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Autore: SparkingJester    11/04/2018    1 recensioni
Un giovane bambino cercando conforto dal tedio di un lungo viaggio mercantile, incontra un cavaliere dal passato e dal carattere decisamente imprevedibili.
Partecipa al contest ASYLUM di Haykaleen.
Pacchetto: Bipolarismo.
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il giovane Hud, di appena dieci anni, restò sbalordito alla vista dell’imponente ingresso al Passo della Balena: una lunga e trafficata tratta mercantile tra i cunicoli di una galleria, attraverso un complesso montuoso altrimenti insuperabile.
Una grande apertura nella roccia di color verde acqua, plasmata dal tempo fino ad assomigliare ad una bocca di balena, accolse al suo interno la carovana, mostrando a Hud cosa gli uomini potessero fare pur di superare i propri limiti.
La galleria principale presentava una pavimentazione levigata, frutto di centinaia di anni di cammelli, cavalli, truppe, carri e viandanti che attraversarono quel Passo prima di loro. Lungo i bordi e sulle pareti, strani funghi luminescenti con larghi cappucci illuminavano la via.
Hud continuava a guardarsi attorno, ammirava le stalattiti e strattonava il padre tentando di toccare qualche fungo.
«Hud, buono figliolo. Presto ci fermeremo e potrai fare un giro se vorrai. Dove io possa vederti, ovviamente.»
«Ma è tutto così bello, papà! Guarda che luci accoglienti, tutte le caverne del Nord sono così?»
Suo padre Faruq lo corresse: «Ahah, no assolutamente no. Queste sono particolari, sono sicure. Di solito nessuno va in una caverna, sono nascondigli adatti per i mostri!»
Cercò di intimidirlo, senza successo.
«Questa invece è stata scavata apposta per noi mercanti. E’ una scorciatoia sotto le montagne, altrimenti ti immagini a fare il giro delle Ande Nere? Ci impiegheremmo una vita, tu avresti persino dei bambini. Ah-ah!»
Hud imbronciò il viso: «Non sei divertente. Allora vuol dire che sarà tutto così il viaggio? Nessun mostro o cavaliere solitario?»
«Niente di tutto questo, figliolo. I cavalieri, magari, se avremo fortuna.»
Cercò di concludere, sorridendo al figlio e prendendolo rapidamente sulle sue vecchie spalle.
Hud si afferrò al mento barbuto del padre, poggiandosi sul turbante e attendendo con ansia qualunque cosa stuzzichi la sua attenzione.
La carovana si arrestò dopo un’ora dal loro ingresso nel Passo.
In viaggio ormai da mesi, partiti dal loro regno natio, Nem, nascosto tra le sabbie del deserto dell’Ovest, puntavano a vendere i loro minerali più preziosi ai regni sempre più avidi del Nord.
Un centinaio tra mercanti, servi e la scorta, legarono i cammelli sui bordi del sentiero, fermarono saldamente al suolo le carrozze in degli anfratti artificiali e montarono su delle rampe di roccia le tende per la “notte”, scandita solo dal tempo delle loro clessidre data l’impossibilità di vedere il sole. L’uscita era a cinque giorni di cammino ma la prima pausa dopo l’ingresso era la più importante poiché avrebbero dovuto procacciarsi del cibo dalle foreste appena fuori, prima di addentrarsi nelle viscere della terra.
«Si tratta solo di tre giorni di pausa, Hud. Avanti non fare così.»
Il bambino era a gambe incrociate, braccia conserte e faccia sul cuscino all’interno del suo caldo rifugio.
«Io mi annoio a morte qui dentro!»
«Perché invece non ci aiuti con i cammelli? Ti piacevano i cammelli una volta.»
«No, io voglio andare coi cacciatori allora! So tirare con l’arco, mi hai visto anche tu.»
«Lo so, ma è pericoloso lo sai. Puoi farti un giro e giocare al piccolo esploratore se vuoi, basta che rimani nei dintorni, dove una guardia può vederti.»
Gli occhi del ragazzo, contornati da un pigmento nero, abbandonarono il  cuscino e fissarono quelli occhi del padre, anch’essi marchiati. Una barra tatuata nera che dalla punta del mento arrivava alla bocca completava il segno distintivo del popolo di Nem, fatti alla nascita dell’individuo con un pigmento particolare.
«Va bene, allora inizio subito!»
E il ragazzo saettò fuori, vorticando la testa alla ricerca di un buon cunicolo da raggiungere arrampicandosi.
