Capitolo
9 – Un nuovo ingaggio
Tre
giorni.
Era
in silenzio stampa da tre giorni.
Non
l’aveva più sentita da quella sera. Del resto, lei
gli aveva detto di avere bisogno di tempo e lui non poteva far altro
che
concederglielo, nonostante non riuscisse a darsi pace per quello che
era
successo, ma consapevole di non avere nessun altro da considerare
colpevole se
non sé stesso e il suo comportamento dell’anno
precedente. Con quel suo
atteggiamento da gran bastardo aveva rovinato i rapporti con tutti gli
altri
membri del cast e aveva provocato troppo dolore nella sua
coprotagonista per
sperare che le cose con lei potessero prendere una piega diversa, anche
se quei
giorni trascorsi insieme a Parigi gli avevano fatto credere nella
possibilità
di un miracolo. Ma il passato non si cambia e prima o poi i nodi
vengono al
pettine.
Non
aveva osato mandarle nemmeno un messaggio con un
emoji. Non sapeva se ce ne fosse uno che potesse rappresentare il suo
stato
d’animo. Forse le due mani giunte, per pregarla di
perdonarlo? No, troppo poco.
Avrebbe avuto bisogno dell’icona di una faccina che si prende
a schiaffoni da
sola. O a sonori calci nel sedere, ben assestati.
Aveva
provato anche a contattare Robert, ma il suo amico
professore aveva un’importante conferenza su Shakespeare da
preparare e in quei
giorni non si poteva concedere nemmeno la pausa pranzo. Gli aveva
però promesso
che lo avrebbe invitato a cena da lui e da sua moglie appena terminato
il
convegno e lui aveva accettato con gratitudine quella proposta. Era
felice di
aver conosciuto una così bella persona ed era curioso di
incontrare quella
francesina testarda ma adorabile di cui Shermann gli aveva parlato. Gli
impegni
professionali del suo nuovo amico, però, gli avevano fatto
prendere
consapevolezza, ancora una volta, della sua condizione: mentre tutto il
mondo
aveva cose da fare, compiti da eseguire, obblighi e scadenze da
rispettare, di
fatto lui era un disoccupato. Un disoccupato di lusso, naturalmente, ma
pur
sempre un nullafacente. E la faccenda cominciava a inquietarlo.
Il
primo giorno aveva girovagato per Parigi senza meta,
rifiutandosi di prendere la metropolitana e camminando fino a stordirsi
dalla
stanchezza. Aveva cercato di apprezzare l’esplosione
primaverile della natura
rigogliosa presente nei parchi della città, nonostante un
vento sferzante che
gli faceva lacrimare gli occhi e dolere la testa, ma i suoi pensieri
andavano
tutti nella stessa direzione e gli impedivano di godere della
meraviglia della
Ville Lumière.
Il
secondo giorno si era svegliato con una pioggerellina
insistente che non invitava certo a uscire e aveva trascorso un
po’ di tempo su
internet, controllando la posta alla ricerca – infruttuosa
– di eventuali
contatti di lavoro o comunicazioni dal suo agente e curiosando sui
profili
social dei suoi ex colleghi e amici. Da quando era in Francia si era
eclissato
dai vari instagram, twitter e compagnia, e dovette ammettere di non
sentirne
poi la mancanza così tanto come pensava. Si era poi immerso
nella lettura di
“On the road”, il romanzo autobiografico di Kerouac
che aveva acquistato a
Shakespeare & Company. Crescendo con due genitori insegnanti,
da bambino e
da adolescente aveva letto tantissimi libri, ma da quando aveva
iniziato a
recitare, la carta stampata cui dedicava la sua attenzione era quella
dei copioni,
focalizzandosi sull’immedesimarsi in personaggi diversi da
sé e sul memorizzare
battute. Adesso invece gli era tornata la voglia di tuffarsi nel mondo
della
letteratura e partire sulle ali della fantasia. Proprio per
l’importanza della
cultura, trasmessagli dai genitori, era stato entusiasta del progetto
Kids need
to read, che aveva co-fondato anni prima. Quella giornata uggiosa gli
permise
di dedicare un po’ di tempo all’associazione,
contattando alcune delle persone
che la gestivano e ringraziandole per il prezioso supporto. Era sempre
più
convinto che l’istruzione fosse la chiave di volta per un
mondo migliore e con
la sua organizzazione no profit voleva contribuire, seppur minimamente,
a
questo ideale, fornendo libri alle scuole e alle istituzioni
più disagiate, con
un occhio particolare verso i ragazzi svantaggiati. Visto che
l’anno dopo
avrebbero festeggiato il decennale dell’attività,
decise che, una volta
rientrato negli Stati Uniti, avrebbe cominciato a studiare il modo
più adatto
per celebrare quel traguardo importante.
