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Autore: Nanas    14/07/2018    2 recensioni
“[…] Perché Gotham è, prima di tutto, i suoi cittadini.
Cittadini che continuano a portarla sull’orlo del baratro solo per tirarla all’ultimo nuovamente via, desiderosi di combattere per l’anima di quella città che si ritrova ad essere ancora una volta appagata del caos che la compone, soddisfatta della consapevolezza che il vivere le sue ombre comporta.
Poiché tutti sono parte della sua esistenza, tutti sono sangue che scorre caldo nelle sue vene e che rende possibile la sopravvivenza al freddo della notte:
Tutti sono criminali, a loro modo. E finché vivono, così vive la città.
E poiché la città vive, così vive Batman.”
_________________________________
Hint: [KuroKen] [BokuAka] [DaiSuga] [IwaOi]
[Batman AU] [WARNING: Slow Build Fanfiction!]
Genere: Azione, Dark, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Daichi Sawamura, Hajime Iwaizumi, Morisuke Yaku, Tetsurou Kuroo
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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17. Gli addii possono essere sconvolgenti
(ma i r*****i sono sicuramente peggio)



Margaret Atwood







GOTHAM CITY – Sionis Industries (Industrial District)

22/12/1976 – ???



Il sorriso di Joker è ampio e privo di razionalità mentre rimane puntato sui tratti delicati di Harlee, gli occhi stretti e lunghi che riflettono le luci a scomparsa sparse tutto attorno e che obbligano l’interno dell’enorme sala a quella tetra e risibile ricostruzione di atmosfera natalizia.

«Ah, ma come sei bravo. Allora credo sia giunta l’ora di usare il mio nuovo giocattolo!»

«… Di cosa– »

Daichi ha appena iniziato a rispondere che si blocca, gli occhi ridotti a due fessure mentre un leggero movimento dell’altro lo mette in allerta. Non gli è sfuggito: il braccio destro del Joker si è infatti appena spostato più in alto rispetto al mancino e questo dettaglio, seppure apparentemente irrilevante, pone Batman davanti ad almeno un paio di pensieri decisamente sgradevoli da affrontare. Primo fra tutti il motivo per il quale il Joker possa averlo voluto muovere in quella posizione, per quanto la normale causa-effetto solitamente applicabile a umani e metaumani non sia altrettanto facile da applicare su di lui; secondo, pensiero invece ben più preoccupante, come nonostante la fune lo leghi dalla vita in su esso risulti essere decisamente troppo libero nei movimenti, o almeno più di quanto Daichi avesse inizialmente programmato.

Lo scruta quindi in silenzio, e quando vede nuovamente la mano dell’altro muoversi con qualche difficoltà all’interno della tasca della lunga giacca non perde tempo a fare un passo avanti, le labbra che si stringono nel frattempo dietro la maschera a gas in una contratta seppur momentanea espressione di dolore. Durante lo scontro una pallottola, o forse più di una, è riuscita a ledere le carni normalmente protette dall’uniforme da Cavaliere Oscuro, e ad ogni passo può sentire fitte simili a lunghi tagli di siringhe mandare stimoli al suo sistema nervoso, avvertendolo della mancanza di reattività del muscolo anteriore.

«Tieni quella mano a vista.»

«Mhm? Oh, come vuoi.»

Qualcosa non torna.

Gli occhi di Batman non possono fare altro che fissare quel polso che va lentamente allontanandosi dal riparo offerto dalla giacca, e Daichi ha appena qualche secondo per constatare due cose: sia come la mano del Joker sia dischiusa in maniera stranamente innaturale, sia come il criminale, assieme al dorso graffiato e ammaccato da qualche livido in formazione, stia facendo uscire anche qualcos’altro alla luce fatiscente di quelle luci colorate, un dispositivo dall’aspetto duro e metallico, rettangolare a meno di una piccola antenna posta all’apice dello strumento.

Quella non sembra la formula che gli ha più volte chiesto di mostrargli, se può essere pessimistico a riguardo.

«Posalo.»

Dichiara velocemente, la voce bassa e autoritaria. Non ha sinceramente idea di cosa sia l’oggetto che il Joker ha appena tirato fuori, ma la luce rossa che lampeggia al di sopra del tondo bottone che l’altro tiene premuto con il pollice non sembra presagire nulla di buono.

«Oyha~ Come andiamo di fretta, Batfulmine. Lo farò presto, non preoccuparti. Ma~!»

«Nessun ma.»

L’espressione di Daichi è composta da un fascio di muscoli in tensione che squadrano in maniera ferma ed autorevole il criminale. Come è successo con lui riguardo le pazzie del Joker, però, sembra ormai anche il criminale abbia sviluppato una sorda reattività alle sue richieste: il suo sguardo rimane infatti a ciondolare tra noia e disinteresse mentre scruta con noncuranza il telecomando, mugugnando una cantilena strana nel mentre passa a rigirarlo di pancia e di schiena, muovendo il polso quanto le corde gli permettono di fare.

«Ma~ Prima dobbiamo dire le nostre ultime volontà. Non funziona così di solito?»

«Prima di cosa.»

Ed è allora, solo allora che lo sguardo del folle torna a posarsi su di lui, puntandosi sulla sua armatura nero pece come un faro sanguinante nella notte.



«Prima del B O O M.»



Il sorriso del Joker si allarga a dismisura nel dire quell’ultima onomatopea, un taglio netto che va a scindere rossastro la parte inferiore nel viso mentre gli occhi si allargano in maniera eccessiva, a definire un entusiasmo che non promette a Daichi nulla di buono.

«Cosa hai fatto.»

