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Autore: Manto    23/06/2018    1 recensioni
Exhȳdria: Termine della lingua greca, indicante il vento che porta tempesta.
Vento che sconvolge la realtà e cambia la prospettiva, che muta l'ordine; caos che protegge la vita per amore, o la distrugge per vendetta e disperazione.
Questo è ciò che sono i due personaggi qui proposti, anime tese alla solitudine e alla distruzione dei limiti; anime che forse non sapranno mai cosa sia davvero la felicità, né la libertà.
❤ La shot “Anima Scarlatta” si è classificata seconda al contest “Raggio di Luna” indetto da mystery_koopa sul forum di EFP, e ha vinto i premi "Rivelazione maschile" per il miglior personaggio maschile e "Sui Generis" per il miglior utilizzo del genere fantasy.
Genere: Angst, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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La shot partecipa al contest “Raggio di Luna”, indetto da mystery_koopa sul forum di EFP




II ● Anima Scarlatta




Occhi gelidi, lunghi capelli corvini e quel sorriso sibilante, la peggiore ingiuria, con cui aveva osservato le proprie vittime piangere sul marmo costellato di sangue e brandelli d’abiti; il suo solo fantasma aveva continuato a portare sudiciume e disonore sulla loro pelle, nascondendosi nei bagliori di ogni fiamma e popolando gli incubi di alcune — di tutte, probabilmente; ma quelle più forti tra loro non l’avevano mai ammesso, anche se le cicatrici tenute rigorosamente coperte avevano sempre raccontato un’altra verità.
Fingere non ucciderà il dolore.
Sarebbe bastato passare un polpastrello sopra la stoffa delle vesti, premendo un poco per giungere alla pelle del ventre; e le tracce rossastre sarebbero fiorite come una maledizione, correndo fin sulla schiena e la nuca. Quanto al dolore che aveva dilaniato la carne, quello invece non avrebbe necessitato di uno stimolo perché sempre presente, una ferita infetta capace di sporcare anche gli angoli più solari della realtà e annientare un esitante futuro.
La dea del focolare
[1] richiede la vostra verginità, dovrete essere pure come lei. Sotto la sua protezione nulla vi accadrà, se assolverete ai vostri doveri con serietà e dedizione; grande onore verrà dalle vostre azioni, voi che siete state scelte come le spose più preziose.
Sia festa, le vergini del fuoco vegliano su di noi!
Haesta
[2], grande Haesta, canta e danza insieme alle tue genti, benedici questi giorni e la Città[3]!
«… Dimmi, mia suprema signora: in cosa ti abbiamo disobbedito? Qual era la nostra colpa, l’errore che ti ha portata a mandarci
lui come punizione e flagello? Ha distrutto la tua dimora, oltre a noi; lo hai visto, lo sapevi?
Perché, perché? Dimmelo!»
Deliri soffiati tra i sogni gelidi e la prigione dei denti, nelle notti in cui il letto si era fatto nero, soffocante come il vino ingoiato per riuscire a dimenticare; parole urlate tra le braccia di inverni che l’avevano portata a risentire sulla pelle quelle dita sacrileghe, chiuse sulla bocca a impedirle di mozzarsi la lingua nel grido, roventi come lame infuocate e l’ignominia.
Riaddormentarsi era sempre stata la peggiore fra le torture.
Continua a rincorrermi, a inseguirmi; oppure mi osserva dal tetto del tempio, come quel mattino, in attesa che sia abbastanza vicina per ghermirmi. Neppure questa volta gli alberi mi proteggeranno.
Vuole macchiare di nuovo il marmo di scarlatto, urlarmi parole che non comprendo; papa, papa
[4]… dove sei?
Io muoio qui!

«Che cosa ti avevamo mai fatto di male? Ridammi la mia vita!»


A volte riusciva ancora a piangere davanti a quei pensieri.
Chiunque tu sia, a
scoltami.
Perdonami.
Guariscimi.





«Papa, diventerò una vergine del fuoco! È bello, vero?»
Ci aveva creduto davvero; aveva speso tutte le sue energie e ogni pensiero per quel sacro compito, e ne era stata felice.
Suo padre l’aveva abbracciata strettamente e pianto quando le sacerdotesse più anziane erano giunte alla loro dimora per portare la notizia: gli occhi di bosco dell’ultimogenita, il fiore più puro di quell’antichissima stirpe, avrebbero contemplato le fiamme di Haesta e le sue mani lo avrebbero protetto ⸺ così come avrebbero fatto con la Città, che di quell’immortale fuoco si era nutrita fin dalla propria fondazione.
Le grandi guide del suo popolo erano nate per mezzo di quelle lingue d’energia
[5], simboli della presenza delle divinità e testimoni di pace; e proprio quelle lei avrebbe nutrito insieme ad altre cinque giovani, serve di un nume ma molto più di semplici sacerdotesse, spose di sovrani celesti.
Anche dopo anni, fermando i propri passi davanti alla luminosa radura della dea
[6], lei avrebbe potuto risentire i propri singhiozzi d’emozione quando la Città le si era chiusa intorno per guardarla salire tra le braccia del tempio, quando invece che bambole d’ebano e animaletti d’avorio le sue mani avevano iniziato a stringere i tessuti sacri; e la consapevolezza di poter diventare una brava custode, una garante dell’ordine e della felicità degli altri, l’aveva ben presto consolata dall’iniziale malinconia del suo vecchio mondo.
«Tu sei importante per la nostra gente, sei la sua sentinella; sei coraggiosa come il
papa», le aveva detto l’uomo durante una delle frequenti visite; e lei aveva battuto le mani nell’entusiasmo, rendendo il sole più lucente.
«Quindi anche io sono
spada e scudo dell’umanità, come la mama dice sempre quando parti per andare in guerra?»
«Sei molto di più, plúirín[7]; molto di più, perché tu potrai tenere lontano il sangue da tutti noi. Allora, chi è la principessa di papa
«Io, sono io!»

