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Autore: Corydona    11/03/2018    2 recensioni
Come in una partita a scacchi, due fazioni si ritrovano schierate l'una contro l'altra, pronte a dichiararsi una guerra che entrambe non vorrebbero. Da un lato gli Autunno, la cui potenza sembra inarrestabile, dall'altra i Primavera-Inverno, che possono contare su un'influenza senza eguali.
Una situazione di apparente stasi: apparente, perché nell'ombra i sovrani cadono e le successioni al trono sembrano più complicate del previsto. La guerra sarà dichiarata? Termineranno i regicidi? Quale delle due parti avrà la meglio?
Un'antica profezia annuncia la disfatta degli Autunno: si realizzerà? O rimarranno solo vaneggiamenti di un passato caduto nell'oblio?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Selenia '
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(Capitolo revisionato)

Alle prime luci dell'alba, Nicola si recò alla camera mortuaria dove riposava il padre. Alcune donne, sia vecchie serve che lavoravano da lustri nel palazzo, sia altre di estrazione nobile, erano rimaste a vegliare per l'intera notte, rivestite di abiti neri. L'atmosfera era resa ancora più lugubre da candele dal lume scuro, che qualcuna delle più vegliarde aveva conservato dalla morte del predecessore di Guglielmo.

Una di quelle rivolse lo sguardo verso il principe senza dire nulla, pietosa, forse, per il peso che gravava sulle spalle del giovane. Sostituire il re non sarebbe stato affatto semplice.

A giorno fatto, Nicola radunò la corte nella sala del trono, il luogo più spazioso del palazzo, per comunicare ai dignitari e alle dame che avrebbe avviato delle indagini sulla morte del padre, prendendo il suo ruolo prima dell'incoronazione: il regno non poteva rimanere senza una guida.

Poi spedì gli araldi in tutto lo Cmune a diffondere tra il popolo la triste notizia. Tutti quegli uomini e donne a sorvegliare ogni suo passo gli avevano lasciato l'impressione che a nessuno di loro fosse piaciuto il suo modo di agire: l'aver preso così tempestivamente autorità, quel suo dare ordini da eseguire all'istante, come se fosse già re; forse era proprio questo che non era andato giù alla corte, che si sarebbe aspettata un comportamento più remissivo.

Così da lasciare in mano loro le indagini, pensò Nicola con fastidio. Tuttavia, sapeva di essere nel giusto e non aveva alcuna intenzione di farsi condizionare da uomini inferiori a lui. Decise di ignorare il loro atteggiamento, ma il pensiero di essere inviso a quei cortigiani che tanto avevano amato suo padre continuava ad accompagnarlo mentre si recava nelle stanze della madre.

La regina Felicita aveva saputo fin da subito della disgrazia: le chiacchiere concitate dei nobili non avevano avuto alcun riserbo nel parlarne davanti a lei. La donna non aveva osato avvicinarsi alla camera mortuaria e al mattino rifiutava la compagnia delle proprie dame, negando loro il privilegio di esserle di conforto.

Il principe di Cmune camminava a passo spedito tra i corridoi illuminati appena: le tende erano state tenute accostate, in segno di lutto, e il sole filtrava appena. Vide Saro accendere delle altre candele nere; il servitore gli fece un timido cenno con il capo, come a dirgli che si era disfatto di quel lembo di stoffa così come gli era stato ordinato. Nicola annuì, procedendo più veloce verso le stanze della madre.

Quando vi giunse, trovò la porta a doppia anta chiusa, presso cui erano un paio di donne all'incirca dell'età della regina, sue compagne sin dai primi tempi al palazzo. Non erano le uniche, tuttavia, a trovarsi lì: insieme alle donne c'era anche una giovane, ben conosciuta a Nicola.

Luciana Lugupe, principessa di Dzsaco, sostava presso una vetrata che dava su un cortile interno. Il suo sguardo corrucciato incontrò quello del Lotnevi, come chiedendogli di poter parlare con lui.

Nicola annuì appena, con il ricordo dell'ultima lettera ancora ben impresso nella mente. L'arrivo della coetanea significava che c'erano delle novità, che lui era ansioso di conoscere: la questione era della massima importanza; anche se quello non era il momento, né il luogo.