Chiede dopo qualche secondo, la voce ferma e la tonalità bassa. Joker ride, ride di gusto mentre il mento si alza ed il viso rimane puntato verso il soffitto per quella che sembra un’eternità, il respiro che scivola via dalle labbra sino a lasciarlo quasi senza fiato.

«Ah– Io? Io ero tutto per te, Batman. Mentre però giocavamo con i tuoi bat-balocchi, saltando come poliziotti su petardi e dedicandoci le migliori poesie d’amore degli ultimi venti anni, può essere che il mio gattino abbia messo per tutta questa grande e triste struttura una serie di piccoli regali per te.»

Batman rimane in silenzio mentre si trova istintivamente a far scivolare lo sguardo verso quello di Harlee, a studiarne i lineamenti ancora privi di qualsiasi espressività.

Dov’è stato Harlee durante il suo combattimento con Joker?

Prima non si era posto quella domanda, o almeno aveva ingenuamente pensato il ragazzo si trovasse semplicemente in un’altra sala, e che magari avesse raggiunto il compagno quando si era accorto di quello che stava accadendo. Una cosa tipo sesto senso, connessione mentale, quell’inquietante capacità a cui Batman aveva avuto più volte modo di assistere e che pareva permettesse ad entrambi avere un metaforico collegamento ombelicale che Batman giudica, oltre che malsano, sinceramente lontano da qualsiasi altra cosa abbia mai visto in tutta la sua vita.

Ora, però, uno scenario ben più preoccupante si fa strada nella sua mente: perché a ben pensarci è effettivamente raro vedere Harlee e Joker divisi, e la consapevolezza nata dall'immaginare cosa il più giovane possa aver fatto alle sue spalle mentre Joker lo teneva impegnato crea in lui una scomoda sensazione di essere stato, se non raggirato, sicuramente preso in fallo dai due criminali.

«Te lo ricordi quando ti dicevo se lo sentissi, Batman? Vuoi cambiare la tua risposta, adesso?»

E non ha bisogno di dire altro.

Perché la verità è che, per quanto Daichi vorrebbe ignorare quello che Joker gli sta dicendo, il seme del dubbio riguardo ciò che il folle avesse veramente in mente dall’inizio del combattimento – e forse persino da prima – si è già insinuato all’interno della sua mente non appena questi ha iniziato a parlare, ipotizzando cose che il vigilante vorrebbe con tutto se stesso fossero menzogne ma che si trova, di base, impossibilitato a verificare.

Poi, qualcosa cambia.

La musica si va spegnendo lentamente, terminando infine quella nenia terribile e stonata di auguri di buon Natale solo per iniziarne probabilmente una nuova, ed in quel frangente di tempo in cui tutto tace anche Batman può, finalmente, sentirlo.

Proviene dappertutto.

Dalle piccole scimmiette sedute sugli scatoloni, dalle travi, da alcune mensole in fondo, da dietro le luci intermittenti, e probabilmente anche dalle finestre strette poste in alto e che danno verso l’esterno, raso terra rispetto all’asfalto dell’ambiente fuori e raso soffitto all’interno. Potrebbero essere anche in altre sale, ed anzi probabilmente lo sono, ed il solo provare a quantificarle gli riesce talmente impossibile che alla fine si ritrova a chiederlo al Joker, la maschera che si contrae appena a seguire i movimenti dei muscoli facciali ora irrimediabilmente contratti in una smorfia di tensione.

«Quante ce ne sono?»

«Oh, non abbastanza per disinnescarne tutte. Quindi non sprecare nemmeno il tuo tempo a provarci.»

«Morirai anche tu, se premerai quel pulsante.»

Joker scuote la testa, il sorriso ancora presente su quel viso deformato dalla pazzia.

«Ohya~? Non ti ho insegnato nulla, quindi? Non c'è niente come un po' di morte, distruzione e fumo per fare una grande uscita di scena!»

Ed eccola di nuovo, la risata sguaiata di una iena scossa dai tremori di un’emozione troppo forte. Mostruosa, selvaggia, carnivora verso i suoi stessi simili.

«E poi lo sai, la vita è sopravvalutata! Vivere, morire, a cosa serve scegliere come andare avanti quando il finale è sempre lo stesso?! È una battuta già sentita, già vista, già fatta!»

Sono troppe.

Non importa quanto potrà mai provare ad essere veloce, sono troppe persino per riuscire a distinguerne i singoli ticchettii. È un rumore bianco, un battito funerario che rimbomba per tutto il magazzino definendo gli ultimi istanti di quelle mura marce e pesanti, e loro si trovano esattamente nel punto più lontano dalle poche uscite che possano rendere possibile a Batman una facile via di fuga con due prigionieri sulle spalle.

Daichi scruta silenziosamente il Joker, e nel rumoreggiare di quelle risate soffocate una sola domanda gli scivola via dalle labbra, assurdamente intima e umana.

«E Harlee?»

Joker piega appena la testa di lato a quella domanda, e in quel movimento Batman ha per un secondo l’impressione di stare davanti a Bokuto. Ma l’impressione è solo momentanea, perché anche in quella somiglianza di posizione le iridi di Joker esprimono un’acutezza e una spietatezza che quelle larghe e mielate di Due Facce stentano a mostrare, persino nei suoi momenti di pura, cieca pazzia.

«Mhm? Harlee? Verrà con me, naturalmente. Dove altro dovrebbe andare? Lui mi appartiene, Batman. È mio, non ha senso rimanga in un posto dove non ci sia io. Non è vero, Harlee?»

«–.»

