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Autore: NPC_Stories    08/07/2018    1 recensioni
Seguito di Lezioni di sopravvivenza - Primo Livello, L'alba del Solstizio d'Inverno e Cursed with Awesome.
Dee Dee continua il suo percorso di crescita scendendo sempre più nelle viscere del dungeon, ma qui l'aspettano sfide ancora peggiori. Il suo compagno di viaggio drow è più dannoso che utile, anche se a volte le due cose coincidono.
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Spoiler: niente romance. La differenza di età la renderebbe una cosa creepy.
Nota: come al solito i personaggi principali sono tutti originali, ma potrebbero comparire a spot alcuni personaggi famosi dei Forgotten Realms
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 5)


La battaglia finì tanto improvvisamente com’era iniziata, e Daren e Dee Dee rimasero a guardarsi l’un l’altra al di sopra di quello che fino a un momento prima era un nemico da abbattere, ma ora era solo un cadavere informe. Il silenzio perfetto del tempio profanato era rotto solo dal rumore del loro respiro affannoso.
La ragazza rivolse al compagno uno sguardo lungo e carico di emozioni, che lui non riuscì a decifrare pienamente. Di certo non erano emozioni positive, ma la sua comprensione si fermava lì. Erano semplicemente troppe.
“Sei… sei arrabbiata.” Tentò, per rompere il silenzio.
“Non lo fo.” Rispose lei, con la sua solita onestà disarmante. “Fono efaufta, fconvolta, e per poco non fono morta. Fono… arrabbiata?” Lo guardò per un istante con occhi stanchi e spaventati. “No, maledizione a te, fono terrorizzata, fono…”
Sembrò restare a corto di parole, ma le lacrime che prima era riuscita a trattenere ora iniziarono a scorrere liberamente sulle sue guance. Prese un profondo respiro, rinfoderò il pugnale con un gesto automatico e si passò una mano sulla faccia. La sua mano era sporca di sangue, o forse era icore, difficile dirlo in quella fioca illuminazione. Ad ogni modo, lasciò una traccia scura sul suo volto pallido.
“Dov’eri fparito? Temevo che foffi morto, o che mi aveffi abbandonata, e l’addeftramento che mi hai impartito finora non farebbe mai baftato. Ho veramente creduto di morire.”
Daren lasciò che piangesse in silenzio per alcuni lunghi secondi, guardando le sue spalle magre che sobbalzavano per i singhiozzi. Era semplicemente venuta meno l’adrenalina del combattimento, una reazione prevedibile e che lui aveva già visto in alcuni giovani guerrieri dopo le loro prime vere battaglie.
Vorrei poterti dire che non ti abbandonerò, pensò con rammarico, o almeno non in un guaio così grosso. Ma come posso esserne certo? Non so se il prossimo scontro mi ucciderà davvero, o se lo farà quello successivo. Prima o poi potresti trovarti a dover uscire da una brutta situazione, senza di me…
Sospirò, sapendo che non poteva parlarle in questo modo. Non poteva parlare in questo modo a nessuno. Nonostante la sua determinazione, impiegò qualche momento a recuperare il classico tono di voce distaccato.
“Va bene, adesso ti calmi? Se hai paura di morire non dovresti stare in questo dungeon.” La rimbrottò in tono di rimprovero, ricordandole che lei stessa aveva scelto quella vita. “E soprattutto devi renderti conto che la prossima volta io potrei essere ucciso, e non soltanto allontanato o incapacitato. Non sai mai quando potresti ritrovarti sola. Forse è il momento di studiare un piano di fuga per te, se le cose dovessero mettersi davvero male.”
Dee Dee trasse alcuni respiri profondi e si calmò, o almeno fece del suo meglio.
“Penfo che dovrefti prima di tutto cercare di non morire,” ribatté, ancora turbata “anziché penfare a cofa dovrei fare io fe tu moriffi. Hai decifo di infegnarmi a fopravvivere ma non mi ftai mica dando un buon efempio. Buttarfi nel pericolo in quefto modo...” il suo sguardo spaziò per il tempio in cerca dell’uomo che erano venuti a salvare, e lo individuò sulla pedana di mezzo, rannicchiato contro la parete. Sembrava svenuto.