Sono sempre stata la tua spada e il tuo scudo, padre.
E gli anni erano volati come i pensieri, come la più dolce innocenza; il suo animo già deciso aveva assunto fermezza e le doti di una guida.
Sono
stata la tua principessa… una regina.
Per tante notti senza luna la Città era scivolata ai suoi piedi, tra i sussurri del bosco e le volute di fumo che avevano lasciato la casa di Haesta per nutrire il mondo; sotto cieli senza nubi né
confini si era spogliata dei pensieri e aveva sorriso, così fiera di sé da non sentire stanchezza.
L’ombelico della vita era situato in lei: aveva legato origini e identità, retto il regno insieme al suo legittimo sovrano, illuminato famiglie e credi… non avrebbe potuto essere più onorata.
Così, non aveva nemmeno passato i vent’anni quando il suo fato era stato certo: sarebbe divenuta una delle migliori vergini del fuoco e, una volta ultimato il servizio, una grande compagna di governanti.
Sacerdotessa potente, futura signora di genti: avrebbe ampliato e sostenuto il lustro della sua famiglia, reso ancora più forte il suo popolo…
se tutto questo le fosse stato veramente concesso, a lei e alle sue compagne; se quella mano desiderosa di morte e dolore non le avesse mai trovate.
Le tenebre si erano addensate tutte lì, in quel primo mattino di primavera simile a tutti gli altri; forse, alla luce del dopo, anche troppo perfetto.
Il canto tonante della fontana su cui si era chinata sarebbe rimasto vivo in lei per sempre, come le quotidiane incombenze che avevano occupato la sua mente fin dall’alba; ma nemmeno il gorgoglio dell’acqua era riuscito ad allontanare le grida che improvvisamente si erano levate dall’intera Città, così raccapriccianti e alte da pietrificarla sui mosaici informi
[8] e spingerla a muovere le gambe solo dopo infiniti istanti.
Rumore di palazzi spezzati, polvere e urla ovunque: vie cadute sotto la mano furente di un nemico invisibile che era avanzato dissestando e distruggendo, un’onda d’aria e fumo che aveva lasciato solo desolazione.
«Chiudete il tempio, subito! Chiunque o qualunque cosa sia, è ormai qui!»
Anche da lontano, lei aveva potuto sentire lo spavento delle compagne e gli ordini delle loro superiori; e a stento era riuscita a infilarsi nel bosco di Haesta, appena prima che l’intero complesso venisse serrato.
Se fossi stata dimenticata fuori… che cosa ne sarebbe stato di me?
Mi sarei salvata, sarei uscita intatta e ignara dagli eventi successivi?

La piccola selva l’aveva protetta per tutta la sua corsa frenetica, quando sibili sinistri e voci confuse si erano attorcigliate intorno alle verdi chiome; strane luci avevano interrotto il percorso come per farla desistere, ma dentro di lei niente le aveva sussurrato di indugiare all’ombra degli alberi e respirare piano, per non essere scoperta.
Perché non sono nata codarda, padre mio; e lui lo sapeva.
Conosceva bene la nostra tempra.

«Ed ecco l’ultima… ora la caccia può considerarsi conclusa.»
Era riuscita a vederlo bene solo per qualche istante, quel giovane uomo — no; lo aveva compreso fin da subito, quanto fosse distante dall’umanità: la sua aura un unico grumo di buio e angoscia, un monito minaccioso per tutti — seduto sul tetto del tempio e intento a guardare al suo interno attraverso l’apertura per il fumo sacro; a quella visione si era fermata senza far rumore, stupita e confusa, ma lui l’aveva sentita comunque e si era voltato con la rapidità di un serpente, bruciandola con uno sguardo.
«Oh, e invece ne mancava una.»
Un lampo, e la figura era atterrata a pochi passi da lei; una presa si era stretta intorno ai suoi capelli e li aveva tirati con tale violenza da scioglierle l’acconciatura rituale e strappare alcune ciocche, ma ogni reazione si era arrestata quando, nel battito di un istante, dal limitare del bosco si era ritrovata a boccheggiare sul pavimento templare, la testa in fiamme e il boato delle porte distrutte nelle orecchie.
Da quel punto, per lunghe ore, il suo mondo era crollato pezzo dopo pezzo: il dolore delle torture inflitte con un pugnale arroventato si era unito all’eco di domande incomprensibili, il disprezzo si era fuso con l’irrisione, la visione del fuoco sacro gettato tra loro — «
Haesta, fa’ che muoiano subito, che non soffrano così tanto!» — aveva danzato con la morte.
Non salverete nessuno, nessuno!
E la Città vi venera quasi più della vostra dea… la mente sa essere così sciocca, così ipocrita. Le mura di questo luogo cadranno a causa vostra e di questi impotenti riti, così come tutte le illusioni che avete contribuito a creare: saprete sopportare gli sguardi del vostro stesso popolo, poi?
Lo guarderete morire, dal primo all’ultimo bastardo!