La voce di Harlee non è che un sussurro. Daichi stenta persino a sentirla inizialmente, e nel momento in cui la riconosce la mente corre istintiva a domandarsi quanto tempo sia passato dall’ultima volta che ha sentito il giovane parlare. Saranno mesi, probabilmente. Eppure la voce risulta essere inconcepibilmente stabile ed atona persino in momenti come quello, persino davanti a quell’assurda richiesta da Joker formulata e da Harlee irrazionalmente accettata in un battito di ciglia.

Il Joker e Harlee sono una domanda più grande di qualsiasi risposta la mente umana potrà mai immaginare. Daichi lo ha in parte accettato, ma non potrà mai comprenderlo; è troppo per lui, è troppo per chiunque, ed ogni giorno si trova a ringraziare e allo stesso tempo condannare l’impossibilità di farlo, di capire quel rapporto e quella dipendenza reciproca che li ha uniti anni addietro in una macabra danza e che da allora li sta consumando come fuoco su una miccia.

Persino in quel momento.

Persino ora che è arrivata la fine.

«E allora, Batman–»

Un ultimo tentativo, gli occhi di Daichi che scavano all’interno di quelli del Joker, forse nella assurda e irrazionale speranza trovarvi un ultimo barlume di lucidità.

«Non farlo, Joker.»

Trovandovi solo buio pesto.



«B O O M!»











Batman non fa in tempo ad alzare un braccio per tentare un’ultima, strenua volta di fermarlo che Joker lascia il pulsante; un rumore secco ed intenso esplode a molti metri di distanza, e in un istante a questo se ne aggiunge un altro, e un altro, e un altro ancora. Le vibrazioni fanno tremare e cadere le piccole scimmiette dalle loro mensole dismesse, mentre le esplosioni sembrano comprimere l’aria e rendere instabile il terreno ai suoi piedi. Sopra di lui un rumore sordo e arioso lo costringe ad abbassarsi di scatto verso il pavimento, e non fa in tempo a guardare verso l’alto che è costretto a gettarsi di lato, schivando una trave in caduta libera ed indietreggiando lentamente verso l’uscita, lo sguardo impegnato nella ricerca del Joker e di Harlee.

Una lingua di fuoco gli impedisce la visuale ai lati, sopra e persino davanti a lui, ove un palo schiocca le sue frustate di legno bruciato a molti metri da lui e schegge scoppiano in mille frammenti, proiettando fiamme calde e rubiconde verso il soffitto.

Non riesce a vedere nulla: il fuoco e il fumo sprigionati dagli oggetti che stanno cadendo dall’alto sembrano aver creato dei muri impossibili da valicare, ma può sentire chiaramente da oltre questi la risata sguaiata di Joker graffiare l’aria ed echeggiare da ogni angolo della sala. Lo scricchiolio prodotto dal legno caldo e bruciante anticipa il cedimento di una seconda trave, di una terza, e mentre la musica degli altoparlanti va lentamente spegnendosi, prima allungandosi sinistramente e poi deformandosi man mano che i cavi dello strumento vengono sciolti dalle fiamme vive, anche la risata del Joker sembra mano a mano affievolirsi e scomparire, persa in quella bocca di inferno.



Daichi fa un passo in avanti, seppure difficilmente saprebbe dire il perché.

Sa benissimo cosa stia succedendo dall’altra parte, come sa bene di non poter fare nulla affinché ciò non accada. Il fuoco non ferisce, uccide, e forse quel passo di troppo è solo per cercare di rispondere alla domanda che tutti, a Gotham, si sono prima o poi fatti.

Può morire il Joker?

Solo il pensarlo gli fa un effetto sinistro. Assicurarsi della morte dei due criminali è una necessità, non solo nei confronti della salvaguardia di Gotham ma anche per clemenza verso la sua mente: deve dimostrare a se stesso ciò che col passare degli anni ha spesso rischiato di dimenticare, ovvero che – nonostante l’aspetto funesto, la mente fuori da ogni canone umano e l’inquietante immaginario che si porta dietro ad ogni atto criminale – Joker rimane, in fin dei conti, solo un uomo. Ecco perché Daichi sente di dover vedere quel viso, ed ecco perché necessita di scrutare nelle profondità di quel sorriso di morte dipinto sulla salma ustionata.

Non può fare nulla di tutto ciò. Non riesce a fare un secondo passo, infatti, che un’esplosione al piano inferiore lo costringe ad arretrare, una parte di pavimento che crolla sotto i piedi obbligandolo a poggiarsi ad una colonna che però cede subito, tranciata dalle vibrazioni eccessive e ora in caduta libera verso di lui.

È una corsa contro il tempo.

Batman riesce appena a fare qualche passo verso l’uscita coprendosi con il mantello quando un’altra esplosione porta alcune scimmiette a saltare in aria, una trave di ferro che sfreccia nella sua direzione a seguito dello scoppio di una tubatura. Riesce a piegarsi all’ultimo istante e rifugiarsi dietro una colonna crepata dal calore, ma non prima che la suddetta trave prenda di striscio la sua maschera, bloccandone il sistema di purificazione automatico dell’aria.

È una corsa contro il tempo che non ha.

«Joker!»

Tenta un’ultima volta, ma ormai il rumore è tale da non permettergli di sentire neppure una possibile risposta dell’altro, che sia ancora una risata o una battuta finale. Le fiamme sono alte, il fumo si addensa nell’aria rendendola difficile da respirare e, per quanto la maschera sembri ancora reggere quel minimo necessario a permettergli di sopravvivere, lo lascia comunque ansante, in difficoltà mentre tenta di scorgere una via di fuga per sé ed un modo per raggiungere ciò che resta dei due criminali.

