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Autore: Mordekai    24/12/2017    0 recensioni
''Il destino della Fiamma d’Ambra era incerto.''
Una nuova avventura per i nostri due giovani eroi di Huvendal ha inizio, ma il destino ha deciso di farli separare. Arilyn, dopo il breve incontro con suo padre, Bregoldir e Rhakros, si addormenta con il sorriso sulle labbra in quel regno ultraterreno. Essendo viva e non uno spettro, i suoi ricordi saranno molto confusi. Solo uno shock violento permetterà alla giovane Thandulircath di recuperare i ricordi, ma fino ad allora lei si ritroverà in un regno diverso dal solito, minacciato da oscuri presagi che impregnano d'odio, terrore e violenza la terra bronzea.
Genere: Angst, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Broym Fleu. Mattina. Masseria della Curatrice Bianca.


La ragazza continuava far riflettere il suo potere sul vetro colorato della brocca, incurante della presenza delle due donne. Gli occhi smeraldini affascinarono molto la Curatrice, notando anche un luccichio di malinconia e odio represso. Quelle emozioni aumentarono l’intensità del fascio di luce, con flebili sprazzi di fiamme fino a che la brocca non si ruppe per l’intenso calore. Il rumore dell’acqua che cadde sul pavimento, accompagnata dai cocci di vetro risvegliò la giovane dal suo stato di trance:

‘’Dove…dove mi trovo?’’- chiese, visibilmente disorientata.

‘’Sei al sicuro, non devi temere. Alcune ninfee ti hanno trovato, priva di sensi e ricoperta di ferite orrende, su una zattera di fortuna e ti hanno portato da me. Io sono Uilosbes, ma se preferisci Imryll la Curatrice Bianca. E lei è la mia assistente Elfriede.’’- rispose la donna, chinando il capo in segno di rispetto e recuperando uno dei frammenti della brocca, perfettamente tagliati da quella luce così affascinante.

‘’Vi chiedo umilmente perdono per aver rotto la vostra brocca, ve la ripagherò non appena…’’- si interruppe improvvisamente la giovane per delle fitte dolorose ovunque, che la costrinsero a stendersi sul morbido letto.

‘’Non devi, era una brocca di vetro, non un gioiello inestimabile. Ma dimmi, giovane condottiera, come ti chiami?’’- chiese Elfriede, sistemandole la coperta.

‘’Arilyn. Da quanto tempo sono qui?’’- chiese, osservandosi le mani e le braccia fasciate da bende profumate. La mano destra era ancora gonfia e violacea, e muoveva a stento le dita. La sua espressione di velato disgusto non passò inosservato ad Imryll che andò a sedersi vicino il letto. Dopo un breve sospiro e un battito di mani, la donna disse:

‘’Le nostre Ninfee si riuniscono ogni sei giorni sulle rive del Fleu. Ieri, essendo il sesto giorno, suppongo tu sia rimasta incosciente per cinque giorni. Comprendo il tuo dispiacere nel vedere il tuo corpo ricoperto di fasciature e dolorante, ma vorrei sapere cosa è accaduto. Avevi profondi tagli sulle mani, la mano destra era fratturata dalle nocche alla giuntura del polso, lividi su ogni centimetro del corpo e delle gambe. Essendo una condottiera avrai combattuto contro un qualcosa di feroce.’’

‘’Il Re della Prima Fiamma. Gallart.’’- replicò rapidamente Arilyn, osservando il soffitto. Quel nome faceva riaffiorare quell’incandescente rabbia che reprimeva a fatica.

‘’Ricordi altro?’’- domandò ulteriormente la Curatrice Bianca, prevedendo un ‘’no’’ come risposta. Sentire il nome del Re della Prima Fiamma la sorprese: Una ragazza così giovane è stata in grado di sconfiggere un Re con un potere simile?

‘’I miei ricordi sono confusi. Ci sono sprazzi di luce, imponenti colonne di fiamme, creature fameliche, guerrieri e Titani d’Onice che fronteggiano esseri di pietra, ma nient’altro.’’- furono le parole di Arilyn, senza distogliere lo sguardo dal soffitto bianco, nonostante il continuo bagliore che si sprigionava dalle mani ma senza causare danni.

Nel mentre il cuore della ragazza cercava pace da quell’odio così denso come l’inchiostro, a nord del Broym dove sorgeva la città principale, le strade brulicavano di gioiosi cittadini, chi alticcio dalla sera prima e chi svenuto sulle panche dei negozi antistanti alle carreggiate. Ognuno di loro aveva un piccolo stemma rosso cucito oppure annodato agli abiti, indicando il Regno di appartenenza: eccezione venne fatta ai religiosi che indossavano tutti al polso destro una fascia dorata, agli studiosi una spallina verde muschio e i restanti che si dividevano in fabbri, baristi, scudieri o lavoratori umili venne dato loro il grigio, lo stesso grigio degli abiti del messaggero diretto nella taverna dove i Legionari pranzavano. Non appena entrò, osservò con diffidenza tutti gli altri membri di plotoni del regno e si diresse dai Sette Legionari, seduti ad un tavolo posto in fondo a locale. Un grosso omaccione gli bloccò la strada, dall’odore e igiene discutibili e un viso simile a quello di un maiale:

‘’Cosa ci fa un mingherlino come te in un luogo del genere?’’- chiese, reggendosi a malapena sulle gambe.