Daren seguì il suo sguardo e annuì, poi girò di nuovo il viso verso di lei e la costrinse a guardarlo negli occhi. “Hai ragione, sono un pessimo esempio, ma ho giusto due secoli e mezzo più di te, quindi io posso anche decidere di rischiare la vita, se mi garba. Tu invece non puoi, o almeno, non finché stai con me.” Il suo tono non ammetteva repliche, ma Dee Dee sentì montare dentro di sé una rabbia che sapeva di ribellione, per l’ingiustizia di quel discorso. “Quindi farai quello che dico, non quello che faccio. E adesso vediamo se questo tizio è ancora recuperabile.”
Scese le scale che portavano alla piattaforma sotto di loro, e la dhampir lo seguì. Occuparsi di un’altra persona l’avrebbe quantomeno distratta da quel tumulto di emozioni che l’aveva travolta.

Passarono i minuti seguenti a pulire la carne dell’uomo dai residui di acido, un lavoro lungo che richiedeva l’utilizzo di panni puliti e asciutti. Daren aveva scoperto anni prima a proprie spese che l’acqua non funziona molto bene per lavare via l’acido, anzi sembra addirittura controproducente, anche se il guerriero non ne conosceva la ragione. Dee Dee si congratulò con sé stessa per l’idea di tenere i suoi vecchi vestiti e farne stracci. Riuscì davvero a trarre un po’ di conforto e soddisfazione da quel lavoro, ma c’erano altri pensieri più cupi che ribollivano appena al di fuori della sua sfera cosciente, e che lei non riusciva bene a inquadrare né a mettere da parte.
Solo dopo molto tempo, mentre il drow era impegnato a lenire il corpo devastato dall’acido con la sua limitata magia di guarigione, alla fine Dee Dee ci arrivò.
“No che non puoi farlo.” Disse di punto in bianco.
Il drow alzò lo sguardo, perplesso.
“Non posso… cosa?”
“Rifchiare la vita a tuo piacimento. Non puoi farlo, o almeno, non finché ftai con me.” Insistette, usando proprio le stesse parole che poco prima lui aveva rivolto a lei.
L’elfo scuro continuava ad avere un’espressione curiosa in volto, ma ora nei suoi occhi c’era una durezza che Dee Dee non vedeva da molto tempo.
Lei tenne duro, incrociando le braccia sul petto e rivolgendogli uno sguardo di sfida.
“Non puoi morire. Ho bifogno di te. Non poffo fare a meno di te adeffo… e non voglio.”
Seguì un breve, pesante silenzio.
“E con quanta arroganza e orgoglio rivendichi questa tua debolezza.” Considerò il drow, scuotendo la testa.
“Non è una debolezza!”
“Sì invece, se non ce la fai senza di me…”
“Lo fai beniffimo che quefto dungeon è molto pericolofo, e conofhi le mie capacità, quindi fai anche che non potrei farcela da fola. Perché all’improvvifo è diventato fbagliato ammetterlo?”
“Il dungeon è pericoloso, è vero. Ma tu sei abbastanza in gamba da riuscire ad eludere buona parte dei suoi pericoli, ormai. Se ti trovi sempre nei guai è perché io ti trascino in situazioni pericolose e ti costringo a guardare in anfratti che potresti evitare. La tua debolezza non è nei muscoli, o nella rapidità con cui muovi la spada; è nel tuo cuore. Hai bisogno di me per ragioni diverse dalla tua immediata sopravvivenza e questo non va bene. Se io morissi nel prossimo scontro, non è accettabile che tu ne sia turbata, o non così tanto da perdere la voglia di combattere.”
Dee Dee cercò di ribattere, ma non trovò nulla da dire. In un certo senso il drow aveva ragione, ma lei non considerava l’affetto una debolezza. Le loro idee partivano da punti di vista troppo diversi perché potessero trovare un terreno comune.