Basta un rapido controllo però per capire come non abbia veramente altra scelta: gli occhi rimangono socchiusi, a scrutare per una manciata di secondi la sala ormai inagibile, prima di accettare come ormai non ci sia davvero più nulla da fare. Si gira verso la porta, varcandola ed uscendo di corsa nel tentativo di proseguire nella parte di corridoio ancora non crollata; esegue salti a mezz’aria, rotola di lato ad ogni esplosione troppo vicina, schiva oggetti e parti cadenti di soffitto mentre gli scoppi continuano a susseguirsi, i timer delle bombe lasciate per tutta la struttura che scoccano a pochi secondi l’uno dall’altro emulando una reazione a catena.



Quando alla fine esce, sfondando con un balzo una finestra dai vetri incrinati e rotolando fuori all’aria aperta, si rende conto di aver risolto solo la metà dei suoi problemi. Scocca la lingua contro il palato nel vedere i tirapiedi del Joker accalcarsi davanti ai cancelli d’uscita, mazze da baseball colorate e mitragliette automatiche alle mani, e decide di continuare a ignorare con insistenza il dolore alla gamba destra mentre corre direttamente verso di loro, abbassandosi e tirando calci ben assestati contro i primi della fila, gli altri che nel frattempo corrono verso di lui nel tentativo di creare un muro di carne che non lo faccia passare.

Daichi si abbassa il necessario per schivare alcune pallottole e nel frattempo gonfia i muscoli della gamba ancora completamente funzionante, accumulando energia a pochi centimetri dai corpi di due criminali e facendo infine perno sulle loro spalle quando abbastanza vicino. Sale su di loro con un balzo, e quando le mani si liberano dalla presa va a tirare il bat-rampino verso il fucile del soldatino gigante che si trova all’entrata, richiamandolo indietro per farti scagliare in avanti. Il colpo di frusta gli fa soffocare un gemito basso, le costole dolgono nei punti dove un paio di travi hanno quasi rischiato di seppellirlo mentre era ancora all’interno della struttura, ma stringe i denti mentre viene tirato via, appena prima che un’esplosione sradichi l’enorme porta dell’industria schiacciando altri quattro scagnozzi di Joker alle sue spalle.







È fuori, ma lo è senza prigionieri.

Si volta a guardare per l’ultima volta l’industria in fiamme, l’espressione impassibile mentre la mente viene attraversata ancora una volta da mille pensieri, mille dubbi, mille possibilità su cosa avrebbe potuto fare e non ha fatto, su cosa avrebbe potuto cambiare di quel giorno, sulla sorte di Gotham e sulle mille delusioni e possibilità che si susseguono in una realtà graffiata da terrorismo e corruzione.

Cosa ha sbagliato, cosa ha fatto giusto?

Non può salvare chiunque?

Non può dunque evitare la morte?

Ma non c’è una risposta per tutto, probabilmente. E così, mentre un’esplosione dietro l’altra riga l’aria con le sua frequenza acuta e fa tremare gli interni della bat-mobile ancora spenta, a Daichi non rimane altro che rimanere in silenzio, scrutando il cielo ormai oscurato da un tramonto macchiato di sangue, il fumo nero proveniente dall’industria che crea funghi pece sugli scheletri di quegli edifici abbandonati.

Prossima meta, signore.”

Il computer di bordo suona metallico, l’intonazione inespressiva nonostante i tentativi di Nishinoya per renderlo il più umano possibile, e Daichi si prende il suo tempo per rispondere, guardando quell’inferno di fuoco e di fiamme per qualche altro minuto; abbassa infine lo sguardo, portando le mani ai lati del viso e staccando l’ormai rovinata maschera per la depurazione dell’aria, buttandola sul sedile del passeggero prima di riportare le dita sul volante, la cintura che va a chiudersi automaticamente attorno al suo busto.

«Manicomio di Arkham.»

La giornata, in fondo, non è ancora finita.







°°°°







GOTHAM CITY – Arkham Asylum

22/12/1976 – Sera



Le tinte scure del manicomio di Arkham sembravano quella notte essersi dipinte della fredda intensa luce dei fari da ricerca, proiettati dalle torri di guardia poste sull’alto muro di contenimento della struttura verso le finestre dai vetri distrutti e le porte dai ferri piegati.

Orde di poliziotti muniti di armi di qualsiasi calibro correvano da una parte all’altra nelle vie principali che collegavano i vari edifici della struttura, e i suoni delle loro urla e dei loro spari si alternavano all’abbaiare dei cani che venivano lasciati liberi di braccare i pazienti in fuga. Tutto attorno era il caos, sangue ed interiora che venivano tirati fuori dalle loro tane di carne e vestiti, una sorte che accomunava sia chiunque opponesse resistenza ad ordini maggiori come anche chiunque, dall’altra parte, tentasse di bloccare la libertà di coloro che tentavano di ottenerla dopo anni di internamento.





La Bat-mobile si muove sulla strada come una macchia di inchiostro alla sera, dipingendo il suo tratto lungo lo sterrato sconnesso che si inserisce nelle strutture più interne del complesso manicomio. Ruggisce come un animale tenuto a stento a freno, obbligato dal conducente a controllare la velocità e la tenuta di strada mentre sfila lentamente oltre le sequoie piangenti che descrivono il tragitto che porta verso la struttura principale di detenzione di Arkham.

Una curva larga va a scoprire lentamente le torri ghiacciate sullo sfondo del tramonto ormai calato, e mano a mano che la macchina si avvicina a questa vista si aggiungono tracce distratte e sconnesse di vetri rotti, porte dai cardini scollegati, corpi riversi a terra e fontane dalle statue sfigurate e gli arti mancanti.

Daichi ferma la macchina in uno spiazzo all’ombra di una quercia, e fa appena in tempo a scendere che individua fra la folla il commissario, posto a molti metri di lontananza da lui e con quello che sembra essere un megafono di metallo brunito stretto tra le mani, atto a dare comandi ancora muti per le sue orecchie lontane, seppure in un tono che non fatica ad immaginare.



