un millimetro dalla superficie riflettente lasciò la mano, guardando la sua immagine davanti a sé, la leggera luce che emanava, i contorni e i colori. Assottigliò le labbra che scoprì essere definite, più piene di quelle di Sasuke capaci invece di sparire in una smorfia di apparente disappunto. Lo vide alle sue spalle e realizzò, anche se non aveva mai visto altri esseri umani, che lui doveva essere il più bello.

“Questo sono io.” Mormorò, avvicinando l’altra mano alla sua guancia.

“Sì.” Confermò Sasuke, appoggiando una spalla sullo stipite della porta.

Fuori, continuava a piovere.

*

Un paio di giorni dopo, Sasuke rientrò a casa con in mano alcune buste contenenti beni di prima necessità da tenere da parte per il viaggio di rientro, anche se sarebbe avvenuto tra diverse settimane, un alimentatore di scorta nel caso in cui ci fossero stati dei cali di tensione, oltre a qualche prodotto per la pulizia esaurito dopo aver passato il giorno precedente a tentare di togliere la polvere stratificata. Nel frattempo, Naruto aveva girato per casa sparando canzoni a caso a tutto volume, accendendo e spegnendo luci per prendere confidenza con l’impianto domestico, nonché tirando più volte lo sciacquone con il disinfettante automatizzato, quando invece voleva semplicemente avviare il riscaldamento dell’acqua.
L’unico divieto assoluto che Sasuke gli aveva fatto era stato attivare il sistema per l’invio e ricezione di messaggi. Su quello si era mostrato categorico, senza nemmeno scomodarsi a spiegargli il perché.

Quel tardo pomeriggio però, se lo trovò in piedi di fronte al proiettore olografico, intento a guardare quello che sembrava un film. Naruto si voltò e Sasuke rimase interdetto nel vedere gli occhi lucidi: pareva un abbozzo di pianto.

“E’ una storia commovente. Bellissima.”

Sasuke, che non piangeva da circa cinque anni e manifestava le sue emozioni o con l’imbarazzo scostante o con la sensibilità di una pietra, appoggiò i sacchetti a terra, sbottò, infine replicò: “Che razza di robe ti stai guardando? Non c’era davvero nulla di meglio?”

Tutto sommato, però, fu un pochino mosso dal vedere quell’espressione di emozione così genuina. Naruto scrollò le spalle: “Non conosco il titolo, ma parla di due esseri umani creati in laboratorio. All’inizio sono ammirati da tutti, diventano famosi, la gente scatta loro le foto e via dicendo, finché non comincia ad averne paura, allora li incolpano di qualunque cosa per sfogarsi. Smettono di fare le manutenzioni pensate per non rovinarli, le persone perdono interesse e i due umani artificiali vengono dimenticati, arrugginendosi. Ma loro, in tutto questo, non hanno mai smesso di amarsi.”

Tornò a guardare lo schermo, ascoltando la canzone di sottofondo mentre i titoli di coda finivano. Sasuke dette un colpo di tosse, finse di prendere qualcosa dai sacchetti per metterla a posto, infine mise assieme due parole, obiettivamente incapace di comprendere cosa fosse meglio dire in quei casi senza sembrare più disagiato del solito o, nella peggiore delle ipotesi, finire per ignorare direttamente Naruto:

“Tramite il sistema puoi rintracciare dal database del canale il titolo.”

Un consiglio pratico, anche per evitare tutto il resto.

Osservò Naruto annuire con un breve cenno, per poi tornare a voltarsi verso le immagini proiettate, mentre ascoltava la musica provenire dall’impianto. Allora, in quel preciso momento, Sasuke si dette mentalmente dell’idiota; del completo e perfetto idiota.

Perché cosa poteva aspettarsi da un qualcuno – no, proprio non ce la faceva a definire Naruto come qualcosa – capace di incanalare così tante informazioni e stimoli che restasse anche solo minimamente indifferente a tutto quell’insieme di luci, di immagini di persone – le prime mai viste – con i loro suoni, colori, emozioni fatte per arrivare dritte in petto a chi guardava. La sua prima esperienza con il mondo e l’unica cosa che Sasuke era stato in grado di consigliargli era come cercarsi il titolo.