Le donne chinarono il viso, in segno di una reverenza non realmente provata e si mossero quanto bastava al futuro sovrano per giungere fino alla porta. Nicola sentiva il loro fiato sul collo mentre si accingeva a bussare, prima di essere interrotto dalla voce di una delle due.

«Vi affannate invano, non uscirà di lì, né tantomeno vi permetterà di entrare!» cinguettò quella più lontana da lui. «Noi siamo state scacciate già tre volte!»

In un primo momento il principe ebbe l'intenzione di fulminarla con lo sguardo. Quella donna, con il suo atteggiamento così disinvolto, non era diversa dagli altri cortigiani di Mitreluvui: altezzosa, priva di ogni rispetto nei confronti di chi non fosse re Guglielmo e incapace di riconoscere una persona di rango superiore al suo. Come aveva fatto suo padre a circondarsi di una così folta schiera di imbecilli? E come aveva fatto la regina a sopportarlo? A un tratto, Nicola si sentì spaesato e comprese che tutta la corte gli era contro; poteva confidare solo in una persona, che non aveva alcuna intenzione di conferire con lui, né con nessun altro.

Respirò profondamente e scosse il capo: era inutile ricordare alla donna che lui era il figlio della regina, mentre lei era solo una dama di compagnia qualsiasi.

«Madre, ho bisogno di parlarvi!» disse deciso a volume alto, in modo che la voce arrivasse nella più interna delle camere. Bussò con un tocco insistente, sì, ma non perentorio; sperò che questo fosse sufficiente.

Dalla porta si affacciò Altea, la cameriera privata della regina, l'unica a cui era stato possibile l'accesso, colei che era rimasta con la sovrana fino ad allora. Non disse nulla ma fece cenno al principe di seguirla oltre la soglia.

Nicola era stato altre volte nel salotto che collegava quell'ala del palazzo con il resto della reggia e lì tutto sembrava intatto: il tavolino della teletta era ben lucidato, così come lo specchio, in cui il principe vide la sua immagine riflessa per un solo istante. I divani imbottiti di stoffe dai colori accesi catturarono il suo sguardo, perché sembrava che nessuno ci si fosse seduto da ore. Che Altea fosse rimasta in piedi per tutto il tempo?

Seguì la ragazza nella stanza successiva, dedicata al guardaroba della regina, con armadi enormi che toccavano il soffitto. Fuori dalle ante erano poggiate delle scale, che le cameriere utilizzavano per tirare fuori gli abiti dagli scomparti più elevati.

Niente sembrava fuori posto, come il principe poté subito notare. Continuò a camminare fino a giungere alla camera della madre, per lui sconosciuta fino a quel momento: neanche da bambino gli era mai stato concesso di entrarvi.

La regina Felicita era ancora nel letto, gli occhi spalancati che fissavano le travi del soffitto, il lenzuolo azzurro che la copriva da metà del petto fino ai piedi. Il viso era pallido e le occhiaie profonde, come conseguenza di una notte insonne. L'ingresso del figlio non cambiò nulla in lei, che neanche diede cenno di essersene accorta. Nicola si inginocchiò davanti al suo viso.

Il giovane deglutì più di una volta, quasi incapace di trovare la parola al cospetto della madre. Alzò appena gli occhi, posandoli sull'arazzo che copriva la parete e che raffigurava la regina, molti anni prima che lui venisse al mondo, nell'atto di raccogliere dei tulipani blu, il simbolo della casata Lotnevi. Era ancora giovane e bella, probabilmente aveva appena contratto il matrimonio con il re e lasciato da poco la sua residenza di campagna per stabilirsi al centro della capitale.

Nicola pensò a sé, a cosa sarebbe stato di lui se lei lo avesse abbandonato e si forzò a parlare.

«Se volete rimanere da sola,» esordì, con voce tremante, «rispetterò la vostra decisione e manderò via le vostre dame che, qui fuori, attendono trepidanti di servirvi. Posso immaginare quanto sia grande il vostro dolore, ma...»