Aveva cercato di resistere fino allo sfinimento, di sopravvivere al proprio desiderio di morte e alla violenza; ma di molte cose nemmeno lei avrebbe saputo raccontare, poiché prima della fine il sapore del terrore l’aveva fatta precipitare in un abisso d’incoscienza, la mente incapace di sopportare più dell’indicibile. Quando aveva riaperto gli occhi, poi, aveva incontrato non la casa di Haesta, ma le pareti della sua amata dimora; e solo qui aveva pianto tutte le lacrime caparbiamente trattenute e celate, strappando le coperte tra delirio e grida e lasciandosi toccare solo dalle mani del
papa.
«Non c’è più nessuno là, vero? Grande dea… grande dea, perché? Eravamo le tue figlie! Le tue figlie!»
Per interi giorni aveva pronunciato, cantilenato e ringhiato quelle parole, senza pausa né vitalità, come una preghiera per guarire o un’insensata ninnananna per tenere impegnata la mente: perché tutto il buio era lì, sotto la residua lucidità, pronto a coglierla nel momento del silenzio e a crollare sulle proprie fondamenta, per trascinarla ancora più giù, da
lui.
Quell’anima ferina non se n’era andata davvero dopo aver guardato tutte loro agonizzare, era rimasta con lei per darle la caccia: assunto l’aspetto del padre per confonderla e trascinarla nella quiete, l’aveva attesa nei sogni e si era svelata solo dopo che le sue difese si erano abbassate, quando non ci sarebbe stato nessuno da cui rifugiarsi.
Non era stata la sola a condividere veglia e riposo con il terrore: tutta la Città aveva riconosciuto che le proprie forze, militari e religiose, non avrebbero potuto fronteggiare quelle di un dio che, come si era immediatamente raccontato, era nato per reclamare sangue e aveva distrutto più di mille luoghi, agognando la conquista di ogni cosa.
L’energia tenebrosa che questi aveva scatenato si era dimostrata troppo violenta, impulso di distruzione e crudeltà, per essere contrastata con un culto della ragione e della virtù, quindi chi avrebbe potuto incolparsi o incolpare i propri compagni di una vicenda così orrenda? La colpa era tutta insita in quell’animo nero che aveva osato portare dolore e tormenti a fanciulle innocenti e marchiare la loro pelle di vergogna; la colpa sarebbe cresciuta insieme agli amorali riti di Baccus
[9], insani e arroganti, che avevano immediatamente sostituito quelli di Haesta al punto da impossessarsi delle stesse rovine del tempio e recare maggior spregio ai tetti infranti, affronto alle istituzioni e mancanza di cura verso i tanti che in quel terribile giorno avevano perso molto.
«Il vento del mare è giunto su di noi per punirci, per distruggere la nostra grandezza e insegnarci l’umiltà: impariamo da questo errore», aveva poi iniziato a gridare qualcuno, additando la fine dell’alterigia dei potenti — anche la sua presunzione e aria di regalità: regina spezzata, fiamma debole — come unico farmaco contro i mali; «Una giusta dottrina non tortura a morte giovani figlie, non si diverte a denudarle e a batterle: quella tempesta non avrebbe dovuto toccarle!», aveva replicato qualcun altro, proteggendo e sostenendo le umiliate vergini.
Lei aveva sentito tante voci intrecciarsi e attaccarsi al velo della lucidità, volti agitarsi davanti a lei in continue, inopportune visite e dichiararla sia vittima sia, in un mormorio, la prima carnefice di sé stessa; ma non aveva davvero udito né trattenuto quelle parole, il suo sguardo vacuo aveva emanato luce solo sotto le carezze affettuose della sua famiglia.
Lei, Pirra
(♦), nata e cresciuta con il fuoco nell’anima e nel nome, che era stata guidata da esso nelle ambizioni, da allora lo aveva sentito quietarsi senza riuscire a fermarlo; ancora nel suo profondo ma troppo debole per riscaldarla, assopita quella parte del suo essere si era sentita disperatamente fragile, privata di un punto fermo come una bandiera dimenticata nel vento, sola con i suoi demoni. Quasi impossibile da credere come un unico gesto di prepotenza avesse potuto ridurla al guscio immobile che lo specchio aveva riflesso ogni mattino e per molto tempo; ma era stato proprio ciò che aveva percepito in quei momenti — la mia prepotenza non ti priverà della vita, non temere; ma attenta, potrebbe ritornare a opera di altre mani, e tu non potrai fidarti mai più di nessuno! — a ghermire il suo coraggio e dilaniarlo.
A ben vedere, la ragione si era posta dalla parte di coloro che l’avevano tacciata di superbia: perché aveva sempre vissuto come una bambina sicura di sé ma ignara del mondo, onorata come grande ma senza alcuna conoscenza di privazione e caduta, pronta a incrinarsi davanti alle crisi.
Dedizione, fedeltà e caparbietà non se n’erano andate, erano rimaste con lei; ma la paura della loro risposta — o meglio, della loro assenza — a vicende di tale specie le aveva tutte spinte in secondo piano.
In un possibile ripetersi di quegli eventi, niente le avrebbe dato la conferma che avrebbe conservato la sua resistenza; la sua mente aveva già sofferto, sarebbe stato facile spezzarla del tutto.

Forse era stato proprio questo a spingere il portatore di caos a ritornare davvero, a lasciare il regno del suo inconscio per raggiungerla e terminare quello che aveva iniziato.
Quanti minuti, ore o mesi sono realmente passati?
, aveva pensato quando il suo sguardo aveva scorto il sibilante sorriso tra le ombre della propria camera e un sospiro gelido era penetrato tra le cortine del letto; forse nessuno, perché le era parso di non essere mai uscita dal tempio.
Ma il glaciale sguardo dell’altro si era posato solo per qualche istante su di lei, unicamente per accertarsi di aver riportato la paura: una forza ben più grande lo aveva attirato, il fuoco pulsante di un’altra anima.
La Città non era ancora precipitata nella follia solamente grazie alla potenza militare, alle azioni degli uomini come suo padre e alla sicurezza che la loro presenza aveva continuato a ispirare: che cosa sarebbe accaduto se perfino quell’estremo baluardo fosse crollato, se tutti i guerrieri fossero stati uccisi? La comparsa di quell’entità aveva trovato spiegazione solo in quella motivazione: per piegare totalmente la gente, si sarebbe dovuto prima pensare a privarla di ogni arma.
Le porte della camera si erano chiuse appena il dio se n’era andato, imprigionandola per renderla il finale diletto di un’altra giornata di spietatezza; e lei inutilmente si era trascinata giù dal letto e sul pavimento, ritrovando la voce in pietosi singhiozzi.
«Non toccarlo! Non fargli del male, torna qui e uccidi me!», aveva poi gridato nella rinnovata disperazione, e questa le aveva dato l’impeto di affondare le unghie nel legno intarsiato e fermarsi solo quando le dita erano state trafitte dalle schegge. La voce ferma del capofamiglia, levatasi improvvisamente, aveva vinto sullo strazio e portato un teso silenzio nelle stanze, l’orgoglio pronto a misurarsi con la prepotenza.
Non era riuscita a capire nessuna delle parole che erano state scambiate, ma il suono di passi in corsa, già lontani dalla casa, le aveva suggerito che suo padre avesse allontanato tutti e che la divinità non si fosse mossa: suo obbiettivo solamente il guerriero, e lei.
Il suono di lame giunte a danzare, subito seguito dal ruggito del fuoco che aveva iniziato a divorare la casa, non aveva tardato a colpire le sue orecchie; e nuovamente le sue mani avevano cercato di aprire le porte e implorato la fine di quello scontro — come se qualcuno avesse davvero potuto ascoltarla o aiutarla.
E si era
nuovamente sbagliata quando aveva creduto di aver conosciuto la caduta, poiché la vera rovina si era palesata solo in quei momenti; e si era sbagliata, perché aveva creduto che almeno un sostegno le fosse rimasto e che nulla avrebbe potuto portarglielo via. Invece eccola, la bambina spaurita, l’anima sconfitta e divorata da potenze più grandi e con mille nomi, la timorosa che non aveva osato fare nemmeno un passo e staccarsi dalla porta illuminata dall’incendio.
Era arrivata la giusta fine per un’egoista: smarrire la ragione, gli affetti e la vita sapendo che quella morte non avrebbe cessato nulla e protetto nessuno.