“Quindi fe io moriffi la cofa non ti turberebbe?” Mormorò soltanto, cercando di non lasciar trasparire la delusione che stava provando.
“Beh, saresti morta, quindi probabilmente non lo sapresti e non t’importerebbe più.” Il guerriero scrollò le spalle, accingendosi a tornare al suo lavoro.
“Non è una rifpofta!” Sbottò la ragazza, decisa a non lasciar cadere l’argomento così facilmente.
Daren sospirò, si alzò dal capezzale del prigioniero ferito e andò a schierarsi davanti a Dee Dee. Lei adesso per qualche motivo si rifiutava di incrociare il suo sguardo, forse sentiva di essersi esposta troppo. A Daren non importava di metterla in imbarazzo, era stata lei a sollevare la questione, quindi le prese il mento in una mano e la costrinse delicatamente ma con fermezza a guardarlo negli occhi.
“Ehi, piccola piagnona. La tua domanda non ha il minimo senso.” Le disse in tono straordinariamente calmo, ma determinato. “Tu non morirai prima di me.”
Suggellò quella strana promessa sbattendo la fronte contro quella della dhampir con un gesto rapido e inaspettato. Dee Dee fece un saltello indietro, massaggiandosi la testa dolorante.
“Dopo parleremo di quel che potresti fare se io morissi, ma stai serena, si tratta solo di resistere per qualche giorno.” Riprese lui, ora in tono più leggero, tornando ad inginocchiarsi accanto all’uomo svenuto. “Per qualche motivo non mi riesce mai di riposare in pace.”
Dee Dee rimase un momento ferma a massaggiarsi la fronte, anche se ormai non le faceva più male. Che cosa aveva inteso dire il suo strano compagno?
Per nulla rassicurata, decise di dedicarsi a qualche attività più produttiva del rimuginare: c'era ancora un chierico di Juiblex da immobilizzare, perché anche se ora era svenuto e debole, non era detto che lo restasse a lungo.

Nephlyre Kilchar scivolò fuori dal suo beato stato di incoscienza, lentamente, come se si risvegliasse da uno strano sogno.
Il dolore era sensibilmente diminuito; anziché sentire un fuoco che gli bruciava in ogni punto del corpo che non era più coperto dalla pelle, ora sentiva solo un indolenzimento generale, uno spettro di dolore residuo.
Senza più quella pena indicibile che soverchiava i suoi processi mentali e gli altri suoi sensi, cominciò gradualmente ad accorgersi anche di altre cose. Qualcuno accanto a lui stava parlando. No… non stava esattamente parlando, non era una conversazione, e non parlava con lui. Stava… salmodiando, o qualcosa del genere.
Quella parte del cervello di Kilchar che si occupava di garantirgli la sopravvivenza si accese risuonando in allarme. Qualcuno stava lanciando un incantesimo, e fin troppo vicino a lui per i suoi gusti. Lottò per aprire gli occhi, ma era ancora debole e nella stanza scura non vedeva altro che ombre. Forse i fumi dell’acido avevano rovinato per sempre i suoi occhi? Forse… forse stava per morire e preoccuparsene era inutile.
Un flusso di energia magica gli suscitò un piacevole calore in centro al petto, e da lì si diffuse gentilmente in tutto il corpo, come le onde concentriche mosse da un dito che tocca la superficie dell’acqua. Kilchar riconobbe gli effetti di un incantesimo di cura e provò un moto di sollievo, anche se questo non significava che fosse fuori pericolo. Non sapeva chi lo stesse curando e per quali scopi, poteva essere un alleato o uno schiavista o qualcuno che voleva estorcergli informazioni. Ad ogni modo non c’era molto che potesse fare, così chiuse gli occhi, lasciando che la magia facesse il suo dovere.
