Era una strana sensazione quella che si allargava
piano nel petto di Audrey a mano a mano che si avvicinava alla fermata di Tower
Hill station al termine della sua giornata di prove al Menier. Riprendere
quella routine, dopo lo stacco di quattro giorni – due per andare a Glasgow e
altri due perché era assente il direttore d’orchestra – le dava un senso di
sicurezza. Non aveva ancora detto al direttore che, forse, avrebbe lasciato il
Menier Chocolate Factory, dal momento che il suo colloquio con Dominic McAllister
pareva essere andato in modo stupendo e la cosa le provocava qualche
preoccupazione. Clint, appena l’aveva scorta fra i colleghi, l’aveva subito
tempestata di domande sulla sua audizione e, essendo praticamente davanti a
tutti, la cosa l’aveva messa in imbarazzo. Ora che la fermata della Underground
diventò ben visibile, anche l’agitazione si impossessò della pianista,
sommandosi al resto di sensazioni che stava provando e generando uno stato
emotivo complesso e per niente d’aiuto.
Con preoccupazione, imbarazzo e agitazione, anche l’ansia
si fece strada e appena Audrey varcò i tornelli d’accesso alla metro, proprio l’ansia
prese il controllo su tutto il resto. La ragazza era così agitata perché per la
prima volta dopo cinque giorni avrebbe rivisto Peter e, soprattutto, lo avrebbe
rivisto dopo la sua ultima conversazione con Oliver. Non era riuscita a fare a
meno di pensare ossessivamente a quello che aveva detto l’amico e, quindi, si
ritrovava a pensare anche a Peter. Come diretta conseguenza di quella
situazione, nella sua mente si erano accavallate, in quei giorni, immagini su
immagini di possibilità insieme all’illustratore, di ipotetici scenari futuri
fra loro e altre supposizioni che Audrey non aveva mai formulato prima – fra cui
guardare La La Land insieme. Dentro
di sé sentiva che era in gran parte colpa delle parole di Oliver, che con molta
probabilità avevano deviato la direzione dei suoi pensieri, tuttavia non poteva
essere dovuto esclusivamente a quello.
Ci stava ancora rimuginando sopra quando arrivò alla
sala centrale di Tower Hill, dove il pianoforte verticale era silenzioso e
immobile, superato in gran fretta dai passanti. Anche se non era suo, quel
bellissimo strumento le era mancato come se lo fosse stato. Lo raggiunse subito
e vi si sedette come faceva ogni giorno. Smise di pensare appena posò le dita
sui tasti, dopodiché diede libero abbrivio alla musica. Senza rendersene conto,
le note di City of Stars uscirono in
sequenza. Era stato l’istinto a scegliere quale canzone suonare e l’istinto
aveva scelto quella. Si rese conto di ciò che aveva suonato solo una volta aver
terminato la canzone, quando era tornata alla realtà e si era trovata davanti
la stazione di Tower Hill e il suo implacabile via e vai di persone. Si alzò
dal pianoforte, voltandosi verso il punto della sala in cui, solitamente, si
fermava Peter per ascoltarla suonare. Appena si girò, infatti, trovò il ragazzo
proprio lì. Aveva il sorriso stampato in volto e indossava una di quelle felpe
leggere da squadra di baseball bianca e nera, che teneva slacciata, mostrando
la camicia azzurra che portava sotto di essa. Audrey non poté fare a meno di
sorridere in direzione dell’illustratore. Sentì anche una lieve stretta all’altezza
dello stomaco, ma sospettò che tutto fosse condizionato in gran parte dalla sua
mente.
Tuttavia, appena raggiunse Peter e lo salutò, fu
davvero contenta di sentire di nuovo la sua voce.
«Sei tornata ai vecchi classici?» le chiese lui, dopo
averla salutata a sua volta. Si incamminarono verso la banchina della
metropolitana, scendendo gli ultimi gradini e Audrey, per un momento, si
domandò come sarebbe potuto essere se, dopo quei semplici “ciao” scambiati
quasi per tradizione, fra loro ci fosse stato anche un rapido bacio. Ignorò
quel pensiero mentre rispondeva alla sua domanda. «Sono andata d’istinto. Mi
sono seduta e ho iniziato a suonare la prima canzone che mi passava per la
mente. Ha vinto City of Stars.»