Ne individuò uno, corse saltellando tra barili, casse e roccia, oltrepassando i vigili occhi delle guardie e salendo fino ad una sporgenza a tre metri d’altezza, roccia dopo roccia.
«Inizierò da qui, griderò se necessario!»
Salutò vagamente i membri della compagnia e partì nell’esplorazione.
I cunicoli secondari e terziari erano composti da archi che conducevano ad altre sporgenze, alcune larghe altre strette, ma tutte ricoperte da un verde muschio e illuminati dalla soffusa aura dei funghi.
Ma dopo un lungo pomeriggio, niente di nuovo. Solo cunicoli, rilievi sopraelevati e grossi funghi, niente di eccitante.
Quella sera cenò con i Pakras: polpette di carne ovina avvolte in sottili fette di pancetta e fritte, accompagnate da pane e formaggi.
L’intera carovana banchettò e brindò serenamente alla meritata pausa e, al tempo indicato dalle clessidre, nessuno tardò a recarsi nelle proprie tende. Hud incluso, ancora sveglio e tamburellando silenziosamente le dita al terreno mentre il padre e la madre dormivano tranquilli.
Passò qualche ora, le palpebre del ragazzo fecero per chiudersi per l’ultima volta quella sera ma qualcosa destò la sua attenzione: qualcuno o qualcosa stava rovistando tra scodelle e casse, appena fuori la sua tenda.
Il ragazzino dai corti capelli neri come la pece drizzò le orecchie e spalancò gli occhi, voltandosi rapidamente in direzione del rumore.
In un misto tra eccitazione e paura, fece capolino lentamente con la testa al di fuori della sicura tenda: un losco figuro, pelato, rovistava effettivamente tra delle ceste, tenendone ben salda un’altra sotto il braccio destro.
Sembrava nudo, con solo una mutanda bianca mal legata alla vita.
Il ragazzino si pietrificò. Lo sconosciuto si voltò e i due si fissarono per pochi ed imbarazzanti attimi.
Il pelato aveva in bocca un pakra, altri nella cesta sotto il suo braccio e due stretti nella mano sinistra; i suoi occhi erano spalancati e sorpresi. Si voltò rapidamente ed iniziò a correre maldestramente per allontanarsi dall’accampamento.
Hud fece per seguirlo, senza emettere un suono. Quell’uomo non sembrava una minaccia ma di sicuro era abbastanza strano da sentire il bisogno di seguirlo.
Il pelato era stranamente silenzioso e leggiadro nella sua goffaggine; saltò perfino usando un muro come spinta per poi finire su una roccia molto più in alto.
Il ragazzino iniziò quindi a scalare, mosso dal brivido dell’avventura e sempre più curioso di sapere perché uno sconosciuto nudo aveva i suoi deliziosi pakras.
Raggiunta la sporgenza e superato qualche arco, la parete rocciosa iniziò a presentare come dei gradini a chiocciola portando il piccolo avventuriero in una camera segreta: molto larga ma bassa, con un tozzo fungo dal cappuccio grande come la cupola di un tempio che troneggiava al centro della grotta segreta.
Il fungo non brillava come quelli dei piani inferiori e qualcosa di appena visibile sembrava appoggiato al robusto fusto del fungo.
Dell’uomo nudo, nessuna traccia.
Hud si avvicinò cauto, in punta di piedi, aggirando il fungo e nascondendosi dietro qualche sporadica roccia.
Le forme sembravano due, un’arma e un corpo.
La curiosità fu troppa e Hud abbandonò il rifugio delle rocce e ogni parvenza di furtività per avvicinarsi ancora una volta. Ma preferì non averlo fatto, rabbrividì: una gigantesca scure dalla lama lunga, larga e affilata come un rasoio da un lato e con grossi dentelli triangolari dall’altro, riposava affianco ad un cadavere umano, seduto a braccia distese lungo i fianchi.
Notò poi che non era un cadavere bensì uno scheletro molto strano, sporco di sangue ma con delle piccole corna sul teschio, ossa affilate e puntute spuntavano dalla cassa toracica e lungo le spalle, braccia, gambe, piedi e le mani avevano persino delle ossa piatte che ne rafforzavano la struttura.
C’era qualcosa di strano.
Un tonfo e rumore di roccia sbriciolata svegliarono Hud dal torpore della paura, facendolo voltare velocemente.
L’uomo nudo e pelato gli era di fronte: mulatto come lui, portava un segno distintivo unico.
«Ecco, le ho finite tutte le pakras. Adesso vattene ragazzino e non dire a nessuno di avermi visto.»