L’incantesimo venne ripetuto più volte, ed era come se ad ogni applicazione il suo fisico venisse lentamente ricostruito, strato dopo strato. In realtà la sua situazione non era così brutta, e presto se ne rese conto da solo. Conosceva abbastanza la magia clericale da sapere che quelli che lo stavano guarendo erano semplici incantesimi che chiudevano le ferite, non erano adeguati per ricostruire arti mancanti o restituire la vista. Quindi, se stavano funzionando, voleva dire che l’acido non aveva danneggiato il suo fisico in modo permanente, non aveva… eroso… parti del suo corpo.
Decise di considerarla la seconda buona notizia del giorno, visto che dopotutto Nephlyre Kilchar si faceva un vanto di saper cogliere gli aspetti migliori di ogni situazione. Senza quella capacità, probabilmente avrebbe perso la ragione molti anni prima.
Non era uno stupido, però, e sapeva di dover cogliere anche gli aspetti negativi, perché la sopravvivenza imponeva vigilanza costante. Ad occhi chiusi, fingendosi più debole di quanto non fosse, si concentrò sull’udito per carpire qualche indizio sulla persona che lo stava curando.
Prima di tutto, si accorse che non riconosceva la voce. Non era uno dei suoi compagni seguaci di Graz’zt, o almeno non era qualcuno di importante. D’altra parte, perché avrebbero mandato un novizio a recuperarlo? No, doveva essere qualcuno esterno alla sua cabala, un estraneo, e questo poteva essere ancora più pericoloso.
La seconda cosa di cui si accorse, era l’intonazione con cui quella persona stava recitando gli incantesimi. Chiunque può usare la magia di guarigione, sia i seguaci delle pietistiche divinità che si definiscono buone, sia i chierici di divinità malvagie, e perfino gli adepti dei Signori dei Demoni, come lui. Chiunque ha bisogno di cure, dopotutto, la guarigione non è davvero appannaggio esclusivo dei buoni. Però c’è una differenza di pronuncia, infinitesimale, e solo gli incantatori se ne potrebbero accorgere, fra un incantesimo clericale elargito da una divinità buona e lo stesso identico incantesimo che però provenga da un Signore del Male. Quando Kilchar riuscì a determinare la natura di quella lieve intonazione, al di là dell’accento personale dell’incantatore che lo stava guarendo, quella scoperta gli fece sorgere brividi di disgusto. Chiunque lo stesse curando, traeva il suo potere da una divinità del Bene. Kilchar provava soltanto disprezzo per le persone che si definivano buone e per i loro ideali ipocriti, e se non avesse avuto un disperato bisogno di cure, il suo orgoglio avrebbe preteso che rifiutasse quell’aiuto gentilmente ma con fermezza. Ad esempio piantando un coltello in gola al chierico in questione.
Ma non aveva un coltello, si rese conto; non aveva niente. Né la forza, né la salute, né il suo equipaggiamento… nemmeno i vestiti… anche se questo gli fece ricordare una cosa importante: la prima arma di un seguace di Graz’zt è il suo corpo. Se la magia di guarigione stava ricostruendo tutto quello che l’acido aveva devastato, allora anche la sua bellezza sarebbe stata restaurata, e nonostante il suo aspetto trasandato Nephlyre Kilchar sapeva di essere un bell’uomo secondo gli standard di qualsiasi razza umanoide.
Kilchar era un tiefling, un lontano discendente di esseri umani e creature demoniache. La sua eredità immonda non era molto evidente, i suoi canini erano leggermente pronunciati e aveva quattro piccole corna, due sulla fronte e due leggermente più indietro sulla testa, sopra le orecchie. Per il resto poteva sembrare un essere umano, anche se qualcuno aveva supposto che avesse anche sangue elfico nelle vene a causa del suo volto quasi glabro e affilato. Era di altezza media ma aveva un fisico asciutto e dai muscoli definiti, mani eleganti completamente umane e occhi neri che qualcuno aveva definito “profondi e conturbanti”, anche se Kilchar non ricordava chi fosse stato... forse un qualche poeta che aveva sedotto, usato e sacrificato. Piegò leggermente le labbra in un sorriso ricordando quante persone negli anni gli avevano dichiarato “amore” e non si erano opposte a nulla, nemmeno alla morte, per lui. Che cosa stupida, l’amore.
