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Autore: NPC_Stories    09/06/2018    2 recensioni
Seguito di Lezioni di sopravvivenza - Primo Livello, L'alba del Solstizio d'Inverno e Cursed with Awesome.
Dee Dee continua il suo percorso di crescita scendendo sempre più nelle viscere del dungeon, ma qui l'aspettano sfide ancora peggiori. Il suo compagno di viaggio drow è più dannoso che utile, anche se a volte le due cose coincidono.
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Spoiler: niente romance. La differenza di età la renderebbe una cosa creepy.
Nota: come al solito i personaggi principali sono tutti originali, ma potrebbero comparire a spot alcuni personaggi famosi dei Forgotten Realms
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 3)


Da qualche parte nel Secondo Livello dell’Undermountain

“Mia signora, abbiamo perso ogni comunicazione.” Mormorò il mezzelfo, profondendosi in un inchino che non nascondeva il suo tremore. “Il nostro Quarto Adepto è rimasto indietro e il suo medaglione non ci comunica più alcun segno vitale. Potrebbe averlo perso… essergli stato sottratto… ma ormai dobbiamo supporre…”
“Che sia stato catturato o ucciso.” Concluse la donna al suo posto.
Il mezzelfo chinò la testa ancora di più, temendo la punizione che la bizzosa creatura avrebbe potuto infliggergli.
Lei invece si limitò ad agitare una mano elegante dalle dita perfettamente curate, in un gesto che ostentava completa noncuranza.
“Il Quarto Adepto ha fallito. Se fosse ancora vivo e riuscisse a tornare, lo accoglieremmo di nuovo fra noi, ma dal momento che probabilmente è morto non c’è ragione di sprecare tempo ed energie per recuperare un cadavere.” Decise la donna, in tono definitivo. Non sembrava nemmeno arrabbiata, una cosa inusuale per una creatura umorale e passionale come un mezzo-demone.
“Mia signora, con permesso, andrò a riferire di sospendere la ricerca.” Propose il mezzelfo, attendendo il consenso della Prima Adepta per congedarsi.
“Aspetta.” Lo fermò, in tono imperioso. Il mezzelfo tenne lo sguardo ostinatamente fisso a terra, finché un paio di piedini perfetti entrarono nel suo campo visivo. La conturbante creatura, figlia di un mortale e di una succube, afferrò con delicatezza il mento del mezzelfo e lo costrinse a sollevare il capo. “Ricordami il tuo nome, Adepto…?”
“Merykar, mia signora. Decimo Adepto.” Rispose prontamente, non sapendo bene se doveva ancora tenere gli occhi bassi o guardare in viso la sua signora.
“Mh.” La alu storse la bocca, come se lo trovasse appena passabile. “Vai ad avvertire di sospendere le ricerche, allora. E mandami qualcun altro.”
“Signora…?”
“Qualcuno più affascinante di te, stolto. Devo pur rimpiazzare il Quarto Adepto nel mio letto.”
“Sì, signora.” Il Decimo Adepto si inchinò ancora, segretamente sollevato che la volubile mezzo-demone non lo trovasse abbastanza interessante. Aveva standard molto alti, e ricompensava la devozione con grande passione, ma i suoi amanti non duravano mai a lungo.


