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Autore: NPC_Stories    15/06/2018    2 recensioni
Seguito di Lezioni di sopravvivenza - Primo Livello, L'alba del Solstizio d'Inverno e Cursed with Awesome.
Dee Dee continua il suo percorso di crescita scendendo sempre più nelle viscere del dungeon, ma qui l'aspettano sfide ancora peggiori. Il suo compagno di viaggio drow è più dannoso che utile, anche se a volte le due cose coincidono.
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Spoiler: niente romance. La differenza di età la renderebbe una cosa creepy.
Nota: come al solito i personaggi principali sono tutti originali, ma potrebbero comparire a spot alcuni personaggi famosi dei Forgotten Realms
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 4)

Il tempo a Dee Dee sembrava privo di significato, infinito, come un sentiero che si perde nel deserto; eppure era scandito da una sorta di ritmo, una pulsazione, che prima accelerava in modo rapido e frenetico e poi cominciava inesorabilmente a rallentare. Era il battito di un cuore, questo lo sapeva, e il suo tempo in realtà sarebbe finito quando - se - quella pulsazione si fosse fermata.
Il cuore batteva ancora velocemente, l’umano puzzava di paura, e la sua paura era esaltante per quella parte di lei che rispondeva ad istinti bestiali.
Lui balbettò qualcosa, ma la dhampir non lo udì nemmeno. Niente importava a parte il sangue.
Poi fu il dolore.

Decisamente non era una buona giornata, per Arzo Jassan. Prima aveva dovuto abbandonare i suoi affari per venire a presenziare all’iniziazione di quel patetico arrivista di Errek, che in pochi anni era riuscito a guadagnarsi i favori del grande demone Juiblex senza nemmeno essere un chierico di rango. Poi la cerimonia era stata interrotta da due pazzi bastardi, e la sua stessa vita era stata messa a rischio (quando sarebbe stato del tutto disposto a scappare e lasciare che i due uccidessero quello stronzo di Errek, e magari anche il suo rivale Adler, per buona misura). Infine, aveva sacrificato il suo unico incantesimo di guarigione nel tentativo di danneggiare l’elfa vampira, visto che i non morti sono alimentati dall’energia della morte e vengono feriti dall’energia della vita, ma anziché aprire nuove ferite sul corpo dell’elfa, sembrava che il suo incantesimo gliele avesse curate.
Nulla aveva più senso per il povero chierico, e non aveva abbastanza afflusso di sangue al cervello per ragionare coerentemente.
Due pensieri vagamente confortanti lo accompagnarono in quegli ultimi momenti prima dell’incoscienza: il primo era che Adler era già morto e probabilmente anche Errek sarebbe morto a breve; il secondo era che tutto sommato quella non era una brutta morte, perché Arzo, con la sua aria malaticcia e impacciata, non era mai stato così vicino ad una bella ragazza.
Un’antica parabola orientale narra che un uomo, scivolato lungo un burrone, fosse riuscito a salvarsi temporaneamente aggrappandosi a una piantina di fragole. La piantina era troppo fragile per sostenere il suo peso e l’uomo sapeva che sarebbe morto, ma prima di andarsene dedicò i suoi ultimi istanti a mangiare le fragole.
Arzo Jassan non aveva la lucidità di pensare ad un nuovo incantesimo, ma aveva ancora le mani libere.

Nephlyre Kilchar non stava molto bene, anzi per la verità non era mai stato peggio. Ogni angolo del suo corpo era un inferno di dolore, le forze lo stavano abbandonando, e cosa ben più grave, era brutto. L’acido aveva sciolto la sua pelle, risparmiando solo il volto che era rimasto fuori perché potesse respirare ed urlare, e ora non si riconosceva più. Era stato un bell’uomo, attraente e fascinoso secondo gli standard di qualsiasi razza umanoide, con un’aria di mistero e pericolo che gli derivava dalla sua discendenza diabolica ma che lo rendeva solo più accattivante. Ora, di lui non era rimasto altro che un rudere. La carne era stata parzialmente corrosa, e la cosa era più evidente su quelle parti del suo corpo che erano più sottili; le dita delle mani, dei piedi, e il… beh, qualcosa per cui Nephlyre avrebbe volentieri sacrificato sia le mani che i piedi.
Affondare la spada nel petto del chierico che aveva passato le ultime ore a salmodiare mentre lui moriva lentamente, però, lo fece sentire subito molto meglio. Rimase a guardare con oscura soddisfazione mentre il sangue del nemico si mescolava all’acido in cui era ancora sdraiato; poi arrancò fuori dalla pozza maleodorante gattonando sulle mani e sulle ginocchia, raggiunse un angolo in cui il pavimento di pietra era ancora pulito e si rannicchiò contro il muro della stanza. Senza più l’adrenalina dell’avere un avversario da uccidere, sapendo che qualsiasi cosa fosse successa ora sarebbe stata ben al di là del suo controllo, Nephlyre fu sopraffatto dal dolore e dalla stanchezza e perse beatamente i sensi.

