Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: Yellow Canadair    31/01/2018    3 recensioni
Non leggete questa storia, per favore. È piena zeppa di fluff, di agenti segreti che fanno a botte, di spiriti misteriosi che infestano le loro case. E poi parliamo del Cp9, ve li ricordate quei ragazzacci, a Enies Lobby? Qui sono passati due anni, ma le vecchie abitudini sono dure a morire.
Tra una missione e l'altra vivono in una grande torre al centro dell'Arcipelago di Catarina, e anche se ormai Spandam è il loro galoppino e l'hanno soprannominato "scendiletto", i guai non sono ancora finiti.
E poi c'è Stussy, l'agente del CP0. Davvero volete leggere di quando fece a Lucci una proposta indecente? Ma dai, ci sono storie molto più piccanti di questa.
C'è anche Gigi L'Unto, proprietario della peggior locanda della Rotta Maggiore: per leggere la sua storia dovete esser vaccinati pure contro la peste nera, ve l'assicuro. Però sua figlia è molto carina.
C'è anche Lili, una segretaria che è anche pilota, ma questo Rob Lucci non vuole che si sappia in giro, quindi in questa storia non piloterà un bel niente (forse).
Ancora non vi ho convinti a lasciar perdere? Beh, se amavate i completi eleganti del Cp9 passate oltre: qui vengono denudati spesso.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cipher Pool 9, Jabura, Kaku, Kumadori, Rob Lucci
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Voci di corridoio a crescita istantanea e germinazione fulminea

(con la partecipazione dell’Agente Stussy)

 

Vedere le luci di Catarina in lontananza, con l’isola invernale avvolta nella neve e sferzata dai venti, fece rabbrividire Stussy, che si strinse addosso il suo cappottino di pelliccia. Aveva approfittato di alcuni giorni di vacanza prima di Natale, per quella traversata, e ora era finalmente giunta a destinazione.

Stussy, agente ai vertici del CP0 e maestra delle Sei Tecniche, aveva sentito spesso parlare dell’apertura della nuova sede di Catarina, che ospitava il reparto del CP0 guidato da un redivivo Rob Lucci.

Catarina era un arcipelago formato da cinque isole disposte come i cinque punti sulla faccia di un dado; le quattro isole periferiche avevano ognuna un clima diverso: estivo, invernale, primaverile e autunnale; l’isola centrale, la più piccola, subiva le influenze delle altre isole a seconda dei venti, e da tempo era proprietà del Governo; due anni prima i vertici del Cipher Pol avevano discusso sul renderla sede di una nuova ala del CP0, e lei aveva votato a favore dell’iniziativa.

Una gran bella faccia tosta, Rob Lucci! Aveva sollevato un bel polverone due anni prima, però non solo era, da anni, uno dei migliori agenti segreti con licenza di uccidere in circolazione ma, con quello che si era scoperto del fattaccio di Enies Lobby, aveva tutto il diritto di accampare pretese e pretendere un indennizzo per sé e per i suoi colleghi.

Gli avevano offerto un posto di comando all’interno del CP0, sarebbe stato il leader indiscusso di uno dei reparti del servizio segreto più potente del mondo, e già questo avrebbe accontentato una persona ambiziosa: essere al servizio dei Draghi Celesti voleva dire missioni prestigiose, fama immortale, e risorse praticamente illimitate.

Ma Rob Lucci non era ambizioso: era furioso, il che era molto peggio.

Il posto di comando lo accettava, ma voleva avere come sottoposti solo agenti di cui si fidava, e nessun altro. Impossibile, gli avevano risposto dai piani alti.

E allora io stacco la testa all’ostaggio, aveva fatto sapere.

L’ostaggio in questione era Spandam, ma a causa delle lunghe e tentacolari mani di suo padre, in pasta un po’ ovunque, non poteva essere ucciso impunemente: la pretesa era stata accolta dal Cipher e, visto che un nuovo reparto avrebbe necessitato di una nuova sede, e qui c’era stata una votazione tra gli altri leader del CP0. Molti, rosi dall’invidia, avrebbero confinato Rob Lucci nell’amena Punk Hazard, ma alcuni erano ben coscienti del valore del CP9, e avevano proposto una sede più tranquilla, adatta più a vivere tranquillamente che a scontare un ergastolo. Stussy era stata tra quelli.

Non aveva dubbi che, a tempo debito, avrebbe potuto chiedere a quel ragazzo, gagliardo e sanguinario, un piccolo favore personale.

«Prego signorina, mi dia la mano! L’aiuto a sbarcare!» propose galante un marinaio della nave con cui Stussy aveva viaggiato.

«Molto gentile» sorrise l’agente accettando l’aiuto.

Era così appena sbarcata sull’Isola dell’Inverno, una delle cinque che formavano l’Arcipelago. Non aveva reso il suo viaggio ufficiale, viaggiava come semplice turista, preferendo non dare nell’occhio e non allertare prima del tempo il suo collega.

Si abbottonò svelta i bottoni del cappotto di pelliccia di volpe, e si calcò meglio sulla testa la cloche di lana: era davvero rigido il clima di quel posto! Ma perché il porto turistico era stato messo sull’isola invernale? Per far ammalare i turisti all’arrivo?, pensò la donna.

Si infilò i guantini in pelle e s’incamminò verso il suo hotel, dove già erano già state recapitate le sue valigie, stando ben attenta a non scivolare sulla neve con le sue deliziose scarpine.

 

 

 

Intanto, alla Torre di Catarina, nella sede centrale del reparto dell’ex CP9, quella mattina c’era un po’ di maretta.

«Non sono d’accordo con questa pagliacciata» tuonò Rob Lucci perentorio, sedendosi sulla sedia della propria scrivania.

«Purtroppo bisogna adeguarsi» sospirò Califa inforcando gli occhiali e rileggendo il dispaccio proveniente dalla sede centrale del Cipher Pol «È scritto nero su bianco; se non lo facessimo, rischieremmo di avere fastidi, dopo…»

«C’è di peggio» cercò di consolarlo Kaku «Teniamoceli buoni, visto che non sempre riusciamo a uccidere lo stretto necessario» disse guardando storto Jabura.

«Che hai da fissarmi?! L’ho detto cento volte: Fukuro ha messo la voce in giro da che abbiamo messo piede sull’isola, e mezza città sapeva del piano! o li ammazzavo tutti, o sarebbe saltata la mia copertura!»

