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Autore: esmoi_pride    05/02/2018    2 recensioni
Il Gran Regno di Saab è stato rifondato dalle sue antiche rovine, e adora il dio Saab. L'Imperatore scelto dal Dio ha accolto i reietti della società e li ha resi il popolo della città. Ma adesso i signori rivogliono indietro i loro schiavi e creano un'Alleanza, formata dalle sette città più importanti della regione, per annientare il loro piccolo avversario. Quella che scoppierà sarà una lotta tra gli uomini... e qualcosa di ben più grande di loro. | Storia fantasy. Cosa c'è dentro: guerra, drow, omosessualità latente, dettagli truculenti, drow, omosessualità sfacciata, morte, drow, slash, comandanti bboni, ho già detto drow?, pseudoincesto, scoperte molto boh, qualche umano, poteri psionici/cineti, una minoranza di altre razze, cose improvvisamente sci-fi ve lo ggiuro, e... drow, principalmente.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Saab'
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Ciao a tutti quelli che sono arrivati a questo punto di “Saab: Down to Earth” :) nel capitolo 4 potrete cogliere i primi indizi sul plot twist principale assurdoassurdo della storia. Potrete anche iniziare a chiedervi chi è il misterioso personaggio gnocco con cui domani aggiornerò la lista dei personaggi principali nel capitolo uno (ovviamente una sorpresa solo per chi ha iniziato la storia prima del 6 Febbraio!). Vi consiglio di leggere la sua presentazione prima di proseguire la lettura! Questo capitolo contiene interessanti indizi anche sul nuovo personaggio: indizi ambigui ma che, se siete abbastanza attenti, riuscirete a cogliere.
 
Prima di lasciarvi al quarto capitolo devo fare un disclaimer: due dei personaggi che sono presenti in questa storia non sono di mia proprietà. Sono personaggi originali appartenenti a altre persone e ho chiesto il loro permesso e la loro approvazione prima di muoverli. I personaggi sono rispettivamente Valentino appartenente alla mente di Babuccaneer e proprio il nuovo personaggio della nostra storia, che appartiene a Capitan_Canesciolto.
Mentre il passato che lega questi personaggi ai miei è stato creato a quattro o anzi più mani (leggesi: gdr by chat/forum abusivo), la storia che state leggendo adesso è di mia invenzione. Ringrazio loro e gli altri giocatori per avermi ispirata con la loro fantasia e permesso di partecipare alla narrazione collettiva in cui i nostri personaggi si sono potuti formare!
 
Infine: in questo capitolo segnalo l’avvertimento di Contenuti forti.
 
Detto questo, buona lettura :)
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
Saab: Down to Earth
Capitolo 4 –
Lil doer del Korit'al Kal'daka*
*L'arrivo di Lupo di Neve
 
 
 
 
 
 
"Sono Wolfspirit.
Non so se questi cosi con le ali possano volare di notte.
In caso, questo messaggio ti giungerà all'alba.
Sono a Sud, alle Miniere, con il branco, per un incarico ufficiale.
Saremmo dovuti tornare la notte stessa, ma ci hanno offerto ospitalità, Lupa Morte ha accettato, e quindi anche io.
Dovrei tornare presto. Magari arriverò prima di questo messaggio.
In caso ti spiegherò la stessa cosa, ma a voce.
Mio amore? Posso scriverlo, vero?
Wolf."
 
 
 
"Cucciolotto,
Ho capito, stai facendo le tue cose da lupo. Prenditi il tuo tempo. E poi non sono l'unico ad avere bisogno di te: anche Lupa Morte conta su di te, perché sei forte e leale.
Io sarò qui quando tornerai, così potrai dirmi le novità. Spero siano positive. Ho letto di un ordigno esplosivo avversario veramente rassicurante che è stato studiato in questi giorni e questo rende tutto ancora più meraviglioso.
Stasera... ci sarà un attacco alla Piramide, e io andrò con la tua capobranco. Non dovrai preoccuparti per me, sarò vicino ad amici. Ma, sai, non si sa mai, quindi mi premurerò di strapazzarti di coccole a dovere prima di partire. Sei contento?
 