Il
terzo giorno aveva inizialmente pensato di recarsi a
Versailles per visitarne la splendida reggia e i bellissimi giardini,
ma una
segreta speranza che albergava nel suo cuore lo aveva fatto desistere:
avrebbe
tanto voluto andarci con lei. Aveva dunque ripiegato sul Centre
Pompidou, di
cui aveva ammirato non solo l’architettura, ma anche la parte
dedicata alla
fotografia e alle opere multimediali, e su un po’ di
shopping. La sera della
stessa giornata decise di ritornare al Cinema
Paradis, con la vaga illusione di incontrarla di nuovo.
Sapeva di non
meritarsi niente, ma non riusciva a rinunciare
all’opportunità di vederla
ancora una volta. Confidava che il destino fosse dalla sua parte.
Giunto
davanti al piccolo cinematografo, vide la
locandina di “Sérenade
à trois” di
Ernst Lubitsch, un film americano ambientato a Parigi risalente agli
anni
Trenta del secolo scorso, con Gary Cooper e altri attori che non
conosceva. Ne
cercò la trama su internet e si preparò a un
tuffo nel passato, tenendo le dita
incrociate affinché anche a Stana fosse venuta la stessa
idea.
Dopo
aver acquistato il biglietto, si recò verso la
platea e prese posto più o meno nella stessa poltroncina di
velluto su cui si
era seduto in occasione del loro primo incontro. Come molti attori,
anche lui
aveva le sue scaramanzie.
Durante
l’ora e mezzo della pellicola si distrasse più
volte, lasciando vagare lo sguardo nell’oscurità
della sala, alla disperata
ricerca del suo profilo, ma niente. Non c’era andata. Forse
era rimasta in
albergo… “Forza Nate, sii uomo: prendi il coraggio
a due mani e chiamala” si
incitò mentalmente. Era finito il tempo
dell’autocommiserazione: ora bisognava
agire. La doveva riconquistare.
Uscito
dal cinema, si allontanò di qualche passo per avere
un minimo di privacy, ripescò il cellulare dalla tasca del
giaccone e trovò tre
chiamate senza risposta di Paul. Del suo agente. Ne rimase
così sorpreso che
continuò a osservare il display inebetito per qualche
secondo poi si scosse da
quel torpore e incrociò le dita, sperando che non si
trattasse solo di una
telefonata di circostanza. Stava per selezionare il nome per
richiamarlo quando
Paul lo ricontattò per la quarta volta. Non fece in tempo a
rispondere che
venne invaso da un fiume in piena: “Nathan Christopher
Fillion, dove caspita
sei finito? Non pubblichi più foto o aggiornamenti sui tuoi
profili, non
rispondi nemmeno al telefono, benedetto uomo ti sei dato
all’eremitaggio?”
“Ehy
amico, calmati… sono appena uscito dal cinema”
tentò
di difendersi.
“Cos’è,
vai al cinema all’ora di pranzo? Ma che cappero
ti è successo? Ti sei trasformato in un vecchio
pensionato?” sbraitò Paul.
“No,
veramente qui sono le dieci e mezzo di sera… sono in
Europa” spiegò Nathan.
“E
cosa ci fai nel vecchio continente? Anzi, guarda, non
me lo dire. Non lo voglio nemmeno sapere. Piuttosto, ascoltami bene. Ci
sono
novità, amico. Grandi novità. Un ruolo da
protagonista in una nuova serie tv
della ABC. Sarà una bomba!” esclamò
eccitato l’agente.
“Fantastico,
Paul! Di cosa si tratta?” chiese interessato
l’attore. Finalmente le cose cominciavano a girare per il
verso giusto!
“Ti
mando maggiori dettagli via mail. Hai la possibilità
di controllare la posta elettronica o sei sperduto in qualche paesino
di
campagna, magari in dolce compagnia?” domandò
sarcastico prima di aggiungere:
“Se serve, ti spedisco un piccione viaggiatore”.
“Sono
in una grande capitale europea, Paul” precisò
Nathan, tralasciando la parte relativa ad un’eventuale
accompagnatrice e
confidando che il suo agente fosse troppo impegnato a fargli fare soldi
con
nuovi ingaggi, e a pregustare la sua lauta percentuale,
per avere voglia di impicciarsi della sua
vita privata.
“Si
vabbè. Ti saluto, amico, ci sentiamo nei prossimi
giorni. Fatti trovare quando ti chiamo!” gli
intimò Paul. Era suo agente da
tanti anni e sapeva fare bene il suo lavoro, ma non era certo la
persona più
empatica del mondo, né poteva considerarlo il suo migliore
amico.
Conclusa
la telefonata gli si aprì un sorriso sul volto.
Finalmente aveva qualcosa da festeggiare. E c’era una sola
persona con cui
avrebbe voluto farlo. Ne cercò il numero in rubrica e la
chiamò. Uno squillo,
due squilli, tre squilli…. Al sesto squillo il nastro
registrato della
segreteria telefonica lo invitò a lasciare un messaggio. No,
non voleva
dirglielo così. Aveva bisogno di sentire la sua voce e
possibilmente di vederla
di persona. Il suo albergo non era lontano, pertanto decise di andare a
cercarla lì. Non erano ancora le undici di sera e confidava
che ci fosse
qualcuno alla reception. Era un hotel modesto, ma si trovavano comunque
nel
centro di Parigi! Tirò su il bavero del giaccone per
ripararsi dal freddo di
cui non si era accorto fino a quel momento, troppo galvanizzato dalle
notizie
che gli aveva comunicato il suo agente, e si avviò verso
l’Hotel du Marronnier.