‘’Non sono affari che ti riguardano. E dormi di meno nelle stalle, il tuo tanfo mi disgusta l’olfatto.’’- rispose con freddezza il ragazzo, incrociando lo sguardo turchese con il marrone opaco dell’ubriacone. Quella risposta suscitò il riso generale nell’osteria che fece innervosire il soldato. Stava per sferrare un violento pugno sul naso del messaggero, ma si paralizzò non appena scrutò con la coda dell’occhio quel che sembrava un robusto tronco di legno ricoperto di ferro fuso.

‘’Se non vuoi rimpiangere la spalla, cessa la tua ostilità e vattene.’’- disse l’uomo con calma glaciale, tenendo la testa bassa avvolta nel mantello con cappuccio. Diede un colpetto sulla spalla dell’energumeno per costringerlo ad andarsene e così fece.

‘’Ti ringrazio Veldass.’’- esordì il ragazzo, avvicinandosi di poco al tavolo dei Legionari, intenti a consumare il pasto piuttosto che badare a lui.

‘’Per quale motivo sei qui Morkai? Il Concilio non sa l’esistenza di questo posto, dunque perché ci hai seguito?’’- domandò un altro giovane, seduto al fianco di Veldass, da sotto quel che sembrava un pesante cappuccio bordato d’acciaio.

‘’Non vi ho seguito. Ero un legionario come voi, ma la guerra non è il mio forte. Ho un messaggio per il Comandante.’’- replicò alle domande del ragazzo, estraendo l’effige argentata e lanciandola in direzione dell’interessata, immobile intenta ad osservare il tutto.

‘’Il Concilio richiede la tua presenza a palazzo. Immediatamente. Mi dispiace sorella.’’- concluse il ragazzo, voltandosi e dirigendosi all’uscita. L’elmo di rovi si aprì come se avesse vita propria, rivelando un viso delicato, capelli castani rossicci raccolti in uno chignon con alcune piccole ciocche che le ricadevano sulle tempie, naso piccolo e occhi zaffiro che racchiudevano fierezza e istinto di sopravvivenza. La ragazza stinse le dita attorno l’effige, così forte come se volesse soffocarla:

‘’Continua a definirti sua sorella nonostante il vostro legame di parentela diverso?’’- domandò Veldass, pulendo l’arma e osservandola.

‘’Lasciamo perdere. È nato da una famiglia che ha strani principi morali. Ma io non perdonerò mio padre per aver abbandonato mia madre e me. E lo sa anche Morkai, nonostante la sua neutralità sull’argomento. Ci vediamo stasera per la battuta di caccia.’’- rispose il comandante, prendendo alcune monete d’oro e lasciandole al locandiere.

Nel mentre la donna si dirigeva dal Concilio, nella masseria dove Arilyn alloggiava, regnava un tetro silenzio interrotto solo da fracasso metallico delle carrucole e delle armature delle guardie intenti nella loro ronda mattutina. Sentiva nel profondo della sua anima, ardere come un tizzone un sentimento che mai aveva provato prima, così feroce da mettere a dura prova la volontà di reprimerlo. Cadde sulle ginocchia e si strinse nelle spalle, mentre una voce echeggiava nelle sue orecchie:

’Invece di reagire, sei qui a subire e a tormentarti. Troppe emozioni contrastanti e vita mondana ti hanno reso quel che sei ora. Ciarpame.’’
Il suo potere illuminò nuovamente la stanza, mentre il dolore aumentava, l’attanagliava, la soffocava. Una mano delicata si posò sulla sua testa, riuscendo a contrastare quell’accecante barriera di luce. Il contatto le sembrò così familiare da farle alzare la testa di scatto:

‘’Padre?’’- chiese Arilyn, aspettandosi una risposta. Come un pugnale dalla lama gelida che ti penetra nel petto fino a lacerare il tuo cuore, così fu la sensazione che provò la ragazza quando sentì la voce di Elfriede:

‘’No, giovane condottiera. Mi dispiace vederti così e di averti spaventato. Vieni, ho preparato del tè e qualche pietanza.’’
Le due ragazze si diressero ad un tavolo al centro della stanza, dove due tazze piene di un liquido fumante e delle pietanze dall’aspetto invitante erano poggiate. La giovane domestica stava per domandarle altro, quando dalla porta entrò Imryll:

‘’Ho interrotto qualcosa?’’

‘’No. Nulla. Volevo solo…conoscere la sua storia.’’- replicò imbarazzata Elfriede.

La giovane Thandulircath sorrise, stupita da quella richiesta e accettò volentieri di narrare la sua vita. Raccontò di essere cresciuta ad Huvendal, durante la tirannia della Regina di Ghiaccio che minacciava da tempo quel regno. I suoi veri genitori morirono mentre lei era ancora in fasce e fu accudita da uno stratega chiamato Vorshan che le insegnò come sopravvivere e combattere contro i pericoli che si annidavano nell’oscurità gelida. Narrò di come il suo potere si rivelò nel suo accecante e temibile vigore e di come, grazie all’aiuto del Re Searlas, dei suoi amici e compagni riuscì a controllarlo e a renderlo sempre più forte. Un paio di anni dopo il terribile scontro tra il suo regno e la Regina di Ghiaccio, il suo regno visse una breve pace che venne interrotta dall’arrivo del fratello maggiore della donna, Gallart il Re della Fiamma. Quest’uomo ambiva al potere assoluto, alla conquista e alla sottomissione di ogni regno sfruttando il potere dell’Eclissi Arcana. Dopo innumerevoli delusioni, sensi di colpa, impotenza e affranto, lei e quel piccolo esercito che era riuscita formare, sconfisse Gallart nonostante avesse una morale diversa:

‘’Solo…che senso ha vincere quando perdi una persona amata? Senti un vuoto che ti logora.’’- disse Arilyn, stringendo la tazza tra le dita, mentre i suoi occhi vagavano lontani, alla ricerca disperata di un qualcosa di irraggiungibile. Bevve un sorso di tè e lo mandò giù, non rendendosi conto delle lacrime che le rigavano il volto. Imryll posò la mano sulla spalla, confortandola e sorridendole.

