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Autore: lady lina 77    18/01/2018    1 recensioni
E se nella scorsa fanfiction mi riagganciavo al finale della S2, ora mi aggancio a quello della S3. Tutto comincia in quella spiaggia dove Demelza, col cuore a pezzi, si concede a Hugh Armitage. E dopo? Se non fosse tornata a casa, cosa sarebbe successo?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Ross Poldark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non doveva recarsi ad Illugan quel giorno ma era dal pic-nic che non vedeva Demelza ed erano passate già due settimane da quel bacio che, d'istinto, le aveva dato nel bosco.

Dopo si era tenuto un po' alla larga per darsi e darle tempo di riordinare le idee sul loro rapporto. Era confuso quanto lei, non sapeva se fosse giusto desiderarla a quel modo e nemmeno se baciarla fosse stata una mossa azzeccata e corretta.

Però era stato magico e meraviglioso baciarla di nuovo, dopo tanto tempo... Era stato come sentirsi a casa, in pace, a proprio agio e in estasi... Ed era stato un semplice bacio. Si chiese se anche lei si fosse sentita così e sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di chiederglielo. Era strano per loro che, una volta, parlavano di tutto, ma da quando lei se n'era andata da Nampara era cambiata molto e in certi frangenti era come avere davanti una persona nuova e sconosciuta, da studiare prima di far qualsiasi cosa...

Dopo quel giorno poi, c'era altro che li aveva tenuti lontani.

Una violenta ondata di maltempo aveva colpito la Cornovaglia con pioggia forte, incessante e ininterrotta. Pioveva da dodici giorni, i fiumi erano ingrossati e la gente del posto era preda di forti preoccupazioni. Il mare era grosso e non si poteva uscire in barca per pescare ma erano i fiumi a destare massima preoccupazione. Ingrossati, vorticosi e al limite, con tutta quella pioggia minacciavano di esondare e allagare ogni cosa.

E Demelza viveva in quel bosco, a pochi metri da un ruscello che ormai doveva essere saturo d'acqua.

Fu questo a spingerlo ad andare da lei. Aveva lasciato i bambini alle cure di Prudie e a cavallo, sfidando la pioggia, coperto da un pesante mantello, si era diretto ad Illugan per controllare lo stato del ruscello ed eventualmente arginarlo con dei massi. Se solo quella dannata testarda di sua moglie avesse smesso di vivere tanto isolata, non avrebbe avuto addosso tutta quell'ansia!

Quando arrivò nel bosco, a pochi metri dalla casa, si accorse però che le sue paure erano in parte infondate. Come suo solito Demelza non era stata con le mani in mano ed aveva arginato il torrente, nei punti più pericolosi, con dei grossi massi che ne deviavano l'eventuale fuoriuscita d'acqua.

Sospirò, rinfrancato. Doveva aspettarselo da lei!

Ma il cielo era minaccioso, pioveva ancora incessantemente ed era meglio andare a vedere come andassero le cose.

Bussò alla porta, chiamandola, non sapendo bene come rapportarsi a lei e come si sarebbe comportata con lui, dopo quanto successo fra loro.

"Ross?" - urlò una voce, da dentro.

Sorrise, Demelza aveva un tono di voce allegro e rilassato, non pareva contrariata dal suo arrivo, né tanto meno in imbarazzo. "Posso entrare?".

"Certo".

Entrò. Il camino era quasi spento ma in casa c'era un calore piacevole. Demelza aveva indosso una mantella, così come la piccola Eleanor che, seduta sul tavolo, si stava facendo infilare degli stivaletti da sua madre. Sembravano in procinto di uscire.

La bimba gli fece un grandissimo sorriso, agitando le gambette nel vuoto, tanto che Demelza fece fatica a infilarle gli stivali. "Ross!" - esclamò, allungando le braccia verso di lui.

Ross si avvicinò alle due, stupito. "State uscendo? Con questo tempo?".

Demelza si voltò verso di lui, sospirando. "Devo andare al villaggio a ritirare la paga per il lavoro svolto in queste settimane. E sono d'accordo con le famiglie per cui lavoro per dare una mano a rinforzare gli argini del fiume. Hai visto come piove? Ho dovuto mettere dei massi pure quì fuori, vicino al ruscello per evitare di avere l'acqua in casa".

Sì, aveva visto, accidenti a lei! Ma l'idea che sua moglie uscisse con quel tempo da lupi lo infastidiva, nonostante tutto fosse sotto controllo. "Vai al villaggio con la bambina? Ma hai visto che tempo c'è? Dove la lasci mentre lavori vicino al fiume? E' pericoloso".