Rob Lucci scrisse “Fukuro” su un post-it e lo appiccicò sul primo cassetto della sua scrivania, quello dove conservava gli oggetti di Hattori e che apriva spesso durante la giornata; Jabura era una testa di cazzo, ma Fukuro doveva togliersi l’abitudine di spettegolare dei loro piani top secret: era inammissibile, per un agente segreto!

Erano nell’ufficio di Lucci, al primo piano della Torre di Catarina. Aveva ricevuto un pacco dall’amministrazione centrale, quella mattina, e bisognava occuparsi del suo contenuto. Kaku era stato il primo ad essere interpellato in merito, e Califa la seconda, vista la sua esperienza con faccende burocratiche.

Jabura si trovava lì per ficcanasare, come un cane fra le gambe della folla. Ma il boss non aveva voglia di litigare in quel momento, e non lo disse ad alta voce: aveva roba più seria di cui occuparsi.

«Non c’è altra scelta» sospirò infine Kaku prendendo a due mani il contenuto del pacco: un cavo lunghissimo di lucine multicolori che avrebbero illuminato entro sera il profilo della Torre. «Chi le mette?»

Le lucine di Natale.

 

 

 

Stussy si sedette con grazia nella carrozza scoperta che l’albergo aveva mandato a chiamare apposta per lei, e il cocchiere le porse la coperta da mettere sulle gambe. Si avvolse per bene nella grande sciarpa di lana appena comprata in una boutique dell’isola e si accomodò meglio sul sediolino della carrozza.

«Su che isola l’accompagno?»

«Quella centrale» ordinò Stussy «Alla Torre del Governo. In fretta.»

 

 

 

Jabura fece tre passi indietro per guardare la facciata della torre. Strinse le labbra, piegò la testa da una parte e dall’altra, scettico.

«Le hai messe storte»

«Non le ho messe storte!» ribattè pronto Kaku.

«Pendono da una parte, scemo» indicò il Lupo «Partono dritte, poi dopo la seconda finestra fanno una discesa.»

Kaku si voltò irritato: «È perché per metterle mi sono basato sulle lucine che hai messo tu! E che tu hai messo con i piedi!»

«Piantala di gridarmi addosso! Che succede? I tuoi Doriki non ti aiutano?»

«Ancora con questa storia?! Ti ho detto cento volte che questa roba non mi è mai interessata!»

In quel momento la carrozza di Stussy si fermò in capo al vialetto di ghiaino che portava alla torre. Vide i colleghi discutere tra loro a voce alta e arrabattarsi per sistemare un filo di lucine sull’architrave dell’ingresso. Sorrise beffarda e rimase qualche minuto a godersi lo spettacolo, osservando i due uomini che prima parlavano in maniera quasi civile, poi cominciavano ad alzare la voce, e prima che dalla forma ibrida passassero alle botte, decise di palesarsi.

Jabura e Kaku non la sentirono arrivare, abituati al consueto via vai di gente che passeggiava per il parco in cui era immerso l’edificio in cui vivevano. Jabura continuava a sbraitare che era colpa di Kaku, Kaku si difendeva e ricordava al collega che era stato lui a intrufolarsi nell’ufficio di Lucci a ficcanasare, nessuno l’aveva obbligato.

«Ancora a litigare?» esordì la donna «Sembrate sempre due mocciosi»

I due uomini riconobbero subito la voce e si voltarono. Kaku si adombrò fra sé e sé, ma decise di fare buon viso a un agente superiore di grado. «Stussy!» la salutò a braccia conserte «Da quanto tempo sei qui?»

«Anche per me è un piacere vederti» sorrise sorniona la donna, aprendosi i bottoni del cappottino «Uff! Qui fa decisamente più caldo, meno male» considerò.

«Stussy! È un secolo che non passo dalle tue parti!» rise Jabura «Come vanno gli affari?»

«Maluccio, da quando non spendi dalle mie parti» si leccò le labbra la proprietaria del quartiere a luci rosse di un’isola piuttosto lontana.

«Ti piacerebbe, che spendessi dalle tue parti» ringhiò l’uomo «Ma sfortunatamente per te, non ne ho mai avuto bisogno»

«Che ci fai qui? Guai alla sede centrale?» la interrogò Kaku, posando per terra il filo di lucine stando ben attento a non ingarbugliarlo. E soprattutto, non aveva nessuna intenzione di lasciare al collega lo spazio per approfondire le proprie abitudini private!

Stussy staccò lo sguardo dal petto scoperto di Jabura, e scese anche più in basso. Infine sorrise e decise che, per quanto bello fosse lo spettacolo, lei puntava più in alto, e si degnò di rispondere a Kaku: «No, nessun guaio. Ma devo parlare con Lucci, dov’è? Spero sia dentro: non mi va di fare un altro giro in carrozza per le isole.»

Perché che Lucci fosse a Catarina e non in missione, Stussy lo sapeva già.

«È di sopra» indicò Jabura con un cenno del capo «Al secondo piano»

«Non mi accompagni?»

«Ho da fare» mostrò i denti Jabura, riprendendo in mano il filo delle lucine e guardandosi attorno alla ricerca della scala «Ti porto solo fino alla guardiola nell’ingresso, poi ci penserà Spandam» Stussy non era male, ma a Jabura piaceva cacciare, non fare la preda; e poi, con lei c’era sempre il rischio che meditasse di venderti al miglior offerente del suo quartiere a luci rosse! Che lui, per dovere di cronaca, non aveva mai avuto nessun bisogno di frequentare!

 

 

Spandam consegnò Stussy nelle mani di Rob Lucci, la cui espressione fredda e altera mostrava chiaramente il desiderio di polverizzare la testa all’ex capo che, da quando era ex, starnazzava una quantità irritante di salamelecchi.

Però tutto sommato, una funzione Spandam la assolveva: quella di galoppino tuttofare. Lucci badava sempre di assegnargli compiti che non richiedessero un’eccessiva manualità (come fare il caffè, tagliare la carta, battere a macchina un rapporto, fare ricerche: quelle cose le faceva fare alla segretaria, la quale aveva il pollice opponibile). Prima di chiudere la porta e dare inizio al colloquio privato con la sua collega, l’agente disse a Spandam: « Chiama Fukuro. Lo voglio qui tra trenta minuti » ordinò.