‘’Ti aiuteremo a tornare nella tua patria, ma il Concilio dovrà prima fidarsi di te. E constatare che tu non sia una spia del regno nemico.’’- disse la domestica, posando la tazza nel lavabo di marmo. La Curatrice Bianca spiegò che il loro regno era governato dal Concilio delle Sette Sorelle, discendenti di una stirpe di onesti re e regine. Ogni cento anni, venivano scelte sette primogenite maggiorenni dal concilio precedente e il loro colore era il porpora o le sue sfumature. Da quando il Regno dei Rovi Bianchi continua ad attanagliare con sanguinose crociate il loro popolo, qualsiasi straniero che varcava i confini doveva presentarsi a corte e giudicato.

‘’L’ultimo straniero giunto nel nostro paese è stato qualche mese fa e adesso lavora per me. È una delle sentinelle mattutine, un ragazzo molto intelligente e pieno di energia, solo un po’ polemico quando la temperatura è più calda.’’- affermò Imryll, ridacchiando. Quando il suo sguardo volse alle sentinelle poste all’entrata della masseria, la donna notò che la sua ospite doveva ritrovare le forze e guarire, così si preoccupò di creare un programma di allenamento per tonificare il corpo ed esercizi per impedire che la mano destra perdesse vigore.

‘’Elfriede, non ti dispiacerà aiutare Arilyn con i suoi allenamenti giornalieri?’’- chiese la donna, spostandosi i capelli da un lato e sorridendo.

‘’Assolutamente.’’- rispose la ragazza, sorpresa per tale compito.

Arilyn non seppe cosa dire, e incontrare due donne così allegre dagli usi e costumi diversi da quelli del suo regno, la facevano sentire diversa ma a suo agio. Quello stesso giorno, Elfriede insegnò alla giovane Thandulircath diverse tecniche per coordinare il respiro e resistenza, percepire meglio gli odori e i suoni bendandola per pochi minuti e esercizi per far ritrovare sensibilità e moto alla mano fratturata. La ragazza si meravigliò della corporatura atletica della giovane donna, i vestiti lunghi e ordinati tradivano il suo vero aspetto. Dopo poche ore, l’ultimo esercizio fu quello di usare nuovamente il suo potere, concentrandosi in diversi punti che avrebbe indicato Elfriede con un bastoncino:

‘’Più sarai concentrata sul bersaglio, più il colpo sarà preciso.’’

Titubante osservò le sue ferite che lentamente si risvegliavano dal torpore dell’allenamento, ma non fu l’unica cosa a destarsi: quelle fasciature, quelle piaghe fecero ardere la rabbia che provava ancora contro Gallart e lasciò che la sua luce le avvolgesse le mani. Un semplice movimento delle mani e dei fasci splendenti colpirono il bastone, bruciandolo e riducendolo in cenere, ma non fu l’unico ad essere ridotto così. Anche la staccionata e un albero lì vicino vennero tranciati in due, mentre piccole venature dorate brillavano sul legno.

‘’L’albero era ormai morto ma…la staccionata l’avevo riparata due giorni fa.’’- disse improvvisamente Imryll, poggiata sull’uscio e scosse la testa contrariata.

‘’Mi perdoni, non sono riuscita a controllarmi.’’- rispose Arilyn, amareggiata per il danno commesso alla proprietà.

‘’Non importa. A volte bisogna sacrificare qualcosa per raggiungere uno scopo.’’

Nuovamente quella sensazione di estraneità si insinuò nella giovane Thandulircath, mentre il suo corpo chiedeva pietà per gli sforzi compiuti. Prima di rientrare dentro, la Curatrice Bianca notò che dal cielo stava giungendo un Aardvark, un animale simile ai suoi fratelli volatili ma che si distingueva per le ali munite di membrana, becco lungo e sottile, quattro zampe artigliate e piumaggio simile al leggendario grifone. Nonostante la sua stazza, si posò sulla staccionata con leggerezza ed eleganza:

‘’E tu cosa ci fai qui? Hai un messaggio per me?’’- chiese la donna, avvicinandosi e carezzandogli il becco.

‘’Il Concilio delle Sette Sorelle è venuto a conoscenza del suo segreto, dama Imryll. Il suo ospite rischia l’esilio o peggio se non si presenterà immediatamente a palazzo. Soprattutto se sua figlia Iridia verrà informata di questo.’’- rispose la creatura, comunicando telepaticamente.

‘’Non devi temere. Il mio ospite è pura di cuore, ha un animo tenace e nonostante le sue ferite, non si arrende facilmente.’’

‘’Mi auguro che questa giovane Thandulircath venga accettata. Ora, mi perdoni, ma devo riposare.’’- replicò la creatura senza nome, spiccando il volo e dirigendosi verso la fitta boscaglia. La Curatrice Bianca era sicura delle sue parole e sapeva che sarebbe successo, conoscendo il potere della Sorella Maggiore. Il sole del mezzodì splendeva nella sua reale bellezza, accogliendo nel suo caldo abbraccio la terra smeraldina, mentre Imryll parlava con Arilyn; ognuna era curiosa del passato dell’altra, della sua storia, delle origini e del perché avessero scelto il proprio ruolo. La donna si ricordò che in serata avrebbe avuto ospiti provenienti dalla città reale e che nessuno, nemmeno Elfriede, avrebbe dovuto interrompere il loro colloquio:

‘’Sono amareggiata, ma queste persone sono molto autoritarie, persino con le Sette Sorelle.’’