«… Batman?!»

Chiunque lo stia chiamando, dunque, non può essere Yaku.

Daichi si volta verso l’origine di quella voce così inaspettatamente giovanile più per istinto che per vero interesse, e quando lo sguardo scivola verso destra ciò che trova è– il vuoto. Una massa morbida e confusionaria di capelli aranciati occupano il punto dove si sarebbe atteso di incontrare una testa, e seppure accanto a quel cespuglio ribelle color carota sembri effettivamente esserci qualcuno – incredibilmente alto rispetto all’altro, per giunta – per qualche motivo dubita fortemente che quella voce, così acuta ed infantile, venga da quel ragazzo dai capelli scuri come la pece e gli occhi blu come la notte, al momento intento a fissarlo con una intensità che raramente ha visto esercitare dalla maggior parte delle persone mentre nei panni del Cavaliere Oscuro.

Abbassa gli occhi quindi, seguendo istintivamente le ciocche rosse per tutta la lunghezza dei capelli, e da dietro la maschera non può fare a meno di aggrottare un secondo le sopracciglia quando si ritrova da un momento all’altro davanti a due occhi grandi ed espressivi, un viso tondo e morbido che contorna quell’espressione di pura eccitazione, le guance piene che vanno a fare da palo ad una bocca aperta e scoperta in una palese necessità di gridare.

«Gwah–! Sei davvero tu?! Oddio, oddio! Tobio fagli la foto, Koushi sarà felicissimo quando lo vedrà!»

Il giovane si volta verso il ragazzo alla sua sinistra, tirandogli la manica per spronarlo a fare quello che gli sta chiedendo mentre l’altra scivola nel taschino del gilet che indossa, un curioso indumento dalla fantasia di righe verticali chiuso con dovizia sopra una camicia marrone scuro e un panciotto di cuoio. Estrae quello che sembra essere un piccolo taccuino, tentando di combattere per non far uscire anche l’orologio che custodisce pure al suo interno, e prende l'occasione per tirare appena una catenina del medesimo colore, per controllare che questa sia ancora robustamente ancorata ad uno dei passanti del pantalone alla Capri che indossa.

«– Ma sei stupido?! Ti pare il momento?! Non lo vedi che sta andando a dare una mano? Sugawara lo aveva detto, non avremmo dovuto avvicinarci al manicomio di Arkham, e ora guarda in cosa siamo rimasti incastrati!»

Daichi rimane in silenzio a fissare entrambi, lo sguardo imperturbabile e segretamente sovrappensiero mentre il più alto dei due sembra quasi intenzionato a far pagare con un bernoccolo in testa il probabile errore fatto dal più piccolo, la mano chiusa a pugno che va a sfregarsi con forza contro la testa rossa dell’altro.

«Tobio mi fai male!»

«Magari il calore ti mette in funzione il cervello, stupido Hinata!»

Il più piccolo si lascia andare ad una serie di lamenti petulanti all’azione del compagno, e mentre le verbalizzazioni continuano da ambo le parti la mano libera del ragazzo dai capelli carota viene portata sulla faccia del maggiore, nel tentativo di allontanarlo da lui.

Ma aspetta.

Hanno detto Sugawara?

«… Chi siete?»

Il ragazzo più alto – che in una manciata di secondi, nota Daichi abbastanza sconcertato, è riuscito a cambiare abbastanza volte posizione da riuscire ad arpionare entrambe le braccia attorno alle spalle dell’altro, come nel tentativo di trascinarselo via – sembra rimanere sorpreso dalla domanda, ma è quello più basso a prendere l’occasione al volo, usando la confusione del primo per liberarsi e facendo istantaneamente qualche passo verso di lui, taccuino e penna stretti nella mancina mentre porta la destra in avanti, in segno di saluto.

«Io– Io sono Shouyou, signore! Hinata Shouyou! Lui è Tobio Kageyama, noi siamo due giornalisti e– »

«Noi non siamo ancora giornalisti. Lui è un tirocinante, io mi occupo di fotografia. Siamo ancora in periodo di prova signore, e grazie a questa testa di gambero non saremo più nemmeno questo domani!»

«Ehi, non è colpa mia! Non potevo sapere sarebbe scoppiato il finimondo, e poi anche tu volevi venire qui a fare delle foto!»

«Dovevamo andarcene prima, sei tu che sei rimasto a parlare con il dottore per una vita!»

«Non posso scrivere niente se non parlo con la gente, stupido Tobio!»

«E per la tua parlantina adesso perderemo il lavoro, idiota di un Hinata!»

Daichi li vede continuare a battibeccare, e usa quel periodo di confusione per ricollegare le conversazioni avvenute con Koushi qualche settimana prima, cercando di ricordare il nome dei due apprendisti di cui gli ha effettivamente parlato. Che siano effettivamente i due ragazzi che ha ora dinanzi, ancora intenti a cercare di responsabilizzarsi a vicenda?

In quel caso, può dire con certezza che cercare di renderli dei giornalisti sembrerebbe più una mossa dettata dalla fede che dalla ragione.

O, conoscendo Koushi, dalla sensazione di sfida che quel tirocinio sembra portarsi dietro.

«State qui e non muovetevi fino a quando non sarà tutto finito. Ci siamo intesi?»

Dice infine, e qualcosa nella sua voce deve essere terribilmente inquietante perché a sentirlo entrambi si immobilizzano sul posto, la mano del ragazzo più grande chiusa a granchio a tirare la guancia tenera del più basso, quelle del più piccolo arpionate al braccio dell’altro nel tentativo di staccarlo dalla sua faccia.