Nuovamente l’illustratore le sorrise; schivò un paio
di persone, dopodiché si voltò verso Audrey, arrestandosi, subito imitato dalla
ragazza. «Allora, com’è andata? Racconta» la incalzò. Era chiaro che si stava
riferendo all’audizione per la BBC Scottish Symphony Orchestra; la pianista gli
aveva già detto, seppur brevemente tramite Facebook, che secondo lei il provino
era andato bene, ma Peter voleva sapere di più.
«Dovrei sapere l’esito a breve» rispose lei. Fece
scorrere gli occhi sulla fila di bottoni perfettamente chiusi della camicia del
ragazzo. «Non voglio sbilanciarmi, ma penso di essere andata più che bene»
disse poi, arricciando le labbra.
«Lui che ha detto...com’è che si chiama?» chiese
Peter, inarcando un sopracciglio.
«McAllister. Beh a lui sono piaciuta, mi ha riempita
di compimenti.»
Proseguì raccontandogli di quello che il direttore d’orchestra
le aveva detto, del modo in cui gli altri lo avevano guardato preoccupato, cosa
che le aveva lasciato intendere che McAllister si era sbottonato più del
dovuto. Sotto un certo punto di vista, la cosa la faceva sentire ottimista per
l’esito de provino, al tempo stesso, però, si rifiutava di farsi illusioni,
alzando troppo le sue aspettative. Non avrebbe sopportato di vederle disattese.
Appena ebbe finito di aggiornare il ragazzo in modo
adeguato si zittì, pensando a qualcosa da poter dire. Non le andava che il suo
rientro in compagnia di Peter fosse incentrato esclusivamente su di lei, non le
sembrava carino.
«Sono davvero contento per te» disse lui, sorridendo
con sincerità. «Spero che capiscano il grosso errore che commetterebbero se si
lasciassero sfuggire proprio te.»
Pensava davvero tutto ciò, sebbene una parte di sé
fosse anche dispiaciuta. L’idea di vedere Audrey trasferirsi a Glasgow lo
rattristava e se quell’eventualità si fosse avverata lui era più che certo che
ne avrebbe sofferto. Non sapeva neanche come comportarsi. Avrebbe voluto dirle
di essere interessato a lei, dirle che gli piaceva molto la Audrey pianista,
quella che faceva le maratone di Star
Wars e tifava Harlequins con tutto il trasporto di cui è capace; quella che
suonava il pianoforte di Tower Hill station come fosse suo e che si scusava se
per caso interrompeva chi sta parlando.
Nonostante le cose che avrebbe voluto dirle, però, il
possibile trasferimento della pianista a Glasgow lo frenava come nient’altro.
Non era così sicuro di essere tipo da relazione a distanza e la situazione
diventava ancora più complicata considerando il fatto che lui e Audrey, una
relazione, non l’avevano neanche cominciata. Nel loro caso si sarebbe trattato
di frequentazione a distanza e la cosa era ancora più complicata. Avrebbe
atteso di vedere la completa evoluzione della vicenda e solo allora avrebbe
deciso. Era l’idea peggiore, lo sapeva, ma forse se non avesse mandato tutto a
monte subito qualcosa di buono sarebbe riuscito a ottenerlo.
«Ok, non esageriamo» disse ridendo appena Audrey, in
risposta alla precedente affermazione di Peter. «Non ho sentito suonare nessuno
degli altri che erano presenti. E secondo me uno di loro era parecchio bravo»
continuò, sovrappensiero.
«Eri la più giovane?»
Lei ci rifletté un momento, infine annuì. Si lasciò
sfuggire un sospiro preoccupato, che venne notato dall’illustratore.
«Su, stai tranquilla» cercò di rassicurarla lui. «L’età
non vuol dire nulla, non sempre almeno. Ad esempio Raffaello aveva solo ventisei
anni quando dipinse la Scuola di Atene.
Quindi vedi? L’età non conta» concluse fiero.
Audrey lo guardò. Inarcò un sopracciglio e si portò
una mano sul fianco. «Prego? Mi citi Raffaello?» chiese, fingendosi basita.
Peter scoppiò a ridere alla sua espressione e davanti
a quel gesto Audrey si sentì mancare per un istante. La risata del ragazzo gli
era sempre piaciuta, ma quel giorno sembrava quasi avere qualcosa di speciale.
«Ehi, sono un artista, no?» rispose lui alla fine,
ricomponendosi. «Però, tralasciando la parte in cui ti cito Raffaello, penso
davvero quello che ho detto.»