‘’Non si scusi, è volere del suo regno.’’- rispose Arilyn, alzandosi, ancora indolenzita dall’allenamento e si diresse nella sua stanza lentamente. Le fasciature iniziavano a scolorirsi e ad impregnarsi di sudore, mentre la mano fratturata pulsava, sovrastando il dolore corporeo. La domestica le preparò un bagno caldo, delle fasciature pulite e abiti che erano rimasti nell’armadio.

‘’Io sono qui fuori, quando avrai terminato, chiamami.’’- disse Elfriede. La giovane si congedò con un cenno del capo e decise di immergersi fino al mento, lasciando che l’acqua lambisse il suo corpo e diminuendo il supplizio che stava provando. I suoi occhi tornarono a vagare nel vuoto, alla ricerca di un qualcosa.

Draal In'llolus Gaeur. Regno dei Rovi Bianchi. Primo pomeriggio.

Una pallida luce filtrava tra le grate di fatiscenti e lugubri celle grigie, dalle pareti umide e muschiate. Dell’acqua piovana gocciolava dai mattoni crepati del soffitto, precipitando sulla pelle nuda dei prigionieri e facendoli rabbrividire. I loro lamenti infastidirono un paio di guardie appostate agli estremi del corridoio; una di loro colpì le inferriate con una mazza chiodata, sbraitando contro di loro:

‘’Fate silenzio, maledetti cagnacci.’’

‘’Frena la tua rabbia soldato. Abbiamo un nuovo ospite. Apri la cella.’’- esordì un generale, completamente protetto da una corazza fatta di scaglie argentate e marchiate da uno stemma che raffigurava una fiamma, due spade e un rametto di rovi. Altri due soldati comparvero dall’oscurità trascinando un ragazzo con una divisa arancione e marrone, strappata e annerita dal fumo.

‘’Subito Generale Sylrach.’’- rispose il soldato, aprendo la rugginosa porta e permettendo ai commilitoni di lanciarvi dentro il prigioniero, come un sacco di patate marce. D’un tratto, l’uomo corazzato estrasse la sua spada e la puntò alla gola del soldato al suo fianco e, seppur coperto dall’elmo, il suo sguardo era intriso di odio:

‘’Che cosa ho detto riguardo al mio vero nome? È Galeren, non Sylrach. Io odio il mio passato e il luogo dove son nato. Dunque, se non vuoi che ti sgozzi come si fa con i vitelli non sbagliare.’’- detto questo, l’uomo rinfoderò la spada e andò via, lasciandosi alle spalle un soldato intimorito da quell’eccessiva reazione che per qualcuno poteva essere ragionevole, per altri folle. All’esterno della prigione, invece, gruppi di soldati in livrea bianca erano appostati sugli immensi scaloni di un palazzo costruito ai piedi di un gigantesco albero che avvolgeva con i suoi verdeggianti rami una sfera ambrata, luminosa e quasi viva come un fuoco fatuo. Migliaia di case, palazzi dai tetti a punta o a cupola, templi antichi e biblioteche circondavano il palazzo del nobile regnante, rendendo lo scenario un quadro di colori e forme turbinanti fra loro. All’interno della casa signorile, una donna dai lunghi capelli corvini sedeva sul suo trono, intenta a leggere rapporti e scartoffie varie fino a quando l’udire di metallo cozzare sul lucido pavimento la fece scattare:

‘’Galeren, qual buon vento ti porta da me?’’- chiese lei, raggiante nel vedere il generale giungere a corte. L’uomo si tolse il pesante elmo, mostrando un viso giovanile ma segnato dalle varie guerre affrontate, rendendolo affascinante e dal temperamento serio. Si inginocchiò e disse:

‘’Mia Regina, abbiamo un nuovo ospite nelle prigioni sotterranee del regno. È stato trovato incosciente nel porto di Slujuhr da uno dei nostri ricognitori e crediamo sia una spia dei Rovi Rossi camuffato da mercante. Chiedo che venga giustiziato all’istante.’’

La donna, ancora seduta sul suo trono, chiuse gli occhi per riflettere e decidere il destino del prigioniero. Conosceva benissimo il desiderio di sangue di Galeren, soprattutto in combattimento. Percepiva quell’assetata belva nascosta dentro di sé reclamare il premio, ma riuscì a frenarla rispondendo:

‘’A breve avrà inizio il torneo dell’Ambra, lì decreterò la mia sentenza. Puoi andare ora, caro Galeren.’’
Tale risposta lasciò interdetto l’uomo, ma disobbedire agli ordini della Regina era considerato tradimento, punibile con la decapitazione pubblica. Si congedò, dirigendosi nuovamente nelle prigioni, attendendo che il suo ‘’futuro’’ sfidante si svegliasse.

’Mi auguro che questo ragazzo possa dimostrare ciò che mi ha detto il ricognitore, o sarò costretto a punire lui per menzogna.’’- pensava tra sé e sé il generale, mentre lasciava il palazzo, con indosso il suo fidato elmo. Dietro una delle colonne del palazzo, una misteriosa figura ascoltava i discorsi di elogio del generale. Indossava un mantello nero come la notte, con rifiniture bluastre sul petto e sul cappuccio. Il viso dipinto di nero con diversi tribali bianchi sotto gli occhi e sulla fronte gli donavano l’aspetto di un demone oscuro dalle fattezze umane. Assicuratosi che nessuno lo vedesse, scomparve nel nulla per materializzarsi in una grande sala ovale, dove lo attendeva una donna dai lunghi capelli bianchi legati in una coda.