Ma io avevo promesso…
Il clangore delle armi divenuto improvvisamente più violento e forte, tonfi di corpi in caduta; il buio addensato intorno a lei, per ghermirla.

Avevo promesso che sarei stata la sua spada, e il suo scudo.
Un guizzo nel chiuso dell’anima: chiamato disperazione, in ogni altro modo, ma lì al suo fianco.
Mi avevi fatto promettere che avrei resistito a tutto.
Voci nel cuore, respiro spezzato dall’energia; il sorgere lento di qualcosa che non le era mai appartenuto, ma che aveva iniziato a respirare come un vento nuovo. Un battito ritmico, per non fare più male del necessario, ma destinato a salire.
Non sarei mai caduta, no.
Forza della rabbia, della disperazione, della perdita; nessun guerriero era mai nato dalla pace, e per questo l’avrebbe sempre cercata.
Quante volte aveva visto la malinconia negli occhi di
papa, l’incertezza del ritorno? Eppure aveva obbedito ai suoi doveri per assicurarle vita e felicità; in cambio, lei lo aveva lasciato a combattere al posto suo, da solo.
Come aveva potuto?

Ricordati, Pirra; ricordati di te e di questo sacrificio.
La tempesta aveva riniziato a ululare sopra il tetto; eppure, il corpo scosso dalla tensione si era rifiutato di cadere immobile.
Ogni rumore esterno l’aveva fatta tremare, tuttavia la paura aveva iniziato ad allontanarsi: no, non era stata quella sensazione a muovere la sua mente, mai il terrore aveva avuto quel sapore.

Chi sei, ragazza? Urlagli il tuo nome.
Le porte erano divenute fauci infuocate che presto si sarebbero espanse intorno a lei: in attesa di un suo gesto, avevano ghignato anch’esse.
Urlalo.
«Basta… basta.»
Urlalo!
«Io sono…»
Plúirín…
Un altro passo e sarebbe stata ingoiata; invece, il battito che si era sparso nella mente aveva raccontato un’altra storia: un momento in cui la lotta non avrebbe portato silenzio ma salvezza, in cui l’incubo avrebbe aperto le ali per smettere di straziarla e iniziare a sostenerla. «Se è con un’ombra che mi devo scontrare… allora che io divenga la notte stessa», aveva mormorato mentre le immagini di un mattino d’orrore avevano iniziato a colpirla;
e il fuoco le aveva riso in viso, spirando tra i suoi capelli, mentre la fiamma nel nome aveva sorriso.
Fidati di te, sai già cosa fare.
Le porte erano crollate su di lei, l’incendio si era preso il suo corpo… così aveva creduto la vecchia sé stessa; ma solo la sua ombra era stata divorata e subito si era ricongiunta alla figura fulminea che aveva calciato lontano da sé il legno contorto, apparendo nella sua veste più nera. In pochi avrebbero potuto riconoscere nella donna dal volto sporco di cenere e dalla voce ringhiante la luminosa ragazza che un tempo era stata; perché anche se tutto il corpo era rimasto uguale, quegli occhi sanguigni e privi di pietà non erano mai appartenuti a Pirra.
Con gambe percorse da nere volute, essenza ed espressione del calore che le aveva preso tutto lo spirito, si era gettata tra il
papa e il suo aguzzino, con braccia rese forti dall’energia di mille uomini aveva afferrato la gola di quest’ultimo e sfruttato la sorpresa per abbatterlo al suolo e intrappolarlo sotto di sé; la mente umana aveva lasciato il posto all’istinto di una belva, pura forza aveva ingoiato tutte le sensazioni e obliato qualsiasi cosa non fosse stata la sete di sangue. «Ti devo una lunga tortura», aveva sibilato con voce roca, monstrum[10] creato da odio, rimorso e tenacia; e quando l’avversario aveva posto un braccio tra il suo impeto e il proprio collo, in risposta lei lo aveva morso e quasi giunta a tranciarlo.
Fumo denso e soffocante le aveva attaccato il volto, uncinandole la pelle con l’intento di strapparla; ma anche sotto quel dolore micidiale le sue mani erano riuscite a lacerare e colpire fino a quando la sopportazione aveva potuto sostenerla. Ritorcendole contro l’instabilità del corpo diviso simultaneamente tra difesa e attacco, il nemico l’aveva afferrata per le braccia e spinta lontana da sé, salvo poi incalzarla per colpirla e farla sbattere contro il muro a loro opposto.
«Mai conosciuto nessuno con tanta voglia di morire», le aveva sibilato il dio dopo averle schiacciato la testa contro la parete e stretto il collo; ma l’agire non era stato lesto come le parole quando il fuoco si era frapposto tra loro e le mani di lei erano riuscite ad afferrare le fiamme, per poi dirigerle contro di lui al pari di temibili spade. «Neppure io», aveva replicato, evitando di riconoscere come le differenze con quell’essere avessero iniziato a sfaldarsi.
Dopo quel gesto, l’aura maligna dell’avversario era divenuta palpabile e, prudentemente, lei si era preparata al principio della fine; tuttavia, alla minaccia di lotta non era seguita quella effettiva, in quanto l’entità era svanita come nebbia davanti al sole, con un duro sguardo come promessa di ritorno e tanto sangue lasciato al suo posto: sangue appartenuto totalmente a lui.
Solamente allora le gambe le avevano permesso di retrocedere fino a farle sentire il freddo della pietra contro la schiena, solamente allora si era voltata verso la figura del padre; e davanti a quest’
ultimo, agli occhi terrorizzati dalle sue sembianze, lei aveva compreso di aver vinto una battaglia inconclusa e perso la sua più grande certezza.
«Pirra…», aveva singhiozzato l’uomo, fissandole le mani che non avevano smesso di impugnare il fuoco; e il simulacro di sua figlia aveva scosso appena il capo. «Io non sono
più lei; la giovane che adoravi è morta.»
A passi lenti si era allontanata dal padre, ogni istante di distanza aveva sconnesso il sentiero che le avrebbe permesso di ritornare tra quelle braccia; perché la sete di vendetta non si era ancora acquietata, la caccia era appena iniziata e ogni innocente avrebbe dovuto ignorarne l’esistenza.
«Non avrei voluto perderti così, ma era l’unico modo per salvarti. Non cercarmi più,
papa, non chiedere della vergine che hai chiamato figlia: semplicemente, non dimenticarmi e amami ancora.
Anche con questo spirito io non ti dimenticherò né smetterò di amarti; e, forse, in qualche modo potrò ancora sentirti.»
«Non andartene! Pirra, ti prego, rimani qui e calmati!»
Quando l’eco di quella preghiera era svanito, lei era già stata circondata dai sentieri boschivi che l’avrebbero portata alla Città; le lacrime erano diventate cristalli sulle guance graffiate, le erano entrate nella pelle e avevano ghiacciato tutte le parole che avrebbero potuto ricondurla a casa.
Perfino sotto la copertura delle cime arboree era riuscita a scorgere le rovine della casa di Haesta e le luci blasfeme di Baccus, i culti che avevano osato deridere le istituzioni e Haesta intenti a tormentare l’aria; non aveva spostato lo sguardo da là, sentendo tutte le sensazioni dello scontro precedente ritornare e nutrire cupi desideri; le aveva accolte tutte. Era penetrata tra le vie urbane ancora umana…