«Certo signore!» scattò sull’attenti il tirapiedi, ma a “signore” Lucci aveva già sbattuto la porta chiudendolo fuori.

Stussy intanto si era tolta il cappottino e si era seduta elegantemente sulla sedia davanti alla scrivania più grossa della Torre di Catarina, senza aspettare che il collega si sedesse o le desse il permesso.

«Che vuoi?» Lucci non aveva tempo da perdere, e Stussy sorrise. Le piaceva quel modo di fare arrogante e freddo, ma anche molto pratico e poco incline a perdersi in chiacchiere inutili. Un assassino perfetto.

Lei cominciò a parlare, e lui ascoltò il breve discorso della sua pari di grado senza un solo commento, salvo occasionali cenni del capo e qualche occhiata gelida quando le parole diventavano più audaci, e si allontanavano dal rassicurante solco della Giustizia.

 

 

«Chapapa, pendono all’altezza del terzo piano, sotto la finestra di Kumadori» disse Fukuro.

Jabura e Kaku si voltarono per guardarlo con aria omicida: come osava? Come osava, dopo tutto il lavoro che avevano fatto, dopo mezzo pomeriggio passato a litigare, fra loro e contro le lucine.

Ma prima che qualcuno potesse aprir bocca e ribattere, dal portone principale, lasciato socchiuso perché i due agenti potessero salire ai piani alti senza la noia di doverlo aprire ogni volta, uscì Spandam.

«Domando scusa» disse agli agenti.

Kaku, Fukuro e Jabura trovavano ancora stranissimo, a distanza di più di un anno, che il loro ex direttore si rivolgesse a loro in quel modo, quando aveva passato la vita a dar loro degli imbecilli, a impartire ordini, e poi frignare come un bambino alla sottana della mamma quando comincia a correre il minimo rischio.

Vederselo così ossequioso e rispettoso era, per tutti, ancora insolito.

Spandam, dal canto suo, per un verso era schiumante di rabbia (i suoi sottoposti! Il suo CP9! Il suo posto da direttore!), dall’altro era perfettamente conscio di doverseli mantenere buoni, se voleva riprovare la scalata verso l’alto.

«Fukuro, Lucci ti vuole nel suo ufficio tra…» non ricordava benissimo «venti minuti» disse infine. Tanto, era sicuro che Lucci non avesse detto più di mezz’ora, e se Fukuro fosse arrivato con un po’ di anticipo, tanto meglio. Così lui, Spandam, sarebbe risultato ancor più efficiente!

«Chapapa» borbottò Fukuro aprendosi la cerniera « E va bene » poi si ricordò di una cosa: «Ehi, da chi mangiamo a Natale?» chiese a Kaku.

Lui e Jabura erano appena tornati da una missione fuori, e si erano persi tutti i preparativi per le feste di Natale. Non sapeva nemmeno se ci sarebbero stati tutti gli agenti presenti o no: succedeva spesso che l’uno o l’altro fossero in trasferta per missioni sotto copertura, il Natale insieme era cosa rara, e per questo nessuno ci teneva molto.

Ma se ce n’era la possibilità, di sicuro gli agenti presenti a Catarina si sarebbero organizzati per passarlo insieme, invece che ognuno segregato nel proprio appartamento.

«Da Lucci, salvo imprevisti» rispose Kaku «Blueno ha già cominciato a fare la spesa per il pranzo. Se vuoi qualcosa in particolare, ti conviene andare a dirglielo» gli consigliò.

«E ora spicciati, altrimenti a Spandam viene un infarto per paura che tu faccia tardi» gli consigliò il collega più anziano del reparto.

Quando Fukuro se ne andò, Jabura e Kaku cominciarono a chiedersi se effettivamente le lucine al terzo piano fossero storte.

 

 

Rob Lucci stava riflettendo su quanto gli era stato appena proposto, squadrando freddamente Stussy. Quando quell’idiota di Spandam aveva annunciato che Stussy chiedeva di parlare con lui, aveva pensato all’ennesima svista. Ma poi aveva sentito quell’inconfondibile odore dolciastro di colonia, che quella donna si portava appresso, e si era rapidamente ricreduto. Legati i capelli in una coda bassa sulla nuca, si era preparato a ogni possibile duello, ma non c'era stato bisogno di combattere: solo di ascoltare, e poi, di scegliere.

Hattori non le staccava gli occhietti di dosso, vedendosi improvvisamente invaso il proprio sacro territorio, e beveva caffè dal bicchiere di carta con fare minaccioso.

«Vuoi una risposta adesso?» disse Lucci.

Stussy sorrise. «La mia nave salperà tra due giorni, io alloggio all’Isola dell’Ovest… se entro quel momento non avrò risposta, ti considererò fuori da ogni programma» concluse.

«L’avrai stasera a cena» promise l’uomo alzandosi, facendo intendere che la conversazione era finita.

Stussy inarcò le sopracciglia, sorpresa e compiaciuta «Oh» commentò «allora il mio invito è stato accettato… almeno quello»

«Il tuo invito a cena è stato rifiutato» sottolineò Lucci senza un’ombra di galanteria nel tono «Questo è il mio invito a cena»

Stussy era una collega molto pericolosa, e Lucci era ben deciso a non darle nessun vantaggio. Avrebbe scelto lui luogo e orario, Stussy doveva solo badare a non mettere i suoi graziosi piedini in fallo, o glieli avrebbe staccati.

«Però non voglio solo la tua risposta » rilanciò la donna raccogliendo il proprio soprabito « Voglio anche quelle di tutti i tuoi colleghi. Specialmente di Califa»

 

Fukuro, ballonzolando fluidamente per i corridoi di marmo della Torre di Catarina, si dirigeva verso l’ufficio di Rob Lucci canticchiando una canzone che stava inventando mano a mano che andava avanti. Salì le scale saltando i gradini a due a due, e si trovò nel corridoio dell’ufficio del leader del reparto proprio mentre costui era sulla porta dell’ufficio a congedarsi dalla bella Stussy.

«Allora sei dentro? Partecipi?» stava dicendo la donna.

«Basta che non ti fai vedere fino ad allora» ascoltò Fukuro dire all’uomo.

Stussy rise di un riso scampanellante, e rispose giuliva: «Sarà un modo veramente bellissimo per festeggiare il Natale!»