‘’Allora? Cosa hai scoperto dai nostri ‘’fratelli’’?’’- chiese lei, osservando il ragazzo con i suoi occhi blu ghiaccio.

‘’Nelle loro prigioni è giunto un nuovo ospite. Presumono sia una spia del regno nemico e lo faranno lottare nel Torneo d’Ambra. Quello che non sanno è che quel ragazzo è l’ultimo discendente dei Varg. E anche lui ha un potere innato’’- rispose quasi sibilando, togliendosi il cappuccio e mostrandosi in una folta chioma bionda. Quella scoperta lasciò sbigottita la donna, ma compiaciuta del fatto che le difese dei Rovi Bianchi erano inesistenti ed era fin troppo facile scoprire dettagli utili. L’uomo si avvicinò lento alla sedia e volse lo sguardo verso l’alto, dove una gigantesca crisalide pendeva sotto una sfera d’ambra, simile a quella dei Rovi Bianchi ma più scura e solcata da crepe rosse:

‘’Presto il nostro Re tornerà a vivere e potremmo ristabilire il vero ordine della natura.’’

‘’Presto, caro fratello.’’- rispose la donna, stringendo la mano sulla spalla.

D’un tratto, dall’oscurità della sala comparve un’altra misteriosa figura, robusta e alta e dallo sguardo gelido. Il viso era celato da una maschera nera ma consentiva di vedere gli occhi, rossi come quelli di una bestia terrificante:

‘’Voi due non dovreste essere qui e disturbare il sonno di nostro padre. Ad ogni modo, nel Broym Fleu, è giunta una ragazza. Una Thandulircath e a quanto sembra è anche lei l’ultima discendente della propria stirpe. Ora abbiamo scoperto che entrambi sono rispettivamente nei popoli che noi odiamo. La ragazza ha perso la memoria, mentre il ragazzo è solo indebolito. Faremo in modo che i Rovi Rossi e Bianchi si scontrino in una sanguinosa e cruenta guerra e allora agiremo.’’

Quelle parole suscitarono una malefica ilarità dei presenti. Dai drappi appesi alle colonne ormai logorate dal tempo, si intravedeva un simbolo familiare ma che era stato cancellato dai fumi delle candele.
Nel mentre i loschi figuri tramavano qualcosa di diabolico, l’ultimo dei Varg venne svegliato bruscamente da una secchiata d’acqua gelida, tanto da mozzargli il fiato e fargli digrignare i denti. Sentire le risate del soldato lo irritarono e il suo potere oscuro serpeggiò fino alla gola dell’uomo, per poi stringersi attorno ad esso e attirarlo con violenza verso le sbarre. L’impatto brusco con il metallo lo stordì ma il secondo colpo fu quello decisivo per farlo crollare a terra, privo di sensi.

‘’Come…come ci sei riuscito ragazzo?’’- chiese una voce anziana, nella penombra della cella. In un primo momento pensò di aver sognato quella voce, ma quando un rumore di catene e passi nell’acqua putrida della cella lo convinsero di non essere solo. Un viso che un tempo avrebbe dimostrato fierezza ora era consumato dal tempo, emaciato e ricoperto di lividi. Quel buon uomo stava per compiere un ultimo passo, ma la catena che cingeva la sua caviglia gli impedì di proseguire oltre. Un altro uomo, leggermente panciuto, si avvicinò a pochi metri dal giovane ed esordì, con voce rauca:

‘’Perdona il nostro aspetto poco elegante, essendo prigionieri non disponiamo di indumenti adatti. Noi vadrukr valiamo meno dei maiali nei macelli. Tu chi sei, comunque?’’

‘’Io sono Darrien, ultimo dei Varg, generale d’élite Merfolk e gradirei sapere dove mi trovo.’’- rispose lui, tenendo d’occhio i due uomini, incerto se fidarsi di quegli sconosciuti. L’anziano emaciato si sedette, comprendendo il disagio del nuovo ospite e assumendo una posa simile alla meditazione, cercò di trasmettere il suo spirito d’amicizia e di pace.

‘’Darrien dei Varg, dalle voci che circolano tra i guardiani di questa prigione sotterranea, ti considerano una spia del regno vicino e sei stato trovato sulla banchina del porto. Da quando Galeren, il generale dell’armata del regno è al comando, per lui tutti gli stranieri sono spie o trasgressori. Sei fortunato che non ti abbiano ucciso prima di portarti qui. Il Generale è una bestia assetata di sangue e gode nel vedere la sofferenza altrui.’’- disse il vecchio, restando nella stessa posizione mentre i suoi occhi restavano vigili su di lui. Darrien si poggiò alla colonna della cella e ripensò a tutto quel che aveva fatto nel corso dei suoi anni: nella sua mente comparvero migliaia di immagini tra guerre, amicizie e la scoperta dell’amore che il suo cuore potesse provare per una persona.

‘’Oh Arilyn, prego le stelle che tu stia bene.’’- disse tra sé e sé. Prima che potesse dire altro, giunse un servo ad annunciare a gran voce ai prigionieri che alle prime luci del nuovo dì, avrebbe avuto inizio il Torneo dell’Ambra ed un altro servitore portò l’equipaggiamento per lo scontro. Pezzi di armature danneggiate legate da fili di lana sottili, spade scheggiate e elmi ammaccati. L’energumeno panciuto si lamentò delle condizioni dell’armamentario e la risposta fu il lancio di una mela marcia contro il suo naso da suino.