Demelza, del tutto calma e tranquilla, abbottonò la mantellina rossa di Eleanor. "La lascio da Miss Marple. È una sarta come me, lavoro spesso con lei. Ha otto figli piccoli ed Eleanor gioca volentieri con loro. Siamo già d'accordo".

"Ross".

La vocina di Ellie, che voleva attirare la sua attenzione, lo distolse da quella conversazione. "Che c'è, piccola peste?".

Ellie allungò le manine verso di lui. "Accio".

Sospirò. "Vuoi venire in braccio?".

"Sì".

La prese, sollevandola. La bimba gli mostrò Kiky, che teneva fra le braccia. "Bacino!".

"Al tuo coniglio?".

"Sì".

"Non lo vorresti tu, un bacino?".

"Nnnno!".

Stando al gioco, mentre Demelza li guardava divertita, Ross diede un bacio al coniglietto. "Ma dove te lo porti?".

Sua moglie intervenne, lanciandogli un'occhiataccia. "Ho dovuto contrattare con lei, accidenti a te! Non voleva mettere la mantella di lana per tenersi in testa il tuo tricorno e per convincerla ho dovuto concederle di portare Kiky in cambio del cappello. Tu invece, che ci fai quì?".

Ross la guardò storto, mettendosi la bimba sulle spalle. "Sono quì perché quella sconsiderata di mia moglie vive in un posto isolato a rischio inondazione e sono venuto a vedere se per caso fossi affogata".

"Che esagerato! Vivo vicino a un ruscello, non sulle rive del Tamigi".

"Il ruscello sta per straripare!" - obiettò lui, pensando a come quel botta e risposta avesse il sapore di tempi antichi e di un rapporto che gli mancava come l'aria.

Demelza si avvicinò, per riprendersi la figlia. "Su, dammela! Devo andare e sono già in ritardo e come vedi, va tutto bene".

"Vuoi una mano?" - chiese. Non aveva voglia di andarsene.

Demelza ci pensò un attimo, come ponderando una risposta. "Vorrei che smettesse di piovere, di questo avremmo bisogno, ma siccome non succede, se vuoi venire al villaggio con me per dare un aiuto, sei il benvenuto. La situazione rischia di diventare grave, con questa pioggia".

"Sicura?".

"Sì certo, perché non dovrei esserlo?".

Ross si grattò il mento, imbarazzato. "Beh, non ero così certo che fossi contenta di vedermi, dopo... dopo...".

Demelza capì, senza che lui finisse la frase. "Pensavi che fossi arrabbiata con te?".

"Non sapevo che pensare".

Inaspettatamente, lei gli prese la mano, stringendola fra le sue dita. Era calda, dolce e gentile, in quella stretta. "Vorrei fare l'orgogliosa e dirti che no, non lo avresti dovuto fare! E forse è così, però...".

"Però?".

"Però in questi ultimi tre anni, nessuno ha mai avuto per me gesti di affetto e mi ha fatto piacere averne ricevuto uno da te".

Questo gli gonfiò il cuore di gioia. Sapeva quanto dovessero costargli quelle parole e trovò tenero il fatto che fosse arrossita nel pronunciarle... In fondo non era cambiata poi così tanto. "Buono a sapersi" – rispose, in tono leggero.

Lei ricambiò il suo sguardo, decisa. "Questo non significa che puoi rifarlo! Non era un invito".

Non rispose, ma si sentiva leggero e sereno. E forse, nonostante le parole di lei, ci avrebbe anche riprovato...

Rifiutò di dargli la bimba e, al contrario, la tirò giù dalle sue spalle, nascondendola sotto il suo mantello. "Ellie, sta qua sotto al coperto, così non ti bagni. Ora io, tu e la mamma facciamo un giro a cavallo fino al villaggio".

Eleanor spalancò gli occhi, sorpresa e forse spaventata. "Tavallo? Io c'ho palura però".

Era fantastica, riusciva sempre a farlo ridere con quel suo modo buffo di parlare. "Fidati di me, so come si fa a non cadere".

"Mamma" – disse, cercando Demelza con lo sguardo. Beh, forse non si fidava per niente, nonostante le sue raccomandazioni...

Lei la rassicurò. Uscirono fuori, sotto la pioggia battente, Ross con la bimba fra le braccia e Demelza davanti a lui, in sella.