E… sì, che puoi scriverlo, amore mio.
È strano perché ti ho chiamato così tante volte nella mia testa, ma non l'ho mai detto...
Ci stringiamo presto, cucciolo.
 
o"
 
Lettere di due innamorati,
Bastioni al Ghiacciaio dell`Est,
13° anno, 1° mese, 23° giorno, data locale
d.h. 345
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Un giovane uomo dalla zazzera color carota sedeva a uno scranno, con le braccia poggiate sulla superficie di marmo e le mani intrecciate tra loro. Osservava le carte e gli oggetti sulla scrivania con la fronte corrugata. Lo scranno era di fattura ricca, così come la stanza che lo ospitava: una stanza lunga, le cui vetrate facevano penetrare la luce intensa del sole.
 
Una donna dai lunghi capelli bianchi gli stava dando le spalle. Aveva il viso chino su di un nastro di pergamena che aveva tra le dita affusolate. Alzò il viso e si incamminò verso il giovane, nascondendo lo stralcio di pergamena nella tasca.
 
“A quest’ora i nostri eserciti saranno sul campo di battaglia, Dan Domehrsein” incalzò la donna.
 
Umirr Dan Domehrsein, re di Città Alta, inarcò perplesso un sopracciglio.
“Ricordatemi perché non siamo lì…?”
“Perché la feccia non è degna della nostra presenza,” chiarì la donna. La sua mano si adagiò sull’angolo del tavolo con la delicatezza di una piuma, e Umirr inchiodò lo sguardo su quel gesto. “Finirà tutto molto presto. Non sarà neanche una battaglia decente. Non può essere considerata neanche una guerra, decente.” La donna si strinse nelle spalle armoniose, i suoi occhi dal taglio all’insù distrattamente affacciati all’arcata che aveva davanti. “Saab cadrà, e noi ci riprenderemo… quello che è nostro.”
 
Umirr sbatté le palpebre in una considerazione.
“Beh, hanno sgominato un esercito drow, dovete ammettere che finora non è andata male…”
La donna dagli abiti bianchi si voltò verso di lui.
“L’esercito drow non ha considerato le doti dell’Imperatore: noi sì. Lo abbiamo visto capace di resistere al numero di quell’armata e capovolgere le caratteristiche della battaglia a suo favore. Ma non c’è modo che le sue forze riescano a gestire sei città dell’Alleanza.”
Umirr alzò piano gli occhi, per trovare quelli glaciali della donna.
“Siete stata… una abile stratega, Signora Bianca,” le concesse, tentennando con la voce. “In fin dei conti, basta dargli un colpo deciso.”
La Signora Bianca annuì e la sua mano abbandonò il tavolo. Umirr si fece sfuggire un sospiro di sollievo.
 
Lei avanzò verso il balcone, facendosi investire da un raggio di luce.
“Non hanno risorse, capacità, numeri o disciplina. Per quanto possano fingere di essere come noi, non potranno mai uguagliarci. Sono disorganizzati, dediti al caos. Essersi uniti nello stesso luogo non li ha cambiati da quando erano un ammasso di criminali da quattro soldi.”
Si fermò sotto l’arcata e intrecciò le mani dietro la schiena. I suoi occhi scandagliarono il cielo: terso sotto la città, ma diversi chilometri più lontano le nuvole si accumulavano, man mano più grigie.
“Anzi, ormai dovranno aver dimenticato cosa significhi lottare. Meglio finirla qui e finirla subito. Non c’è motivo di protrarre qualcosa che può fermarsi senza ulteriori dispendi di energie e risorse… vedrete, il Gran Regno di Saab rimarrà sgomento quando vedrà tutti i nostri eserciti uniti per la causa. Prenderemo il Regno in poco tempo.”
La sua silhouette, lambita dal sole, la rendeva un’ombra nella luce accecante in cui si crogiolava.
Umirr sospirò e infranse una mano tra i capelli rossicci.
“Sarà meglio. Prima torneremo all’ordine naturale, meglio è. E io avrò vendicato mia sorella,” mormorò a voce più bassa, osservando le carte.
 