Gli si affiancò. Gli ultimi istanti di musica, le ultime immagini.

Poi, all’improvviso, Naruto gli confessò:

“E’ che – un sospiro, leggero – le sento nella testa. Tutte queste voci, la musica, le parole e le espressioni che hanno per pronunciarle, ciò che provano. E... mi sembra di provare una fitta qui – si indicò il torace, guardando Sasuke – all’altezza del petto. Assurdo, vero?”

Sasuke lo guardò a sua volta. Il proiettore olografico si spense, il film era davvero finito.

“No, non è così assurdo – replicò, indicando a sua volta il torace mentre sfiorava i contorni di Naruto – qui è dove si racchiudono le cose che ci rendono felici, ma anche quelle che ci rendono tristi. E’ per quello che fa così male.”

Poi schioccò appena la lingua, come infastidito dalle sue stesse parole. Si girò per andare verso la cucina e Naruto allungò un braccio, in modo da trattenerlo, ma le sue dita sparirono oltre la schiena di Sasuke. Allora, l’I.A. lo guardò ordinare qualcosa tramite Food Station e, mentre attendeva, apparecchiare la tavola.

Fu la prima volta in cui Naruto lo vide farlo, di quei pochi giorni; notò una tovaglia perfettamente piegata, probabilmente non usata da tempo, che si stese con delle leggere onde sul tavolo, poi un piatto e un bicchiere, accanto a un tovagliolo. Quando Sasuke rientrò verso la cucina, al segnale che era arrivata la cena ordinata, Naruto notò sul mobile un altro piatto identico a quello sul tavolo: sembrava che facesse parte dello stesso set; non se ne spiegò il motivo, visto che non pareva esserci traccia di nessun altro tra quelle pareti.

Poi, se lo vide arrivare con tra le mani una ciotola fumante e delle bacchette. Stranamente silenzioso, Naruto osservò Sasuke camminare fino al tavolo, con indosso la sua tuta dai pantaloni neri, la maglia grigia arrotolata ai gomiti con pieghe maniacalmente perfette e i capelli neri tirati dietro un orecchio. Si stupì di quanto fosse bello, elegante e malinconicamente triste, più bello dei protagonisti del film che pure gli erano sembrati magnifici.

Infine, osservò il contenuto della ciotola e rimase incantato un istante, con la bocca impercettibilmente aperta.

“E’... ramen – notò alla fine, per poi guardare Sasuke – ma a te non piaceva particolarmente. Anche se c’è tutto, persino...”

“Il naruto. Dovevo farti conoscere un tuo simile, no?”

Si sedette, spostando più di lato la sedia. Naruto, allora, si piegò sulle ginocchia, mettendosi di fianco a Sasuke. Da quella posizione, leggermente più in basso dell’uomo, lo contemplò mentre mangiava e riconosceva, sorridendo, tutte le componenti del suo da tempo piatto preferito e che ora poteva finalmente vedere, sentendone l’odore grazie ai sensori. Vide gli spaghetti, la carne e il brodo che ogni tanto gocciolava perché Sasuke non aveva alcun cucchiaio adatto, infine, il naruto. Lo fissarono un istante.

“La variante impazzita.” Disse Sasuke in un sussurro.

“Quella che rende ogni piatto di ramen indimenticabile.” Replicò l’altro, senza muoversi da dove si trovava, contemplando il modo in cui i ciuffi oltre la fronte di Sasuke ondeggiavano appena a ogni suo movimento.

Questi roteò appena gli occhi, fingendo fastidio, infine mangiò la sua variante. Naruto, allora, sorrise.

*

Una volta finito di mangiare, Sasuke raccolse le stoviglie e le mise a lavare, poi sentì le note di una canzone, la stessa che aveva udito entrando in casa. Quando si voltò vide, oltre la soglia della cucina, Naruto che lo guardava; avviò il lavaggio rapido, poi camminò verso il salotto.