Il tempo era pessimo, il cielo di un grigio cupo e carico d'acqua e Ross faticò per tenere il cavallo ed impedirgli di scivolare sul fango. Ampie pozzanghere lastricavano la strada di campagna che portava ad Illugan e la pioggia era talmente forte che, d'istinto, strinse a se Demelza e la bimba per fare in modo che non si bagnassero troppo.

Giunti al villaggio, si accorse che la situazione era pessima. I rigagnoli d'acqua che correvano fra le case si erano ingrossati e alcune baracche erano già invase dall'acqua. Illugan era un villaggio povero, la maggior parte delle persone vivevano in abitazioni di legno fatiscenti e non avevano la possibilità di spostarsi altrove, se la situazione fosse degenerata.

Arrivarono da Miss Marple e alla finestra si affacciò una nidiata di bimbi dai capelli biondi e rossi, col viso da monelli e i vestitini mezzi stracciati. La casa era più grande delle altre, anche se di certo non abbiente. Una piccola veranda riparava l'ingresso dalla pioggia e la padrona di casa, l'amica e collega di Demelza, arrivò ad aprir loro con un neonato fra le braccia e un bimbo moccoloso sui due anni attaccato alla gonna. Eleanor le fece un ampio sorriso, era palese che con quelle persone si trovasse bene, e Demelza affidò la piccola senza particolari problemi. "Torneremo prima di sera a prenderla" – disse solamente.

La ragazza, che aveva forse trent'anni ma un viso ancora da bambina, nonostante tutto, annuì. "Grazie Demelza e grazie a voi signore, per l'aiuto che ci date. Se solo non dovessi allattare e non avessi tanti bambini in giro per casa, verrei pure io al fiume con voi a dare una mano".

Demelza scosse la testa. "Tu ci stai dando un aiuto quì, curando i nostri figli assieme ai tuoi. Non preoccuparti, ognuno fa la sua parte per quel che può".

Ross la osservò in silenzio. Demelza aveva trovato un suo mondo e una sua rete di conoscenze in quel posto, un aiuto, amicizia e una sua indipendenza. Era apprezzata e amata, così come la piccola Eleanor che, felicemente, giocava con quei piccoli bimbi senza denaro e probabilmente futuro, considerandoli suoi compagni e suoi pari. Per un attimo pensò al grande divario, almeno su carta, fra Ellie e quei piccoli di Illugan. Per legami di sangue, la bimba di Demelza faceva parte dei Boscawen, uno dei casati più importanti e ricchi di Londra e probabilmente dell'intera Inghilterra... Se fosse stata riconosciuta e legittimata, avrebbe avuto abbastanza denaro e potere per guardare quelle persone dall'alto in basso. Questo faceva male e faceva paura, da pensare... Anche perché, per fortuna, la piccola Ellie era quanto di più lontano esistesse dalla ricchezza e dal potere delle grandi famiglie d'Inghilterra.

Fu felice che Demelza fosse stata tanto forte e orgogliosa da rifiutare ogni legame con quelle persone e che, nonostante le mille difficoltà incontrate, stesse crescendo la piccolina da sola. Ed Ellie era un prodotto di Demelza e del suo mondo, una bimba allegra, spontanea, chiassosa e che si accontentava di un nulla, per essere felice.

Si avvicnò a Demelza, appoggiandole la mano sulla spalla. "Su, andiamo?".

Lei annuì. "Si. Direi di lasciare qui il cavallo, saremo più liberi. Miss Marple ce lo terrà volentieri".

La donna annuì. "Sì, legatelo quì sotto il porticato, starà all'asciutto. Incaricherò i bambini più grandi di dargli del fieno, più tardi".

Accettò. Salutarono Ellie, promettendole che sarebbero tornati prima di sera e poi, a piedi, si diressero verso il fiume.

Già in lontananza lo si sentiva vorticare, l'onda di piena era arrivata e gli argini erano al collasso e prossimi a cedere.

Si guardarono negli occhi, dicendosi silenziosamente che dovevano darsi da fare.

Molti uomini erano impegnati a mettere sacchi di sabbia e pietre sulle rive, urlavano ordini e imprecavano contro la pioggia battente ma le loro voci irose erano in parte coperte dal frastuono del vento e della pioggia, oltre che dallo scorrere irrefrenabile del fiume.

"Ser Dalton" – urlò Demelza a un uomo in la con gli anni che spostava un sacco di sabbia – "Sono quì e con una mano amica in più ad aiutarci. Che devo fare?".