La Dama si voltò indietro e tornò al riparo dal sole.
“Avremo tutti quello che vogliamo.”
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
In sella a un cavallo alto e snello, Azul scrutava lo scenario che aveva davanti.
I suoi occhi gialli erano spalancati sull’armata dell’Alleanza. Risvith, Picco del Diamante, Collina Intessuta, Gola di Futhar, Città Alta e il Regno della Signora Bianca: sei eserciti gli si stagliavano davanti. Risvith, Città Alta e il Regno della Signora Bianca erano i più imponenti. I loro stendardi sfoggiavano su un esercito di umani in armatura. Gli altri eserciti erano sensibilmente più scarni, ma differenti. Picco del Diamante aveva armato i suoi stessi schiavi; ibridi, mezzosangue. I guerrieri della Gola di Futhar erano orchi e mezzorchi. La maggior parte degli incantatori, invece, apparteneva allo schieramento di Collina Intessuta.
 
Il drow minuto era infagottato in un abito pregiato e un mantello che ne nascondevano l’armatura leggera. Setacciava gli eserciti frenetico, taciturno.
 
“Bella merda, eh?”
 
Azul voltò il viso verso il messaggero, che aveva fermato il cavallo accanto a lui nel parlargli. Dall’altro lato, Imesah continuò a scandagliare gli eserciti avversari. Il drow valutò il messaggero, dai finimenti del cavallo all’elmo. La donna si schiarì la gola.
“Perdonatemi, Imperatore. Mastro Lyghenar chiede di vedervi prima della battaglia.”
Azul tornò pigramente a guardare avanti a sé.
“Può venire.”
“Vi chiede di raggiungerlo nella tenda dei Mercenari. Deve mostrarvi dei progetti, credo.”
 
Il drow alzò gli occhi sulle nuvole grigie che si erano accumulate sopra di loro. Annuì.
Imesah si voltò a guardare entrambi. Azul tirò le redini del cavallo, ma Imesah si sporse in avanti per fermarlo.
I due si scambiarono un lungo sguardo, davanti alla donna in attesa.
Imesah ritirò la mano.
“Vengo con te.”
“No.” Il drow abbassò lo sguardo, negandosi al suo. “Resta qui.”
Il Cavaliere insistette sul suo volto, esitante. Azul si ostinò a evitare i suoi occhi. Imesah rinunciò. Tornò a guardare avanti a sé senza che la tensione avesse abbandonato la sua espressione.
Azul tese di nuovo le redini e guidò il cavallo per farlo girare.
 
 
“Spero che si tratti di qualcosa di importante,” Azul scostò il drappo della tenda e si sfilò i guanti dalle dita, avanzando. “Gli eserciti sono pronti. Sii veloce.”
Lyghenar era piegato in avanti verso il tavolo centrale, occupato da mappe e pedine, con lo sguardo verso l’uscita. Vedendo Azul avvicinarsi, si alzò e lo raggiunse senza fretta.
“Devo essere veloce? Credevo che mi avresti voluto più delicato. Sai, ci potresti morire.”
Il Mastro Mercenario allungò un braccio verso il drow. Chiuse le dita attorno al polso di Azul in una presa calda, ma l’altro strattonò il braccio e si liberò dalla stretta.
“Non è il momento, Lyghenar. Vuoi la pappa? Dopo.”
L’uomo si fece sfuggire una risata.
“È così che mi vedi? O che vedi tutti quelli al tuo servizio, principessa?”
Azul fece un passo indietro, allontanandosi da lui. Iniettò uno sguardo gelido in quello dell’altro, poi si voltò verso l’uscita.
 
La nuova presa di Lyghenar sul braccio, ben più salda, lo tirò all’indietro, facendolo cadere con la schiena contro il petto di lui. Il piccolo corpo del drow veniva manipolato facilmente dalle sue mani.
 
“Credo che i nostri accordi siano troppo vaghi, Azul. Non c’è certezza che tu mi darai ciò che mi hai promesso. Parlando di quelle famose certezze, sì?”
 