“Sai qual è stata la parte più bella del film?” domandò l’I.A., fissando il proiettore olografico silenzioso, infine Sasuke.

Questi un tempo avrebbe sarcasticamente replicato i titoli di coda ma tacque, mettendosi le mani in tasca.

Così Naruto, con fare apparentemente scanzonato ammise: “A un certo punto i due protagonisti sono seguiti da un gruppo di gente che li insulta. Finiscono in una piazza e gli altri li circondano, in lontananza si sentono le note di qualche artista di strada. Loro due... ecco, potrebbero fare tante cose a quel punto: gridare, arrabbiarsi, insultare o essere spaventati. Invece... – rise, scrollando le spalle – ballano. In mezzo a una piazza di gente che li odia. Ballano, stringendosi, indipendentemente dal resto del mondo.”

Assottigliò le labbra, guardando Sasuke.

Questi strinse i pugni e trattenne il respiro, mentre la canzone riecheggiava tra quelle pareti, i neon della strada lampeggiavano, la sua testa gli trasmetteva ricordi di un tempo che non sarebbe più tornato e il cuore gli ricordava l’unicità di trovare qualcuno capace di farlo battere così forte.
Ancora.

Naruto gli andò di fronte, allargando appena le braccia. Erano praticamente alti uguali, Sasuke fino ad allora non ci aveva fatto del tutto caso. Poi, l’I.A. gli domandò, con una serietà quasi malinconica:

“Vuoi provare a ballare con me?”

“Io non so ballare.” Replicò asciutto, deviando un istante lo sguardo.

Naruto fece un accenno di risata, ribattendo: “Conosco i nomi di tutte le galassie, le formule per il lancio interstellare e persino come preparare un pudding con la ricetta alternativa delle Asari ma... di ballo non so proprio un bel niente. Nonostante questo, vorrei starti vicino e conoscere lo spazio che occupa il tuo corpo.”

“Che parole importanti, per definire una cosa stupida come muovere dei passi assieme.” Borbottò Sasuke.

“Sei tu che hai parlato di muovere dei passi assieme adesso, io ho detto solo che volevo starti vicino.” Lo prese in giro, facendo finta di nulla, perché nel parlare spostò il braccio, portandolo vicino alla spalla di Sasuke.

Questi osservò un istante la mano, poi il resto del corpo di Naruto, il modo in cui questi gli era vicino ma non lo sfiorava, per evitare che i suoi confini digitali si perdessero, annientandosi oltre quelli fisici di chi aveva davanti.

Espirò appena, poi borbottando qualcosa a mezza voce sull’insistenza e la testardaggine di quella stupida girella di granchio, mosse a sua volta il braccio, con attenzione, come se rischiasse di rompere per sempre qualcosa. Percorse, con la mano, la linea della spalla di Naruto, la sua curvatura e poi, lentamente, mentre la musica andava, risalì, fin verso il collo. Per un istante gli sembrò di poter toccare i capelli, ma le sue dita, semplicemente, vi passarono attraverso in un tremolio vitale di colori.

Fu un abbozzo di abbraccio, nel quale ogni tanto i rispettivi confini cessavano di esistere e le luci, allora, si facevano più intense, vibranti, mentre i contorni di Naruto sfumavano, perdendosi in Sasuke che sentì il petto fargli male, consapevole della felicità provata e di tutta quella che, negli anni, aveva dimenticato nel suo personale Spazio dove, esattamente come il suono, essa non poteva propagarsi.

*

Era passata una settimana da allora e ormai Naruto era entrato pienamente in confidenza con il sistema di controlli dell’appartamento di Sasuke, senza più rischiare di tirare lo sciacquone quando non richiesto o attivare delle improbabili luci stroboscopiche anziché alzare la serranda delle finestre. L’unica cosa su cui non aveva ancora sperimentato, a conti fatti, era il sistema di ricezione e invio delle chiamate vocali, con tanto di riproduzione olografica. Semplicemente, perché per qualche motivo Sasuke continuava a impedirglielo, ribadendo che non voleva né riceverne, né inviarne.