L'uomo, un tizio grassoccio e calvo, alzò la mano in segno di saluto. "Brava, sei arrivata davvero! Visto che non sei sola e qui siamo già in tanti, tu e il tuo amico potreste spostarvi verso la periferia. Ancora nessuno è andato da quelle parti per vedere gli argini e c'è un punto, sotto al ponticello di St. Arthur, che è più basso degli altri. Se il fiume cercasse una valvola di sfogo per esondare, quello sarebbe il posto ideale. È una spiaggetta piccola, in due dovreste farcela ad alzare l'argine con delle pietre".

Demelza annuì e dopo un'occhiata di intesa con Ross, si diressero a grandi falcate verso la periferia.

Ross la seguì, da quelle parti l'esperta era lei e lui non aveva idea di come muoversi e di come riconoscere il posto indicato da Ser Dalton.

Giunsero in campagna, sorpassando le ultime baracche, mentre lui, silenzioso, pensava a come la povera gente, nelle grandi difficoltà, fosse sempre pronta a darsi una mano e a sostenersi per superare i momenti difficili. Fosse stato così anche fra i grandi ricconi del Parlamento, l'Inghilterra sarebbe stato un posto meraviglioso dove vivere.

Giunsero al ponticello, erano in aperta campagna e c'era solo una baracca abbandonata da quelle parti dove ripararsi, se il tempo fosse peggiorato. Erano entrambi fradici e i loro mantelli, pesanti ormai come sacchi di cemento, potevano essere strizzati per quanta acqua avevano assorbito.

Demelza però, non sembrava in difficoltà. E a lui venne da sorridere. Il tempo era pessimo, erano bagnati, infreddoliti, soli e in aperta campagna con a pochi metri un fiume che poteva straripare da un momento all'altro e lui era contento. Era stupidamente e allegramente contento! Erano anni che lui e lei, da soli, non combattevano per una causa comune, non lavoravano fianco e fianco e si parlavano con quella leggerezza e quella spontaneità che aveva scorto in quel giorno. Era strano ma avvertiva che per la prima volta, fra loro, non c'erano i fantasmi di Hugh ed Elizabeth a dividerli ma semplice voglia di collaborare insieme per un fine comune. Ed era bello, avrebbe voluto che quella pioggia non finisse mai...

"Ross!" - lo richiamò Demelza, riportandolo alla realtà. Era arrivata al ponticello, a pochi metri dalla riva, e lo guardava spazientita. "Che ci fai lì impalato? Mica ti ho portato fin qui per ammirare il paesaggio!".

"Oh, scusa" – rispose, preso in castagna. Scese la scarpata e la affiancò, dando uno sguardo preoccupato al fiume. L'acqua scorreva impetuosa, era scura e piena di detriti e la sua violenza faceva quasi paura. Se fosse tracimata, avrebbe distrutto il lavoro di mesi nei campi. "Che facciamo?" - le urlò, con la voce coperta dal frastuono del fiume.

Demelza, col fiatone, si guardò attorno. Gli indicò con la mano delle grosse pietre bianche sotto il ponte, probabilmente portate lì dal fiume e che potevano essere utilizzate per alzare gli argini. "Usiamo quelle, che ne dici?".

Sì, poteva funzionare. "Va bene, ma credo siano pesanti per te".

Lei lo guardò storto. "Ah Ross, vai al diavolo!".

Con la sua forza e la sua determinazione, che da sempre l'avevano contraddistinta, Demelza si avvicinò alle pietre, sollevandone una senza problemi. "Hai dimenticato quanto sono forte?".

Sospirò, mascherando un sorriso. All'apparenza era esile e delicata ma sua moglie era una leonessa, lo era sempre stata e questo non era cambiato, negli anni. "Forse, un pò". Si avvicinò, aiutandola a sua volta. Spostarono senza sosta tutte le pietre che riuscirono a trovare, le misero dove la riva era più bassa, rinforzando quella barriera improvvisata con la sabbia bagnata.

Ed alla fine, oltre ad essere fradici, erano pure sporchi e pieni di terra. Il loro mantello era completamente chiazzato di fango e la pioggia era sempre più incessante.

"Dovremmo fare un bagno" – disse, quando ebbero finito.

Demelza guardò il cielo plumbeo. "Oh, non è necessario. Sta qua fermo sotto questa pioggia cinque minuti e otterremo lo stesso effetto".