L’impatto sul corpo dell’uomo lo aveva stordito. Lyghenar lo voltò verso di sé e ne afferrò il fianco nell’altra mano.
Levami le mani di dosso,” sibilò la voce di Azul.
“Altrimenti?”, Lyghenar gli lasciò il polso per spostare la mano sul petto del drow: iniziò a trafficare tra le pieghe dei vestiti, sciogliendo e aprendo il mantello, tenendolo fermo con la mano sul fianco. Azul tentò di bloccarlo senza riuscire. “Hai bisogno di me, non mi ucciderai. Ti metterai a urlare?”, il mercenario rise, “per far capire a tutti quanto sei fragile?”
 
Indossando una maschera di rabbia, Azul penetrò la carne dell’uomo con le unghie. Al gesto, Lyghenar lo spinse via senza dosare la sua forza. La violenza della spinta fece inciampare il drow sul tavolo. Vi cadde sopra sulla schiena, sbatté con la testa. Il mercenario avanzò e si sistemò tra le sue cosce. Si sporse in avanti e in uno strattone ruppe i bottoni dell’abito, aprendolo. Iniziò a trafficare con la stoffa sul bassoventre. Chiuse le mani sulle anche dell’Imperatore e in uno strattone secco gli fece impattare le natiche contro la patta dei propri pantaloni.
 
“Meglio fare silenzio e lasciarmi fare”, proseguì lui, abbassandogli i pantaloni. Azul tese il braccio verso la coscia, ma prima di riuscire a raggiungere il pugnale infoderato Lyghenar lo intercettò e fece cadere l’arma a terra. “Sarà veloce, come mi hai chiesto tu. Un piccolo assaggio, solo un piccolo assaggio…”
Il drow cercò di tirarsi su. Il braccio di Lyghenar era grosso quasi quanto la sua testa. Gli bastò premere la mano sul ventre del drow per impedirgli di alzarsi. Con l’altra mano si sbottonava la patta, tesa dall’erezione che conteneva. Azul trascinò un ringhio fra i denti.
 
“Lyghenar?”, urlò una voce dall’esterno. La tenda attutiva il suono. La voce dovette ripetersi, da più vicino, perché il mercenario smettesse di cercare di forzarsi nell’apertura del drow.
Lyghenar emise uno sbuffo snervato e voltò il capo dietro di sé, verso l’entrata della tenda.
“Ho detto che non dovete disturbarmi!”
Azul non aveva smesso di fissarlo. Strinse i denti, piegò la gamba e mollò un calcio sulla mascella del Mastro con la suola degli stivali, quanto più forte gli permetteva la spinta.
Lyghenar cadde a terra imprecando, con una mano sul viso.
Azul si tirò su velocemente, ansante. Si riallacciò i pantaloni e un laccio del mantello con le dita un po’ tremanti. Andò verso l’uscita, ma venne afferrato dal Mastro per il braccio. Gli lanciò lo sguardo rabbioso di prima e strattonò il braccio a sé. Lyghenar insisteva, in un ghigno che ne solcava le labbra.
 
“Lyghenar?”
La tenda venne aperta.
 
Davanti alla guardia, e a chi camminava nei dintorni, Lyghenar stava trattenendo l’Imperatore per il braccio, entrambi immobilizzati a guardare l’uomo che li aveva interrotti.
 
Con un ultimo strattone secco, Azul si liberò della presa del Mastro. Si passò la mano sulla zona torturata, riprendendo una posa composta, poi iniziò a riallacciarsi il mantello.
“Che cazzo ci fai qua? Ti avevo detto di restare fuori,” ruggì Lyghenar.
“Senti, mi hanno detto che era urgente. La capoclan dei mannari ti sta cercando.”
“Non mi importa cosa vuole quella troia!”, la voce dell’uomo si alzò.
 
Azul si diede un’occhiata sommaria e uscì dalla tenda, abbandonando i due alla conversazione. Camminò verso il cavallo che era legato allo stendardo del campo. Gli affondi degli stivali nel fango si univano al brusio di tutti gli altri. Le voci venivano offuscate dal clangore delle armi e delle armature. L’odore del cuoio e dei cavalli copriva quello delle persone, rendendole ormai tutte, più o meno, uguali. Il drow catturò una zaffata d’aria con le narici.
 