L’arrivo della District line interruppe lo scambio di
sguardi dei due. Entrambi salirono sul mezzo che si era fermato, facendosi
strada fra il resto dei passeggeri. Appena si furono sistemati e la metro ebbe
ripreso la sua corsa, Audrey pensò a qualcosa da chiedere a Peter. Non le
andava di focalizzare la conversazione solo su di sé, aveva voglia di sentire
dal ragazzo come stava, cosa aveva fatto in questi giorni, come procedeva l’ultimo
libro che stava illustrando. Aveva davvero voglia di saperlo, non si trattava
solo di formalità o buona educazione. Le piaceva quello che lo riguardava.
«Allora, com’è la casa? Hai finito il trasloco,
giusto?»
Peter annuì. Aveva accennato solo brevemente
alla pianista del suo trasferimento, ma i due non avevano avuto molto modo di
discutere della faccenda.
«È una gran bella casa. La zona è tranquilla e io e
Damian ci troviamo molto bene con la terza inquilina. È il tipo che piace
a me.»
«In che senso?» domandò subito lei. Si morse il labbro
appena le sfuggirono di bocca quelle parole. Aveva parlato senza pensare e si
chiese per quale motivo fosse scattata così.
Peter parve non fare caso alla cosa. Si strinse nelle
spalle, sorridendo al pensiero di Evangeline. «Oh, beh, innanzitutto ha un gran
senso dell’umorismo, come te» aggiunse, rivolgendo uno sguardo d’intesa alla
ragazza. «Poi è un po’ misantropa, il giusto, sia chiaro, le piacciono i
Bastille, il cinema e adora la birra. Oh, e non c’è rischio che si invaghisca
di me» concluse, facendo uscire le ultime parole come un sommesso borbottio.
Audrey, però, le percepì e non conoscendo la verità sulla storia di Iris, non
poté capire il significato di quanto appena detto dall’illustratore. Pensò che
forse lui era uno di quelli che non voleva storie in casa.
«È fidanzata?» gli chiese poi, anche per continuare la
conversazione.
«No, è lesbica» replicò subito il ragazzo, disinvolto.
«Oh sì, allora non corri rischi» disse lei,
lasciandosi sfuggire una risata. «Comunque sono contenta per te. Poi adesso che
abitiamo così vicini potremmo anche trovarci qualche sera» propose.
Il trasferimento di Peter lo aveva avvicinato di molto
a Audrey. Non che avesse scelto proprio la casa di Florence rd. perché era
vicino a dove viveva lei, l’aveva scelta perché era la migliore sotto molti
punti di vista. Tuttavia quando aveva scoperto che la cosa lo aveva avvicinato
tanto alla ragazza, al punto che perfino la fermata della metro era diventata
la stessa, non aveva potuto negare di essere rimasto ancora più soddisfatto per
la scelta presa. Probabilmente se avesse voluto fare tutto ciò apposta non ci
sarebbe mai riuscito.
«Sì, mi piacerebbe.» Era tentato di chiederle di
vedersi anche quella sera stessa, ma si disse di darsi un contegno. Dov’era
finito il suo proposito di vedere come evolveva la situazione?
Anche a Audrey, dal canto suo, avrebbe fatto piacere
invitare fuori l’illustratore quel giorno, ma aveva promesso a April che le
avrebbe telefonato per una serie di aggiornamenti che doveva darle l’amica.
La pianista chiese un altro paio di notizie a Peter
sulla nuova casa. Lui gliela descrisse, dicendole che si trovava proprio
davanti a un parco pubblico e che, per sua fortuna, era illuminata a
sufficienza per permettergli di disegnare per ore. Osannò qualche altro
dettaglio quando la voce elettronica annunciò la fermata di Plaistow. Quella
era diventata la fermata metropolitana di entrambi, con l’unica differenza che
le loro strade si dovevano dividere proprio lì, dato che abitavano in quartieri
opposti.
Scesero dal mezzo e uscirono sulla strada continuando
a parlare. Appena fuori dalla fermata della metro il cielo iniziò a scaricare
alcune gocce di pioggia e i due si salutarono in fretta, visto che entrambi si
erano dimenticati l’ombrello – non che fosse una novità nel caso di
Peter.