Non passa nemmeno un secondo che si rimettono a posto, annuendo debolmente con entrambi gli sguardi puntati verso terra e le orecchie un po’ arrossate dall’imbarazzo di essere stati richiamati da qualcuno di più grande, e Daichi ha un rapido flash di quanto tutto ciò causerebbe l’ilarità di Sugawara, che lo ha sempre scherzosamente rimbeccato di aver adottato Nishinoya solo per poter esplicitare al meglio il suo lato da padre brontolone.

«Intesi?»

Ripete, e aspetta entrambi annuiscano una seconda volta prima di voltarsi nuovamente verso la meta originale, quasi più stanco per la breve conversazione avuta con loro che per la battaglia ingaggiata fino a poco prima con il Joker. Percorre qualche metro prima di arrivare davanti al commissario, appena in tempo per vederlo passarsi visibilmente stremato la mano sulla fronte, studiando la mappa aperta sul cruscotto di una delle volanti, ancora una volta inconsapevole del suo arrivo.

«Commissario.»

Yaku alza una mano, facendogli segno di stare in silenzio mentre rimane a guardare la mappa, alzando dopo qualche secondo gli occhi dalla cartina per urlare qualcosa dentro al megafono.

«Gruppo Beta, c’è un possibile punto debole sul lato ovest della struttura, settanta metri di distanza dalla vostra posizione!»

Batman vede un gruppo di agenti all’entrata voltarsi verso di loro e annuire, fischiando con le dita per richiamare un paio di cani accanto a loro. Li vede iniziare a muoversi velocemente verso il lato sinistro dell’edificio, e solo quando anche l’ultima delle divise è scomparsa alla vista Yaku si volta, le dita di lato sulla tempia e gli occhi che si posano su di lui, allargandosi nel riconoscerlo.

«… Batman! Aspettavo tue notizie per Joker, dove–»

«Non sono riuscito ad ottenere la formula.»

Yaku lo scruta in silenzio, le sopracciglia aggrottate mentre resta in attesa di ricevere altre notizie al riguardo, ma quando capisce che non le otterrà nell’immediato si limita a sospirare, tornando a guardare la cartina che ha sotto gli occhi mentre la stanchezza torna a coprire come un maschera di cera il viso segnato dalla mancanza di sonno.

«Bene, mi racconterai dopo. Adesso abbiamo un altro problema di cui occuparci.»

Batman va a guardarsi attorno, notando nella confusione della battaglia un paio di pattuglie entrare all’interno dell’edificio principale di Terapia Intensiva del manicomio, scomparendo velocemente quando inghiottiti dalle grandi porte di metallo.

«Quanti sono?»

«Una quarantina, forse di più.»

«Tutti?»

«No, solo quelli che non siamo riusciti a riportare nelle loro celle. Molti piani li abbiamo già riportati all’ordine, ma quelli più in basso sono… Particolarmente impegnativi.»

Batman annuisce lentamente, voltandosi velocemente nel sentire una serie di spari rimbombare secchi da una delle ali più esterne dell’edificio, sulla parte occidentale.

«… Dannazione.»

Yaku impreca sotto voce prima di prendere il ricetrasmettitore palmare da dentro la macchina, componendo un codice di poche cifre poco sotto la radio mentre si porta rapidamente la cornetta nera e grigia vicino alle labbra, facendo attenzione a non allungare troppo il filo di collegamento alla radio della macchina.

«Gruppo Beta, aggiornamento.»

Si limita a dire, ma Batman riesce a sentire chiaramente il nervosismo dell’altro mentre rimangono in attesa, la radio della macchina che emette un rumore sordo e gracchiato come unica risposta alla richiesta di Yaku.

«Gruppo Beta, rispondete. Qui è il commissario.»

Ancora silenzio.

«Gruppo Betaaccidenti, qualcuno mi vuole rispondere?!»

«Vado a vedere cosa è successo.»

«No.»

Yaku lo ferma, lo sguardo che si alza di scatto a scrutarlo con austerità.

«Qualcuno deve andare, commissario.»

«Esattamente, io e i miei uomini. Ushijima, Iwaizumi, Semi–»

Dichiara secco, la mano che si alza nel tentativo di attirare l’attenzione di tre poliziotti ad un paio di macchine di distanza; Batman li vede voltarsi verso di loro, lo sguardo che passa da Yaku sino a lui, probabilmente notandolo per la prima volta. Se sono sorpresi però non lo danno a vedere, e dopo una manciata di istanti i loro sguardi corrono nuovamente e velocemente verso Yaku, in attesa di ordini.

«Preparate il gruppo Alpha. Stiamo entrando.»

Daichi li vede annuire tempestivamente prima di girarsi nuovamente in avanti, probabilmente andando a cercare gli altri poliziotti necessari al commissario per andare in missione. Batman nota la velocità con cui si allontanano dai veicoli, si avvicinano a gruppi di poliziotti, impartiscono ordini: nessun dubbio appartengano alla squadra del commissario. Con questo pensiero torna tornare a guardare il commissario, ora impegnato a stringersi in maniera più ferrea le cinghie che fissano il giubbotto antiproiettile al suo corpo.

«Non dovreste farlo.»

«Siamo gli unici che dovrebbero farlo, siamo stati addestrati per questo.»

«Questi criminali non sono come gli altri.»

«E noi non siamo cittadini come gli altri. Vorrei fosse chiara una cosa, Batman–»

Yaku sistema le pistole, caricandole e mettendo le ricariche di scorta negli spazi adibiti sulla cinta.

«Non ti ho chiesto di venire qui per lavorare al posto mio e dei miei uomini. Ti ho chiesto aiuto per lavorare con noi. Se credi questo non sia possibile dimmelo subito, ma sappi che noi entreremo lo stesso, con o senza te al nostro fianco.»

