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Autore: _DA1SY_    08/03/2018    1 recensioni
Alessandro, un ragazzo di ventuno anni, arruolato in una nuova élite militare al servizio del governo, ben presto dovrà fare i conti con la realtà e accettare che, il mondo in cui ha da sempre vissuto non è altro che un contenitore; solo in quel momento scoprirà ciò che si nasconde dietro al male che in passato piegò l’umanità.
La piaga; voci lontane di anime ignote, ricordi del passato o sussurri di morte? Chi sono i sussurratori?
Cosa ne sarà di questo mondo e cosa ne sarà dell’intero concetto della vita? Riuscirà Alessandro a scoprire la verità?
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando gli occhi di Alessandro rincontrarono la luce, si trovò disteso su una brandina nell’infermeria mentre al suo fianco stava Lorenzo a braccia conserte e con viso severo. A pochi metri, altre due brandine erano state messe per Federico e Marco che, sporchi di sangue e imprecando per il dolore delle ferite, stavano seduti contorti.

<< Cos’è successo Lorenzo? Perché quei due mi.. >> Alessandro cercò di alzarsi e sedersi, mentre premeva con una mano la fronte dolorante. L’amico si mise subito a disposizione per aiutarlo, cercando di mantenerlo in equilibrio tenendogli una mano dietro la schiena.

<< Ale, si più sapere cos’hai combinato? Vuoi farti espellere? Cosa cazzo ti è preso? >>

<< No! Lore non è stata colpa mia, sono stati loro a picchiarmi! Hanno bussato alla porta, credevo fossi tu e quando ho aperto ho trovato quei due bastardi! Io non li ho picchiati, devi credermi Lorenzo. Ho anche visto qualcuno mentre ero privo di sensi; qualcuno incappucciato, avvolto in un mantello nero. >>

<< Di cosa stai parlando Ale? Dovete esservene date proprio tante! >>

<< Non mi credi? Lorenzo non ho alzato un dito io! >> Recuperando il fiato, la voce di Alessandro si faceva sempre più aggressiva.

Lorenzo non fece in tempo a rispondere che nella stanza entrò con prepotenza il capitando seguito da un uomo in camice bianco.

<< Mi vergogno di voi soldati, ubriacarsi e picchiarsi a sangue? È questo che vi abbiamo insegnato in cinque anni? Dove hai preso l’alcol tu? Piccolo bastardo, avremmo dovuto capire da subito che uno nato dalla feccia sarebbe stato feccia! E voi? Siete passati di grado, occorreva davvero sporcarsi le mani in questo modo? Il dottor Mertol ha eseguito un prelievo del sangue su tutti voi e l’unico ad essere risultato positivo all’alcol è stato il soldato. Per il tuo comportamento deplorevole, Alessandro Regent, sei definitivamente espulso. Ubriacarsi e conciare così due compagni è troppo. >>

<< Non sono io il bastardo qui, non li ho conciati così! Sono stati loro a bloccarmi e a pestarmi, erano in due contro uno! >> Non era la prima volta che sul ragazzo venivano usati certi termini e raffigurazioni ma era la prima volta che Alessandro aveva trovato la forza di alzarsi in piedi e di ribellarsi a quella mancanza di rispetto. Essere chiamato bastardo dopo tutti i sacrifici che aveva fatto per loro e per quella causa, essere chiamato bastardo ed essere considerato feccia, rispettare le regole dava dunque la possibilità ad un superiore di mancare di rispetto e azzerare la dignità umana? No, questa volta il ragazzo scelse sé stesso, e di lottare per la sua dignità, non più per il suo sogno.

<< Osi rispondere in questo modo ad un tuo superiore? E allora dimmi, tu avrai un labbro spaccato e qualche livido qua e là, ma come me lo spieghi il naso rotto di quello? >> Disse il comandante indicando Federico. << Chi li ha conciati così? >> A pochi centimetri dalla faccia del ragazzo, il comandante urlava, sputando inconsapevolmente saliva.

<< Si saranno pestati da soli solo per mettermi nei casini >> Aggiunse poi con tono pacato e di indifferenza, asciugandosi il viso con il pollice.