Si piantò a terra. A metà strada tra la tenda e il suo cavallo, Azul Goldsmith si cristallizzò per un istante. Poi si voltò e fissò il vuoto davanti a sé, frastornato. Non c’era nessuno davanti a lui. Le persone attraversavano il campo senza prestargli attenzione, passandogli vicino. Tirò di nuovo una zaffata d’aria dalle narici. Sgranò gli occhi e, respirando più affannosamente, alzò lo sguardo smarrito a setacciare la risma di persone che gli girava attorno. Si voltò verso il cavallo, cercò ancora nel vuoto. Inspirò forte una terza volta dal naso. Il respiro decelerò. Azul tornò a guardare verso la tenda, nella prima direzione dove aveva guardato. Non c’era nessuno. Sbatté le palpebre, più volte. Mosse un passo indietro, incerto. Si voltò. Proseguì piano verso il cavallo.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
La battaglia imperversava da ore. Il sangue si era mescolato al terreno, che la pioggia aveva reso un fango vermiglio. Cadaveri in armatura, spade, staffe erano sparsi sul campo in cumuli. Una risma di pirati scalò il cumulo di cadaveri per scrutare l’orizzonte, con le sciabole sguainate in mano.
 
Il pirata con la benda su un occhio alzò la mano sulla fronte per guardare meglio.
“Vedo uno stendardo succoso, aiò!”
“Che cazzo vedi, che sei cieco,” osservò delicatamente l’energumeno a petto nudo, per poi rivolgersi a una fanciulla con un tricorno sulla testa, “cosa vedi, vedetta?”
“Uno stendardo, aye!”, confermò la ragazza. Rinfoderò la sciabola e afferrò un arco da dietro la schiena. Incoccò la freccia verso il cavallo dell’alfiere. Socchiuse gli occhi, focalizzando l’obiettivo in corsa. Scoccò la freccia.
La ragazza abbassò l’arco in un sorriso soddisfatto mentre il cavallo dell’alfiere scivolava nel fango. Gli altri lo raggiunsero e con una risata avida l’energumeno passò l’alfiere a fil di spada. Il pirata orbo si accovacciò sull’uomo morente per strappargli di dosso i gioielli.
 
 
Il rombo di una grossa mazza chiodata che veniva trascinata preannunciava l’arrivo di un orco. La terra tremava sotto i suoi passi. La creatura si fermò alle spalle di un gruppo di guerrieri saabiani, messi alle strette da dei cavalieri che li avevano circondati.
L’orco alzò la mazza chiodata in un urlo. I cavalli scattarono in fuga, dando una scappatoia ai saabiani. I guerrieri corsero dalla parte opposta ma la mazza ne raggiunse la maggior parte, schiantandosi sul loro fianco.
Gli spuntoni trapassarono le armature di alcuni di loro per poi abbandonarli a terra in una caduta violenta. Il sangue fuoriuscì dalle grosse ferite e sgorgò nel fango, colorandolo di un rosso intenso.
Un lupo nero, grosso il doppio di un lupo normale, catturò un odore in una contrazione del tartufo, alzò il capo e drizzò le orecchie pelose. Voltò il muso e ringhiò, drizzando i peli sulla schiena. Il branco che lo accompagnava si raccolse attorno a lui e tese i muscoli preparandosi a uno scatto.
L’orco emise un ruggito e il suo sguardo ingordo spaziò sull’orizzonte. Un ululato, limpido come un lugubre richiamo, vibrò dietro di lui.
Una grossa pantera fece scattare le zanne attorno alla spalla dell’orco. Un giaguaro prese di mira il tendine del ginocchio e i suoi denti saldi strapparono la carne al secondo strattone. Una massa di bestie si lanciò sulla schiena dell’orco e lo spinse in avanti, facendolo cadere. Una volta che il tonfo dell’orco ruggente ebbe fatto tremare la terra, si accanirono sul suo corpo strappando pelle e muscoli pezzo per pezzo. Il grosso lupo nero alzò il muso verso il cielo e si lasciò andare a un ululato di avvertimento, che riecheggiò lungo il campo di battaglia.
 