Ma, giustamente, nel mezzo delle sue ultime sperimentazioni mentre il proprietario era fuori per consegnare le sue elaborazioni digitali ai clienti, fuori dal regolare lavoro, Naruto incappò per sbaglio nell’attivazione del sistema di comunicazione, scoprendo non tanti messaggi arretrati quanti avrebbe immaginato. Se solo avesse avuto ancora altri mesi di tempo, Naruto probabilmente avrebbe sviluppato meglio sentimenti importanti, come il senso di colpa o una vera e propria etica morale.

Quella sera, però, l’I.A. Naruto non aveva ancora del tutto nemmeno ben compreso né l’una, né l’altra cosa, tranne il divieto di Sasuke di accendere qualcosa che, in realtà, lui aveva attivato per sbaglio. Seppur con un vago senso di fastidio, dovuto all’intelligente realizzare che doveva esserci una ragione ben specifica per quell’imposizione così rigida, quando invece a tutto il resto egli aveva avuto libero accesso, l’I.A. esplorò tra i messaggi vocali.

Formalmente, con l’intento di riordinarli e archiviarli, in realtà più spinto da un senso di curiosità quasi famelico. Perché si rendeva conto, in quei giorni di maggiore consapevolezza su cosa fosse il Mondo, di non sapere davvero nulla di Sasuke. Che gli parlava delle stelle, della Terra e di come cercare dei film in un database, ma mai di se stesso.

Notò, nel mezzo di messaggi provenienti da disparate persone, che ve ne era uno aperto, ascoltato e guardato in realtà più volte, diversi anni fa. Poi, il nome gli sembrò famigliare: Sakura. L’aveva memorizzato quand’era ancora su Viger e gli risultava un messaggio mai recapitato sulla navicella, risalente anch’esso a parecchi anni fa. Portandosi davanti al riproduttore olografico, lo stesso che gli aveva proiettato un film capace di fargli provare qualcosa di profondo, Naruto avviò la registrazione.

Sulle prime il messaggio olografico, pieno di una luce calda, tentennò, gracchiando e mostrando alcune interferenze, forse per via degli anni. Infine, si stabilizzò e Naruto scorse una donna stare in piedi con lo sguardo concentrato, intenta a sistemare la telecamera.

Spero si veda qualcosa.

La sentì borbottare, per poi sorridere. Istintivamente, Naruto sorrise a sua volta.

Oh, così dovrebbe andare bene.

La vide indietreggiare di qualche passo, legarsi i capelli di un colore rosa pastello, infine allargare le braccia e annunciare:

Ok, so che non avrei dovuto farlo e che stiamo mettendo i soldi da parte però... l’ho visto e ho pensato: è primavera. Questo vestito sa di primavera – volteggiò e Naruto vide ogni colore, nonostante le leggere interferenze della riproduzione, di un semplice abito floreale, con la gonna che roteò allargandosi come spinta dal vento – e non ci stiamo godendo neanche una giornata di sole. Quando torni, andiamo al parco e facciamo un picnic. Noi due assieme, che ne dici? So già che penserai che io voglia farti una festa a sorpresa, invitare qualche amico... tranquillo, niente socialità forzata. Ci può stare?

Spalancando gli occhi, Naruto allungò istintivamente una mano verso la donna e le luci di entrambi, i rispettivi colori, tremolarono, annullandosi.

In quell’istante Sasuke rientrò a casa: “Naruto – fece per dire, poi si bloccò e i sacchetti gli caddero di mano – che stai facendo?

Rimase lì, in piedi, con le buste crollate ai suoi piedi e il volto di solito imbronciato che proprio non riusciva a nascondere un dolore anestetizzato dal tempo. Naruto non parlò, guardando l’espressione dell’uomo. Provò qualcosa di simile a quella che conosceva come sofferenza e senso di colpa ma seguì lo sguardo di Sasuke, il quale spostò gli occhi da lui all’immagine olografica della donna sorridente, mentre la gonna era scossa dal vento.

 “Sakura.” Mormorò Sasuke, incapace di battere ciglio.