Considerò per alcuni istanti la cosa ma poi decise che no, non era lo stesso. La prese per mano, attirandola a se. "Senti, andiamo un attimo in quella baracca all'asciutto o ci prenderemo una polmonite".

Col fiato corto e le guance rosse dallo sforzo, Demelza si trovò ad accettare. "Sì, credo sia una buona idea. Comincio ad essere stanca".

"Dio sia lodato..." - mormorò lui, sarcastico.

Demelza lo guardò storto, ma non rispose. Anche lei sembrava, come lui, felice di quella strana sintonia che li aveva uniti quel giorno, nonostante le mille difficoltà incontrate. Lei lo sapeva quanto lui, erano nati per lavorare fianco a fianco come una squadra e questo non era cambiato, nonostante tutto.

Entrarono nella baracca, era un luogo angusto, spoglio e cadente, senza arredamento, con solo del fieno ammucchiato in un angolo. Demelza sospirò, sedendosi sul fieno e togliendosi il mantello. "Che posto lugubre".

Dovette darle ragione, era un luogo orribile. "Ma quanto meno è asciutto".

"Finché l'argine tiene" – obiettò sua moglie.

"Già". Si sedette accanto a lei, sulla paglia, non sapendo bene cosa fare. "Potevamo essere al caldo, in questo momento, se tu..." - iniziò, senza nemmeno sapere perché tirasse in ballo quell'argomento.

"Se io, cosa?" - domandò lei, piccata.

"Se tu non fossi tanto testarda da voler vivere qui ad Illugan".

"Ci vivo da queste parti, è la mia terra e le persone che hai incontrato poco fa sono miei amici. Non eri obbligato a venire, se non ne avevi voglia".

Sbuffò, non gli andava di discutere con lei, tanto alla fine Demelza avrebbe comunque avuto l'ultima parola. "Hai freddo?".

"Un pò" – ammise lei, strofinandosi le braccia. "Mi fanno male tutti i muscoli, era da quando ho sistemato la mia casa nel bosco che non sollevavo tanti pesi".

Quella semplice frase lo incupì e lo riportò a quei giorni caotici quando se n'era andata da Nampara. "Quando hai rifiutato il mio aiuto per ristrutturare il mulino, perché volevi che lo facesse Hugh?". Improvvisamente, ripensandoci, si sentì irritato. In fondo non ne avevano mai parlato davvero del poeta, eccetto per la figura di padre mancato di Eleanor, e ancora non gli era andata giù. Era ancora arrabbiato, verso se stesso, verso Hugh e verso di lei. Aveva accettato la situazione rendendosi conto che quello che era successo era in parte colpa sua, ma non aveva dimenticato e quel senso di amarezza in fondo non l'aveva mai abbandonato. E mai se ne sarebbe andato, se non avesse affrontato quei suoi demoni.

Demelza lo guardò, improvvisamente seria pure lei, senza più traccia di divertimento nell'espressione del viso. "Ross, non è il momento di parlarne".

"Invece credo sia il momento giusto, visto che siamo soli e siamo andati sull'argomento" – ribatté lui, secco.

Demelza sospirò. "Non ho rifiutato il tuo aiuto perché desideravo avere Hugh vicino, avrei voluto fare tutto da sola, se proprio ci tieni a saperlo. Hugh ha insistito e...".

Lui la bloccò. "Anche io ho insistito, ma hai rifiutato lo stesso!".

"Ero arrabbiata con te, non volevo vederti e incontrarti mi faceva male. Come potevo accettare il tuo aiuto a sistemare il posto che mi ero scelta come casa, dopo che ti avevo lasciato e avevo abbandonato Nampara? Consideravo Hugh un amico, una spalla su cui piangere e qualcuno che sapeva capirmi. Lui era preoccupato per me, in maniera genuina, non voleva che vivessi ad Illugan ma visto che non poteva farmi cambiare idea, ha insistito almeno per aiutarmi ad avere una casa decente. Credo che pensasse che comunque, in breve tempo, sarei tornata da te. Una cosa provvisoria, insomma".

Ross la guardò, c'era furore nel suo sguardo, si sentiva bruciare dalla rabbia nel sentire quelle parole. Facevano male perché davano voce al suo fallimento come uomo e marito... Facevano male perché c'era stato un tempo in cui la donna che amava aveva volto il suo sguardo altrove e un altro uomo si era preso cura di lei. "Lo consideravi migliore di me" – disse, sotto voce.