 
So’o trasalì all’ululato, voltandosi nella direzione da cui proveniva. I suoi occhi erano stati camuffati da un contorno di pigmento nero, i capelli raccolti in un cappello, e il corpo nascosto sotto un’armatura leggera e dei vestiti umili.
“Yah!” In un suono metallico la spada di Vilya aprì la pancia di un soldato di Risvith, bagnandosi di sangue. Il drow fece avanzare il cavallo per affiancare quello del fratellastro.
“Non ti distrarre, So’o. Non voglio raccogliere la tua testa mozzata da terra. Poi chi lo sente a Imesah, uh?!”, si lamentò il maggiore, guardandosi attorno. Il caos li circondava. Vilya guardava da tutt’altra parte quando un gruppo di mezzelfi prese la rincorsa verso il Principe.
So’o strinse le mani sulle redini fino a farsi sbiancare le nocche. Mollò la presa con la mano sinistra e la protese verso i nemici in una smorfia di concentrazione.
“Posso…”, sussurrò, con voce tremolante.
 
I mezzelfi scivolarono nel fango, diventato improvvisamente più liquido. Imprecarono, insozzandosi di melma. La pozza di fango si allargò, invischiandoli dentro. Cercarono di alzarsi, ma prima di riuscirci urlarono di dolore. Continuarono a cercare di rialzarsi, ma il fango era scivoloso. Iniziò a ribollire e fumare, e i mezzelfi si contorsero tra urla febbrili mentre le loro carni bollivano nel liquido rovente. Emisero degli stenti, poi si accasciarono, morti.
 
So’o esalò un sospiro angosciato.
“Wow, figo,” considerò Vilya, osservando i cadaveri.
“Erano schiavi dalla parte sbagliata della battaglia, e sono morti,” disse So’o, inasprendo l’espressione, “non vedo in quale modo possa essere figo.”
“È figo nella misura in cui tu sei vivo, fratellino.”
Posò la mano sulla spalla del mezzodrow, che non sembrò meno turbato. Vilya lo lasciò.
“Non stiamo troppo tempo nello stesso punto…”, spiegava al ragazzo, ma il suono di un corno fece trasalire entrambi.
“RITIRATA!”, si sentì urlare dalle file nemiche.
Vilya prese un lato delle redini di So’o.
“Andiamo.”
Fece girare il cavallo dalla parte opposta e i loro cavalli presero la rincorsa, quando qualcosa li fece impennare all’improvviso.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
Il cielo venne coperto di fumo nero, un velo sottile e impenetrabile. Salì verso l’alto come un’onda marina per poi rimanere sospeso nell’aria, attorcigliandosi voluta dopo voluta. Giù le onde proseguivano, in una valanga che avanzava con la velocità di un cavallo al galoppo. Si stavano scagliando contro una densa fila di uomini dell’Alleanza, che correvano dalla parte opposta per non venire inghiottiti. Dalle volute di fumo affiorò un cavallo alto e snello, e l’Imperatore in groppa ad esso.
 
I due fratelli trattennero i cavalli, inghiottiti nella scena.
La sorpresa di So’o scemò presto. Contrariato, con un colpo sul fianco del cavallo e uno strattone deciso delle redini fece partire il cavallo al galoppo.
 
Il richiamo del fratello maggiore si confuse con le urla della battaglia e presto fu troppo lontano per arrivare al mezzodrow. Il ragazzo assecondò i movimenti del cavallo piegandosi in avanti per farlo correre più velocemente. In breve tempo il suo cavallo si trovò tra la schiera di umani e l’ondata mortifera del padre. Lasciò le redini con una mano per protenderla verso terra. Una luce intensa scaturì da essa e venne proiettata sul fango, tracciando una linea luminosa che divise i due schieramenti. So’o si ritirò dietro la linea di luce, e quando le volute di fumo nero tentarono di oltrepassarla, un bagliore accecante assalì l’Imperatore e diradò via il suo incantesimo.
 
So’o fece girare il cavallo verso il drow.
Mentre molti avevano proseguito la fuga, altri di quelli che stavano battendo la ritirata rimasero ad osservare.
Il fumo nero si dissolse e ne emerse l’Imperatore. Gli occhi gialli di Azul, due grandi occhi di rettile, penetravano l’oscurità alla vorace ricerca del cavaliere che lo aveva fermato. So’o scese da cavallo e avanzò, camuffato, verso il padre.
“Stanno scappando, Azul. Lasciali andare! Non c’è bisogno di spargere altro sangue.”
L’Imperatore socchiuse gli occhi, iniettando nel ragazzo uno sguardo velenoso.
So’o avanzò, allargando le braccia.
“Cosa vuoi dimostrare in questo modo? Loro sono come noi, perché vuoi distruggerli?”*
L’attenzione degli uomini al riparo si catalizzò sul ragazzo.
“Loro non sono come noi,” sibilò Azul, gelido.**
Fece avanzare il cavallo e alzò il braccio verso di lui. Un fiotto di magia nera si scagliò sul Principe.
 