Ma quando ne era uscita la sua anima era divenuta totalmente scarlatta; tra le mura del vecchio tempio, invece, non era rimasto altro fuoco, se non quello che lei aveva portato.




Aveva creduto di poter dominare tutta quella forza, di riuscire a incendiarla nella necessità e acquietarla negli istanti di pace; ma una volta assaggiata la vendetta e macchiatosi di sangue, bruciato un corpo e risucchiatone l’anima, il suo spirito non aveva fatto altro che aumentare il desiderio di distruzione: e lei si era rivelata troppo debole per non ubbidirgli.
Quando la Città si era completamente ripulita dalla parola aberrante di Baccus, la luna aveva appena mutato il suo volto da pieno a mezzo; era scomparsa del tutto quando l’intera regione era stata percorsa da passi ferini e liberata dalla feccia, e pochi altri giorni erano passati quando oblio e annientamento avevano divorato quello e altri culti indegni. Non era bastato: completamente annerita e piegata dalle sue stesse energie, il corpo così rigonfio di volontà e pulsioni da non riuscire a contenerle, la fiera qual era diventata aveva vagato fino quasi a perdere connotati umani e diventare realmente un’ombra maledetta e lamia
[11], come l’avevano definita le parole di coloro che erano stati testimoni delle sue azioni.
Per lunghi giorni aveva riposato e atteso in selve inaccessibili e intoccate sia da uomini che da dèi, pulsando tra i rovi come un cuore malato; nei crepuscoli informi, invece, aveva fatto la sua comparsa e iniziato la caccia che avrebbe sottratto al mondo
almeno un’anima corrosa e ambigua, una preda che le avrebbe dato l’illusione della giustizia e soddisfatto temporaneamente la sua fame incessante.
Spesso si dice che chi per troppo tempo languisce nel silenzio, una volta rinato nel suono non riesce più a farne a meno e finisce per perdere il dono dell’ascolto: ciò era accaduto a lei, che aveva pianto sulle ceneri del suo spirito e, ritrovatolo, non era riuscita a controllarlo e si era smarrita nuovamente… forse perché ancora non aveva raggiunto il suo reale scopo; perché tutte quelle morti non erano state altro che un preludio e l’armatura necessaria all’ultimo combattimento.
L’oscurità non l’aveva solamente accompagnata nei suoi spietati lavori: questa le aveva spesso parlato del dio che per una seconda volta era stat
o causa di una caduta, l’aveva condotta sulle sue tracce e portata ogni volta più vicina a lui seppur non abbastanza da poterlo ghermire.
A volte era stata proprio quella figura ad accostarsi alla sua persona: l’aveva raggiunta nei sogni, come nei lontani tempi del prima, per ghignarle di nuovo contro; e tuttavia, in quegli istanti lei aveva replicato e combattuto, rischiando di perdere la vita a ogni assalto o di prendere quella del nemico, urlando a stelle atterrite e fuggevoli.
Ematomi più neri della propria pelle, segni di tagli e morsi e senso di vuoto, come se qualcosa le fosse stato strappato da dentro, liberazione e soddisfazione si erano prese corpo e mente alla fine di quelle visioni, lasciandola stordita ma capace di respirare nuovamente;
tutte quelle sensazioni erano sempre cessate durante la successiva caccia, ma i marchi sulla pelle non erano mai svaniti né sbiaditi, come se avesse combattuto nella realtà e con tutte le sue conseguenze.
Il periodo di stasi e attesa non aveva avuto lunga vita,
in quanto in una di quelle notti immobili, messaggere di una tempesta in avvicinamento, si era svegliata in un bagno di sudore e tra tremiti di tensione: lui era giunto, finalmente deciso ad attaccarla e a porre fine alla sua storia.
La foresta in cui si era rifugiata aveva rifulso di luci e sussurri mano a mano che il dio era avanzato, così non era stato difficile trovarlo; anzi, lui stesso aveva tentato ogni cosa pur di farsi raggiungere in fretta.
Per la terza volta lei aveva fissato quegli occhi azzurri e il volto affilato, leggendovi un odio di cui non era mai stata capace
prima dell’attacco alla propria famiglia; per la terza volta aveva sentito la repulsione per quell’ombra umana è così che sono diventata anch’io. E nonostante ciò, quella era stata la volta in cui l’apparenza aveva parzialmente celato la realtà: era bastato solo un istante per comprendere che ben poca forza era rimasta nel corpo dell’avversario, che questi si era come prosciugato e, rispetto a lei, divenuto debole come un essere umano. Ogni traccia di divinità era stata allontanata da lui, ciò che era rimasto solamente il fantasma della belva che aveva distrutto la vecchia Pirra; le sarebbe bastato un solo gesto per annientarlo del tutto, e proprio a questo aveva pensato immediatamente appena prima di essere fermata dalle parole dell’altro.
«Conosco quello sguardo», aveva mormorato la divinità, sorridendo un’estrema volta e come a schernire l’ostilità sorta tra loro, «alla fine, ti sei trasformata in qualcosa di molto simile a me.»
«Lo so», era stata la replica, l’asprezza che non si era lasciata sfuggire la sensazione di sofferenza e pena del nemico e ne aveva goduto, «lo so. Per combatterti ho dovuto abbassarmi al tuo livello.»