Demelza spalancò gli occhi, sembrava sorpresa da quelle parole. "Migliore di te? Ross, che diavolo stai dicendo? Sai benissimo che non è così".

Lui parve non sentirla. Il vulcano che covava in lui da tre anni era in eruzione e tutto il dolore e la rabbia stavano uscendo. Dovevano uscire o sarebbe impazzito! Doveva dirle come si sentiva, liberarsi e farle capire quanto Hugh avesse minato ogni sua certezza e gli avesse tolto la felicità. "Come potrei saperlo? Hai cantato per lui, lo hai pensato, hai provato sentimenti che ti hanno spinta fra le sue braccia. Hai avuto una figlia da lui e non ti sei mai voltata indietro per vedere chi ti eri lasciata alle spalle".

Demelza parve ferita da quelle parole. Ma non rabbiosa, anzi, preoccupata nel vederlo mettersi così dolorosamente a nudo... "Ross, io non amavo Hugh. Non dell'amore come lo intendi tu, non nel senso del vero amore. Era diverso, almeno da parte mia... Per me Hugh era un amore fatto di affetto, romanticismo, un amore forse da ragazzina. Quell'amore che non ho vissuto quando avevo l'età giusta per farlo. Ma non l'amore che vale una vita, che ti riempe l'esistenza e ti fa sentire a posto col mondo, non l'amore che ti cattura e fa perdere d'importanza tutto il resto. Non l'amore senza il quale non puoi più vivere e che, se lo perdi, ti fa sentire svuotata e senza aspettative per il domani. Non l'amore che, quando lo provi, ti stordisce e non ti fa più capire niente. Quando ero con lui, non mi sentivo come quando ero con te".

Era confuso, si sentiva disorientato davanti a quelle parole e al tono di rimpianto che lei aveva usato. Aveva detto cose bellissime su cosa aveva provato in passato per lui e forse proprio per questo era ancora più arrabbiato con se stesso, oltre che con lei, per averla persa. "Non ti sentivi come con me? In bene o in male? Era meglio o peggio?". Era una domanda stupida, ma aveva bisogno di sentirglielo dire che per lei, nessuno sarebbe mai stato come lui.

"Ross..." - sussurrò Demelza, sospirando, non sapendo forse che altro dire.

Le prese il polso, la attirò a se. Hugh Armitage aveva avuto la sua donna, l'aveva toccata, amata, accarezzata e fatta sua. Lo odiava, lo avrebbe sempre odiato per questo! E tutto quello che lui voleva era togliere ogni traccia da lei, dal suo corpo, di quel dannatissimo poeta che aveva stravolto le loro vite. "Dimmelo? Lo pensi, lo piangi?".

Demelza sostenne il suo sguardo. "Lo penso, sì a volte capita. Penso a lui come si pensa a una persona per cui si è provato affetto e che è morta giovane".

"Lo rimpiangi? Rimpiangi i suoi baci, come ti toccava, come ti faceva sentire?".

Demelza tentò di divincolarsi, con scarsi risultati. "Ross, smettila!".

Ma lui non la smise, non poteva, era come un fiume di lava in piena. "Dimmelo".

"COSA?".

La guardò. Nel suo sguardo convivevano rabbia, passione e desiderio. Li aveva repressi a lungo ma ora non gli era più possibile farlo. "Quando ti baciava, sentivi quello che sentivi con me? Quando hai fatto l'amore con lui, ti ha fatta sentire come ti facevo sentire io?".

Credeva che a quelle domande, Demelza si sarebbe arrabbiata e lo avrebbe spinto via. Invece, incredibilmente, non lo fece. Col fiato corto e le guance rosse, smise di lottare. Lo guardò negli occhi e in essi vide la stessa fermezza, la stessa fierezza e la stessa passione unita a rabbia che si agitavano anche in lui in quel momento. Santo cielo, non poteva resisterle quando assumeva quell'espressione e quel temperamento di fuoco che riusciva a tenergli testa e a zittirlo, a travolgerlo e confonderlo. "No, non sentivo le stesse cose! Come avrei potuto, Ross?".

E a quelle parole, fu troppo. La voleva e lei lo voleva! La conosceva troppo bene per non accorgersene. Quella strana lite aveva come abbattuto tutte le barriere che si erano costruiti per resistersi e ora c'era come una calamita che li attirava uno verso l'altro. Non era amore, non in quel momento. Non c'era posto per quello, per la tenerezza, per le carezze, per i baci... Non ne avevano bisogno, per quelli forse ci sarebbe stato tempo dopo.