Il petto. Faceva male, all’altezza del cuore. Dopo tutti quegli anni. Ricordò, all’improvviso, quel vestito, la bellezza del sorriso, il colore luminoso degli occhi.

Assottigliò le labbra.

“Disattivazione invio e ricezione comunicazioni.” Lo disse con voce dura, persino secca.

Di colpo, l’ologramma sparì, le luci divennero più intense e nella stanza cadde il silenzio. Naruto fissò le buste cadute a terra, poi riportò lo sguardo sul volto di Sasuke che sembrava afflitto, caricato di un peso troppo grande portato nel tempo, e allo stesso modo arrabbiato, violato in qualcosa di assolutamente intimo e privato.

“Che ti è saltato in mente, si può sapere?” domandò, con il tono pericolosamente basso.

“Scusami. L’ho attivato per sbaglio mentre esploravo le funzioni del sistema.” Ammise Naruto, sperimentando concretamente, per la prima volta, il senso di colpa. Scaturito dal vedere primariamente Sasuke così sconvolto e ferito, quasi come se gli avesse riaperto una vecchia cicatrice.

“Impara allora a farti i cazzi tuoi, non a ficcare il naso dove non devi.” Replicò tagliente, consapevole un istante dopo di essere stato brutale.

Si sedette sul divano, passandosi una mano tra i capelli, dimentico della roba sul pavimento, di mangiare e di qualsiasi altra cosa. Alzò lo sguardo, sentendo gli occhi di Naruto su di sé, carichi di quella che sembrava… compassione? Poteva arrivare al punto da provare qualcosa di così pateticamente umano?

“Smettila di fissarmi.” Aggiunse, rabbuiandosi. Deviò lo sguardo per non ripensare all’ologramma, a ciò che aveva visto appena entrato.

Ma Naruto, ostinato, si piazzò di fronte, abbassandosi per cogliere in linea diretta il suo volto:

“Perdonami. Non mi aspettavo che vedere quella donna… – se avesse avuto a sua volta un cuore, Naruto avrebbe compreso perché sentiva tutto quel dolore all’altezza di un petto che poteva essere oltrepassato come aria – potesse farti un effetto simile.”

Lei dov’è, ora?

Avrebbe voluto chiederglielo, ma tacque. Perché con Sasuke era così: le domande personali gli scivolavano addosso, scomparendo nelle risposte vaghe, le rare volte in cui c’era effettivamente una risposta.

“E’ morta.” Disse all’improvviso Sasuke. Come leggendolo nel pensiero o, forse, semplicemente per rendere noto che non avrebbe potuto sentirsi in nessun altro modo.

“Mi dispiace.” Replicò l’altro. Mai come quella sera avrebbe voluto poter toccare l’uomo che aveva davanti, percepirlo e fargli sentire qualcosa di tanto banale come il battito cardiaco, il sangue che pulsava sotto la pelle e caricava il corpo di vita.

Provò in maniera più intensa quel dolore e nell’ascoltare la confessione da parte di Sasuke, Naruto comprese all’improvviso tante cose, del perché ancora, a distanza di tutto quel tempo, in quella casa ci fossero tanti oggetti pensati per due persone e non per un uomo che a malapena ci viveva.

L’uomo schioccò la lingua, alzandosi di scatto: “Non sai fare altro, eccetto dispiacerti?”

Senza pensarci, oltrepassò Naruto. Gli passò attraverso, scomponendo in quei brevi istanti la sua immagine, simile a colori sospinti e mischiati da un vento violento. Fu solo un attimo, ma gli sembrò di trovarsi immerso in un campo elettrostatico, con la sensazione di aver accoltellato quella stessa immagine che nei mesi aveva cercato di rendere vera, credibile, dando qualcosa a Naruto per potersi muovere e capire il mondo.

Si voltò, aprendo impercettibilmente la bocca. L’I.A., ritornata alla sua forma normale, si fissò le mani, il petto, poi alzò lo sguardo verso Sasuke:

“Per un attimo… ho creduto che sarei scomparso – improvvisamente gli sorrise, con fare energico – se sono invadente puoi spegnermi, o riportarmi su Viger.”