Sì, decisamente poteva fare un tentativo. Dopotutto i seguaci delle divinità buone erano sempre degli stupidi, bastava fargli credere che ci fosse speranza di redenzione e gli avrebbero accordato la giusta confidenza. Abbastanza perché potesse cominciare la sua opera di seduzione.

Quando si sentì abbastanza bene, e abbastanza sicuro di sé, aprì gli occhi fingendo di essersi appena svegliato.
C’era qualcuno seduto accanto a lui, probabilmente il sacerdote, ma non stava più salmodiando. Forse riteneva di aver finito di curarlo, e la cosa gli causò un moto di fastidio, visto che era fuori pericolo ma ancora non era nel pieno delle forze.
I suoi occhi riuscirono finalmente a mettere a fuoco la stanza. La creatura accanto a lui sembrava un elfo, ma aveva la pelle nera come l’ebano e i capelli candidi, quasi argentei. Un drow.
Kilchar socchiuse gli occhi, perplesso. Si era sbagliato così stupidamente? I fumi dell’acido avevano danneggiato il suo cervello fino a non fargli più distinguere un incantesimo clericale buono da uno malvagio? Cercò di rimandare a mente quello che sapeva dei drow, e in particolare dei loro sacerdoti. Ricordava qualcosa su una cultura prettamente matriarcale, ma con un paio di divinità maschili clandestine che potevano avere, anzi forse avevano esclusivamente, sacerdoti maschi.
Non riusciva davvero a ricordare più di questo, ma aveva la sensazione che nessuno di quei culti riguardasse una divinità buona. Ad ogni modo, nessuna di quelle divinità aveva rapporti con il suo Signore Graz’zt. Per cui, chi era questo drow e che interesse aveva nel salvarlo? O nel catturarlo? Qualcuno gli aveva legato i polsi davanti al petto mentre era svenuto, quindi Kilchar ne dedusse che lo scenario della cattura fosse più probabile di quello di un salvataggio.
Scoccò uno sguardo di puro veleno in direzione dell’elfo scuro, approfittando del fatto che in quel momento il drow non lo stesse guardando. Poco dopo, capì che cosa avesse catturato l’attenzione del sacerdote nero: un’altra persona, un’elfa chiara, si avvicinò trascinando di peso uno di quei maledetti adepti di Juiblex. Anche l’altro uomo era legato, e la ragazza elfa lo reggeva su una spalla come se fosse stato senza peso. Kilchar quasi ringhiò per la frustrazione: i due dovevano essere schiavisti, mercenari fuoricasta, perché altrimenti che cosa avrebbe mai spinto un drow e un’elfa a collaborare?
Ma subito il suo sangue freddo lo aiutò a calmarsi, mentre ragionava rapidamente per trovare una via d’uscita anche da questa situazione. Sarebbe sopravvissuto, quindi le sue prospettive erano già molto migliorate rispetto a poco prima. Sarebbe stato venduto come schiavo, probabilmente, ma un soggetto affascinante come lui non avrebbe avuto problemi a raggirare ed irretire i suoi futuri padroni, e presto sarebbe diventato lui il padrone. Anche se, probabilmente, non si sarebbe mai arrivati a tanto. Era Quarto Adepto della Cabala dei Sussurri di Graz’zt, una posizione importante, di certo qualcuno si era già mosso per venirlo a cercare.

Ascoltò in silenzio mentre l’elfa chiedeva al drow se intendeva guarire anche l’altro uomo. Presto si disinteressò al contenuto della conversazione, concentrandosi invece sulla loro comunicazione non verbale, sul tono con cui si rivolgevano l’uno all’altra, perché quelli erano ottimi indicatori per capire come fosse strutturato il loro rapporto. Era la femmina a comandare, oppure il maschio? O entrambi ubbidivano ad una terza persona? Quante possibilità c’erano di poter incrinare la loro collaborazione a suo vantaggio?