<< Questo è troppo. Ho preso la mia decisone, espulsione immediata e senza possibilità di arruolarsi ancora mentre, per quanto riguarda gli altri due li affido a te Lorenzo. Ti sei dimostrato da sempre un bravo soldato, hai sempre aiutato questo povero stronzo ad essere una persona migliore ma come ho già detto, buon sangue non mente. Hai portato tutti loro in infermeria stamattina scegliendo di fare la cosa giusta per il bene di tutti e lasciando da parte i tuoi sentimenti. Hai scelto di rispettare le regole senza remore e facendo ciò che la giustizia ti imponeva di fare. Ti nomino qui, e in questo momento, ufficialmente capo della terza squadra di ricerca, sono affidati a te ora. Fai di loro ciò che ti pare e infliggi a loro una punizione esemplare. >>

Alessandro si alzò dalla brandina e senza troppi convenevoli anzi, in silenzio e con indifferenza, se ne uscì dalla porta.

Lorenzo dopo quasi mezzora fece ritorno nella sua stanza dove Alessandro stava preparando la valigia, raccogliendo ormai le ultime sue cose.

<< Non credevo che sarebbe successo tutto questo Ale, devi credermi. Io vi ho portati in infermeria solo perché vi ho trovati conciati in quello stato, sei stato praticamente tutta la notte privo di sensi su quella brandina. >>

<< Lore, lo so. Non do la colpa a te della cosa infondo, l’esame del sangue non mente, ho bevuto tre o quattro bicchieri dopo che sei uscito. Non do la colpa a te, sono solo incazzato perché davvero io non c’entro nulla. Sono sicuro, per quanto potessi essere ubriaco, di non aver alzato un dito. Ho aperto la porta e quei due hanno iniziato a picchiarmi anche dicendo qualcosa tipo “Ci è stato ordinato”, e poi ho visto qualcuno incappucciato e sono sicuro che abbia fatto qualcosa sul mio braccio. La faccenda è strana e sta prendendo una piega che non mi piace. >>

<< Sai dirmi qualcosa di più su questo tizio? Sei sicuro che non fosse il dottore che ti ha fatto il prelievo? Magari eri incosciente e ti è sembrato incappucciato ma in realtà non riuscivi a mettere a fuoco.>>

<< Non lo so. Potrebbe anche essere ma, qualcosa non mi torna; vedendo come sono andate le cose sono più che sicuro che qualcuno volesse incastrarmi. Federico e Marco hanno detto che gli è stato ordinato di farlo e quelle parole le ricordo bene, ero ancora cosciente.>>

Lorenzo si sedette sul letto accanto alla valigia di Alessandro. << Dovresti denunciare la cosa, fare ricorso. Magari interrogando quei due si può risalire a chi sta dietro questa faccenda. >>

<< Credo che qualsiasi cosa io faccia o dica, da adesso in poi, sarò comunque etichettato come feccia, come bastardo e, per aggiungerne una, come un ubriacone spara cazzate. >>

<< Mi dispiace per le cose che ti hanno detto. Sai che non è così, vero? >>

<< Certo che lo so. Ed è per questo che non sono dispiaciuto di andarmene da questo posto. Ho sacrificato ogni cosa per il bene della ricerca, perché speravo che così facendo avrei potuto aiutare persone come mio padre e persone come mia madre ma, in questo posto guardano quelli come mio padre solo come delle bestie da macello dalla quale ricavare informazioni per poi eliminarli definitivamente per paura che succeda ad altri ciò che è successo a loro. Ora finalmente ne sono consapevole e ne ho avuto la prova, questo posto non è come credevo; è stato fatto per sopprimere quelli che io voglio aiutare ed è per questo che io non c’entro più nulla. Troverò la mia strada e troverò persone che la pensano come me, ricomincerò da li. >> Alessandro chiuse la valigia e sul suo volto comparve un sorriso pieno di speranza.