Ho smarrito davvero tante cose di me.
Un ghigno famelico, il temporaneo ritorno del mostro. «Allora, almeno in questo, ho vinto io.»
«Non sento più nulla in te», aveva risposto lei, chiudendo la via del pensiero
a cosa ho ceduto realmente? ⸺ e ogni possibile apertura, «e voglio sapere perché. Per quale motivo hai deciso di attaccarmi in questo stato? Non sei più il dio che ha ridotto in ginocchio Haesta, qui è rimasto un solo mostro.» Io, proprio io. «Che cosa vuoi da me?»
L’altro era rimasto in silenzio per parecchi istanti, quindi era scivolato sulle proprie ginocchia. «Volevo guardarti un’ultima volta, sacerdotessa… fissare il volto di chi mi porterà alla morte.
Quelle battaglie nella tua mente… erano vere, come era vero ogni sogno dove sono apparso. Ho giocato a lungo con te e con le tue paure, ragazza: non c’è stato nemmeno bisogno di pungolarti, la mia sola apparizione ti immobilizzava e mi rendeva facile portare il caos in te.
Poi, ho fatto l’errore di attaccare il tuo amato padre e, così, di risvegliare tutta la forza del tuo animo; e ora eccoti qui a dominare su di me, senza paura, pietà, freni, capace di strapparmi le energie in soli tre combattimenti e ridurmi così… che splendida donna che sei, una vera regina.»
Più di un sussurro, molto meno di un grido: la vittoria le si era avvicinata silenziosamente, e il suo sapore non le era parso così dolce come si era aspettata. Ma sarebbe stato davvero così?
«Alzati, non mi ingannare. Non ho ucciso a lungo per non lottare nemmeno, svelati», aveva replicato lei mentre gli si era avvicinata cauta, non ancora certa delle sensazioni provenienti dall’esterno: come aveva potuto rendere così un tale dio? Le sue energie erano cresciute così tanto da permetterle di valicare i confini della coscienza e agire comunque sotto il suo controllo?
«Non mi credi; e non mi stupisco, quando sono il primo a non crederci», aveva concordato l’avversario, prima di socchiudere gli occhi e privarla della loro visione. «La senti questa eco? È l’unica traccia rimasta dei miei poteri. Sono tutti ritornati al cielo, alla terra e a ogni essere che originariamente li possedeva; solo quello che sono sempre stato, una creatura rapace e ingannatrice,
rapitrice e assassina, è rimasto con me. Vuoi forse strapparmi anche quello? Ora non posso opporre resistenza.»
«Mi hai reso uguale a te», era stata la risposta, «una reietta, un’esule. Se non puoi combattere in modo onorevole e ripagarmi di quello che tu hai sottratto a me, allora non ti toccherò: ti prenderò prigioniero e ti guarderò mentre ti spegni, mentre continui a soffrire. Non ti spetta né pietà né una dolce morte.»
«La prima non l’ho mai chiesta… quanto alla seconda, oh, sono certo che sarà veloce, anche se piuttosto dolorosa.»
«Com’è giusto.» La sua bocca aveva taciuto; quindi, dopo un lungo istante di silenzio, aveva
coperta l’intera distanza posta tra loro e aveva troneggiato sull’uomo. «Qualcosa, però, puoi ancora donarmelo», gli aveva sussurrato prima di inginocchiarsi davanti a lui.
Questi non aveva opposto resistenza quando gli aveva sfilato il
lungo pugnale dalla manica della veste la mia pelle non ti è sconosciuta, vero? ⸺ e aveva afferrato una ciocca dei suoi capelli d’inchiostro. «La mia gente crede che nella chioma risieda tutta la potenza di un uomo, e che chiunque riesca a tagliare quella di un nemico possieda anche la sua vita[12]; e questa è morbida e lunga come quella di mio padre, la voglio.
Questa sarà la tua massima sconfitta.
»
L’altro non aveva replicato neppure allora,
con gli occhi volti lontano dal suo viso l’aveva lasciata prendersi il proprio trofeo. La sua fine non avrebbe tardato molto, la sua vicinanza era stata percepita da entrambi; e anche se a lei non avrebbe portato la soddisfazione richiesta, sapere che il mondo si sarebbe liberato di un animo nero come quello avrebbe potuto lenire la sua sete. «Dopo la tua morte questo mondo diverrà meno oscuro; forse l’unica cosa buona che verrà da te», aveva infatti sussurrato con cattiveria, fissando il corpo dell’avversario piegarsi su sé stesso fino a ricadere al suolo.
Il gorgoglio di una risata aveva avuto il potere di ottenebrarle le sguardo; e lui, sapendolo, non aveva esitato a continuare. «Anche se ormai sei divenuta una dea, una parte di te è ancora la ragazzina innocente e ignara della realtà», aveva replicato questi, voltandosi a fissarla. «Un giorno capirai che gli dèi non possono morire; no… la loro sorte è diversa.»
Il braccio che questi le aveva teso si era sfaldato nell’aria; lei si era ritratta per la sorpresa, ma il sospiro dell’altro l’aveva comunque raggiunta.
«Mi dispiace non averti potuto dare la vendetta che agognavi, vergine del fuoco; ma non disperare… non farlo mai» erano state le sue ultime parole; quindi cenere e tenebra le avevano riempito le mani e fatto pizzicare gli occhi, il sistema peggiore per renderla conscia della libertà.
È tutto… è tutto finito; se n’è andato per sempre.
Tutto il corpo aveva tremato sotto il peso di quella verità: anche se nel modo più insperato, lei aveva portato a termine il suo obiettivo e ucciso il suo incubo; lei, proprio lei, era stata causa e testimone della sua caduta.
Che cosa le si sarebbe aperto davanti, da quel momento in poi? In qualche modo sarebbe riuscita a ritornare la fanciulla di prima, a purificarsi dalle azioni commesse, a riprendere a respirare e vivere?
In fondo, se era riuscita a portare a felice esito quella che aveva considerato l’ultima azione della propria esistenza, probabilmente avrebbe potuto anche ritornare a essere completamente sé stessa: fisicamente e mentalmente quieta, e nella propria terra. «Ho parlato per disperazione, quella notte d’addio; per proteggere chi amavo. Ma ora… ora forse potrò tentare la strada del perdono; la mia presenza non ha più alcun senso, qui.» Le nere volute che le avevano marchiato la pelle si erano lentamente sfaldate nell’aria poco prima di quelle parole, le gambe l’avevano sostenuta a malapena quando si era rialzata: il peso che il corpo aveva sostenuto fino a pochi istanti prima aveva iniziato a sciogliersi… forse in un lento processo di riumanizzazione?
«Allora devo resistere», aveva sussurrato nel cercare il sentiero più rapido per uscire dal cuore delle selve e fuggire lontano dalla residua presenza del caos, «resistere ancora un poco.»