Daren imprecò sottovoce, schivando di nuovo il tocco di una delle melme. La cosa più fastidiosa era il calore. Il drow non aveva problemi ad evitare i colpi, ma non poteva fare affidamento sulla sua armatura, perché se una di quelle creature si fosse avvicinata abbastanza da toccarla, lui a quel punto sarebbe già stato ustionato a causa della semplice vicinanza. La sua armatura poi era di cuoio, avrebbe potuto rovinarsi o perfino prendere fuoco, come anche i suoi vestiti e i suoi capelli. No, doveva evitare completamente il contatto con le melme e cercare di colpirle stando a distanza il più possibile, affidandosi alla certezza che la sua lama magica le avrebbe gravemente danneggiate anche senza la necessità di penetrare troppo a fondo.
Il sacerdote non sembrava intenzionato a lasciarlo combattere in pace. Continuava a scaricargli addosso un incantesimo dopo l’altro, molti dei quali per fortuna potevano essere evitati o venivano bloccati dalla sua naturale resistenza alla magia, una prerogativa di tutti gli elfi scuri. Alcuni incantesimi però colpirono nel segno, e Daren si rammaricò di non avere più il suo mantello che avrebbe aiutato il suo corpo e la sua mente a combattere contro gli effetti di quei malefìci.
Cominciava a sentirsi stanco, come se la spada ora pesasse molto più di prima, e i suoi movimenti sembravano rallentati. Nonostante questi impedimenti, riuscì a distruggere uno dei due mostri che aveva davanti.
Crollata a terra la melma, ora riusciva meglio a vedere il chierico: sembrava un essere umano di mezz’età, calvo e piuttosto pingue. Non sarebbe apparso pericoloso, se non avesse avuto mezza faccia sciolta come la cera di una candela. Molto opportuno per qualcuno che venerava le melme.
Il chierico allargò le braccia e Daren si tirò indietro, aspettandosi un nuovo incantesimo. Non voleva rischiare di finire addosso alla melma incandescente per schivare il maleficio del chierico.
Si sbagliava; l’uomo non stava per lanciargli contro qualche flusso di magia, stava evocando un’altra melma.
E che cazzo! E basta! Pensò il drow, esasperato, modificando la sua presa sull’impugnatura della spada perché ormai cominciavano a fargli male le mani.
Finì di uccidere la seconda melma di sangue infuocato, che ormai era in fin di vita, prima che il nuovo mostro evocato dal chierico riuscisse a manifestarsi pienamente. Avrebbe voluto avere il tempo di attaccare anche il sacerdote, perché era lui la fonte di tutti quei mali, ma non aveva un attimo di respiro.

Dee Dee aveva bevuto abbastanza sangue da sentirsi nuovamente bene, nello spirito se non nel corpo. Era tantissimo tempo che non beveva a sazietà, e sangue così buono per giunta. Il chierico l’aveva riscossa da quell’estasi scaricandole addosso un incantesimo di cura ferite, certamente non per gentilezza ma nel tentativo di ucciderla. Avrebbe potuto riuscirci, se lei fosse stata un vero vampiro.
L’incantesimo le causò un tremendo pizzicore in tutto il corpo, ma in realtà fu un toccasana: Dee Dee era viva, e l’energia di guarigione curava le sue ferite come quelle di qualsiasi creatura. Per fortuna, le fece anche recuperare la lucidità.
Questo umano è quasi morto… realizzò in quel momento. Posso smettere di nutrirmi, ormai è innocuo.
In quel momento l’umano concentrò le sue ultime forze e mosse le braccia. Per un folle istante la dhampir pensò che stesse cercando di abbracciarla, poi due mani tremanti ma determinate le palparono il sedere.
La ragazza si staccò di scatto dall’uomo e gli mollò un ceffone in piena faccia, mandandolo al tappeto privo di sensi.