In breve ebbe le sue risposte: era il drow che decideva cosa fare e cosa no, ed era anche decisamente più vecchio della ragazza, sebbene sia sempre molto difficile stabilire l’età degli elfi. Forse non era vecchio nel vero senso del termine.
Kilchar allontanò da sé questi pensieri oziosi. Vecchio o no, il suo aspetto era senza tempo, quindi non sarebbe stato come sedurre un uomo anziano. Certo, lui avrebbe preferito che fosse stata la femmina, al comando. Era sempre più facile intortare le femmine, bastava blandire un po’ il loro ego; poi avrebbe potuto dimostrare all’elfa la sua grande utilità e magari soppiantare il ruolo del drow. E infine, quando fosse stata priva della protezione del suo alleato, avrebbe ucciso anche lei. Invece, dal momento che era il sacerdote a prendere le decisioni, sarebbe stato tutto più difficile. Kilchar sapeva che un maschio l’avrebbe sempre visto più come un rivale che come un confidente, e inoltre lo disturbava non sapere fin da subito quale sarebbe stato il suo ruolo nel caso fosse… anzi, quando sarebbe riuscito ad irretirlo.
Se doveva dare credito a quello che gli umani dicevano nelle taverne sul conto degli elfi… ma Kilchar era un professionista serio e non si sarebbe mai basato sulle goliardate da taverna.

“Ehi, il tizio che ftava nel calderone fi è fvegliato.” Notò Dee Dee, poggiando a terra con malagrazia il chierico di Juiblex svenuto.
“Sì, è sveglio da un bel po’.” Commentò Daren, passando alla lingua elfica nella speranza che il tiefling non la comprendesse. “Non dargli nessuna confidenza finché non capiremo che intenzioni ha, ti assicuro che non sembra affatto una brava persona.”
Dee Dee sporse la testa per guardare il prigioniero, ancora nudo.

Kilchar si accorse di quello sguardo quando gli occhi dell’elfa incontrarono i suoi e le rivolse un sorriso lascivo, ma lei, contrariamente alle sue aspettative, distolse l’attenzione da lui per tornare a parlare con il drow. Il bel tiefling si sarebbe aspettato che il suo sguardo femminile scendesse almeno sul suo petto, se non anche più in basso. Lei invece l’aveva solo guardato in faccia, come se non sapesse che farsene del resto.
La cosa lo inquietò un poco; forse era un bene che non fosse lei al comando, dopo tutto.

“Fì, ha un’efpreffione un po’ minacciofa, in effetti.” Concordò. “Magari non è felice di effere ftato legato.”
“Prudenza, ragazzina.” L’ammonì il guerriero. “Se ti dico che è una brutta persona devi credermi, ho i miei mezzi magici per indagare queste cose.”
Dee Dee spostò lo sguardo sull’altro chierico svenuto, poi sul tempio devastato. Uomini morti, melme fatte a brandelli, una larga pozzanghera di acido che si estendeva fin quasi ai loro piedi… era uno scenario apocalittico, ma gli eventi che avevano portato a questo erano stati altrettanto traumatici.
“Quefto è ftato il combattimento più duro che abbia affrontato finora. Abbiamo anche rifchiato di morire, non lo negare. E abbiamo fatto tutto quefto per una perfona malvagia?”
Quando rivolse di nuovo lo sguardo verso il drow, si accorse che si era leggermente irrigidito.
Solo in quel momento le venne in mente che forse Daren non era sempre stato la persona che conosceva ora. Era un drow, in fin dei conti, e non le aveva detto nulla del suo passato.
“Fcufa, io… non volevo dire… non ho penfato…” tentò, balbettando.
“Non ti scusare. Sei una ragazzina, non pretendo che tu abbia esperienza del mondo.” La fermò lui. “Ma sai, c’è una parola nel linguaggio delle creature celestiali, per definire gli esseri mortali malvagi. A volte viene usata perfino per indicare alcuni diavoli. Quella parola… non ti direbbe nulla, ma può essere tradotta a grandi linee come Persona che ha smarrito la strada. Sai che cosa significa questo?”