Disse l’uomo sbattendo a terra la cesta ormai vuota.
Hud ormai non aveva più timore. Fissò scioccato il volto dello sconosciuto e ne riconobbe gli stessi simboli che lui, il padre e tutto il popolo di Nem portava con sé: occhi contornati di nero e una linea da mento a bocca.
«Avanti, ti decidi a sparire? Sciò!»
Fece come per scacciare una gallina, avanzando verso il bambino.
«Guarda che ti ammazzo, tornatene dai tuoi genitori e… Aspetta un momento.»
Finalmente anche lui realizzò. Afferrò il cranio del bambino con la mano destra e lo sollevò alla sua altezza, fissando i tatuaggi facciali.
Hud iniziò ad agitarsi.
«Lasciami, mi fai male! Sei un Nemeru, non puoi far male ad un altro Nemeru!»
«Oh, dannazione!»
Lo lasciò e il bambino infierì: «Sono un bambino, sai? Non si trattano così i bambini. Ma dimmi, ti sono piaciuti i pakras di mamma? Sono i migliori della carovana!»
Lo sconosciuto lo fissò con aria interrogativa, il viso altamente espressivo mutò poi in uno sguardo perso ai suoi piedi, poi uno deciso ed infine un sorriso diretto al ragazzino.
«Erano strepitosi! Appena ho sentito il profumo sono corso immediatamente, non li mangiavo da… Forse un centinaio di anni!»
Il bambino spalancò la bocca: «Un… centinaio? Davvero?»
«Dannazione! Perché parlo troppo? Eh, ragazzino? Lascia stare. Scherzavo. Comunque sia, lo ripeto ancora una volta. Anche se sono un Nemeru come te, devi andare via da qui. Mi sto nascondendo e nessuno deve sapere che sono qui.»
«Ma quello cos’è?» Si girò Hud puntando verso lo scheletro deforme poggiato al fungo.
«Quella è la mia armatura. E’ un’armatura d’ossa che mi sono costruito da so… Dannazione! Non mi distrarre, vattene! Subito!»
Alzò la voce stavolta. Hud s’irrigidì ma vide che negli occhi di quell’uomo non c’era un briciolo di aggressività.
«Senti io mi annoio di là. Dobbiamo dormire qui tre notti e poi farne chissà quante verso l’uscita di questa noiosa caverna!»
«Ma no, è una meraviglia naturale e ci sono salamandre e…»
«Non mi interessano queste cose! A me interessano i cavalieri e tu hai un’arma davvero enorme! Sei un cavaliere? A Nem non ci sono i cavalieri, come ci sei finito qui? E perché sei nudo? Ah già quella è la tua armatura hai detto. Che bella!»
Il pelato iniziò a sudare freddo, spaventato dalla curiosità del bambino.
«Io sono Hud!» Aggiunse nel turbinio di domande.
I due si scambiarono una imbarazzante stretta di mano.
«Io sono… Ax. Chiamami Ax.»
«Piacere di conoscerti Ax. Passeresti la notte con me? Non voglio dormire.»
«Senti, mocciosetto, non posso stare qui con te. Poi se ti scoprono? Mi attaccheranno perché penseranno che sono un uomo cattivo e poi dovrò ucciderli tutti. Vuoi che ammazzi tutta la tua carovana, Hud?»
Ax parlò con velocità e sicurezza e il ragazzino sgranò gli occhi, stupito.
«Perché dovresti ucciderli?»
«Per difendermi. Ma soprattutto perché nessuno deve sapere che sono qui.»
«E perché?»
«Perché devo aspettare qui, dovrebbe essere un posto segreto questo. Non accessibile ai ragazzini come te.»
«E chi stai aspettando?»
«Amici.»
«E quando arrivano.»
«Non lo so, dannazione! Un mese… forse due.»
«E perché proprio qui?»
«Senti, facciamo una cosa. Vuoi fare un patto?»
«Un patto?»
«Io ti racconto della mia vita, ti narrerò delle mie gesta, della mia fuga da Nem, delle mie peripezie e delle mie battaglie.»
Le pupille di Hud si ingrandirono per l’emozione.
«E… delle persone che ho ucciso!»
«Si! Ci sto!»
«Perfetto, hai accettato. Sei fortunato che non sono un tipo avido. Mi porterai più pankras che puoi ed io racconterò finché ne avrò da mangiare.»
«Ma… ma come li giustificherò a mamma?»
«Problemi tuoi.»
  
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