Cercò di sciogliere il nodo che gli stringeva la gola e che gli impediva di comporre un discorso fluido, detestandosi per la propria incapacità di mantenere il controllo su sé stesso e sulle proprie emozioni. Nicola si sentiva solo. Solo e disperato, mentre la madre appariva lo spettro della donna che era sempre stata, tanto piena di iniziativa da consigliare il marito nell'appianare alcuni problemi di carattere politico.

«... avete davanti a voi un figlio a cui è stato messo in mano un compito grande, forse troppo per lui. Ho bisogno della vostra presenza in questo inizio di regno, ho bisogno di una guida che mi dia forza e che mi sappia consigliare per il verso giusto. E...»

Il giovane faticò a trattenere un singhiozzo che avrebbe mostrato la sua vulnerabilità, sebbene la regina non avesse dato alcun segnale di aver ricevuto e compreso le sue parole e non avesse fatto alcun movimento: soltanto l'alzarsi e l'abbassarsi del suo petto indicava che fosse ancora viva.

«... e solo tu puoi. Solo tu puoi aiutarmi.»

Finalmente, dopo aver persino abbandonato ogni formalità, Nicola pianse. Avrebbe già voluto farlo molte ore prima, ma la presenza dei dignitari, il dover conferire con loro e forse anche il fatto di non aver avuto un momento di pace glielo avevano impedito. Nicola pianse, abbandonato a sé stesso, mentre la madre non dava cenno di averlo udito, e capiva piano piano quanto il dover succedere al padre fosse difficile per lui. Si sentiva inadeguato e distante dalla corte, che non solo non parteggiava affatto per lui, ma che avrebbe persino goduto di un suo fallimento alla guida del regno.

Sentì una mano accarezzargli dolcemente la testa china e quella voce tanto familiare arrivargli flebile alle orecchie.

«Nicola, sei chiamato a un grande dovere. So che tu lo svolgerai degnamente, e sarai ricordato nei tempi per questo. Non dire di capire il mio dolore: non sai cosa provo. Avevo bisogno di silenzio attorno, non sto soffrendo, ho solo riflettuto su quali siano ora le azioni più adeguate a questa nuova situazione. So che hai bisogno di me, conosco i tuoi dubbi e le tue incertezze: ho avuto anche io la tua età. Proprio per questo so che non puoi guidare il regno senza alcun sostegno e che hai bisogno di una figura al tuo fianco.»

Il giovane alzò il viso e guardò gli occhi chiari della madre, fissi nei suoi. Sembravano vitrei, senza alcuna emozione, quasi come quelli del re, che giacevano esanimi in una stanza del palazzo, pianto da una corte che lo aveva amato sin dal primo giorno. Per un momento eterno, il principe ebbe paura di cosa la donna gli avrebbe detto; o forse era certo di cosa avrebbe udito.

«È mio desiderio che tu sposi Flora il prima possibile.»

Nicola rimase paralizzato con lo sguardo fisso sulla madre, che aveva appena rivolto il capo nella sua direzione. Come poterle mentire? Come dirle che lui non avrebbe mai sposato Flora? Non aveva il tempo di pensare a un matrimonio che proprio non voleva; disubbidirle, però, sarebbe equivalso a ferirla, e lui era tutto ciò che le rimaneva, l'ultimo affetto a cui aggrapparsi. Non disse nulla, rimase immobile mentre la mano della madre continuava ad accarezzargli dolcemente la cute tra i capelli. Avrebbe voluto che non smettesse mai: era un gesto di tenera affettuosità a cui non avrebbe rinunciato per nessuna ragione. Ma lei si fermò e, con il tocco di un dito, gli sollevò il mento.

«Adesso, vai, sarai senz'altro pieno di impegni» disse la regina, mostrandogli a fatica un sorriso incoraggiante, che a Nicola bastò per capire che confidava in lui. Allora si alzò in piedi, ma non si mosse.

«Con loro cosa faccio?» chiese, alludendo alle donne rimaste fuori ad attendere.

«Oggi lascia che io rimanga ancora nel mio lutto. Domani deciderò se avrò bisogno o meno di compagnia.»

Il principe annuì. Guardò ancora i colori vivaci dell'arazzo e si inchinò profondamente, in segno di commiato, mentre le guance di Felicita riprendevano il colore della vita.

 

(Ultima revisione: 22/05/2020)

   
 
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