Rimangono a fissarsi in silenzio, entrambi nella speranza che l’altro cambi idea. Ma il terreno è a favore di Yaku: i poliziotti sono molti, e già troppi sono quelli entrati nella trappola conosciuta con il nome di Arkham Asylum; arrivati a questo punto, la GCPD tenterebbe un approccio meno di forza e più di cautela solo sapendo che tutte le persone mandate al suo interno siano senza alcun dubbio ancora vive, ma sono passati interminabili minuti dall’ultimo contatto avuto con la pattuglia entrata prima della squadra Beta e il silenzio, in questi casi, non porta mai lieti notizie. Batman può vedere i colleghi esprimere ad ogni loro movimento le stesse emozioni di un gruppo di compagni alla ricerca di vendetta per i commilitoni caduti ed è abbastanza certo che, se anche ora entrasse all’interno della struttura completamente da solo e con Yaku all’oscuro della cosa, passerebbe comunque poco tempo prima che un altro plotone di poliziotti lo seguisse nelle viscere dell’edificio, il commissario in prima fila e a mascella contratta, per cercare di arginare e soffocare il caos che imperversa nei piani più bassi.

«Batman–»

Yaku sta ancora aspettando una sua risposta, tuttavia non si volta a guardarlo, il viso che rimane fisso a scrutare l’entrata di Terapia Intensiva ormai lasciata completamente esposta e scoperta a incursioni ed evasioni.

«Fammi sapere quando partite.»

Dice solamente, e vede sott’occhio Yaku annuire mentre Daichi si volta verso la bat-mobile, il mantello che fa un arco largo nell’aria nell’assecondare il suo movimento veloce mentre una serie di pesanti passi si susseguono velocemente nel terriccio in direzione del bagagliaio, alla ricerca di armi da ricaricare e sostituire a quelle perse durante il duello con il Joker ed Harlee.

Quello che erano stati Joker e Harlee.

Batman non può fare di chiedersi se anche quella fine facesse parte del suo ultimo piano.







°°°°







GOTHAM CITY – Arkham Asylum

22/12/1976 – Notte



Era stato difficile riuscire a riportare una situazione di controllo all’interno della struttura.

I prigionieri si erano dimostrati a tratti accondiscendenti, a tratti difficili da trattare, ma per la maggior parte semplicemente incapaci di creare una conversazione con la polizia. Dopo essere stati richiamati all’ordine e incitati ad eseguire ciò che veniva chiesto loro alcuni avevano deciso di attaccare le guardie, avventandosi su quelle più vicine o sulle altre che avevano creato un cordone di contenimento attorno ai gruppi di internati rimasti, mentre altri avevano semplicemente tentato di affondare i loro denti nelle carni dei poliziotti, gridando frasi sconnesse e perdendo contatto con il terreno mentre si arrampicavano sui corpi delle forze atte a riportarli nelle celle.

Quando Batman ed il commissario erano arrivati all’interno della struttura, seguendo le urla disperate di alcuni sottoposti di Yaku precedentemente entrati al suo interno, avevano trovato una situazione difficile da gestire, seppure non impossibile: era stato necessario molto lavoro, molti uomini, e davvero un ammontare di tempo non indifferente per riuscire a riportare tutti i vari pazienti nelle loro celle, con il risultato che era stato possibile fare una stima dei dispersi e dei deceduti solo quando anche l’ultimo di loro era stato nuovamente trascinato nella sua iniziale postazione, contando i cadaveri ed identificandoli grazie alle cartelle cliniche presenti negli uffici del manicomio.

Mancavano una ventina di pazienti, più o meno.

E il nome di Serpe era fra questi.







«Ne siamo proprio sicuri?»

La voce di Yaku è greve e controllata mentre scruta con attenzione il foglio con i nominativi, ripercorrendo con gli occhi l’intero documento mentre ascolta le guardie carcerarie dare la loro conferma per quella che potrebbe essere la quinta volta, ma a cui probabilmente seguirà una sesta. Accanto a lui Batman vede il poliziotto dai capelli corti e scuri stringere le labbra, le palpebre che vanno a socchiudersi lentamente mentre le iridi rimangono puntate su una singola riga a metà modulo, e dal modo in cui la mascella rimane contratta ed i pugni vanno a chiudersi stretti e tremanti ai lati della carta non fatica ad immaginare quale sia il nome che abbia catturato la sua attenzione.

«Chiamatemi l'ispettore Iwaiz– »

«Signor Batman!»

Batman volta leggermente il viso nel sentirsi chiamare, e non tarda a notare tra la folla immobile una specie di piccolo turbo umano portarsi tutto di corsa nella sua direzione, un taglio scombinato di capelli color carota seguito da una chioma scura e corta.

Ah, Sugawara non sarà affatto contento di saperli ancora lì.

«Signor Batman come è andata dentro, ci sono tanti feriti!? È vero che alcuni pazienti sono scappati?! Cosa farete adesso?! La GCPD ha un piano per riprendere i fuggitivi, o avete intenzione di lasciare Gotham in balia di infermi mentali?! Ho sentito che il sindaco ha promesso ingenti fondi per qualsiasi distretto deciderà di appoggiare la sua campagna, a lei ha promesso qualcosa?! È vero quello che si dice sul vostro essere super partes nella nostra politica?!»

Daichi rimane in silenzio mentre viene raggiunto da quel concentrato di domande, e lo sguardo rimane puntato per qualche secondo sul ragazzo più basso prima di salire verso l’altro, scrutandolo da oltre la maschera e lasciando che questo vada a fissarlo a sua volta, l’espressione concentrata e la macchina fotografica Press meticolosamente stretta tra le mani.