<< Ale, io sono una persona che la pensa come te. >>

<< lo so Lore, per questo sono contento che sia tu il capo del terzo gruppo, ora che ti è stata data la possibilità, cambia le cose. >>

Lorenzo sorrise e si alzò dal letto. << Cercherò di capire cos’è successo questa notte, Ale. >>

<< Lore, stai attento. Se volevano fare qualcosa a me, non è escluso che vogliano farlo anche a te. E poi quella figura scura e incappucciata. Sono sicuro di averlo visto per davvero. >>

<< Scoprirò di più sulla faccenda, te lo prometto. Le nostre strade si incroceranno ancora un giorno, lo sai vero? >>

<< Certo, Lore. >> Alessandro mise a terra la valigia e, prima di iniziare a trascinarla, con una mano si strinse il segno dolorante sul braccio.

<< Bada a quella cosa, non mi è mai sembrata normale. Ti fa tanto male? >> Lorenzo indicò il braccio di Alessandro.

<< Brucia da qualche giorno ormai. >>

<< Potresti farlo vedere a un dottore. >>

<< è solo una voglia Lorenzo. Sai, dopo tutto questo tempo, stavo pensando di andare a trovare mio padre. >>

<< Vai, ora sei finalmente libero di andare! >>

I due ragazzi si salutarono in un forte abbraccio e dopo essersi dati qualche pacca sulla schiena Alessandro se ne andò per la sua strada.

Uscito da quel cancello sentì una ventata di libertà, la brezza che preannunciava l’estate, quell’aria fresca dopo la tempesta. Gli uccelli volavano alti in quel cielo dipinto e cinguettavano felici, era stata aperta la gabbia e il desiderio di volare lontano non era mai stato così vivo e acceso. I dubbi e le domande che affollavano la mente del giovane erano comunque violenti come il mare in tempesta; c’era la consapevolezza di un fallimento ma la serenità di aver mantenuto l’orgoglio senza doversi sentire davvero feccia per sé stesso. C’era fierezza in cuore per aver saggiamente rinunciato al suo sogno, avendo scelto finalmente di prendere le difese del padre non accettando più di essere definito il marcio della società. Quella libertà era dunque forse sintomo di maturità?

Per quanto fosse terrorizzato dal futuro nuovo che quel cancello gli aveva spalancato davanti agli occhi non si sarebbe mai più dovuto piegare ad un ordine che gli imponeva di trattare chi avrebbe voluto aiutare come cavie da laboratorio. Come aveva fatto a perdersi per così tanto tempo? Come aveva fatto ad essere così cieco? Se avesse voluto aiutare suo padre gli sarebbe dovuto restare accanto, non accettare che lo definissero mostro solo per poter accedere ad un gruppo ristretto di individui senza morale e senza pietà.

Aveva fatto di tutto per riavere la sua famiglia, ma solo in quel momento, si rese conto che la sua famiglia lo stava aspettando in silenzio da anni.

L’autobus era carico di gente quella mattina, molti erano saliti nel quartiere residenziale. Alessandro viveva in una zona di periferia, poco lontana dal centro e vicino alla parte industriala della città. Suo padre aveva ereditato una piccola fattoria strizzata tra i quartieri del centro e la zona periferica. Benché a pochi isolati dall’abitazione iniziavano le fabbriche, la fortuna di quel pezzo di terreno, sul quale era poi stata ubicata la casa, era l’immensa privacy e pace che in quel luogo si potevano respirare.

Infatti, la proprietà della famiglia Regent era raggiungibile solo tramite un sentiero in mezzo ad un fitto bosco, polmone della grande città e, proprio lì nel mezzo di quella foresta in uno spiazzo di terra, spuntava innaturale dal suolo la vecchia casa tra quei fiori variopinti e profumati e sotto i tronchi che, aggrovigliandosi, formavano uno squarcio in quel cielo azzurro trapunto di nuvole. Con il cinguettare degli uccelli, che con il loro canto animavano l’intera area, e l’edera e la rosa rampicante, la fattoria appariva come fatata e magica.

Mentre Alessandro camminava sul sentiero, riusciva ad intravedere l’edificio e ancora una volta, non sapeva spiegarsi come fosse possibile nel giro di così pochi minuti passare dal traffico e dal caos del mondo a quel luogo così magico e sereno.