«Fatti trovare al ristorante per le otto» ordinò Lucci.

«Non faccio mai aspettare i clienti importanti» fece l’occhiolino Stussy.

Stussy se ne andò ticchettando sui suoi tacchi, il visino truccato tutto pieno di soddisfazione, e Fukuro la seguì con lo sguardo mentre lo superava e spariva nella tromba delle scale che portava al piano di sotto.

Poi il rotondissimo agente cominciò a rimuginare sulle parole che aveva appena sentito: a cosa doveva partecipare Rob Lucci? Perché sarebbe stato “un modo bellissimo per festeggiare il Natale”? E quell’appuntamento al ristorante?

Rimase a pensare a quella conversazione a cui aveva assistito persino durante il colloquio con Rob Lucci, persino mentre il leader gli faceva una sonora lavata di capo per la sua abitudine di mettere voci in giro quando era in missione. Le parole di Lucci a Stussy gli giravano in testa, si incastravano e si ricombinavano come un gigantesco sudoku di parole, e persino gli sguardi gelidi del suo superiore non riuscirono a penetrare quella corteccia di rimuginii.

Fukuro del resto era un agente del CP0, e non lo era per nulla: era addestrato a fingere, e non ascoltare minimamente i toni aspri di Rob Lucci dovette sembrargli più che facile, naturale.

Appena due anni prima Fukuro avrebbe rischiato la vita, a spiattellare dettagli durante una missione sotto l’egida del reparto di Rob Lucci. Quest’ultimo non era certo il tipo da donare una seconda chance a un agente che aveva fatto un errore, anzi: la leggenda voleva che avesse ucciso cinquecento Marine solo perché non erano stati in grado di portare a termine un compito.

Ma erano cambiate alcune cose, e Rob Lucci aveva preso l’abitudine di non uccidere dei colleghi, se questi gli avevano letteralmente salvato la vita. E poi insomma, uccidere Fukuro, per quanto molto funzionale all’esito delle missioni, avrebbe decisamente stravolto quell’equilibrio che si era creato a Catarina. Quell’equilibrio che, di nascosto, nel buio e nella solitudine del proprio letto, Rob Lucci sussurrava mentalmente essere familiare.

Comunque, non lesinò i toni duri, perché non era possibile che quell’idiota, a trentun anni suonati, metà dei quali passati come agente operativo e la quasi totalità sotto il controllo del Cipher Pol, andasse ancora a mettere in giro voci compromettenti.

Così Fukuro annuiva ora triste ora contrito alle parole di Lucci, e sembrava seriamente intenzionato a non commettere più quell’errore fatale, ora che gli era stato spiegato per filo e per segno perché non farlo e come non farlo: accidenti, aveva una zip sulla bocca, bastava tenerla chiusa per essere al sicuro dalle tentazioni!

 Quando Fukuro venne congedato, un faretto gli si accese sotto la zazzera verde.

Partecipare a qualcosa. Passare il Natale. Stussy e Lucci a un appuntamento al ristorante.

«Chapapa!» pensò Fukuro scendendo le scale che portavano al pianterreno «Lucci passerà il Natale da Stussy al Quartiere a Luci rosse!»

 

 

 

Congedata, Stussy venne scortata fuori dalla Torre da un ossequioso Spandam, prodigo di complimenti per una delle agenti più in gamba del CP0 nonché pari di grado con Lucci e con la possibilità di mettere, se lo voleva, una buona parola per lui e risollevarlo dal destino di portinaio a Catarina.

Stussy lo ignorava, non aveva accettato il braccio che l’uomo le aveva offerto e con falcate eleganti non gli permetteva di tenere il passo con lei, e percorreva con grazia e leggerezza i corridoi della Torre di Catarina fino ad arrivare nel patio, vicino all’ingresso. Notava che c’era aria di Natale persino lì, in un edificio di crudeli e spietati assassini, e non potè fare a meno di considerare che era singolare che persone del genere, votate alle stragi, armi umane senza sentimenti, ragazzi strappati alle famiglie e cresciuti per massacrare, celebrassero a modo loro una festa dedicata alla pace.

Ma in fondo il fine ultimo della Giustizia Oscura non era proprio quello?

Si trovò così a passare davanti al grande albero che stavano addobbando Califa e Kumadori, e rimase per un po’ a osservarli dopo averli salutati.

Califa prendeva le palline colorate bianche e azzurre da una scatola e le passava al collega, che con i lunghissimi capelli rosa provvedeva a posizionarle sui rami più in alto. Ed erano alti davvero, considerando che il soffitto arrivava a cinque metri e l’albero quasi lo sfiorava!

«Signorina Stussy, se vuole le chiamo una carrozza per riaccompagnarla in albergo»

Stussy trafisse Spandam, che aveva osato interromperla, con uno sguardo di fuoco. «Tornatene ai tuoi incarichi, uscirò da sola dalla Torre.»

Spandam con la coda tra le gambe tornò al suo ovile, e Stussy potè riprendere a guardare i preparativi dei due agenti.

La donna dai lunghi capelli biondi era davvero bellissima, considerò la visitatrice; alta e slanciata, con le gambe messe bene in mostra dalla minigonna vertiginosa, e un seno prosperoso. Proprio quello che ci voleva per il suo progetto, pensò. Sarebbe stata perfetta!

«Califa» disse quindi «Vorrei proporti una cosa… potrei parlarti in privato?» chiese. Cercava di essere gentile e di non fare pressioni, perché il suo piano era ardito e fuori dagli schemi del Cipher Pol, e non voleva che la troppa fretta facesse scappare le sue prede.

«Questa è senza dubbio una molestia sessuale»

Accidenti, pensò seccata Stussy, come faceva a saperlo già? Non era possibile che Lucci fosse riuscito a parlarle mentre lei scendeva le scale tra quel piano e quello superiore! La loro conversazione allora era stata ascoltata?

«Yoooyoooi, Califa, non essere irrispettosa con un’ospite venuto da lontano!» l’ammonì Kumadori «Ella voleva soltanto parlare con te da donna a donna, due fiori rari in questo edificio popolato dalla forza e dalla virile durezza!»

Stussy si rilassò, anche se non lo diede a vedere: era stata solo un’incomprensione, forse Califa non sapeva nulla. Poco male, comunque, perché nel giro di cinque minuti le rivelò tutti i dettagli del suo progetto.