‘’Per vincere una guerra non serve avere una corazza lucente o una spada ben affilata. Serve il cervello, l’astuzia.’’- disse nuovamente il vecchio, indicandosi la testa per far comprendere il concetto e si rintanò nell’oscurità con quei pochi ferri arrugginiti. All’esterno si udiva un gran fracasso di catene, calderoni di pece liquida trasportati in un carro, martelli e reti con sfere di metallo ai bordi per bloccare l’avversario.
Le torce vennero spente, permettendo alla tenebra di accogliere tra le sue braccia l’intera stanza e lasciare che i pensieri affollassero quegli androni cupi e marcescenti. I respiri pesanti e il russare rumoroso degli altri prigionieri era l’unica sinfonia che impediva a Darrien di sprofondare nei suoi incubi. Tra le mani stringeva l’unico pugnale rimasto dallo scontro di Gaelia, ancora sporco di sangue e una sostanza argentea che aveva fuso parzialmente la lama:

‘’Ragazzo? Tu con la divisa ascoltami un secondo.’’- sussurrò una voce dalla cella opposta, attirando l’attenzione di Darrien.

‘’Che cosa vuoi?’’- domandò contrariato e stanco già di ritrovarsi una nauseabonda stanza.

‘’Io conosco un modo per uscire da questo porcile. Ho conservato due boccette di un intruglio che preparai prima che mi catturassero. Ho aspettato anni prima che potesse giungere alla consistenza esatta. Tieni, una per te, e una per me. Bevila e l’indomani verrai messo su un carro di buoi diretto al porto e gettato in mare. Cibo per pesci.’’- disse l’uomo, facendo rotolare la piccola boccetta contro il bordo della cella. Il ragazzo l’afferrò e finse di berne il contenuto. L’altro prigioniero, in preda all’isteria iniziò a rotolare nella sua cella infastidendo ulteriormente gli altri detenuti prima che un soldato di turno non lo colpì più volte e con violenza sul volto, infierendo e insultandolo.

‘’Luridi cani che non siete altro, non vedo l’ora che il Generale vi uccida domani e tinga le pareti con il vostro inutile sangue.’’- urlò, posando il manganello nella cintola e uscendo, chiudendo la porta con forza.

‘’In quale inferno sono precipitato questa volta? Non bastavano le stranezze di Gaelia, adesso anche il sadismo e la crudeltà di un soldato devo sopportare.’’- pensò il ragazzo, cercando di riposare almeno per qualche ora, prima dello scontro che avrebbe decretato il suo destino.

E mentre il dio del sonno e la dama della notte accoglievano il giovane nel loro abbraccio, all’interno del palazzo si festeggiava e si trangugiavano abbondanti pietanze, tra carne aromatizzata, verdure e altre leccornie. Galeren e la Regina si scambiavano effusioni a tavola, altri nobili ridevano sguaiatamente, altri ancora addormentati e con boccali di vino riversati sulle loro grosse pance; una ragazza, molto giovane, dai lunghi capelli neri raccolti in una lunga treccia tenuta ferma da una spilla argentata e dagli occhi zaffiri, disgustata da quello spettacolo si alzò e se ne andò:

‘’Figlia mia, dove vai?’’- domandò la regina, con falso interesse.

‘’Ovunque dove la vostra ingordigia e purezza non mi infetti.’’- rispose a gran voce, senza voltarsi.

Broym Fleu. Sera. Masseria della Curatrice Bianca.

All’interno della Masseria, Imryll discuteva con i nobili del regno giunti da lei per parlare di questioni del paese, del fatto che lei dovesse unirsi alla Chiesa dei Guaritori Kofocress invece di vivere in un luogo così lontano dalla città, fazioni politiche, economia e molto altro. La giovane Thandulircath invece respirava la brezza leggera e i profumi che essa trasportava, seduta nell’erba fresca e bagnata dalla rugiada. La luce argentea della luna illuminava l’edificio e faceva risplendere le corazze dei soldati posti all’entrata, nel mentre piccole lucciole volteggiavano tra gli steli, donando al luogo un aspetto quasi d’umana bellezza. Si mosse dall’uscio e iniziò a camminare a piedi nudi nell’erba sottile, provando una sensazione familiare: nella sua mente riaffiorarono ricordi di quando era bambina e Vorshan la faceva camminare a piedi nudi nella casa, sia per farle conoscere ogni superficie sia perché indossare stivali era ancora presto. Continuò a camminare fino a giungere all’entrata della masseria e uno dei giovani soldati, notandola, esordì timido:

‘’Il dio del sonno non riesce a placare i suoi pensieri, dama?’’

‘’No, questa notte difficilmente troverò pace.’’- rispose Arilyn, tastandosi la mano dolorante.

‘’Se mi è consentito, le consiglierei di sedersi in riva ad un laghetto che si trova a pochi metri da lì. Lo abbiamo chiamato Laghetto delle Lucciole Dormienti, dato che sono loro a condurre in quel piccolo posto finché non svaniscono nel buio per dormire.’’- replicò il giovane guardiano, indicando lo sciame luminoso che danzava nell’erba bagnata. La giovane Thandulircath sorrise e ringraziò il soldato, augurandogli la buonanotte. Quando giunse nel piccolo spazio verdeggiante, le lucciole spensero il loro fulgore accogliendo la giovane e addormentandosi: la luna si rifletteva in quello specchio d’acqua trasparente, donando altra luce a quel piccolo posto. Non appena si sedette i suoi occhi divennero pesanti e il corpo si rilassò, sbalordendo la ragazza per l’immediatezza. Stava per cedere al torpore del sonno quando dei rumori non destarono il suo istinto che la indusse a nascondersi dietro qualche arbusto. Delle voci femminili, gioiose e ridenti colmarono il silenzio:

‘’Finalmente. Erano mesi che volevo portarti al Laghetto delle Lucciole, ma tra i vari impegni con le Ninfee e tenere saldo l’equilibrio della natura, il tempo che passavo in tua compagnia si è ridotto ad un granello di sabbia. Devi perdonarmi per averti trascurato.’’