In quello stesso momento, da qualche altra parte nel Secondo Livello

Dee Dee affondò un colpo di spada alla cieca, accogliendo con sollievo e con segreta soddisfazione il lamento di morte del suo nemico. Passandogli accanto, il suo istinto le consigliò di buttarsi a terra appena in tempo per evitare un incantesimo che le saettò sopra la testa. Rotolò in direzione opposta al bordo della pedana, accoccolandosi a terra per minimizzare il bersaglio e appoggiando la schiena al gradone che costituiva la pedana successiva, in quel tempio strutturato su tre livelli. Sapeva che avere la schiena coperta non era una vera protezione, non contro la magia, ma la cosa la fece sentire comunque più sicura.
Cercò di guardarsi intorno in quell’oscurità asfissiante, opprimente, ma nemmeno la sua vista soprannaturale da mezza-vampira poteva oltrepassare quella cortina di tenebre.
Si rannicchiò, sentendo che era in arrivo un’altra ondata di dolore. Per motivi a lei sconosciuti, ad intervalli di pochi secondi veniva attraversata da dolori lancinanti che la lasciavano ogni volta più spossata e debole. Era sicuramente colpa di un incantesimo, ma non sapeva quale dei sacerdoti l’avesse lanciato. Sempre che fossero sacerdoti.
Se scoprissi chi di loro è il fautore di questo… se lo uccidessi, l’incantesimo avrebbe termine?
“Lasciate perdere la ragazza!” Gridò una voce imperiosa, anche se stranamente soffocata, come se provenisse da una bocca non completamente umana. Dee Dee ricordò di aver visto un sacerdote con mezzo volto sfigurato, forse era stato lui a parlare. “Morirà a causa dell’oscurità, continuate con il rituale, stolti!”
Seguì un silenzio che, se la situazione non fosse stata così tragica, sarebbe potuto essere comico. Poi qualcuno si azzardò a dire quello che tutti stavano pensando.
“Signore, non ci vediamo.”
Il gran sacerdote imprecò, passando dal Comune a lingue che Dee Dee non conosceva.
“Esiste un incantesimo per vedere anche attraverso l’oscurità più fitta!”
“Perdono, signore, temo che sia al di fuori della nostra…”
“Incompetenti!” Tuonò il gran sacerdote.
Dee Dee subì un’altra fitta di dolore, ma si costrinse a muoversi, nonostante si sentisse i muscoli intorpiditi. Sapeva di trovarsi sulla seconda delle tre pedane che componevano il tempio, e aveva memorizzato la posizione approssimativa del grande calderone dove avevano costretto il prigioniero. Le sue urla disperate si potevano ancora sentire, come contrappunto alla conversazione dei suoi aguzzini. Dee Dee si alzò e corse in direzione di quel suono, pregando di non scivolare sul cadavere della melma che Daren aveva ucciso prima di scomparire nel nulla.
Corse per un tempo che le parve infinito ma in realtà sarà stato un secondo e mezzo, chiedendosi in ogni momento se sarebbe andata a sbattere contro uno degli altri sacerdoti, ma fu fortunata. Andò a sbattere contro il calderone, prendendolo in pieno e picchiando gli avambracci che aveva posizionato davanti alla faccia per non rischiare di sbattere la testa.
Il metallo non era caldo, e questo era già qualcosa, ma l’enorme contenitore era pesante. L’impatto della dhampir lo fece oscillare leggermente, un po’ di liquido strabordò e Dee Dee lo schivò in buona parte, anche se qualche goccia le bagnò una mano. All’inizio non sentì nulla, poi cominciò ad avvertire una sorta di pizzicore che non era proprio dolore. Si trattava davvero di un acido, ma di uno molto blando.
Da quanto tempo è lì dentro, quel poverino? Pensò con orrore. Forse dovrei essere sollevata che mi si prospetti una morte più rapida.
Scosse la testa, per ritrovare la sua determinazione. Si appoggiò con tutto il suo (poco) peso contro il calderone, puntò i piedi a terra e cominciò a spingere.
“Fermatela!” Berciò di nuovo il chierico, che evidentemente ci vedeva. “Sta cercando di liberare il prigioniero!”

I suoi sottoposti si mossero alla cieca verso la dhampir. Uno di loro inciampò nel cadavere del tizio che Dee Dee aveva ucciso con un colpo fortunato, e cadde a faccia in giù in quello che restava di una Melma Grigia defunta. Dee Dee sentì il rumore disgustoso della sua caduta nella melma, e capì che altri stavano arrivando.