Califa, seduta comodamente nel suo salottino personale al pianterreno, ascoltò con pazienza quello che la collega aveva da dirle. Riflettè attentamente sulle sue parole e Stussy lasciò che le facesse tutte le domande che voleva, capendo che quel progetto doveva destare molte perplessità, visto che Califa non aveva mai preso parte a nulla del genere.

Stussy si congedò dicendo di avere ancora del tempo per pensarci, proprio come aveva assicurato a Rob Lucci. Ci pensasse con calma, e le facesse sapere entro due giorni. Non era un ordine perentorio ma, se avesse deciso di partecipare, avrebbe dovuto tener fede all’impegno.

Passando nell’ingresso, sentì il rumore di una macchina da scrivere che batteva il suo ritmo serratissimo. Strano che Spandam sapesse usarla così in fretta, pensò, era davvero lui a darci dentro così rapidamente? Si affacciò nella stanzetta che era proprio di fianco al portone e sorrise furba, mettendo a fuoco una preda che non aveva previsto. Forse non era nemmeno un’agente, ma cosa importava? Lavorava al CP0, quindi era a tutti gli effetti una governativa! Sapeva bene di non poter fare la schizzinosa, specialmente con le donne.

Da quella preda raccolse una risposta inaspettatamente rapida e positiva, e ringalluzzita dal successo decise di tentare di coinvolgere anche Kaku e Jabura nel suo oscuro piano: erano due gran bei ragazzi, avrebbe funzionato alla perfezione, se avessero accettato!

Inoltre erano due tipi molto diversi, sarebbero venuti incontro alle sue esigenze in maniera eccellente! E Lucci avrebbe completato il terzetto.

Tra una chiacchiera e l’altra, era ormai scesa la sera, e Stussy uscì dalla Torre di Catarina mentre le luci sulle isole cominciavano ad accendersi, brillando sul mare. Anche sui ponti i lampioni si accendevano uno dopo l’altro, e nel parco dell’isola centrale i vialetti prendevano un’aria ovattata e romantica, perfetta per le coppiette in amore delle isole.

«Finito di parlare col gran capo?» domandò ironico Jabura accogliendola all’esterno.

«Con lui sì» ammise Stussy «ma volevo anche…»

«Guarda qua!» le disse invece l’agente afferrando saldamente due prese elettriche e collegandole con uno schiocco di scintille.

La Torre di Catarina emerse dal buio del crepuscolo con uno sfavillio di luci rosse e oro che salirono dal pianterreno fino al cielo, inerpicandosi lungo la facciata e fin su, contornando le finestre e in ultimo arrampicandosi sul pennone della bandiera del Governo Mondiale.

Né Jabura, né Kaku, né Stussy fiatarono: erano rapiti dallo scintillio della Torre, che pareva vibrare sulla tenebra del mare. Qualche secondo appena, e poi le lucine cominciarono ad accendersi e spegnersi, buio, luce, buio, luce.

«Accidenti» imprecò Kaku «Dev’esserci un falso contatto. Vado a prendere il nastro isolante»

«Ma quale falso contatto!» protesto Jabura «Così è bellissima! Attira l’attenzione! Si vede da lontano!»

«Così ricorda il mio distretto» considerò Stussy. «Kaku, aspetta. Devo parlarvi!» disse, come ridestandosi.

 

 

 

«Lucci a Natale non sta qui? Ma come? Aveva detto che andava bene organizzare da lui!» si sorprese Kaku.

«Chapapa, è proprio quello che ho sentito! Lo passerà da Stussy! Lei è venuta qui per invitarlo.»

«YOOOOYOOOOIIII SEI PROPRIO SICUROOOO??» intervenne Kumadori «STUSSY HA AFFRONTATO LE TEMPESTE, IL MARE, LO SPAZIO SCONFINATO DEL GRANDE BLU PER UN’ALTRA E BEN PIÙ NOOOOBILE MISSIONE!»

«Ma no, ha chiesto a Lucci di passare il Natale con lei, e Lucci ha detto sì, a patto che se ne andasse.»

Kaku, seduto a uno dei tavolini del bar di Gigi L’Unto, girava e rigirava il cucchiaino nel suo caffè, durante la pausa di metà mattina; il giorno dopo Natale sarebbe partito per una missione che l’avrebbe tenuto impegnato per qualche settimana, stava studiando con perizia tutti i dettagli del piano, però si concedeva volentieri delle pause con i suoi colleghi.

«Non mi sembra da Lucci, un comportamento del genere» considerò. «Con chi passi il Natale sono fatti suoi, però ci eravamo organizzati per andare a casa sua… mi sembra il minimo avvisare che non c’è!»

«Ma figurati! Gli è mai importato degli altri, a quell’alzato di culo?» sbottò Jabura. «Staremo meglio senza di lui» sentenziò scolandosi le ultime dita del suo drink.

«Però bisogna pensare a dove mangiare» intervenne pratico Blueno, che chiudeva il terzetto. In quel momento la bella Souzette, figlia di Gigi, gli servì la birra che aveva ordinato. «Avevo pensato a casa di Kumadori».

Jabura e Kaku annuirono, favorevoli.

Casa di Kumadori era al secondo piano della Torre; una casetta calda, accogliente, con i mobili di bambù e le porte scorrevoli, piacevolissime da aprire e chiudere perché profumavano di fiori di ciliegio; in cucina c’era sempre una vasta selezione di tè, e nei pomeriggi piovosi Jabura scendeva sempre a casa del compare per stare in compagnia, e lui il tè lo correggeva sempre con un cucchiaio di qualche alcolico pesante.

Anche se Kumadori era molto chiassoso, e Jabura estremamente irascibile, stavano volentieri insieme: si conoscevano da tutta la vita ed erano gli agenti più anziani del reparto.

«Quindi il signor Lucci non ci sarà, questo Natale? » fece dispiaciuta Souzette. « Qualche missione?»

Che gli agenti del CP0 andassero in missione non era un segreto, si poteva dire; ovviamente Souzette non avrebbe mai saputo i dettagli, né li avrebbe chiesti, ma conosceva bene gli agenti che spesso si intrattenevano nella locanda di suo padre, e le piaceva chiacchierare con loro.

«Nessuna missione» le rispose Jabura.

«Chapapa, ha un appuntamento romantico con una ragazza!» intervenne Fukuro, con disappunto degli altri agenti.

