Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Fanny Jumping Sparrow    24/06/2009    5 recensioni
*Completamente revisionata*
La maledizione dell'Olandese Volante è spezzata grazie all'amore fedele di Elizabeth, ma Calipso ha ancora una richiesta da fare al Capitano Turner...
Nel corso della sua ricerca, affiancato dalla moglie e dal figlioletto, ritroverà i vecchi compagni d'avventura, ma Jack continuerà a creare non pochi problemi...
Ringrazio chi continuerà a leggere e chi la metterà tra le preferite!
- E mi avevi fatto promettere "niente segreti" - sospirò Will reprimendo della sana collera.
- Non riguardava te e me. Questo è un segreto di storia della pirateria! - Elizabeth non si smentiva mai: piratessa fino alle budella.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elizabeth Swann, Hector Barbossa, Jack Sparrow, Will Turner
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada, il corvo, il mare'
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Prologo: L’uomo venuto dal mare


Un individuo dall’andatura barcollante si aggirava per il porticciolo ancora addormentato di quell’amena isoletta circondata dal cristallino Mar dei Caraibi.
Il sole era appena sorto a illuminarne i contorni frastagliati, le strade tuttavia erano ancora vuote e silenziose, soltanto alcuni gabbiani avevano già iniziato a pescare e si muovevano a stormi, emettendo lunghi garriti per poi buttarsi a picco su quel mare blu, limpido e calmo.
Quel tipo solitario, che portava dignitosamente i suoi quasi cinquant’anni di una vita vissuta tra mille tribolazioni, seguiva con scrupolosità le indicazioni della sua vecchia bussola che, però, sembrava non funzionare più alla perfezione come in passato.
Mentre continuava a camminare risalendo tra sbuffi e mugugni su per una stradella ripida, dei poveri marinai cominciarono ad uscire stiracchiandosi dalle loro umili capanne di legno e palme e sembrarono stupiti di vedere passare qualcuno proveniente dal mare a quell’ora, o forse erano semplicemente incuriositi dal suo aspetto esotico e decisamente singolare.
Ciò nonostante il forestiero, del tutto indifferente alle loro occhiate sbigottite, continuò a incedere in quella sua strana maniera sbilenca, finché non giunse in cima a una scogliera dalla quale si poteva ammirare un semplice ma incantevole paesaggio marino che pareva quasi uscito da un quadro a olio.
Anche lassù sorgevano sparute abitazioni, ma la maggior parte di esse aveva mura di pietra e mattoni e un’architettura nel complesso più ricercata ed elegante, contornata da una florida vegetazione tropicale rappresentata per lo più da palme e buganvillee.
Regnava un silenzio irreale, frammentato unicamente dal lieve soffiare della brezza di levante, poi, tutto d’un tratto, si udì riecheggiare una voce infantile:
- Noi siamo pirati e ci piace perché la vita è fatta per noi! Yo ho, yo ho
- La spada, il corvo, il mare – canticchiò di riflesso l’uomo, proseguendo l’allegro motivetto.
Il bambino si guardò attorno un po’ spaventato, perché quando era arrivato non aveva scorto altre persone nelle immediate vicinanze ed era sicuro di non essere stato seguito.
- Nessuno canta più questa canzone – proferì quel qualcuno con lo stesso tono basso e ironico, stavolta giungendo esattamente alle sue spalle.
Il ragazzino si voltò di scatto, reprimendo un singulto nell’istante in cui scoprì chi era stato a rispondergli: non lo aveva mai incrociato prima d’allora, e, d’altronde, se gli fosse capitato, avrebbe sicuramente ricordato l’incontro con un personaggio dall’aspetto così bislacco.
Lo scrutò dal basso in alto: i suoi stivaloni consunti erano bagnati e avevano qualche foro, i pantaloni grigi di stoffa grezza presentavano qualche rattoppo e qualche strappo sulle ginocchia, una spada e una pistola dall’apparenza tanto usurata quanto minacciosa facevano bella mostra di sé nel cinturone a tracolla; in testa aveva un tricorno tutto ammaccato e scolorito, mentre un lungo tabarro scuro e logoro copriva la sua persona. In una mano teneva una bottiglia mezza vuota, nell’altra una sorta di bussola.
Ma la cosa più strana erano sicuramente i suoi capelli: insolitamente lunghi e raccolti in ciocche separate cui erano intrecciati svariati ciondoli variopinti; non aveva mai visto nessuno con un’acconciatura simile! Qualche perlina colorata gli ornava perfino le due bizzarre treccine che gli pendevano dal mento. E i suoi occhi scuri e profondi, poi, erano contornati da un’intensa tonalità bluastra, che li faceva apparire seri e impenetrabili.
- Come fai a conoscere questa canzone? – domandò con accento sospettoso lo sconosciuto, piegando il capo per squadrarlo in maniera piuttosto insistente.