‘’Atlantia, non devi temere. Entrambe abbiamo impegni che vanno rispettati e richiedono pazienza. Questa era l’unica sera che potevo rivederti e stare con te.’’- rispose la ragazza, sorridendo. Arilyn aprì un piccolo spiraglio tra gli arbusti, riuscendo a scorgere Elfriede e la Ninfea Atlantia che si tenevano per mano e restarono a guardarsi negli occhi, senza dire nulla. La giovane Thandulircath sorrise nel vederle felici per il loro amore, ma sentiva un vuoto incolmabile nel suo petto. Un vuoto indescrivibile.
D’un tratto, un altro rumore sinistro interruppe quell’intimità: uno sghignazzare isterico, un fracasso di metallo e legno che si interruppe con lo scocco di una freccia nella direzione delle due donne. Dall’oscurità comparve un uomo che dava l’impressione di uno sciacallo, dagli occhi folli e il sorriso maniacale:

‘’Una intimità così proibita. Due donne dalle forme prosperose mi farebbero comodo per soddisfare ogni mio efferato desiderio.’’- disse il folle, leccandosi oscenamente le labbra.

‘’Frena quella lingua da serpente e vattene. Sfoga ogni tuo losco desiderio in qualche catapecchia ai confini del sud.’’
Lo sciacallo, furibondo per l’insulto, sfoderò diversi pugnali dalle lame scheggiate e alcuni di loro caddero nel lago e altri finirono nel cespuglio dove Arilyn era nascosta. Atlantia si parò davanti ad Elfriede, per proteggerla da quel losco folle:

‘’La mia lingua non si fermerà su quel tuo corpo, andrà ben oltre…’’- disse l’uomo, facendo guizzare i suoi occhi sbarrati sul corpo della Ninfea che restava impassibile. La giovane Thandulircath, disgustata da quelle parole riprovevoli, afferrò il pugnale e sfruttò il suo potere per renderlo più letale. Uscì in avanscoperta, avvolta da una abbagliante luce dorata e scagliò con tutta la rabbia il pugnale che andò a conficcarsi nello stomaco del criminale, bruciandogli la carne e facendolo urlare dal dolore.

‘’Maledetta, ucciderò anche te, puoi starne certa.’’- sbraitò, mentre il sangue sgorgava come un ruscello dalla grotta. Arilyn lo afferrò per il collo mentre la rabbia accresceva il suo potere che si insinuò sotto la pelle dell’uomo, percorrendo ogni vena del corpo. La carnagione itterica dello sciacallo iniziò a carbonizzarsi, un fulgore dorato fuoriusciva dalla sua bocca e dai suoi occhi, fin quando non restò nient’altro che cenere. La Ninfea restò stupita da quell’evento, grottesco e meraviglioso allo stesso tempo. Quello sforzo fece barcollare la Thandulircath fino a farla poggiare al tronco di un albero:

‘’Arilyn? Che cosa ci fai tu qui?’’- domandò Elfriede, temendo una reazione negativa da parte della Ninfea.

‘’Perdonatemi per l’irrispettoso comportamento nei vostri confronti e per aver scoperto il vostro amore segreto. I miei pensieri mi impedivano di riposare e, una delle sentinelle della masseria mi ha suggerito questo luogo per poter far rilassare il corpo e lo spirito. Almeno…state bene.’’- rispose la ragazza, scivolando sull’erba, esausta.

‘’Dunque lei è la ragazza che ho condotto dalla Curatrice Bianca giorni fa…Se mi è concesso, tu sei un Araldo della Luce, vero? Quale è il tuo nome?’’- chiese curiosa Atlantia.

‘’Arilyn, ultima dei Thandulircath. Lieta di conoscerti, Atlantia…E per la tua domanda, sì. Sono un Araldo della Luce.’’- rispose quasi sussurrando la giovane.

La Ninfea divenne pensierosa e allo stesso tempo preoccupata per due semplici motivi: il Concilio non si fida facilmente di creature celesti o Araldi, soprattutto se questi sono ancora stranieri nel regno mentre l’altro motivo è che, durante lo scontro, la luce della ragazza potesse aver attirato l’attenzione di qualcuno esterno alla masseria. Arilyn si addormentò finalmente e le due donne decisero di restare in quel luogo fino all’alba, pregando che nessuno avesse notato quell’evento. Quando l’argentea stella abbandonò il firmamento per riposare, il Sole sorse splendente da dietro i monti. I suoi raggi dorati filtrarono tra i rami smeraldi degli alberi, poggiandosi con delicatezza sulle tre giovani che dormivano sotto un cedro profumato. Un rumore di metallo trascinato svegliò le ragazze, facendole scattare in avanti temendo fosse un altro nemico, ma quando dall’oscurità comparve la giovane sentinella della masseria, la paura scomparve dai loro cuori:

‘’Che cosa è accaduto ieri notte? Ho visto un bellissimo e accecante bagliore provenire da qui, ma non potendo abbandonare la mia postazione non sono…’’- le parole della sentinella morirono nella sua gola vedendo degli abiti bruciati e della cenere su di essi. Dal tipo di tessuto comprese che uno sciacallo aveva cercato di aggredirle, ma nessuna traccia del corpo.