Nel frattempo, in un luogo molto lontano e molto vicino

Daren maledì con tutto il suo cuore il gran sacerdote e la loro sfortuna. Aveva fatto tutto il possibile per nascondere i loro intenti, aveva lanciato anche su Dee Dee l’incantesimo che permetteva di nascondere le proprie inclinazioni etiche, in modo che entrambi apparissero completamente non schierati.
Non era stato sufficiente. Il maledetto lecca-melme aveva deciso di scatenare su di loro un incantesimo vile e immondo, che aveva il doppio effetto di creare un’oscurità magica impenetrabile e fare in modo che qualunque creatura non malvagia venisse avvelenata dall’energia maligna di quell’oscurità.
Il tempio era illuminato, quindi Daren non aveva intorno le lucine danzanti al momento dell’incantesimo, ma si consolò pensando che probabilmente non sarebbero servite a nulla.
L’oscurità l’aveva nascosto agli occhi di chiunque, quindi, in virtù di una maledizione che lo accompagnava da decenni, il Piano delle Ombre lo aveva reclamato.
Non era questa la parte peggiore, prima o poi lo avrebbe anche rilasciato; la parte peggiore era che il Piano delle Ombre lo avrebbe lasciato andare solo dopo avergli risucchiato una parte di energia vitale.
Daren era abituato a quel sacrificio, non era la prima volta che il Piano delle Ombre pretendeva un prezzo per la sua liberazione. Il vero problema era che quella consunzione si verificava lentamente, e per allora Dee Dee sarebbe stata sicuramente già uccisa.
Devo velocizzare il processo. Decise, frugando con una mano in una piccola scarsella che aveva legata in vita. Con la pozione più potente che possiedo… e spero solo che sia sufficiente.
Daren estrasse dalla scarsella una piccola ampolla, che conteneva un liquido nero quanto il panorama di ombre che aveva davanti. Prima di procedere, però, cercò di capire bene quale fosse la sua posizione. Intorno a sé poteva vedere un duplicato quasi preciso del tempio in cui si trovava, ma ovviamente vuoto. Ricordava che, appena prima che ogni luce sparisse dal mondo, il gran sacerdote si trovava proprio davanti a lui. L’umano, sempre che di questo si trattasse, aveva agitato una specie di scettro magico, la gemma in cima allo scettro si era tinta di nero e poi quella tenebra era filtrata all’esterno, espandendosi istantaneamente in un effetto di Oscurità Dannata.
Quello scettro stesso dev’essere il focus dell’incantesimo, ogni incantesimo di oscurità richiede di avere un centro, un oggetto che lo emana; un sasso, una spilla, una cosa qualsiasi. Se ho capito bene cosa ho visto, l’oggetto che ora emana l’incantesimo è la gemma sullo scettro.

Non ne era sicuro, ma quella supposizione era l’unica cosa su cui potesse basarsi. Nei pochi secondi passati a riflettere, l’essenza gelida del Piano delle Ombre aveva già iniziato a compromettere la sua energia vitale, ma Daren lasciò che accadesse senza erigere alcuna difesa. Doveva accadere. Doveva accadere con più efficienza.
Con una mano si slacciò il mantello, che era magico ma soprattutto era spesso e pesante, pensando a come fosse ironico che ora gli sarebbe servito più per la sua fibra spessa che per i suoi incantamenti. Con l’altra mano, si portò alle labbra la boccetta, la stappò con i denti e ne bevve l’intero contenuto.
Un’ondata di dolore gli attraversò il corpo, ma di nuovo non oppose resistenza. Strinse le mani e serrò i denti in risposta al dolore, ma a parte questo non si mosse; era importante mantenere la posizione, nel Piano delle Ombre un solo passo sbadato poteva portarlo a mezzo miglio di distanza.
Quando ricominciò a respirare normalmente, si accorse che nonostante il danno che la pozione di Infliggi Ferite gli aveva causato, si trovava ancora sul Piano delle Ombre. Era certo che il suo stratagemma per ridurre la permanenza su quell’odioso Piano funzionasse, perché l’aveva già sperimentato in passato. Forse una pozione non era sufficiente.
Frugò nella scarsella, cercandone un’altra.