Ai lati del sentiero c’erano una vastità di alberi di tutti i tipi, si poteva sentire un immenso profumo di erba e di terra bagnata, e di tutto ciò che compone un bosco: muschio, fiori, vita.

Ogni tanto si sentiva l’abbaiare di cani che animavano i suoni della natura. Non aveva mai avuto parole per descrivere l’immensità di quel posto, ma quello, più di qualunque altro luogo era casa sua.

Il ragazzo non aveva mai sentito di appartenere al caos, al grigio della città e a quella visione opaca del mondo. Sarà che si era sempre sentito estraneo a quella vita, estraneo a quegli ambienti, agli usi e alle abitudini degli uomini di quella città e di quel mondo pur essendone un ospite vivente.

Le corse a cavallo, le passeggiate nel bosco, la pioggia che cadeva incensante sulla natura maestosa e sonora, i piedi nudi sul prato e il contatto con la vita.

Lui apparteneva a quel mondo, e tornare in quel luogo non era solo tornare a casa, era tornare a qualcosa di più profondo e di più vero, era tornare ad essere vivo.

Il ragazzo era giunto fin davanti alla porta d’ingresso. Il suo animo tormentato aveva lasciato spazio alla felicità che appariva ben visibile sul suo volto ma, in quella beatitudine, bastò un rumore innaturale a strapparlo dal suo sogno sereno e a ributtarlo violentemente e con prepotenza nella crudele realtà del vero mondo in cui era nato e vissuto.

Un rumore diverso dai suoni della natura, un rumore sinistro che spezzò la pace e la quiete di quel luogo, per qualche secondo gli uccelli smisero di cinguettare e le cicale di frinire. Il ragazzo si voltò di scatto cercando di ascoltare i suoni oltre la natura e sforzandosi con gli occhi di scrutare attentamente ogni singolo movimento innaturale delle piante.

C’era qualcuno, non era solo e Alessandro lo aveva capito da subito. Solo perché non riuscisse a scovare tra le fronde l’ospite indesiderato non voleva dire che non ci fosse.

Il ragazzo inserì la chiave nella toppa della serratura ma questa non volle girare.

Erano cinque anni che nessuno tornava in quel luogo infatti, la vecchia stalla, la casa e persino il sentiero non più battuto erano stati sopraffatti dalla mano del tempo e dalla forza di madre natura.

Ma quella porta, la serratura non poteva aver avuto vita propria, non poteva essersi aperta e poi chiusa, e poi aperta ancora a suo piacimento o per mano della natura. Così girò la maniglia e la porta si aprì.

C’era qualcuno li fuori e qualcuno era stato anche lì dentro.

<< Cosa cazzo vogliono da me? Quello incappucciato, quello nascosto tra le fronde e ora quello che è entrato in casa mia? Sarà sempre la stessa persona? >>

Alessandro entrò nella casa e chiuse dietro di sé la porta. Quella era l’unica porta che dava all’esterno, se ci fosse stato qualcuno in casa l’avrebbe scoperto. Prese l’attizzatoio in ferro del camino e iniziò a perlustrare la casa. Quanti ricordi, quelle stanze erano state nei suoi sogni per tutti gli anni da soldato, il pensiero che qualcuno avesse violato un luogo così sacro per lui era fastidioso come l’idea che qualcuno avesse toccato le sue cose e ancora di più quelle di sua madre, che custodiva come cimeli di inestimabili valore.

La casa era sottosopra, tutto era stato messo a soqquadro. I cassetti e gli armadi erano stati svuotati, non si trattava di ladri altrimenti avrebbero rubato anche le poche cose di valore. Chiunque fosse entrato cercava qualcosa in particolare, doveva aver avuto un obbiettivo ben preciso per svuotare ogni cassetto e rovistare in mezzo ad ogni cosa. Quale oggetto mancava alla lista? Alessandro non poté capire cosa mancasse nella conta, non aveva idea di cosa ci potesse essere nascosto in quella casa di così importante. Poteva aver a che fare con il padre, qualcuno dell’esercito che stava svolgendo delle ricerche o suo padre stesso in un momento di follia. Non aveva una spiegazione ancora e per quanto guardasse gli oggetti presenti in quella casa, dopo cinque anni di assenza e un’infanzia vissuta un po' lì e un po’ dagli zii, ogni oggetto pareva nuovo ai suoi occhi e solo di pochi aveva un ricordo bene preciso.