L’intensità della pioggia aumentò durante il tratto
che separava Audrey da Chadd Green st. e appena varcò la soglia di casa fuori
si era scatenato un vero e proprio acquazzone. Disse a se stessa che non
avrebbe più dimenticato l’ombrello, ma sapeva benissimo che mentiva. Si svestì,
mettendo gli abiti ad asciugare accanto alla finestra, dopodiché, infilando la
sua confortevole tuta da casa, prese un asciugamano e cominciò a tamponarsi i
capelli umidicci. Fuori il cielo si era oscurato in modo uniforme, forse quell’acquazzone
sarebbe durato un po’.
Fatta eccezione per l’esito finale del suo rientro le
era piaciuto molto prendere la District line con Peter e vederlo scendere
insieme a lei a Plaistow. La nuova soluzione abitativa del ragazzo dava loro
modo di trascorrere più tempo insieme e semplificava anche la possibilità di
vedersi dopo il lavoro. Dovette ammettere a se stessa che le era mancata quella
routine che era diventata suonare il piano di Tower Hill per poi raggiungere l’illustratore
e prendere la District line insieme. Era quasi sorprendente con che semplicità
la figura di Peter si fosse inserita nella sua vita e ne avesse preso parte.
Ripensò alle parole di Oliver per l’ennesima volta in pochi giorni. Peter
poteva davvero essere il suo motivo per rimanere a Londra? Per rinunciare a
quell’obiettivo che aveva capito di voler raggiungere, ovvero essere accettata
alla BBC Scottish Symphony Orchestra? Poteva essere il suo Sebastian?
Con lui ci stava bene, molto, negarlo era inutile. D’altro
canto stava bene anche in compagnia di Oliver, eppure fra loro era chiaro che non
sarebbe mai potuto esserci altro se non un profondo rapporto d’amicizia.
Si morse il labbro, continuando quella sua diatriba
mentale.
Magari avrebbe potuto provarci; perché no, dopotutto?
Avrebbe potuto chiedere a Peter di uscire con intenzioni diverse dalla semplice
birra per fare due chiacchiere. Avrebbe potuto essere una birra diversa, una
conversazione diversa. In fin dei conti non avendo mai pensato prima a cosa
potesse provare per Peter, automaticamente non si era mai fermata a pensare a
come la facesse sentire stare con lui. Non prima di quel giorno. Lì si era
fermata eccome a pensarci e aveva capito che con lui ci stava bene. Ma così
bene da provarci e rischiare di mandare a monte la loro amicizia?
Sbuffò. Quelle faccende di cuore riuscivano sempre a
rivoltarle lo stomaco. Forse avrebbe fatto meglio a parlarne con April e Sadie,
ma continuava ugualmente a rimuginarci sopra. Decise di riflettere e fare una
lista mentale dei pro e dei contro della sua possibile scelta di farsi avanti
con Peter.
Il contro maggiore era senza dubbio il fatto che
avrebbe potuto rovinare la loro amicizia se lui non fosse stato interessato.
Però c’era di pro che lei, in sua compagnia, ci stava davvero bene.
Tuttavia se fosse stata presa alla Scottish Symphony
Orchestra le cose si sarebbero complicate, in caso anche Peter provasse
qualcosa per lei. Al tempo stesso, però, il suo allontanamento da Londra
avrebbe semplificato le cose qualora lei non avesse avuto possibilità con il
ragazzo.
Era complicato, ma pensò che, con qualche
accorgimento, forse sarebbe riuscita a indagare in modo discreto; in fin dei
conti se avesse prestato attenzione sarebbe riuscita a capire se un po’ di
interesse, da parte di Peter, ci potesse essere o meno. O forse, molto più
semplicemente, le conveniva farsi avanti e smetterla di meditare di continuo
sulla questione. Peter le piaceva, questa era la sua unica certezza, in che
modo, però, avrebbe dovuto scoprirlo e non lo avrebbe di certo capito se le
cose fra loro non fossero cambiate. Non ne era innamorata, lo sapeva, ma non
era scritto da nessuna parte che l’illustratore non potesse essere il suo
Sebastian, quello che sperava tanto di riuscire a trovare. L’amore non si
costruisce in due giorni, dopotutto. Servono tempo, dedizione, cura e sacrificio.
Perciò, forse, fra lei e Peter sarebbe potuto nascere qualcosa di così profondo;
era necessario, però, che entrambi facessero la loro piccola parte. Audrey capì
che lei avrebbe voluto farla, la sua piccola parte, che si sentiva pronta a
provarci, che forse davvero ne valeva la pena. Era da tanto che non
formulava simili pensieri e la cosa la fece sentire disorientata.