Il Gran Sacerdote stava seriamente considerando l’opzione di fuggire. Certo, non era dignitoso, ma nemmeno morire nel proprio tempio lo era. Forse il drow aveva la sensazione di essere sopraffatto dai continui attacchi del chierico, ma allo stesso modo il chierico sapeva di stare finendo le opzioni: aveva già usato buona parte dei suoi incantesimi e si era ridotto a dover evocare altri avversari da frapporre fra sé ed il pericoloso elfo scuro, ma questa era implicitamente una mossa disperata, un tentativo di difesa.
Evocò anche un demone tanar'ri, una creatura piccola e ingannevolmente fragile, con la pelle di un profondo blu scuro che nel tempio poco illuminato sembrava nera quanto quella del drow. Il demonietto, un jovoc, aveva un volto quasi umanoide e braccia e gambe normali, ma al posto delle mani aveva tre lunghe dita munite di artigli, e i suoi denti, per quanto piccoli, erano aguzzi come quelli di un predatore. La sua pericolosità però stava nei suoi poteri speciali; il chierico sapeva che qualsiasi danno inflitto al jovoc si sarebbe ripercosso in pari misura su tutte le creature nelle vicinanze che non erano tanar’ri.
L’umano sapeva di correre un rischio in quel modo, perché nemmeno lui era un tanar’ri, ma era abbastanza potente da riuscire a proteggersi almeno in parte da quella magia funesta, e avrebbe goduto immensamente nel veder morire il drow, la sua compagna guerriera e tutti quei deboli pusillanimi che si contorcevano come vermi nel suo tempio.

L’elfo scuro distrusse la melma con pochi colpi di spada, ma si fermò indeciso davanti al jovoc.
Il sacerdote si accorse che il guerriero si stava guardando intorno, cercando con gli occhi la sua compagna, e comprese il suo errore di valutazione: era un drow, ovviamente doveva avere familiarità con i demoni! Sapeva che cos’era il jovoc e non sembrava volerlo attaccare.
“Bella mossa, umano.” Commentò infatti, nella lingua comune del Buio Profondo. “Ma prima o poi il tuo amichetto svanirà, come tutte le creature evocate, e io non ho nessuna fretta.”

Il chierico si sentì ribollire di rabbia, e impulsivamente ordinò al jovoc di attaccare. Il demonietto ci provò, a sua discolpa ci provò davvero, ma il guerriero drow non aveva molti problemi a deviare i suoi colpi con il piatto della spada. Ad un certo punto gli mise un piede sulla testa e lo spinse indietro barcollante, come se fosse stato un bambinetto.
“Mi scuserai se non mi trattengo a giocare con il tuo ometto, ma preferirei ucciderti e farla finita.” Commentò l’elfo scuro dopo qualche secondo, avanzando verso di lui e ignorando completamente il jovoc. Il demone riuscì a graffiargli le gambe mentre passava, ma il drow lo ignorò come se fosse semplicemente rimasto impigliato in un ostacolo di poco conto.
Il malvagio servitore di Juiblex però aveva previsto questa svolta, e aveva già pronto un incantesimo che avrebbe ripagato il maledetto guerriero per l’affronto di non essere cascato nel tranello del jovoc.
Tu forse ti salverai, tu forse ti credi intoccabile. Pensò l’uomo, con crudele soddisfazione. Ma la tua amante non lo è.
Un dardo di energia nero-verdastra scaturì dalla mano del chierico e colpì il suo nemico in pieno petto, senza possibilità d’errore visto che ormai era molto vicino.
Daren sentì che quell’energia malvagia lo pervadeva, penetrava nella sua anima, ma non si fermava lì; la percepì andare oltre, come se trovasse nel suo cuore un collegamento verso qualcuno o qualcosa e lo seguisse come un sentiero.
Un istante dopo, capì cosa stava succedendo e gli sembrò di precipitare in un lago di ghiaccio, e allo stesso tempo di essere avvolto da un intenso calore; la sensazione era fin troppo simile ad un attacco di panico, sebbene lui ne fosse immune.
L’uomo gli sorrise in modo viscido, esaltato.
L’incantesimo, entrambi lo sapevano, non era pensato per colpire direttamente l’elfo scuro, ma per uccidere la persona a lui più cara.
Daren per un attimo vide come una carrellata di immagini senza controllo scorrergli davanti agli occhi. Non sapeva chi fosse la persona che amava di più. Ce n’erano troppe, davvero troppe per un drow. Poteva solo pregare che fosse qualcuno abbastanza forte da poter subire quella magia terribile senza morirne.
Ma il chierico, oh, lui sarebbe morto. Sarebbe morto di sicuro.