Non farlo, Sasuke. Come farei a sentirti, a vederti, a saperti vicino, se non potessi più stare qui, con te, camminandoti al fianco?

Non glielo disse, anche se avrebbe voluto sperimentare l’egoismo ed esserci a tutti i costi, indipendentemente dai desideri di Sasuke. Il quale gli aveva parlato della morte e del dolore della perdita; non grazie a qualche frase in particolare, bensì attraverso dei sacchetti crollati. Il modo in cui aveva lasciato la presa, schiantando ogni cosa a terra per dimenticare il resto del mondo e contemplare un ologramma vecchio di anni, aveva fatto capire a Naruto tutto il peso del passato e di un rapporto perduto, ricordato solo attraverso memorie consumate dal tempo.

Sasuke tacque. Continuò a comportarsi come se non fosse successo niente: ordinò da mangiare, si sedette a un tavolo apparecchiato per una persona, ascoltò della musica mentre lavorava al computer. Naruto lo osservò: controllò ogni movimento, ogni espressione coperta da quel perenne broncio leggero che non lo abbandonava mai, come se Sasuke fosse continuamente in disappunto contro il mondo intero. Forse, effettivamente, era così.

Nel guardare le spalle leggermente curve mentre lavorava, il volto parzialmente illuminato dai monitor e dalle immagini tridimensionali, Naruto parlò d’istinto, alzando la voce come non aveva mai fatto prima:

“Io non... – sentì la voglia di piangere, anche se all’epoca non era stato in grado comprenderlo – non riesco a capire, Sasuke. Cosa senti, adesso? Cosa provi, cosa, dimmelo, perché ti sono caduti i sacchetti e ho visto dolore sul tuo volto, ma ora... ora ti comporti come se non fosse accaduto nulla e la vita, semplicemente, andasse avanti.”

Sasuke non rispose. Lavorò ancora per diversi, lunghi, interminabili minuti. Poi, improvvisamente, disse continuando a dare le spalle a Naruto:

“Perché è così. La vita prosegue, va avanti, e non aspetta nessuno, tantomeno me – le mani smisero di muoversi, tutto il suo corpo sembrò bloccarsi, come colto da un pensiero più grande – un tempo stavamo insieme, io e quella ragazza che hai visto. Sakura. E’ morta, un banalissimo incidente d’auto: vecchio modello, senza sistemi autofrenanti; Sakura ha sterzato per evitare un cane. Uno stupido, inutile cane. Un randagio, di quelli che tanto sarebbero morti per la rogna tra qualche mese, ora forse sarà già cibo di altri bastardi come lui. E Sakura è solo un mucchio d’ossa. Ironico, vero?”

Una breve risata, asciutta, alla quale seguì uno scrollare di spalle. Appoggiò la testa allo schienale della sedia e si portò le mani in grembo. Si zittì, la musica continuava, qualcosa dei Pink Floyd.

“Sasuke...”

“Di lei ho un servizio di piatti per due e l’ultimo ologramma che mi ha mandato. Io all’epoca ero nella mia prima missione con Viger; ho ricevuto il messaggio in ritardo per interferenze e l’ho visto qui, sulla Terra, dopo aver saputo che lei se n’era già andata: sì, l’ho visto tante di quelle volte da aver conosciuto a memoria, allora, ogni parola, gesto o frammento.
Poi ho smesso, ho donato i suoi abiti, i suoi oggetti, tutto, tranne delle stupide posate e degli stupidi piatti; così, come se ci fosse ancora qualcosa da condividere. Adesso ho una memoria sfocata, ho dei momenti generici in testa, ricordo di averla amata e lei, all’epoca, mi aveva amato a sua volta; poi, con il tempo... c’è stato il dolore. E adesso, adesso ho solo consapevolezza della morte.
E’ come una malattia latente, la morte, che si muove dentro di te e ti divora: sai che c’è e non riesci più a ignorarla.
Ecco cosa mi ha lasciato legarmi a una persona: la paura di morire, d’invecchiare e consumarmi, rantolando per poter avere ancora un giorno in più, quando il mondo è così stretto da aver bisogno di un universo intero.”