Era così immersa nei suoi pensieri che si rese a
malapena conto che il suo cellulare stava squillando. Doveva trattarsi di April
dal momento che stava aspettando la sua chiamata, ma quando afferrò il telefono
e lesse il numero in sovrimpressione si bloccò. La chiamata proveniva da
Glasgow e non poteva che essere il referente dell’orchestra. Accettando quella
telefonata la ragazza avrebbe saputo cosa le riservava il futuro, se ci fosse o
meno una speranza di suonare in un’orchestra di prestigio.
Rispose con una lieve incertezza, ma la sua voce era
ferma appena prese parola.
«Buonasera. Signorina Wright?» Era la stessa voce che
l’aveva contatta la prima volta, cosa che fece capire a Audrey che non vi erano
dubbi sul luogo da cui proveniva la chiamata. Aveva del sorprendente la
rapidità con cui avevano scelto chi prendere come nuovo pianista per l’orchestra;
con tutta probabilità necessitavano di un rapido rimpiazzo.
«Sì, sono io» rispose. Il cuore prese a martellarle
con forza contro lo sterno; doveva tenere davvero a quella cosa se ora si
sentiva così.
«Ah, bene. La chiamo per conto della BBC Scottish
Symphony Orchestra.»
Questo lo sapeva benissimo anche lei, perché non
arrivava subito al dunque?
«Mi rincresce molto doverle dare questa notizia, ma
per l’occupazione di pianista è stato scelto un altro candidato. I responsabili
ci tenevano comunque a farle sapere che la sua audizione è stata ottima e che
non si è trattato affatto di una scelta semplice.»
A Audrey parve di essere improvvisamente sprofondata
in una bolla. Si sentiva ovattata, come se il tempo e lo spazio non le
appartenessero più. Quasi non si rese conto di aver formulato un ringraziamento
scontato per la possibilità e la comunicazione e di aver fatto i convenevoli
conclusivi prima di chiudere la chiamata. Si trovò immobile al centro del
soggiorno di casa, lo schermo nero dello smartphone in mano, il vuoto dentro.
Si era illusa; si era convinta di avercela fatta, di avere fra le mani la più
grande occasione della sua vita. Tutte illusioni. Era per non doversi sentire a
quel modo che di era detta di non farsi aspettative e invece aveva fallito. Si
sentiva impotente e amareggiata. Aveva ancora il Menier Chocolate Factory e il
fatto di non doversi trasferire a Glasgow significava non dover in alcun modo
lottare per i propri rapporti, ma un’occasione come quella l’avrebbe davvero
voluta sfruttare, inutile mentirsi. Si chiese se sarebbe stata in grado di
superare la cosa da sola.
Peter fu il primo a cui pensò. Il volto del ragazzo
quasi gli si dipinse sotto gli occhi. Sapeva che Oliver avrebbe potuto tirarla
subito su di morale, consolarla come solo lui sembrava essere in grado di fare,
farla ridere. Solo che lei, in quel momento, sentì che non aveva bisogno di
quello. Non voleva essere consolata, voleva parlare con qualcuno che la
capisse, che l’aiutasse a comprendere come mai il rifiuto che aveva appena
ricevuto per telefono la faceva stare tanto male se fino a pochi giorni prima
non le importava affatto della cosa. Voleva parlare con qualcuno in grado di
dirle che quello è il suono che fa un sogno che si infrange e che l’aiutasse a
raccogliere i frammenti e a rimetterli insieme con più cura di prima. Oliver
avrebbe potuto dirle tutte quelle cose, ma Audrey sentiva che solo Peter
avrebbe potuto fargliele capire, perché era passato spesso nelle delusioni,
come le aveva raccontato un giorno. Eppure l’innato ottimismo di quel
ragazzo le aveva fatto capire che lui sapeva come prendere le sue sconfitte e
rielaborarle per migliorare la propria arte. Ed era quello che sperava di
riuscire a fare lei.
Come a Glasgow, quando aveva appena finito di suonare,
o al Blue Jam la sera stessa, anche in quel momento pensava solo a Peter.
Oliver non poteva avere torto dato quanto la conosceva bene: c’era di più di
una semplice simpatia a tenerla unita all’illustratore. Il rischio di
rovinare tutto era reale e Audrey non riusciva a ignorarlo, al tempo stesso,
però, capì che la sua voglia di tentare era più forte.