<< Forse dovrei avvisare Lorenzo di tutto questo. >> Il ragazzo scostò la tenda della finestra della camera da letto e lo vide, un'altra volta.

Una figura incappucciata e avvolta in uno scuro mantello, la stessa che aveva incontrato la notte prima, ora si stava dirigendo verso il sentiero.

<< Dannazione! Deve aver provato ad entrare quel bastardo! Meno male che ho chiuso la porta a chiave, dove cazzo sta andando ora? >> Alessandro spostò completamente la tenda per avere tutta la visuale possibile. Nessuno, non c’era più nessuno, doveva essersi addentrato nel bosco e se avesse seguito il sentiero da lì a poco sarebbe arrivato alla strada. Come potrebbe non dare nell’occhio un tizio simile? Alessandro si interrogò sulla questione e l’unica risposta plausibile è che teneva il mantello solo in sua presenza per restare in incognito e che in mezzo alla gente vestiva normale come chiunque altro. Se davvero lo avesse seguito dall’accademia fino a lì avrebbe dovuto prendere un taxi oppure una macchina. L’ultima alternativa, che gli fece ancor di più gelare il sangue, era la possibilità che si trovava nel pullman con lui, se fosse stato così Alessandro non se ne era neanche accorto.

<< Dannazione, sto diventando paranoico. Devo andarmene da qui, analizziamo la situazione; lui non sa che io l’ho visto prendere il sentiero e allontanarsi. Deve aver provato ad entrare in casa pur sapendo che io mi trovavo qui quindi il suo obbiettivo è entrare per raggiungermi. Potrebbe tornare da un momento all’altro con qualcosa per aprire la porta o ancora peggio in compagnia di altri e io sono qui da solo in un posto sperduto. Ho un vantaggio, lui non sa che io l’ho visto. Se ora io me ne vado, quando tornerà non troverà più nessuno in casa. >>

Alessandro scese di corsa le scale e iniziò a rovistare nei cassetti e tra le cianfrusaglie che erano state buttate a terra.

<< Eccolo! >> Tra gli stracci, arrotolato dentro un panno in pelle di daino, trovò il pugnale del padre, un cimelio di famiglia che da generazioni veniva tramandato di padre in figlio.

<< Papà, mi perdonerai se mi reputo pronto per questo. >> Il ragazzo tenne il pugnale in mano con la promessa di nasconderlo nello zaino una volta che sarebbe salito sull’autobus.

La prossima meta era il manicomio dove si trovava il padre ma nessuno poteva garantirgli che lungo il sentiero per arrivare alla strada non avrebbe avuto problemi. Senza perdere ulteriore tempo, si fiondò fuori dalla porta di casa e la chiuse dietro di sé; controllando un paio di volte che fosse chiusa per davvero.

Alessandro sapeva che prendere il sentiero sarebbe stato un azzardo così, dato che conosceva quel luogo, decide di costeggiarlo passando per la fitta boscaglia, tenendosi comunque ad una distanza favorevole da poter osservare l’arrivo di eventuali intrusi.

Da lì a poco, il ragazzo fu costretto a fermarsi e a nascondendosi tra la fitta boscaglia. Questa volta erano in tre, doveva aver chiamato i rinforzi.

Il ragazzo deglutì mentre la paura saliva.

Se non avesse guardato fuori dalla finestra a quest’ora lo avrebbero trovato in casa, sereno e pronto per una brutta fine.

Una fitta dolorosa come mai in tutta la sua vita gli colpì il braccio, facendolo tremare per il dolore. Digrignò i denti e cercò di trattenere le lacrime e la voce.

Quando i tre furono abbastanza lontani, tanto che non avrebbero potuto udire il suono dei suoi passi nella boscaglia, il ragazzo riprese a muoversi, fino a correre per allontanarsi il prima possibile da li, prima che loro potessero accorgersi che la casa era ormai vuota.

   
 
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