Loro avevano bisogno di sfogare rabbia e dolore troppo a lungo repressi. La attirò a se e la baciò con passione, foga. E Demelza lo lasciò fare, rispondendogli, come se anche lei non avesse bisogno che di quello. Volevano la stessa cosa, in fondo. Lui voleva togliere dalle sue labbra e dal suo corpo il sapore di Hugh Armitage e lei desiderava che lui lo facesse per sentirsi nuovamente pulita e in pace con se stessa.

C'era frenesia nei loro gesti, un bisogno disperato di aversi. Non potevano aspettare, non lei, non lui...

Le sollevò la gonna, le tolse la biancheria intima e Demelza rispose slacciandogli i pantaloni. Non avevano tempo per spogliarsi del tutto, non avrebbero potuto aspettare.

La prese con forza, la sentì irrigidirsi per il dolore ma non poteva fermarsi. Né Demelza pareva desiderarlo. Lo strinse a se, i loro sguardi rabbiosi si fronteggiarono senza mai abbandonare la presa. Si mosse dentro di lei con rabbia, velocemente. Mai si era comportato così, mai un loro amplesso era stato tanto selvaggio. Ma non potevano farne a meno, era tutto quello di cui entrambi avevano bisogno.

"Vorrei che non fosse morto" – disse, fronteggiandola, con aria di sfida.

Demelza, travolta da quel turbine di piacere unito a dolore, si morse il labbro. "Perché?".

"Perché almeno lo avrei potuto uccidere io! E lo avrei fatto, sai?".

Demelza gli afferrò i capelli, avvicinandolo a lei. Lo baciò con rabbia, gli morse il labbro e poi tornò a guardarlo negli occhi mentre lui si muoveva dentro di lei. "No, non lo avresti fatto" – asserì, sicura.

"E invece sì! L'ho salvato una volta ma ora so che non salverei niente di lui, eccetto Eleanor".

Questo la zittì e per la prima volta Demelza non seppe cosa rispondere.

I loro movimenti divennero ancora più concitati e non parlarono più, presi in quel rapporto fatto di passione, frenesia e rabbia.

Non durò a lungo, tutto scivolò via in pochi, intensi attimi, in un piacere intenso e bruciante... E in fondo entrambi sapevano che non poteva che essere così.

Dopo rimasero in silenzio, uno a fianco dell'altra, ad osservare il soffitto. Il rumore della pioggia era l'unico alito di vita in quella capanna fatta di muto silenzio e stupore per quanto successo. Era strano per Ross, non riusciva a muoversi, a toccarla, a fare nulla.

La rabbia e la frenesia di poco prima avevano lasciato il posto a una pace fatta di immobilità. Si sentiva in colpa, non era così che avrebbe voluto che succedesse, ma in entrambi l'istinto aveva preso il posto dei sentimenti e della ragione. Erano tre anni che non la toccava e forse quanto successo ne era la naturale conseguenza. "Mi spiace di averti fatto male" – disse solo, sotto voce.

Mollemente, Demelza girò il capo verso di lui. Abbassò la gonna del vestito che era rimasta sollevata e poi, con fare stanco, scosse la testa. "E' andata come doveva andare. Avevo... Avevamo bisogno... che fosse così".

"Stai bene?".

"Sì".

Ross sentì improvvisamente freddo. Passata la rabbia, passata la frenesia, sopito il desiderio, restava l'amarezza per quell'amore bello e pulito che avevano perso e che mai avrebbero potuto incontrare fra le braccia di qualcun altro. Ora lo sapevano entrambi... "Mi dispiace lo stesso, non so cosa mi sia preso".

Demelza sorrise, un sorriso triste. "Sei arrabbiato da tre anni, tutto qui. E ne hai mille buoni motivi. Ma non avremmo dovuto farlo, questo non risolve nulla e anzi, complica di nuovo tutto".

Ross guardò distrattamente le travi di legno del soffitto. "Io lo volevo e anche tu".

Lei non negò, sapeva che Ross la conosceva come le sue tasche. "Sì, certo. Ma non sempre è auspicabile fare quello che si desidera".

Si voltò verso di lei, accarezzandole delicatamente i capelli e la guancia. "Ma essendo sposati, non abbiamo fatto nulla di poi così sbagliato".

Demelza lo guardò storto, non così convinta della cosa. "Ross, questo non ci porterà a nulla. E' sbagliato per noi, anche se siamo ancora sposati. Dovevamo tornare al villaggio, DEVO tornare a riprendere mia figlia che ho lasciato nelle mani di altri per... per...".