Naruto osservò i capelli scuri dell’uomo, il modo in cui rilucevano, la pelle chiara delle braccia di chi non stava mai al sole. Si rese conto che in quell’anno di convivenza Sasuke non aveva mai parlato così tanto; allo stesso modo, realizzò di essere stato stupido e di non averlo mai capito veramente: come poteva aver anche solo pensato che, davvero, il suo creatore non sentisse nulla? Che la vista della donna prima amata e poi persa gli avesse trasmesso generica sofferenza?

E poi... la morte. Per quale motivo l’amore, con la morte, doveva trasformarsi e perdersi, consumato dal tempo?

“Perché mi hai creato, Sasuke? – lo guardò, sentendosi sopraffatto da tanti sentimenti che non comprendeva e spaventato, dall’impossibilità d’inscatolarli tutti – Se tu morissi... cosa farei io, a quel punto, senza di te?”

Allora, lentamente, Sasuke si girò. Gli occhi scuri erano sofferenti, stanchi, eppure guardavano Naruto con disperato affetto, consapevoli che era stato scoperchiato un vaso di Pandora:

“Tu puoi vivere per sempre. Io sarò polvere, sarò le ossa sotto la terra, i resti di un cane randagio. Puoi portare qualcosa di bello in questo mondo. Puoi viaggiare, vedere l’Universo, senza farti fermare da chi ti vuole togliere il libero arbitrio e l’identità – lo fissò, ammettendo – ti ho creato perché, dopo tutti questi anni passati lontano dall’uomo, mi sentivo solo. Banale, proprio come gli umani che disprezzo. Ma è così, potrei mentirti, eppure... non voglio, ora che sai quanto poco valga la pena restarmi al fianco.
Quando, un giorno, non ci sarò più... non seguire il mio esempio. Viaggia e diventa migliore, per te stesso; sicuramente, ricorderai le cose meglio di me.”

Naruto si piegò sulle ginocchia; Sasuke, girato verso di lui, lo guardò leggermente dall’alto, seduto sulla sua sedia che sembrò un trono, in quel momento, illuminato dalla luce degli schermi, nella penombra della stanza dove un tempo, forse, anni fa lui e la donna dal vestito mosso dal vento chiamata Sakura si erano amati.

“E’ un regalo tremendo, quello che mi hai fatto.”

“La vita?”

Un mezzo sorriso, triste: “L’immortalità.”

Sasuke espirò. Poi lasciò la bocca impercettibilmente aperta.

“Un giorno riuscirò a farti avere un corpo.” Gli disse, all’improvviso. Assunse, senza rendersene conto, quel piglio severo, determinato, quasi ombroso che gli apparteneva fin dentro le ossa.

Naruto appoggiò le mani sulle ginocchia di Sasuke, osservando un istante le brevi interferenze di luce, come se loro due appartenessero a due universi differenti, piegati in un incontro momentaneo.

“Allora, potremo ballare. Anche solo stare in piedi in mezzo alla gente e abbracciarci – sollevò gli occhi chiari verso quelli scuri dell’altro – Banale, proprio come gli umani che disprezzi.

Sasuke sentì il labbro tremare impercettibilmente ma non mosse un muscolo, paralizzato dall’idea che se lo avesse fatto la sua maschera si sarebbe sgretolata.

“Già. Ho sempre detestato tutta questa banalità.”

Due piatti. Due posate. Due bicchieri. Perché, in fondo, anche tu ci credevi; che forse, un giorno, quella vita avresti potuto tornare a condividerla con qualcuno. E nello spazio, ancora, a parlare della Terra e dell’Universo e della Vita che va avanti, mentre ascolti canzoni antiche che raccontano cose che già sai ma che hai bisogno di sentirti dire.

Nessuno ha detto che sia facile, eppure ritorni lo stesso, tra le stelle.