Undermountain, Piano Materiale

Dee Dee afferrò il bordo del calderone, soppresse un brivido per un’altra pulsazione di quel viscido dolore che penetrava fino alle ossa, poi appena il picco di agonia fu passato mise in atto il suo piano. Puntando un piede contro la parete convessa del contenitore, si sollevò arrampicandosi su di esso. Le sue dita toccarono l’acido, ma quel pizzicore era niente rispetto al dolore dell’incantesimo del chierico, quindi lo ignorò agevolmente. Tenendosi aggrappata al bordo con una mano, cominciò a cercare a tentoni il prigioniero con l’altra mano, sfiorando appena la superficie dell’acido. Alla fine toccò qualcosa, forse la testa. L’uomo non era lontano. Di certo però non poteva afferrarlo per la testa e sperare di tirarlo fuori facendo leva su una mano sola. Stava pensando a come fare, quando qualcosa le andò a sbattere contro facendo ondeggiare pericolosamente il suo supporto. Dee Dee capì che almeno uno dei chierici l’aveva raggiunta e ora l’uomo l’aveva appena afferrata per la vita.
Per istinto, lei rafforzò la presa sul bordo del calderone, e quando il chierico la tirò indietro con forza, finalmente il grosso catino di metallo raggiunse il punto di non ritorno e si sbilanciò. Purtroppo, si sbilanciò rovesciandosi addosso a loro.
Dee Dee aveva previsto che potesse succedere e rotolò velocemente di lato. Senza volerlo, rotolò fino agli scalini per la piattaforma inferiore, quindi la sua ritirata strategica si trasformò in una caduta goffa e dolorosa.
Atterrò sul piano inferiore del tempio, massaggiandosi la schiena dolorante. In quello stesso momento accaddero due cose: il chierico che l’aveva afferrata non era riuscito ad evitare l’acido e cominciò ad urlare, all’inizio per la sorpresa e poi anche per il dolore; d’altra parte, una voce terribile risuonò nell’aria, la dhampir riconobbe la parlata strana del gran sacerdote.
“Juiblex, volgi i tuoi occhi sul tuo servo! Dammi il potere di punire questa blasfema che ha interrotto il più intoccabile dei rituali!” La voce era la sua, sì, ma era così tonante che sembrava che un dio si fosse preso la briga di parlare per bocca del suo servo.
Dee Dee si sentì atterrare da un potentissimo colpo, come una martellata dal cielo, solo che non era davvero tangibile. Quella “punizione divina” la colse di sorpresa e le strappò il respiro, e lei si ritrovò di nuovo sdraiata a terra senza rendersi conto che era caduta.
Così non va bene. Si disse, prendendo atto della sua situazione disperata. Due sacerdoti ancora vivi, il loro capo incavolato nero, Daren scomparso… non posso farcela. Sto per morire e non posso evitarlo.
Dee Dee sentì che gli occhi le si riempivano di lacrime e che non riusciva ad evitare nemmeno questo. Aveva già rischiato di morire, ma non così. Non sentendosi così abbandonata. Dov’era Daren? Non poteva essere fuggito, non l’avrebbe mai fatto, lei sapeva che non l’avrebbe fatto. Era stato ucciso? E quale delle due possibilità l’aveva gettata in quell’abisso di disperazione?
Si passò una mano sugli occhi, odiando sé stessa per la sua debolezza. Non aveva più la spada, l’aveva persa nella caduta, e sapeva che al prossimo assalto dell’incantesimo oscuro sarebbe probabilmente morta.
Quando riaprì gli occhi, scoprì che poteva vedere di nuovo.

Il tempio era nel caos più totale.
Sul livello più basso ormai c’era solo Dee Dee, mentre sulla pedana di mezzo uno dei chierici era morto, uno si era appena alzato dallo scivolone e il terzo si rigirava urlando in una pozza di acido, che ora aveva iniziato a colare a cascatella anche giù dagli scalini. La dhampir si scostò in tutta fretta.
Sul livello superiore, il gran sacerdote era impegnato a cercare di liberarsi da un mantello che gli aveva avvolto completamente un braccio, e un elfo scuro che Dee Dee conosceva bene stava lottando per evitare che il malvagio prete riuscisse a districarsi.
Alla fine i due si separarono, il chierico tirò fuori il braccio dall’involto del mantello, ma dalla sua espressione furibonda sembrava che ci avesse lasciato dentro qualcosa di valore.
Dee Dee non perse tempo e cominciò a cercare con gli occhi la sua spada; la sua resistenza sovrannaturale stava già iniziando a guarirla, e la battaglia non era ancora finita.