Di quante cose avrebbe avuto ragione, che cosa avrebbe recuperato o accettato di aver perduto, se la luce non l’avesse raggiunta?




La luce, proprio lei: quella che aveva accompagnata il portatore di rovina e non era svanita con il suo corpo.
Luce che, come un’onda dorata, si era aperta una strada tra alberi e fiori selvatici, per
rincorrerla e riuscire a circondarla; luce che con il suo calore l’aveva costretta a indietreggiare verso il cuore della foresta e l’aveva colpita come un’arma, fatta cadere e stretta in un muro fremente e vivo.
Luce erompente dal terreno, in caduta dal cielo, emanazione dell’aria stessa ed entità con una propria mente;
luce inafferrabile, che però era riuscita a ghermire lei e a farla precipitare in una spirale di guizzi e sensazioni, in un buio improvviso, denso come la propria paura.
Che cosa sei? E che mi sta succedendo, perché mi fai questo?
Aveva sentito malinconia, cadendo in quel grembo sconosciuto: aveva sentito le dita sfregare contro sensazione di solitudine e mancanza, impulso di preghiera e memoria, smarrimento. Provandole una a una, si era trovata a desiderare di perdere coscienza e lasciarsi portare ovunque senza più emozioni; nemmeno quello le era stato concesso.
La luce era presto ritornata per svanire nuovamente, l’aveva quasi portata alla follia e strappato pure la voce; tutto il mondo era divenuto confusione.

È questa l’esistenza degli inizi di cui i libri parlano, l’alba della creazione? Come ha potuto il mondo abitare in questo vuoto, come siamo riusciti a sopravvivere qui?

E questo calore… che non porta altro che gelo.
Aveva sbattuto le palpebre una, due volte; la terza, la realtà intorno era nuovamente mutata e l’aveva costretta a coprirsi gli occhi per i troppi colori con cui era apparsa.
Il corpo si era trovato sbilanciato quando il vento l’aveva aggredito; una volta cadut
o al suolo, i polpastrelli avevano sfiorato morbida erba e l’olfatto si era accorto di un lieve profumo di pioggia e pino.
Lentamente, le mani avevano lasciato lo sguardo libero di vagare, e questo aveva incontrato una verde e ampia valle, fiori di mille specie a popolarla e il cielo viola di una quieta sera a custodirla. Sorpresa,
dopo poco lei si era alzata per meglio ammirare lo sconosciuto paesaggio e avanzare verso il corpo sinuoso del fiume situato alla sua destra, sulle cui acque aveva danzato l’ultima stilla di tramonto.
Lo specchio delle onde aveva riflesso il suo volto ansioso e chiaro: nessuna traccia nera a intridere la pelle, non una sfumatura cremisi negli occhi ritornati smeraldini, i capelli
nuovamente dorati e in riccioli spettinati… il volto di Pirra, una semplice e giovane donna. «Perché?», aveva chiesto ai guizzi affacciatesi oltre il pelo dell’acqua, come in un saluto, «solamente perché.»
«
Perché è questo ciò che ci accade quando, come dicono gli umani, “moriamo”.»
Quella voce ormai nota l’aveva fatta
voltare di scatto e sobbalzare fin sulla riva estrema del fiume; ma nel volto del dio non aveva letto alcuna traccia di malizia né desiderio del male, la mano che aveva afferrato la sua e impedito alle gambe di cedere non aveva imposto alcuna maledizione.
«
Che cosa vuol dire tutto questo? Non riesco a capire!» La tensione si era espansa come una nuvola di tempesta e aveva incrinato la serenità del luogo; ma l’altro non aveva mutato espressione, né mostrato il suo ghigno. «Non avresti potuto capirlo, eri una dea appena nata… sei nuova a tutto questo.»
«“
Nuova a tutto questo”? Non comprendo nessuna delle tue parole, come faccio a trovarmi qui e perché, il motivo per cui mi hai seguito, e… che cosa sta succedendo, per il glorioso nome dei numi?» Un’esitazione, le parole che si fanno più pesanti e concrete. «Morire. Io… io sono morta?»
«
Cose simili succedono solo quando uno di noi lascia il mondo: precipita in un buio assoluto, primordiale, e quando si risveglia è in un luogo a lui sconosciuto, pronto per ricominciare a vivere. Non conosco chi decida tale sorte, se siano le forze naturali che andremo a governare a chiamarci oppure avvenga ogni cosa in modo casuale, ma credimi, non ti sto mentendo.» Una pausa, seguita da un sorriso lievemente stanco. «Su questo non riuscirei mai a mentire.»
Lei non aveva replicato subito, concentrandosi maggiormente sul sentore di tristezza proveniente dall’altro; la crudeltà che l’aveva contrassegnato era sembrata così lontana da quella figura assorta che non aveva dubitato delle sue parole, e a sua volta la propria mente si era riempita di pensieri.
«Quando sei morto tu, me ne sono andata anche io: terminato il mio compito, il corpo non ha più resistito… è possibile.»
Per qualche oscuro motivo non ne era stata sorpresa, come se una parte di lei lo avesse sempre saputo; ma ciò le avrebbe permesso comunque di tornare dalla propria gente,
dalla famiglia? «Non posso rimanere qui», aveva infatti esordito, «devo trovare un modo per ritornare alla Città, dal mio popolo. Ho bisogno di loro!»
«
Tu sì, per ora; loro non più.» Davanti alla sua fronte aggrottata, il portatore di caos aveva scosso la testa. «Nessuno di noi è mai ritornato al luogo in cui è nato o dove ha vissuto prima di una caduta: si muore sempre quando qualcuno di più forte prende il nostro posto e ci strappa i poteri, il ruolo. Tu hai fatto questo con il culto di Baccus, quando hai ucciso i suoi fedeli, con me; un’entità maggiore deve averlo fatto con te. Quando questo accade, lasciamo una realtà per accedere in un’altra: scompariamo dalla memoria di un primo popolo per entrare nella storia di un secondo, di un terzo, un quarto… e così accadrà per sempre, fino a quando non morirà anche il mondo che serviamo.»
«
Tutti ci dimenticano… è questo che stai dicendo?»
«
Sì; ma neppure noi stessi conserviamo la cognizione di chi abbandoniamo: la gente che incontreremo ci darà un posto e un ruolo, e in virtù di quello formeremo nuovi ricordi.»
Un singulto, la paura improvvisa della perdita; nella mente immagini ancora intatte, ma già minacciate da una lieve nebbia in avvicinamento.