‘’Siete fortunate che la Curatrice Bianca non ha notato nulla di tutto questo, i nobili e lei hanno discusso fino ad un paio di ore fa. Si preannunciano tempi bui da quello che ho sentito.’’- riprese a dire la sentinella, preoccupato.

‘’Che cosa intendi?’’- chiese Arilyn, stringendo i denti per dolore fitte alla mano.

‘’I vecchi nobili e i Kraelk, altri spiriti delle foreste di cui Hosral fa parte, temono l’arrivo di una potente armata, forgiata dall’odio che tinge la terra ormai da secoli. E purtroppo, lo credo anche io.’’- rispose il ragazzo, togliendosi l’elmo e mostrando un viso liscio, come se avesse appena compiuto la maggiore età. Il soldato invitò Elfriede e Arilyn a tornare nella masseria, mentre la Ninfea tornò al suo dovere ma prima salutò la sua dolce compagna baciandola dolcemente.
Quando rientrarono, la Curatrice Bianca le stava aspettando ancora sveglia, e i suoi occhi tradivano tutta la stanchezza e il sonno vietato dal lungo dialogare. Non appena vide le due giovani donne e la sentinella sulla porta, si sentì rasserenata:

‘’Per fortuna siete ancora vive. Il mio animo era irrequieto e preoccupato per la vostra incolumità questa notte. Fate colazione e ripulitevi, a mezzodì ti condurremo dal Concilio. Ora vogliate scusarmi ma devo…devo riposare…’’- disse sbadigliando, mentre si dirigeva nella sua stanza. Le due ragazze fecero colazione e si ripulirono, ma il viso della giovane Elfriede tradiva un sentimento di preoccupazione, così come per la sentinella e per la sua amata Atlantia; restò a fissare il vuoto per un breve lasso di tempo, prima che Arilyn potesse farla rinsavire.

‘’Elfriede, tutto bene?’’

‘’Io? Oh, sì non temere. Dobbiamo cambiare la fasciatura, è nuovamente secca ed ingiallita…’’- rispose la ragazza, mentre un tenue rossore si dipingeva sulle sue guance.

‘’I tuoi occhi tradiscono il tuo corpo. Sei preoccupata per qualcosa, e non è l’avvenire dell’oscurità bensì altro.’’- replicò la Thandulircath, porgendo la mano fratturata ad Elfriede intenta a cospargere un unguento profumato e delle erbe sulle garze pulite. Elfriede deglutì rumorosamente, mentre posava con delicatezza le fasciature sulla mano e avvolgendole con cura. Una volta terminata la medicazione, la giovane domestica sospirò e guardo Arilyn negli occhi, meravigliandosi dello stesso colore che aveva.

‘’Sono preoccupata per come reagirà il Concilio in tua presenza. Sono passati ormai giorni da quando sei qui nel Broym Fleu e a loro non farà piacere sapere che abbiamo nascosto una sconosciuta e…’’- Elfriede venne interrotta dal leggero tocco della mano di Arilyn sulla spalla.

‘’Ho superato imprese peggiori di questa. Se dovessero scegliere di esiliarmi, sarà il mio destino e non mi opporrò.’’- rispose lei, sorridendo. Se in passato si sarebbe ribellata ad una qualunque scelta di un re, regina o alto nobiliare di venir esiliata per un qualcosa di ignoto, adesso che conosceva l’agire del Concilio delle Sette Sorelle non avrebbe opposto resistenza per rischiare la vita.

Le ore trascorrevano rapidamente, nel silenzio della masseria, tra odori di spezie profumate, fiori di campo e acquavite, mentre all’esterno le sentinelle si davano il cambio e trasportavano sulle carrucole scatole di rifornimenti, provviste e nuovi abiti per la tarda primavera. Quando un pettirosso si posò sulla cornice della finestra del soggiorno, il suo dolce cinguettio svegliò Imryll dal suo sonno. Si lavò e vestì in fretta e disse alle due ragazze di seguirla alle stalle:

‘’A piedi impiegheremo troppo tempo, quindi andremo a cavallo. Arilyn, tu viaggerai con Elfriede e tenete gli occhi fissi sul sentiero.’’- disse la donna, indossando una divisa dalle spalline di cuoio, un mantello a girandola e pantaloni comodi per la cavalcatura. Prima di uscire, tirò una corda per due volte e il suono di una campanella di richiamo si udì all’esterno, seguito dal nitrire di alcuni cavalli. All’esterno ad attenderle vi era uno stalliere in livrea azzurra che inchinò il capo in segno di reverenza alla Curatrice; i due cavalli erano dei possenti puro sangue, dal manto nero lucido e dalla lunga criniera, mentre gli arti anteriori e posteriori erano protetti da gambali a scaglie esagonali forgiate appositamente per loro, leggere e che permettevano di muoversi rapidamente su ogni tipo di sentiero. Una volta in groppa ai rispettivi cavalli, Imryll ordinò alle sentinelle di aprire il cancello e di sorvegliare ogni lato della masseria fino al suo rientro.

‘’Qualunque straniero che non abbia un nastro o una fascia rossa sul braccio sinistro, immobilizzatelo o usate la forza se necessaria.’’- disse la Curatrice Bianca a gran voce alle sue sentinelle.

‘’Sì, dama Imryll.’’- risposero in coro i soldati, assumendo una posa autoritaria. Mentre si apprestavano a raggiungere il centro del regno, Arilyn osservò come quelle guardie divennero subito minacciose, con le lance incrociate e gli scudi alzati, mentre dalle torri, come stelle, brillavano i dardi dei balestrieri.
   
 
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