Daren gettò lontano la verga avvolta nel suo mantello, poi sfoderò la spada bastarda. Nel frattempo il gran sacerdote si mosse indietro di alcuni passi facendo cenni alle due melme che aveva ai suoi fianchi.
Il drow odiava le melme, tutte quante, ma queste erano forse in lizza per il primo posto. Sembravano enormi masse di sangue gelatinoso e infuocato, orribili gelatine incandescenti che probabilmente erano prive di intelletto, perché attendevano i comandi del chierico per muoversi o attaccare.
Come fa a controllare mentalmente delle melme? Si chiese il drow. Dovrebbe essere impossibile, a meno che non sia un seguace di un dio delle melme… Il nome di Ghaunadaur gli aleggiò per un attimo nella mente, e questo avrebbe spiegato anche la presenza dei due ghaunadan nell’altra stanza. Il sacerdote indossava paramenti del colore sbagliato, però.
Le melme si fecero avanti, protendendosi verso di lui, precedute dal loro intollerabile calore. Daren decise di rimandare le domande a dopo.

Dee Dee aveva un problema: uno dei due umani ancora vivi, quello che prima era scivolato sulla melma grigia morta, stava fra lei e la sua spada. Peggio ancora, non era a portata del suo piccolo pugnale, se ne stava a qualche passo di distanza e sembrava avere tutta l’intenzione di lanciarle contro un incantesimo.
L’elfa sentì il sangue che le pulsava nelle vene e capì che la sensazione che stava provando era rabbia. Era semplicemente stanca di essere un bersaglio per gli incantesimi, voleva che uno di quei pusillanimi avesse il fegato di combatterla con le armi, voleva veder scorrere il sangue, voleva…
Oh. Non era solo rabbia, lo capì in quel momento. Era anche fame.
Dee Dee abbandonò l’idea di recuperare la spada e si lanciò verso il chierico, saltandogli praticamente in braccio appena un attimo prima che lui completasse l’incantesimo. La fronte della dhampir impattò contro il suo naso, rovinando la formula magica all’ultimo momento. Poi i dentini aguzzi trovarono il collo dell’umano, e per lei ci fu soltanto l’estasi del sangue.

Forse il gran sacerdote pensava che le sue melme potessero uccidere, o almeno mettere in difficoltà, il guerriero drow. Non aveva fatto i conti con due cose: l’agilità che caratterizza ogni razza elfica, e che Daren aveva perfezionato con costanza, e l’odio funesto che il suo avversario provava per qualsiasi melma. Figuriamoci per quelle intrise di malvagità.
Poter vedere il guerriero alle prese con i suoi servitori però gli diede modo di studiare il suo stile di combattimento. Provò a lanciargli contro uno sputo di acido, un potere particolare concesso dal suo signore Juiblex, ma il drow aveva ottimi riflessi e riuscì a schivare agilmente quel disgustoso proiettile. L’uomo prese nota della velocità di movimento del nemico e decise che non voleva affrontarlo in corpo a corpo, anche se avrebbe potuto. Prima di tutto avrebbe cercato di indebolirlo o ferirlo con i suoi incantesimi.

Nel frattempo, ignorato da tutti, l’uomo che era stato costretto ad agonizzare nel calderone si alzò sulle ginocchia e guardò il sacerdote colpito dall’acido che stava cercando di rialzarsi da terra. Il prigioniero aveva ancora le mani intrappolate dietro la schiena, chiuse da un paio di manette, ma ormai l’acido aveva corroso quasi completamente il metallo. Fece uno sforzo immane, ignorando il dolore dei rigidi bracciali che premevano contro la carne viva (di pelle non ne aveva quasi più), ma infine riuscì a spezzare le manette. Ogni mossa era un’agonia, avrebbe solo voluto strisciare lontano dalla pozza d’acido e stendersi sul freddo pavimento, ma l’odio gli dava la forza di muoversi.
Gattonò verso il suo nemico, con le mani che annaspavano nella pozza corrosiva, ma ormai aveva patito così tanto che un altro po’ di bruciore non poteva fare la differenza. I suoi occhi non mettevano bene a fuoco, i fumi dell’acido li avevano in parte compromessi. Non aveva un vero piano, ma fu fortunato: sulla sua strada, le sue nocche toccarono qualcosa di duro, metallico: una spada lunga.
Nephlyre Kilchar, Quarto Adepto della Cabala dei Sussurri di Graz’zt, afferrò una spada che mai e poi mai sarebbe stata destinata alle sue mani immonde, ma si dimostrò capace di usarla comunque in modo efficace.

           

   
 
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