Souzette fece tanto d’occhi, sorpresa.

«Non è detto che sia così! La vuoi smettere di mettere queste voci in giro?»

 

 

 

«Lucci con quella signorina che è venuta qui alla Torre? Stai scherzando?»

Lilian Rea, la segretaria della Torre di Catarina, era incredula: mai e poi mai avrebbe pensato che Rob Lucci potesse… cioè, in realtà poteva eccome: era un bell’uomo, sulla trentina, anzi era strano che nessuna donna avesse mai incontrato i suoi favori. Aveva qualche difettuccio, tipo l’istinto omicida, la passione per il sangue dei suoi nemici, l’arroganza senza pari, ma nessuno è perfetto.

E la signorina Stussy era… beh, era un’agente proprio come lui: spietata e bellissima.

«Sì, pensa che sono usciti anche a cena ieri, li ho visti con i miei occhi» rispose Souzette dandole il resto.

Erano tutte e due al pianterreno della Torre di Catarina, e Souzette aveva appena consegnato un vassoio di dolci, cornetti, caffè e birre che gli agenti avevano fatto ordinare a domicilio al suo bar. Lilian era costernata alla notizia, ed era evidente che non sapesse bene come prenderla.

Souzette, diplomatica, la consolò: « Pranzano insieme il giorno di Natale, Lucci non le fa certo una promessa di matrimonio. »

In quel momento passò per di lì la cuoca che lavorava alla mensa della Torre, che stava al pianterreno e di cui usufruivano gli agenti. Capì una cosa sola: “Lucci” e “promessa di matrimonio”.

Contattò la sua collega che cucinava alla Torre, e lei telefonò alla modista che lavorava agli abiti degli agenti (abiti estremamente curati nei dettagli e costituiti da una fibra eccezionalmente elastica e resistente, per evitare di strapparsi durante le trasformazioni ibride o di prender fuoco durante le elevatissime frizioni di quando usavano le Tecniche); la modista chiamò il personal trainer che allenava Califa, e lui rigirò la telefonata a Lilian, la quale immediatamente lumacofonò a Jabura alle undici e mezzo di sera, facendolo precipitare a casa sua, sull’isola dal clima estivo, per bere un goccio e calmare i nervi all’idea di dover partecipare al matrimonio del rivale.

Erano nella cucina di Lilian, accogliente e dal piano di lavoro in muratura, come si usava una volta, con il tavolo in mezzo alla stanza e il balcone socchiuso per far entrare il fresco, con la tenda di lino bianco che ondeggiava e lasciava intravedere il porticciolo deserto. Erano seduti uno di fronte all’altra e con una bottiglia di cachaça a separarli, quando Lilian cominciò a mettere un po’ di ordine in quella situazione.

Jabura era in pieno panico, ma lei riusciva ancora a formulare qualche pensiero lucido, nonostante l’ora tarda e il turbinio di chiacchiere che era stata quella giornata.

«Senti, a me tutta questa storia sembra davvero strana. Non ci si sposa così, da un giorno all’altro, e poi non mi è sembrato che tra Lucci e Stussy… voglio dire, di solito quando due si amano e si vogliono sposare, qualcosa si sente. Da come si guardano, da come stanno insieme… noi sappiamo solo che sono andati a cena una volta e che hanno parlato per venti minuti nell’ufficio di Lucci. Mi sembra un po’ poco, per un matrimonio!»

«Ti aspetti le serenate al chiaro di luna, i fiori e le promesse, da Lucci? È stato cinque anni senza parlare, a Water Seven!»

«Chi è la fonte della notizia del matrimonio?» fece Lilian. «Fukuro? Spandam?»

«Lo sa mezza Catarina! E Lucci ha passato mezza giornata a rimproverare Fukuro di non mettere voci in giro, quindi è impossibile che sia stato lui!»

Lilian non era del tutto convinta. «Avete chiesto a Lucci se questa storia è vera?»

 

 

 

Fu Kaku a prendere l’iniziativa, non ne poteva più di voci di corridoio, sospetti e mezze verità! E lui ci teneva molto a separare il lavoro dalla vita privata, quindi decise di rompere gli indugi e fare quello che avrebbero dovuto fare già da ieri: chiedere a Lucci se avrebbe pranzato con loro, a Natale. E se avrebbe sposato Stussy.

Rob Lucci se li vide entrare uno dietro l’altro nel suo ufficio: prima Kaku, e questo era normale amministrazione; poi Califa, e anche lì poteva starci. Poi arrivò Kumadori piangendo e parlando di amore e di figli maschi, Jabura che lo fissava minaccioso digrignando i denti, Fukuro con l’aria innocente e la zip chiusissima (e questo sì che era sospetto), poi Blueno, poi Spandam.

Hattori sgranò gli occhi guardando entrare anche il resto della processione: la segretaria, le cuoche e le sguattere della mensa.

E di tutto quel presepe, venne avanti Kaku.

Mama Floridia, tutta contenta, andò verso il leader del reparto, felice come una Pasqua, gli mise un pacchettino tra le mani e disse in fretta: «Lei fa sempre tutto in silenzio! Questo è da parte mia, di Lizabeta, di Farmaceuta e di Siza Grande! Auguri a lei e alla sua sposa! Congratulazioni! Fate dei bei bambini il prima possibile!»

E sparirono dalla stanza, lasciando soli gli agenti e la segretaria.

Lucci si risedette alla scrivania, con la stessa grazia dei felini che girano attorno al proprio territorio; posò la scatolina ricevuta dalle cuoche sul piano, si legò i capelli e infine guardò in faccia Kaku e domandò a lui: «Spiegami che diavolo sta succedendo»

Intanto Hattori stava svolgendo il pacchettino, curioso di vederne il contenuto.

«Mangi con noi a Natale, o vai fuori?» domandò Kaku a braccia incrociate. Non aveva nessunissima soggezione di Lucci, erano colleghi da tanti anni e per loro la differenza gerarchica era solo una formalità. «Perché se non ci sei, dobbiamo organizzarci diversamente»

Rob Lucci aggrottò le sopracciglia e fissò tutti con sguardo gelido.

«E siete venuti in… nove a chiedermelo?»

Hattori tirò fuori dalla scatolina due perizomini leopardati.

Nel silenzio, si udì il rumore di una zip che veniva aperta.