Fortunatamente,
un distinto signore era seduto dietro al
bancone all’ingresso. Nathan sperò che Stana si
fosse registrata con il proprio
nome e non avesse seguito l’esempio del personaggio
interpretato da Julia
Roberts in quel film in cui recitava con Hugh Grant e in cui faceva
l’attrice
famosa che usava sempre i nomi dei cartoni animati per sviare la
stampa. Si
schiarì la gola e sfoggiando il suo miglior francese, disse:
“Buonasera
signore, vorrei sapere se è possibile parlare con la signora
Katic”
Monsieur
Dupont si alzò dalla sedia, lo osservò da sopra
le lenti che usava per lavorare al computer, lo squadrò da
capo a piedi e
dovette convenire che tutto sommato quell’uomo di mezza
età che aveva di fronte
non doveva rappresentare un pericolo. “Mi dispiace, ma la
signora non è
rientrata stasera”
Deluso,
Nathan si congedò da lui e uscì. Provò
di nuovo a
chiamarla ma niente. Anzi, questa volta il cellulare era proprio
irraggiungibile. Ma non si sarebbe arreso. A costo di aspettarla fino
all’alba,
avrebbe parlato con lei.
Non
lontano dall’albergo c’era una panchina. Vi si
sedette e sperò di non congelare prima dell’arrivo
di Stana.
Nel
frattempo, in un grazioso ristorantino non molto
distante da quella zona, Stana stava cenando in compagnia della sua
nuova amica
Rosalie. Si erano sentite quel giorno stesso, dopo che
l’attrice aveva
trascorso quelli precedenti dedicandosi ai dintorni della capitale,
prevalentemente per evitare il rischio di imbattersi
nell’uomo che le turbava i
pensieri, e avevano concordato di uscire a cena insieme quella sera,
dato che
il marito di Rosalie era impegnato all’università
e non sapeva quando sarebbe
rientrato a casa.
“Robert
adora il suo lavoro. E’ un vero appassionato di
Shakespeare. Ho partecipato a una sua conferenza qualche tempo fa ed
emana un
fascino pazzesco mentre parla del suo autore preferito. Ha ereditato
queste
doti narrative dal padre naturale, sai?” le
raccontò la proprietaria della
deliziosa cartoleria.
“E
tu sei follemente innamorata di lui” replicò Stana
sorridendole.
Poi aggiunse: “ti brillano gli occhi quando ne parli. Ti
invidio, sai?”
Un
velo di tristezza offuscò il suo sguardo. Anche lei
una volta era stata follemente innamorata. Aveva amato l’uomo
che aveva sposato
e si era convinta di aver fatto la scelta più sensata, o
almeno quella che
tutti si aspettavano da lei. Ma la vita le aveva presentato un esito
assai
diverso ed ora eccola qui, nella capitale più romantica del
mondo, da sola.
Oddio, proprio da sola non era. E non si riferiva alla simpatica
ragazza
francese seduta davanti a lei, bensì al suo ex collega. Per
il quale, a suo
tempo, aveva perso la testa. In modo altrettanto folle.
“Chèrie,
arriverà anche per te un nuovo amore. Ricordati che quando
si chiude una porta,
si apre un portone!” esclamò convinta Rosalie.
“Nel frattempo, che ne dici di
concludere la nostra cena con una gustosissima crème
brulée?” le propose. Poi aggiunse:
“In barba alla dieta….” Un
ricordo le attraversò la mente, provocandole una piccola
fitta. Stana si
accorse che qualche brutto pensiero doveva aver incrinato
l’allegria della sua
commensale, ma non sapeva se indagare o meno. Fu la stessa Rosalie a
spiegarle:
“Prima di Robert sono stata fidanzata con un fissato del
fitness che ce l’aveva
a morte con grassi, carboidrati e zuccheri e che sarebbe inorridito
davanti a
un dessert. Bè, mi ha tradito… se ci ripenso, mi
fa ancora male”
“Però
dopo hai incontrato il tuo bell’americano” le
ricordò Stana, cercando di riportarle il sorriso.
“Dovrai farmelo conoscere
prima o poi!”
“Certo!
Anzi, lasciamo passare la conferenza e poi vieni
a cena da noi, che ne dici?” le propose.
Stana
accettò di buon grado. Era felice di aver
conosciuto una persona così carina come Rosalie e non vedeva
l’ora di
incontrarne il marito.
Nota
dell’autrice
Un
po’ di spazio ai pensieri di Nathan e alla grande
novità sul fronte lavorativo.
Grazie
a chi di voi legge la storia in silenzio e a chi mi regala un
po’ del suo tempo
per scrivere una recensione!
Deb