Il bambino era impulsivamente arretrato di qualche passo, continuando a osservarlo con un misto di soggezione e incredulità. Credeva quasi che fosse un fantasma e fu solo dopo qualche attimo di esitazione che con un filo di voce riuscì a replicare: - Mia madre, signore … Me la cantava sempre quando ero più piccolo.
- Ah, sì? – ribatté distrattamente l’enigmatico straniero dopo aver bevuto un buon sorso dalla fiaschetta, come se la risposta ricevuta fosse stata la più ovvia.
- Cercate qualcuno? Come vi chiamate? – chiese il piccolo, presosi di coraggio, notando che quel tizio esaminava con insistenza la propria bussola e la direzione in cui sorgeva la sua casa. Lui lo ignorò seguitando a spostarsi lievemente a destra, a sinistra, avanti, indietro, senza staccare lo sguardo corrucciato dall’ago magnetico che pareva far le bizze.
- Non vi sembra strano che un bambino tanto piccolo come me se ne vada in giro a quest’ora? – lo interpellò ancora il ragazzino con voce cantilenante, cercando di attirarne l’attenzione che pareva catturata da qualcosa a lui invisibile.
Anche se vi riuscì, non ne fu proprio contento perché quello lo fissò assottigliando le palpebre, serrando le labbra in un ghigno e assumendo un’espressione tra l’adirata e l’aggressiva che gli fece temere qualche gesto violento nei suoi riguardi, tuttavia si limitò a scuotere il pizzetto biforcuto e sollevare le spalle, come se avesse voluto scrollarsi di dosso della tensione nervosa accumulata, e, con la stessa rapidità con cui era comparso, quel cipiglio intimidatorio svanì dal suo volto abbronzato che ritornò ad essere disteso e serafico.
- Come ti chiami, figliolo? – parlò di nuovo con tono affabile, scuotendo il pizzetto biforcuto.
- Jim Turner – lo informò lesto il ragazzino, rasserenatosi per lo scampato pericolo.
- Diminutivo di James, suppongo. Bel nome! – concluse schiettamente l’uomo dopo averci riflettuto un po’, traendo un altro sorso e sorpassandolo per poi proseguire per il sentiero.
- E il vostro nome qual è, signore? – si azzardò a chiedergli Jim girandogli intorno, non potendo contenere la smisurata curiosità che quel bizzarro soggetto gli suscitava.
Lui lo bloccò, poggiandogli una mano sudicia e ingioiellata sulla spalla e, curvandosi su di lui, bisbigliò velocemente: - Figliolo, non occorre che ti occorra conoscere il mio nome, perché colui che sto cercando conosce già il mio nome, ed è bene che altri non lo conoscano, per la nostra incolumità. Comprendi?
Tanto per il suo alito alcolico che lo aveva investito, quanto per quella spiegazione contorta che gli aveva rifilato, lasciarono il bambino restò frastornato per qualche secondo, ma infine gli venne spontaneo domandargli sottovoce quel che aveva immaginato sin da subito, trovandoselo davanti: - Voi siete un pirata?
- È così che ci chiamavano … – costatò l’estraneo dopo un attimo di smarrimento, mentre qualcosa luccicò nel suo sghembo sorriso, restando con lo sguardo stralunato a vagare per l’orizzonte e articolando a vuoto le dita, come avesse davanti al naso qualcosa che non fosse in grado di afferrare.
Il suo piccolo interlocutore cominciò a pensare che quel tizio avesse qualche rotella fuori posto, ma inspiegabilmente ne era allo stesso tempo attratto e affascinato.
- Come hai detto che ti chiami, piccino? – lo svagato biascicare del pirata interruppe i suoi fantasiosi e non troppo lusinghieri pensieri.
- Jim Turner – ripeté con orgoglio e un pizzico di dispetto il ragazzino, guardandolo in tralice con una certa perplessità.
L’estraneo ebbe come un’illuminazione: - Non sarai mica il figlio di William ed Elizabeth Turner? – esclamò alzando il tono e dilatando le pupille, la bocca semiaperta.
- Sì – confermò sicuro il bimbo, notando il repentino cambiamento d’umore dell’uomo, che si era lisciato i baffi e aveva arricciato un sorriso a trentadue denti.
- Allora tua madre deve per certo averti raccontato di me! – sogghignò sornione il filibustiere, allargando le braccia e agitando la bottiglia.
Si avvertì un sibilo fendere lo spazio circostante, poi il contenitore di vetro si frantumò in mille pezzi, schizzando il restante liquido ambrato su entrambi: - Mannaggia! Era l’ultima bottiglia di rum! – gemette l’avventuriero, più arrabbiato che preoccupato, voltandosi freneticamente per tentare di individuare da dove fosse partito quel proiettile.
Jim impaurito si gettò a terra con le mani sopra la testa.
Udì chiaramente un nuovo sparo e poi un tonfo sordo a pochi centimetri da lui.
   
 
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