«Chapapa, gira voce che stai per sposarti, e che a Natale vai dalla tua ragazza»

«E siccome abbiamo già perso troppo tempo attorno a questa faccenda, ho pensato di venire a chiedertelo di persona: a Natale ci sei o no?»

Lucci non sapeva chi dei presenti cominciare a uccidere. «Cosa diavolo vi siete fumati?»

 

 

 

Toccò a Califa, santa donna, districare quella matassa di frasi ascoltate per errore, incomprensioni, notizie false, idiozie e patemi d’animo, e poi infine arrivò la lieta novella: Lucci non avrebbe sposato Stussy; non ne aveva la minima intenzione, e la relazione tra i due non esisteva, non era mai esistita e, assicurò il diretto interessato, “non sarebbe mai esistita”, con tanto di quel veleno che trasudava dalle zanne che nessuno ebbe dubbi in merito. Avrebbe passato il Natale lì, a Catarina, con i suoi colleghi, e non nel Quartiere a Luci Rosse, dove non avrebbe mai e poi mai messo piede. L’appuntamento con Stussy c’era effettivamente stato, avevano cenato insieme, parlato di lavoro, e Rob Lucci l’aveva piantata in asso al ristorante subito dopo aver pagato il conto per entrambi senza nemmeno accompagnala in albergo.

Jabura gettò la testa all’indietro e fece una grande risata liberatoria, seguita da più sospiri di sollievo. Kumadori piantò il bastone a terra e cominciò a declamare piangendo: «YOOOOYOOOI! LAAA CAAALUNNIAAA È UN VENTI-CE-EEEELLO! UN’AAAUUURETTAAA ASSAI GENTIII-III-LE!!»

Fukuro era allibito. «Chapapa, e… e la partecipazione per il giorno di Natale? Ho sentito Stussy dire che “sarebbe stato un bel modo di passare il Natale”»

Lucci frugò in un cassetto e tirò fuori un oggetto, mostrandolo ai colleghi. Blueno lo prese in mano: era un calendario di quell’anno, quello che sarebbe finito pochi giorni dopo.

«Stussy mi ha chiesto di posare per il nuovo calendario del Cipher Pol, cosa che del resto ha chiesto anche ad alcuni di voi, a quanto mi risulta.»

Gli agenti sfogliarono il calendario: dodici scatti, rigorosamente senza veli, di agenti del Cipher Pol, alcuni dei quali li conoscevano! Califa arrossì violentemente guardando dei suoi superiori posare senza un minimo di pudore, con le grazie al vento, censurate a mala pena!

Nell’ultima pagina c’era spiegato il motivo di quel calendario: beneficenza. Il ricavato sarebbe andato alle famiglie degli agenti morti in servizio, e alle scuole che istruivano le nuove leve. Per questo i nudi: vendevano benissimo!

«Fukuro » tuonò Lucci « Cosa ti avevo detto, riguardo il non mettere voci in giro?»

«Chapapa…»

 

Un mese dopo…

 

«Ho fatto benissimo a non prestarmi a questa cosa » si compiacque Kaku. «Lo sapevo che sarebbe stato imbarazzante»

«È poco più di quello che mettiamo in mostra durante un combattimento» si strinse nelle spalle Rob Lucci.

«Devo continuare a chiamarla Boss o posso dire Mister Giugno?» domandò la segretaria della Torre, la signorina Lilian Yaeger.

Sfogliava compiaciuta il progetto che Stussy era venuta a presentare loro il mese scorso: il calendario sexy del Cipher Pol, che ogni anno aiutava le vedove e gli orfani degli agenti caduti sul lavoro! Come ogni anno, i modelli per i dodici mesi erano gli stessi agenti, fotografati senza troppi veli sulle pudenda!

La segretaria ammirava quello sfoggio di addominali definiti, pettorali maestosi, glutei sodi e spalle a tre ante, pensando che aveva speso bene i suoi soldi ad ordinarne ben due copie: una per l’ufficio e una per casa sua. I modelli di giugno e di luglio, poi, erano merce di primissima qualità.

«Chapapa, il calendario del Cipher Pol quest’anno ha fatto il record di copie vendute!»

Quella mattina un corriere postale aveva consegnato alla sede del CP0 un piccolo pacco, che come mittente aveva Stussy in persona. Preso in consegna dalla segretaria, era stato trasportato subito nell’ufficio di Lucci per essere aperto in pompa magna con tutti gli agenti presenti.

«YOOOYOOOI… non rientra nei compiti canonici degli agenti, ma altresì è un GRAAAAANDE RISULTATO PER LA NOSTRA ORGANIZZAZIONE! Se solo la mia povera mamma fosse qui…»

«Avrebbe fatto il calendario anche lei.» considerò Blueno.

«Ma no, è solo con gli uomini. Il calendario delle donne non lo fanno mai, perché non ci sono abbastanza ragazze che si prestano.» spiegò Jabura aprendo le pagine del calendario a cui aveva collaborato.

«Chapapa, non dovresti credere a queste maldicenze, Jabura.» disse scavando fra la carta di giornale che proteggeva i calendari nel loro pacco «Quest’anno Stussy è riuscita a reperire undici volontarie e il calendario delle donne è uscito! e ha incassato più di quello maschile! Eccolo qua!!» rimbalzò Fukuro sventolando il “gemello” del calendario.

«I mesi non erano dodici?» fece Lucci.

«A dicembre c’è la foto di gruppo, tutte in autoreggenti e cappellino da Babbo Natale» spiegò Fukuro, informato come al solito.

«Ma dai! Scommetto che hanno accettato solo le racchie, le figone non… accettano… mai…» mano a mano che sfogliava, la voce di Jabura si affievoliva e tentennava. «Ma questa è Califa!» arrossì inaspettatamente, aprendo la pagina del mese di aprile.

Una grande fotografia a colori di Califa riempiva la parte superiore del calendario. Era stesa a pancia in giù su una scrivania, tra le tazze del Governo Mondiale e i rapporti, si reggeva sui gomiti e  metteva in evidenza i seni enormi e candidi, in primo piano; le gambe erano fasciate in calze a rete con il loro reggicalze e aveva la schiena ben arcuata per mettere in evidenza i glutei perfetti. Aveva i capelli acconciati in uno chignon e ammiccava da sopra alla montatura degli occhiali. Rossetto di fiamma e unghie laccate rosso fuoco erano l’ultimo tocco. Oltre alle calze, non indossava proprio nulla.