Un urlo squarciò il campo di battaglia. Quando Vilya*** si frappose tra So’o e il dardo nero, quest’ultimo si infranse sul suo scudo. Lo scudo proiettò una luce bianca, accecante, che bruciò l’incantesimo al primo tocco. La pelle di Vilya, dietro lo scudo, si coprì per pochi istanti di una coltre notturna. Piccole costellazioni di stelle luccicavano fioche su di una carnagione bluastra, violacea, colorata di galassie. Quando la luce si diradò rimase impresso nello scudo il simbolo, luminoso, di Saab.
 
L’urlo di Vilya fu sostituito dal silenzio.
Azul osservava il primogenito, mortificato. Aveva le labbra schiuse, il respiro accelerato, rotto.
So’o era caduto. Alzandosi da terra il cappello gli scivolò di dosso, rivelando i lunghi capelli biondi. Guardò sconvolto Vilya, che si stava esaminando incredulo. Poi spostò lo sguardo sul padre. Azul stava fissando lui, in un modo indescrivibile.
 
So’o schiuse le labbra per parlare e inciampò in avanti in uno stento. Prima che emettesse suono, Azul girò il cavallo con veemenza e si allontanò.
Il Principe emise un altro stento. Posò una mano sul petto, dove si trovava il cuore.
“Stai… bene?”, chiese a Vilya.
“Sì… sì che sto bene,” replicò il fratellastro, voltandosi verso di lui. “Tu? Stai bene?”
“Sì,” ansimò So’o, guardando a terra, con uno sguardo ancora turbato.
Vilya rimase a studiarlo, con i respiri di entrambi in sottofondo.
“Andrà tutto bene.” Raggiunse il ragazzo e allungò una mano per prendere la sua.
So’o strinse forte la sua mano, ma evase lo sguardo del drow. Cercò il padre nell’orizzonte, con occhi malinconici.
 
“Sei stato molto coraggioso, ragazzino.”
So’o venne preso alla sprovvista. I due ragazzi si voltarono verso la voce alle loro spalle.
 
“O avventato, si potrebbe dire,” un sorriso colorò la voce di una nota leggera.
Davanti ai due si trovava la figura di un mannaro. Aveva delle sembianze umane, ma non poteva essere scambiato per tale. La sua stazza era troppo grossa: muscolosa, alta, stretta in vita ma imponente. Dalla veste di stregone, impreziosita da curiosi ninnoli di osso, legno e piume, affiorava una peluria bianca. Lo stesso colore dei lunghi capelli lisci raccolti in una treccia scomposta, che si era sporcata, insieme al resto degli abiti, di fango e di sangue. La carnagione, invece, era scura, tipica degli uomini del deserto. Il mannaro aveva un bel viso: lineamenti duri, zigomi pronunciati, labbra carnose, mascella sottile e due occhi verdi, che scrutarono prima il Principe, poi il fratellastro.
 
Vilya indossò un’espressione schiva e avanzò per frapporsi tra lui e il fratello minore.
“Chi sei tu?”, gli chiese, sulla difensiva.
 
Il mannaro si accigliò e scrutò il ragazzo, come perso nei suoi pensieri.
 
Vilya sollevò un sopracciglio, interrogativo. Scambiò un’occhiata curiosa con il più piccolo.
Quando Vilya schiuse le labbra, pronto a proseguire, il mannaro distese le labbra in un sorriso e gli rispose con voce calda e forte.
 
“Mi chiamo Lupo di Neve.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
* = in questo momento So’o è Pocahontas.
** = qui mi parte la canzone del Re Leone 2, non so voi.
*** = o Vilya è Pocahontas?

 



 
   
 
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