Inizialmente sembrava almeno uno dei due non fosse interessato a quell’intervista: ora, dal modo in cui quegli occhi paiano tentare di scavare oltre la sua maschera, sembra che quel periodo sia ormai passato, e che entrambi si siano riscoperti estremamente bramosi dello scoop.

Non che possa dire di non riuscire ad immaginarne il motivo, dopotutto. Primo tra tutti il fatto che – nelle vesti di Batman – abbia sempre accuratamente evitato l’incontro con la stampa, preferendo lavorare nell’ombra degli alti palazzi anche al fine di rendere piuttosto difficile scrivere articoli su di lui che non si tuffino in ipotesi ed presunte supposizioni dopo le prime righe.

Ma questi sono tirocinanti di Koushi; già solo l’idea di riuscire a convincere un uomo come lui, capace nel proprio lavoro ma anche incredibilmente attento a mantenere circoscritti i costi atti a portarlo avanti, a prenderne due – e non uno – nell’arco di qualche settimana è piuttosto esplicito della potenzialità giornalistica che quei due ragazzini devono avere. Da quanto Daichi ne sa, infatti, i cronisti che Sugawara porta sotto la sua ala sono rinomati in tutta la regione per essere uomini e donne di grande talento e forza di volontà, e non sorprende molti tirocinanti sperino di conquistare il loro impiego alla The Gotham Times anche e soprattutto nella speranza di poter essere affiancati da una personalità come la sua.

«… Civili? Chi vi ha fatto entrare?! Questa zona è chiusa al pubblico!»

La voce di Yaku è un fulmine di baccano che interrompe qualsiasi tentativo dei giovani di fare il loro lavoro tuttavia, e quasi istantaneamente Daichi lo può vedere accorciare a larghe falcate la distanza tra lui e i due ragazzi, prendendo per la collottola il più piccolo e per una delle bretelle scure che indossa sopra la camicia celeste l’altro.

«Siamo giornalisti, non siamo civili! Ci lasci andare!»

«I giornalisti sono civili, ragazzino! Adesso andremo in centrale e mi spiegherete tutto, che ve ne pare?!»

«Centrale?! Questo è intralcio alla giustizia, la gente deve sapere la verità! Batm–!»

Batman li guarda muoversi velocemente, cercando di allentare senza successo la presa di Yaku su entrambi. Per quanto il responsabile del dipartimento della GCPD sia più o meno della stessa altezza del ragazzino dai capelli color carota, e quindi nettamente più basso rispetto a quello con i capelli neri come l’inchiostro, deve al momento star puntando uno sguardo abbastanza intimidatorio verso entrambi da non farli veramente sentire a loro agio nel loro tentativo di liberarsi: tentano una, massimo due volte, poi quelle prove diventano solo blandi tentativi di fargli allentare la presa, nella incerta speranza – forse – di farlo anche diventare più docile di espressione.

«Come posso fare intralcio alla giustizia, se sono il commissario?! Voi due–»

«Corruzione, corruzione! Aspetti lo sappia il signor Sugawara, vedrà come–!»

Non riesce nemmeno a finire che il ragazzo con i capelli neri gli tira un veloce calcio dietro il ginocchio, facendogli perdere per un secondo la tensione necessaria a stare su.

«Idiota, se lo viene a sapere il capo ci revocano il tirocinio, non ricordi cosa aveva detto su Arkham?!»

«… Vero– Aspetta che non lo sappia il signor Sugawara, allora!»

«Cosa dovrebbe anche solamente significarmi una frase simile?!»

Yaku ora è aggressivamente confuso, oltre che incredibilmente puntato nel suo nervosismo da mancanza di sonno causata dalla settimana impegnativa. I tre stanno ancora battibeccando quando Batman sente una piccola vibrazione espandersi dal polso della mancina, e lo sguardo cala in basso nel vedere una piccola luce rossa accendersi ad intermittenza accanto alla piccola radio che porta poco sotto il palmo, il piccolo schermo che segna un numero sconosciuto che richiede l’autorizzazione di entrare in contatto con lui.

Rimane un secondo in silenzio, alzando lo sguardo per posarlo sull’unico uomo non faccia parte della sua famiglia – o che non conosca la sua vera identità – che lo abbia mai contattato su quel profilo, prima di alzare il polso davanti al suo viso, premendo il tasto per l’attivazione del piccolo altoparlante.

«… Come–»

«Ohya, ohya~ allora Batman, tutto bene alla festa? Chi ha portato lo spumante alla fine?»





Non è possibile.











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Quanto sono lenta?
Tanto. Ma sono giustificata! Sono sotto sessione estiva e ho iniziato le commissioni artistiche, quindi ho pochissimo tempo libero mannaggia. Ma! Ma ma ma ma! Sono qui.
Apposta per voi.
Perché vi voglio bene.
QUESTO ERA IL PENULTIMO CAPITOLO! Fatemi sapere impressioni, interessi, dubbi. Apprezzo tantissimo le recensioni e rispondo sempre a tutti! ♡ Che ne pensate della presenza di Tobio e Hinata? Non potevo non farli intervenire almeno una volta dopo tutto, sono troppo carini. Spero che siano anche abbastanza IC!
Scusate se questo capitolo dovesse avere molti errori ma la correzione è stata piuttosto blanda, e ammetto anche un po’ superficiale. Ma ero in super ritardo e non volevo peggiorare ancora di più e allargare le attese! Un bacio!
Alla prossima… Che sarà anche l’ultima! (ZAM ZAM)

Ps. Il titolo completo è: "Gli addii possono essere sconvolgenti, ma i ritorni sono sicuramente peggio". ♡

  
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