«Chapapa, sta benissimo, che problema c’è?» domandò con noncuranze Fukuro.

«Non mi aspettavo che facesse una cosa del genere!» protestò Jabura, lasciando che Blueno gli prendesse il calendario dalle mani per esplorare anche gli altri mesi.

«Jabura, questa è una molestia sessuale» lo ammonì la donna, che stava sfogliando il corrispettivo maschile del calendario. «E comunque, tu ti sei scoperto molto più di me, quindi che hai da sbraitare?»

«Non me l’aspettavo! Stai sempre ad accusare il mondo di molestarti!»

«Jabura…» sussurrò la donna.

«Che c’è?»

«Mi stai molestando»

Jabura la mandò a quel paese con un gesto e ammirò la sua foto che dominava il mese di luglio, surclassato da Lucci nella competizione per avere giugno.

Rob Lucci era stato fotografato sotto una piccola cascata, quasi uno scatto rubato: completamente nudo, rovesciava appena appena la testa all’indietro per godersi l’acqua ghiacciata che scendeva, e si ravviava i capelli, per far godere gli spettatori dei suoi muscoli tesi e bagnati, con l’acqua che sciorinava disegnando la rada peluria che scendeva verso il basso. Purtroppo un uccellino bianco era passato tra uomo e obiettivo al momento sbagliato, censurando lo stretto indispensabile, ma la visione rimaneva comunque superba.

Jabura lo degnò appena di attenzione e considerò: «Tanto lo sanno tutti che luglio è più caldo»

«Dovevano darti ottobre, tra le zucche vuote» rispose a tono Lucci.

La foto di Jabura era stata scattata in uno dei boschi dell’isola dal clima estivo, lì a Catarina. Jabura si rialzava gli occhiali da sole sulla fronte e in braccio teneva una gallina bianca; avanzava nudo sotto le fronde con il sole che gli guizzava sui muscoli, e aveva l’espressione ghignante di uno che, alla gallina, avrebbe tirato il collo di lì a poco. La censura non esisteva, o, meglio, la foto era stata tagliata sul più bello.

Califa fissava la foto.

«Ti piace?» fece Jabura, tutto fiero.

«Hai un pollo in mano» replicò la ragazza, interdetta.

«Quella è Rosita!»

«Non è quella che vaga per casa tua?»

«Sarà il brodo della fine di gennaio! Il fotografo blaterava di cercare di essere naturali, di mettersi a proprio agio…»

«E lui ha pensato bene di portarsi il ruspante da casa» completò Lucci, che era stato presente quando avevano fatto le foto «Il fotografo è stato più scemo di te, ad assecondarti»

«Sempre meglio che te che ti lavi! Che razza di foto è?»

«YOYOI! CHE VUOI DIRE CON “IL BRODO DI GENNAIO”? JABURA! COME PUOI ABBANDONARLA A UN SIMILE DESTINO? LA FEDELE COMPAGNA DELLA TUA VITA!»

«Compagna di vita?! Ne ammazzo almeno cinque ogni anno!»

Kaku lo squadrò orripilato: «Dove diavolo le uccidi, tutte queste galline? In casa tua??» va bene che erano assassini, ma ospitare un mattatoio in casa era un’altra faccenda!

Blueno intervenne per sedare la rissa prima che degenerasse, come al solito. « Guarda qua » distrasse Jabura sottoponendogli la pagina di giugno del calendario delle governative. Il Lupo si perse per un attimo in un paio di natiche nude di tutto rispetto, poi mise a fuoco una scritta tatuata sulla pelle della modella sotto alla curva del gluteo: « Oh no, the ground » lesse Jabura. Salì ancora con lo sguardo verso la cima della pagina e trovò gli occhi allegri di Lilian che puntavano l’obiettivo. Era girata di tre quarti, si stava raccogliendo i capelli umidi con le mani e sorrideva, quasi si fosse divertita a farsi scoprire dal fotografo tutta nuda e con il sedere infarinato di sabbia, che spiccava sull’abbronzatura.

«Ti piace?» sorrise serafica Lilian, che si stava godendo il calendario maschile «se vuoi, te l’autografo!»

«Quando l’hai fatta?»

Lilian si strinse nelle spalle «Boh? la settimana prima di Natale, mi pare»

«E io dov’ero?» protestò l’agente.

«Cos’è tutto quest’interesse per il mio culo, all’improvviso?!» scoppiò a ridere la pilota.

Fukuro cominciò a slacciarsi la zip, e già si sentivano le sue celluline grigie ronzare alla ricerca di idee e informazioni: «Chapapa, è un interesse sospetto, non vorrei-»

Gli agenti si tuffarono a chiudergli la zip all’istante! Se da un semplice calendario era venuto fuori un matrimonio (con tanto di perizomini di coppia: Jabura avrebbe sfottuto Lucci per l’eternità), figurarsi cosa poteva uscire da una voce del genere!

 

 

 

Dietro le quinte...

Eccomi di ritorno!! :D Fukuro, Fukuro, cosa ci combini? O, per dirla con le parole di Jabura... A CHE TI SERVE QUELLA ZIP SE NON LA TIENI MAI CHIUSA? 

Ho poco da dire, a questo giro! Per Califa e Lucci ho scelto aprile e giugno, loro mesi di nascita. Anche Jabura è nato a giugno, ha litigato con Lucci e demolito tre edifici per stabilire a chi toccasse quella pagina, e alla fine Jabura è scalato a luglio... tanto è più caldo *ammicca*. 

Ho trovato interessante muovere Stussy! Mi sembra una tipa intrigante e con una certa dose di grazia, spero che nel canon ci diranno di più (ma sicuramente il suo ruolo non si è ancora esaurito). L'ho vestita un po' anni '20, con gli abiti al ginocchio, i capelli a caschetto e la cloche in testa, come si è presentata SPOILER al matrimonio di Sanji e Pudding. Kumadori intona "La calunnia è un venticello", aria di Rossini tratta dal Barbiere di Siviglia!

Grazie per aver letto questa storia!! :D lasciate una recensione, se vi va, e ditemi pure cosa ne pensate sui vari personaggi! :D un grande bacione,

Yellow Canadair

 

 

 

 

 

 

 

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Yellow Canadair