Dee Dee arrossì, imbarazzata.
“Che… fi può ritrovare la ftrada, non importa quanto male fi ha fatto nella vita? Che tutti meritano una feconda poffibilità?” Azzardò, pensando di aver capito, di aver capito a livello profondo.
Daren la guardò sgranando leggermente gli occhi, ma in quello sguardo lei lesse solo incredulità e derisione.
“No! Significa che le creature celestiali non sanno un cazzo della vita dei mortali.” La corresse. “E probabilmente non gli interessa imparare. Non c’è una sola strada; e anche se loro dicendo la strada intendono una vita da persona buona, è assurdo anche solo pensare che a tutti sia stata data questa possibilità. Non puoi smarrire la strada se non l’hai mai nemmeno vista, se non ha mai fatto parte di nessuna mappa che tu conosca. Io non ucciderò una persona solo perché è malvagia, se quella persona non ha colpa di esserlo. Potrei doverlo fare se avessi la certezza assoluta che compirà di nuovo azioni malvagie e che non c’è alcuna speranza che cambi, però… le persone possono sorprenderti. Quell’uomo è un tiefling e io potrei scommettere che non abbia avuto una vita molto facile, né tutelata da persone che possano avergli dato il buon esempio. Tutti meritano almeno una prima possibilità, quindi stavolta gli daremo noi il buon esempio.”
“Come qualcun altro ha fatto con te?” Domandò la dhampir a bruciapelo. Quell’intervento sembrò avere un effetto sconvolgente sull’elfo scuro, ma presto si ricompose e decise che a Dee Dee poteva anche dirlo.
“Sì, infatti. Come qualcuno ha fatto con me.” Ammise. “Sei molto perspicace.”
Dee Dee ignorò il complimento, perché in quel momento non aveva importanza.
“E fe invece… il noftro efempio non aveffe alcun effetto fu di lui? Fe continuaffe a fare… qualunque cofa faccia adeffo?”
Daren seguì lo sguardo della ragazza, giungendo a posare gli occhi sul prigioniero che era oggetto della loro conversazione. Aveva l’espressione frustrata di chi non capisce cosa stia succedendo, o magari di chi viene ignorato troppo a lungo. Difficile da dire.
“In quel caso, ho fiducia nel fatto che prima o poi le nostre strade si incroceranno di nuovo, e per l’ultima volta.” Concluse tranquillamente il guerriero, come se fosse una semplice verità da accettare. “Ma nel frattempo, abbiamo modo di dargli una possibilità, e nel farlo abbiamo fermato un sacrificio rituale. È sempre una buona cosa fermare un sacrificio, indipendentemente da chi sia la vittima, perché solo i chierici votati al Male fanno queste porcate... e servono sempre a dare più potere a loro o alla loro Chiesa. Visto che è impossibile liberarsi di tutti i sacerdoti malvagi del mondo, il meglio che si può fare è impedire che accumulino troppo potere, frustrare i loro tentativi.”
Dee Dee pensò inevitabilmente al loro primo incontro, quando lei stava per essere sacrificata dai cultisti di Cyric. In effetti era un destino che non avrebbe augurato a nessuno.
“Fì. Quefto lo poffo accettare.” Fece scorrere di nuovo lo sguardo sul tempio devastato, ma stavolta, invece di vedere il pericolo che avevano corso, vide la grandezza della loro vittoria, e sentì che era stata la cosa giusta da fare.
Adesso però gli si prospettavano delle scelte meno facili. Come quando lei aveva salvato Maith, come quando Daren aveva salvato lei, sembrava che la parte più lunga e impegnativa di un salvataggio fosse sempre il doversi occupare della mancata vittima.
E poi avrebbero dovuto occuparsi anche di quell’altro. Dee Dee sperava davvero che Daren accettasse di guarirlo, perché voleva tanto prendere l’umano a calci nelle palle.

           

   
 
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