Perdere tutto… anche la sensazione di una famiglia.
Perdere anche più del necessario.
«Quanti altri popoli piegherai con la tua sete di sangue?», era esplosa infine, «… quante altre volte ti dovrò dare la caccia?»
Lo sguardo celeste dell’altro aveva ripreso in un istante una parte delle ombre abituali.
«I popoli da distruggere e dominare sono infiniti», aveva replicato, «e quanto a noi due… vedremo il corso degli eventi e le sorti degli uomini che cosa ci porteranno. Ricordati che sei una portatrice di morte e notte come me; e d’altra parte, non sei poi così diversa da ogni altra divinità o forza della natura… tutti, prima o poi, diveniamo il cambiamento e la fine di qualcuno.»
A quelle parole si era voltata, divenuta incapace di sorreggere quegli occhi; il cenno di saluto
«Non lasciar morire quel fuoco: se sarò fortunato potrò combatterlo di nuovo» e i passi che si erano allontanati erano stati l’ultimo rumore prima del silenzio assoluto della notte incipiente, e nell’oscurità lei si era adagiata come una fiera.
Non aveva
avuto alcun luogo dove andare, quindi sarebbe potuta giungere ovunque; senza la conoscenza di nessuno, il primo volto, di qualunque uomo fosse stato, avrebbe potuto accoglierla.
Sarebbe stata sola, di tutti e nessuno; di sé stessa, mai.
Era questo che aveva voluto con tanto ardore? Le lacrime che le avevano segnato anche l’anima, quelle le aveva previste, le aveva richieste?

Chiunque tu sia, a
scoltami.
Perdonami.
Guariscimi.

Forse al di là delle montagne innanzi a lei, corona di quella valle, ci sarebbe stato un villaggio, una città o anche solo una casa; una mano a cui chiedere, a cui parlare,
da lasciare o trattenere.
Chiunque tu sia, a
scoltami.
Perdonami.
Guariscimi.

Non sarebbe potuta sfuggire a nulla: non era mai scappata… non si era mai salvata.
Chiunque tu sia, a
scoltami.
Perdonami.
Guariscimi.


Ancora oggi, dopo tutto questo tempo e questi ricordi, lo chiedo ancora: ascoltami, perdonami, guariscimi.
A
scoltami, perdonami, guariscimi; e non dimenticarmi.







NOTE





[1] Si riprende qui la figura di Vesta. Nell’antica Roma, questo era il nome della dea del focolare.
Le sacerdotesse che si occupavano di tenere sempre acceso il suo fuoco sacro, protezione della città, erano le ragazze scelte dalle migliori famiglie della nobiltà patrizia, e tra gli obblighi a cui dovevano sottostare c’era quello di assolutà castità, pena la morte.
Le giovani erano sei e vivevano nel complesso templare della dea, e il servizio durava trent’anni: dai dieci (l’eta in cui venivano scelte) fino ai venti erano novizie, dai venti ai trenta prestavano servizio nel tempio, dai trenta ai quaranta istruivano le nuove arrivate; dai quaranta in poi, erano libere di gestire la propria vita secondo i desideri di ognuna.


[2] Ho fuso i nomi di Hestia (dea greca del focolare domestico) e Vesta in uno, riprendendo però anche dalla parola latina che designa il calore: aestus (pensiamo al termine estate).


[3] Il termine “Città” con la maiuscola richiama l’Urbe per eccellenza, Roma.


[4] In molte culture antiche e moderne, papa e mama sono i termini affettivi per il padre e la madre.


[5] Su alcuni dei sette re di Roma circolano molte leggende con protagonista il fuoco: un esempio è quello di Servio Tullio, che in un’antica versione della sua nascita si dice generato da una schiava e da una fiamma sfuggita al focolare regio.


[6] Nella civiltà latina ⸺ e non solo ⸺, la radura boschiva (lucus, termine legato a lux, “luce”) era sempre dedicata a una divinità.


[7] Termine affettivo irlandese, che si traduce con “piccolo fiore / fiorellino”.


[8] Di solito erano i ninfei, le enormi vasche dove appunto venivano tenuti i fiori di ninfea (elemento tipico delle domus patrizie), a essere impreziositi con fini mosaici. Nel testo vengono definiti informi perché visti attraverso l’acqua smossa dal getto della fontana.


[9] Baccus è il corrispettivo latino del greco Dioniso, antichissimo dio dell’ebrezza. I suoi culti orgiastici, dove perdita di controllo, possessione o follia divina e spregio dei limiti — anche morali e della lucidità — erano la prassi, non furono mai visti positivamente dalle istituzioni romane, che cercarono sempre di regolarli e controllarli.


[10] Il termine monstrum ha più di un’accezione in latino: sia quella negativa a noi comune, sia di “meraviglia”, “portento”, di fatto nuovo e inusuale. Qui vengono riprese entrambe.


[11] A Roma e in Grecia, “lamia” era chiamato un mostro femminile dalle fattezze umane e dalla capacità di privare uomini e bambini delle forze vitali e del sangue. Ha molti tratti in comune con i vampiri.


[12] Concezione presente in tante culture (un riferimento può essere la storia di Sansone e Dalila).





Riguardo a particolari nomi:


Pirra: Riprende il termine greco che designa il fuoco, πῦρ. Secondo il mito, in virtù della propria chioma fulva, Pirra fu il nome che Achille assunse quando Teti lo fece confondere con le figlie di re Licomede.

   
 
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