Riferimenti, citazioni e canzoni di riferimento:


Trantor: il pianeta/capitale dell’Impero Galattico.
Regina Spector: da ascoltare sue due canzoni; Us (in parte è stato ispirato al suo testo il film da me inventato che Naruto guarda tramite proiettore) e Fidelity, per descrivere tutte le emozioni e i suoni nella testa di Naruto.
Purgatory: uno dei locali discoteca/svago presenti in Mass Effect
Crisi Seldon: Tratto dal Ciclo della Fondazione di Asimov. Hari Seldon ha previsto delle Crisi che nel corso dei secoli la Fondazione dovrà affrontare e superare, per continuare a esistere e far sopravvivere l’uomo dopo il crollo dell’Impero.
Gorn: una specie tipo rettiliana presente in Star Trek. Protagonista, con Kirk, di uno degli scontri più imbarazzanti del mondo XD
Turian: la mia specie preferita in Mass Effect. Sono dei gran fighi, capaci combattenti e dannatamente orgogliosi.
Ferengi: una specie proveniente dall’universo di Star Trek. Brutti come la morte ma abilissimi mercanti.
Asari: Altra specie di Mass Effect, sono d’incarnato blu e bellissime, di solito dotate di poteri psichici. Formalmente sono di sesso femminile, anche se il genere è irrilevante, procreano anche tra di loro.
Krogan: La specie più bellicosa e testa calda di Mass Effect. Massicci e coriacei, sono organizzati in clan e lottano tutto il tempo. Li adoro.



Sproloqui di una zucca

Ok, un giorno riuscirò a parlare di Sasuke e Sakura senza finire in tragedia. Un giorno scriverò una storia piena di fluff, sentimento e amore come quei due meritano T_T Maaaaa.... passiamo oltre.
Per me è stato inevitabile parlare d'Intelligenza Artificiale e pensare, di conseguenza, alla morte. Al dolore della perdita, uno dei momenti che forse, più di tanti altri, accomuna ciascun essere umano; ciascuno, a modo suo, reagisce a tale drammatico evento.
Sasuke in un primo tempo è affondato nel ricordo, nell'unico contatto tangibile che gli rimanesse con la persona amata; poi, ha deciso di liberarsi di tutto, quasi di tutto, e andare avanti chiudendosi però in se stesso.
Naruto... è un'I.A. anche se sta imparando tanto del mondo. Ma i sentimenti, il dolore... come si possono capire? Per questo è in un certo senso invadente (oltre che caratterialmente penso lo sia di suo), perché vorrebbe davvero comprendere gesti per lui assurdi, come il fatto che Sasuke continui a lavorare, dopo aver visto qualcosa che l'ha fatto chiaramente soffrire.
Allo stesso modo, c'è anche del bello: la scoperta del proprio corpo, sebbene olografico, la possibilità di vedere e non soltanto udire delle voci. Infine, una sorta di abbraccio, un ballo mai cominciato, per provare a toccarsi.

A seguire delle parole che vorrei, davvero vorrei, poter adattare a me. Ma... non è così. Ho paura della morte; forse proprio per questo ne parlo tanto, nelle mie storie. Rifletto sul tempo, sulle occasioni da vivere e, ovviamente, sulla perdita (oh, sono una persona allegra in realtà, ma scrivere getta fuori tutto ciò che accumulo in un angolo). Traduzione non letterale.


And I am not frightened of dying, any time will do, I don't mind.
Why should I be frightened of dying?
There's no reason for it, you've gotta go sometime.

E non ho paura di morire, in qualsiasi momento accadrà, non m'importa.
Perché dovrei avere paura di morire?
Non ce n'è motivo, dovrai pure andartene prima o poi.


I Pink Floyd, con The Great Gig in the Sky (che da anche il titolo al capitolo). Il grande spettacolo nel cielo.
Grazie per aver letto, spero che il capitolo non risulti noioso e che, nonostante esso non sia facile per quello che c'è racchiuso, vi abbia lasciato qualcosa. Come sempre, grazie a Blair (davvero, ti regalerò per Natale un'altra storia più fluffosa T_T)



   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Happy_Pumpkin