"Per viverti un attimo con tuo marito!" - disse lui, concludendo la frase per lei.

Lei alzò gli occhi al cielo, cercando di mettersi a sedere. "Ross, dico sul serio! Devo tornare al villaggio a riprendere Ellie, si sta facendo tardi".

"No, non è tardi, c'è ancora luce anche se sta piovendo". Non voleva andarsene, non ancora. Voleva stare con lei, di nuovo, e impedirle di scappare. Voleva amarla, stavolta in modo diverso, con la dolcezza e la tenerezza di una volta.

Demelza sospirò. "Perché vuoi stare qui? Fa freddo, è umido e abbiamo a pochi metri un fiume in piena che potrebbe straripare".

Si sedette, la fronteggiò. "Voglio fare l'amore con te".

"Lo abbiamo appena fatto, Ross!".

Lui scosse la testa. "In quello che abbiamo fatto poco fa, non c'era niente di amorevole".

Per qualche strano motivo questo la fece sorridere, spezzando un pò della tensione e dell'imbarazzo che si era creato fra loro. "Accidenti a te" – disse, tirandogli in faccia una manciata di paglia.

"Vuoi?" - insistette lui. Doveva insistere, doveva abbattere tutte le difese che Demelza si era costruita attorno per non soffrire.

E stavolta fu Demelza ad accarezzargli la guancia. "Ross, ci faremo del male, lo sai?".

"Sarà bellissimo farmi male con te".

Demelza gli sfiorò la mano, intrecciò le dita alle sue e sospirò. Pure lei sembrava combattuta e impaurita quanto lui. Non era la risoluzione dei loro problemi, lo sapevano entrambi. Ma erano anche consapevoli che dire no, alzarsi ed uscire non era la soluzione. Avrebbero solo rimandato l'inevitabile e sarebbe bastato un niente per ricascarci. Si desideravano da sempre e sempre sarebbe stato così. Se non fosse successo quel giorno, che importanza avrebbe avuto? Sarebbe successo il giorno dopo, dopo una settimana o dopo un mese. Ma sarebbe successo! "Ross, ce ne pentiremo, dopo" – provò ad argomentare, con scarsa convinzione.

"Forse no". La rivoleva, almeno per un attimo rivoleva la donna della sua vita.

Demelza rimase in silenzio per un attimo, come in riflessione. Lo guardò, osservò il capanno che era stato il loro rifugio e poi la finestra da cui, tenue, entrava un pò di luce. Poi staccò la mano dalla sua ma fu solo per un attimo. La riprese, la portò al suo corpetto e la poggiò sui bottoni che lo tenevano legato. "Sì Ross" – disse solo, dandogli il permesso di farlo.

Lui annuì. La strinse a se, la baciò sulle labbra dolcemente, senza più la foga di poco prima. Piano, uno dopo l'altro, si tolsero tutti gli indumenti che prima non avevano avuto tempo di levarsi.

Così, senza fretta, gustandosi ogni attimo, ogni tocco e ogni carezza...

Ross la guardò, era bellissima come la ricordava e le gravidanze non avevano scalfito per nulla il suo fisico che sembrava ancora quello di una ragazzina. Era più magra rispetto a quando vivevano assieme a Nampara, Demelza viveva una vita dura e difficile e probabilmente il cibo scarseggiava spesso nella realtà quotidiana che si era costruita.

La guardò e capì che era sua, che era sempre stata sua e che lui era stato un grandissimo idiota a farla scappare lontano, insieme a un altro. Non poteva tornare indietro nel tempo per rifare tutto senza errori, dai suoi errori non poteva fare altro che imparare.

E forse quello era il primo passo...

La spinse delicatamente sulla paglia, si toccarono e accarezzarono senza fretta, guardandosi negli occhi come se avessero paura di perdersi. Non c'era più la rabbia e la foga di poco prima e il dolore aveva lasciato posto alla voglia di amarsi e riscoprirsi. Era strano, erano marito e moglie da anni ma si sentivano emozionati come se entrambi stessero vivendo la loro prima volta.

La baciò a lungo e con lei fece l'amore a lungo.

Non fu breve, non fu come poco prima...

Fuori la pioggia batteva incessantemente sulla campagna inglese ma a Ross non importava. A quella pioggia doveva tutto!

Per molti era fonte di preoccupazione ma a lui, a loro, aveva donato un attimo di vero amore.






  
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