In quello stesso momento, in un luogo abbastanza lontano... beh, non lontano come l’altra parte del mondo, ma troppo lontano per una scampagnata nel fine settimana

La femmina drow maneggiava il coltello con la sicurezza dell’esperienza, riuscendo anche a non sporcarsi. Affondò la lama nella carne come qualcuno che ha compiuto quei gesti quasi quotidianamente, per anni ed anni.
La morte di una creatura rappresentava sempre vita e prosperità per altre creature, questo lei lo sapeva, faceva parte del normale ordine delle cose.
L’elfa scura sospirò, pensando che rischiava di essere già in ritardo sulla tabella di marcia; molte persone attendevano il risultato del suo lavoro per poterne trarre forza e soddisfazione personale, e uno stufato impiegava sempre molte ore per cuocere a dovere.
Rovesciò una manciata di dadini di carne nel pentolone, rimestando con energia.
Senza preavviso, dall’altra parte della stanza, una bambola di terracotta esplose.

La donna non si girò nemmeno a guardare. Finì di tagliare e mettere a cuocere la carne, andò a prendere una scopa e raccattò tutti i pezzetti di terracotta tinta di nero. La bambola era pensata per assomigliarle il più possibile, quindi la scopa raccolse da terra anche diversi fili bianchi presi dalla criniera di un cavallo palomino.
Avrebbe dovuto procurarsi altra argilla, pensò, e in fretta. Non era prudente rimanere a lungo senza quel tipo di protezione.
Prese fra le mani il pezzo più grande che riuscì a trovare e si concentrò per capire che cosa avesse appena cercato di ucciderla.


Di nuovo nell’Undermountain, tempio di Juiblex

Il gran sacerdote non riusciva a capire come fosse possibile; un attimo prima, il drow era ancora ad almeno tre o quattro passi da lui. Un attimo dopo, aveva la sua spada bastarda piantata nelle viscere. Forse l’età gli aveva rallentato i riflessi? Forse aveva sottovalutato la rabbia di un guerriero. Con un filo di sangue che gli usciva dalla bocca, cominciò a mormorare l’incantesimo che l’avrebbe trasformato in una creatura differente. In casi come questo, la sua scelta cadeva sempre su una qualche creatura incorporea, in modo da poter fuggire attraverso le pareti.
Aveva dimenticato la dhampir, o almeno, pensava che ormai fosse morta.
Dee Dee gli arrivò alle spalle e gli tagliò la gola da dietro. Di norma non sarebbe stato sufficiente ad ucciderlo, il favore di Juiblex lo aveva trasformato in qualcosa che non aveva più veramente un’anatomia umana, anche se gli piaceva mantenere un aspetto umanoide per non apparire troppo alieno ai suoi adepti. Però essere circondato da due nemici, che con i loro continui affondi non gli davano il tempo di concentrarsi sugli incantesimi, l’avrebbe presto portato alla morte.
Il servitore di Juiblex diede fondo a tutte le sue risorse, cercando di dissuadere i due elfi con il suo tocco corrosivo; provò anche a contagiarli con le peggiori malattie, ma la mezza-vampira era molto resistente ai malanni che funestavano i normali esseri viventi, e il drow ne era ormai del tutto immune.
Il chierico lottò con tutte le sue forze, il jovoc cercò di aiutarlo finché l’incantesimo di evocazione non ebbe termine, ma a volte fare del proprio meglio semplicemente non è abbastanza.

           

   
 
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