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Autore: Emmastory    20/07/2018    5 recensioni
Un anno è trascorso alla foresta delle fate. Ormai è inverno e non più primavera, e con il tempo che scorre e la neve che cade, la giovane Kaleia non sa cosa pensare. Il tempo si è mosso lesto dopo il volo delle pixie, con l'inizio di un viaggio per una piccola amica e il prosieguo di uno proprio per lei. Che accadrà ora? Nessuno ne è certo oltre al tempo e al destino, mentre molteplici vite continuano in un villaggio e una foresta incantata. (Seguito di: Luce e ombra: Il bosco delle fate)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Capitolo II

Calore umano

Erano trascorse tre ore, e alla fine mi ero addormentata. La sorta di lite che avevo avuto con Christopher mi aveva a dir poco debilitata, e nonostante non avessimo davvero litigato, ora, da sveglia, non facevo che guardarlo. Restando in silenzio, non proferivo parola, e con gli occhi fissi su di lui, notavo la preoccupazione presente nei suoi. Ero riuscita a dormire perché calmata dalle sue carezze, e avvicinandosi, voleva sincerarsi del mio attuale stato d’animo. “Va meglio, amore?” chiese, sedendosi sul letto e scostandomi una ciocca ribelle dal viso. “Sì, e scusami per prima. Non volevo.” Risposi, sperando nel suo perdono dopo quel mio inaspettato scoppio emotivo. “Su, non scusarti. È del tutto normale, e in ogni caso, appartiene al passato.” Replicò, sorridendo debolmente e prendendomi la mano con delicatezza. “Normale?” non potevi evitare di chiedere, facendogli eco e attendendo che si spiegasse meglio. “Sì, vedi? È scritto anche nel libro.” Chiarì, sporgendosi quanto bastava per arrivare al mio cuscino e tirarlo fuori. A quella vista, raggelai, e diventando una vera e propria statua di granito, non riuscii più a muovermi. L’avevo già consultato una volta, e dopo quanto avevo scoperto, avevo cercato di nasconderlo alla mia stessa vista, così che la curiosità non avesse la meglio su di me. A quanto sembrava, c’ero anche riuscita, fino a quel fatidico momento. “No, mettilo via.” Biascicai, con la voce ridotta ad un sibilo dettato dalla paura. “Cosa? Perché? Tesoro, è soltanto un libro.” Cercò di rassicurarmi, calmo e paziente com’era solito essere. “L’hai mai letto prima?” gli chiesi, spaventata e tremante come un povero coniglio provato dal freddo appena fuori dalle mura di casa. “Certo.” Rispose soltanto, evitando di scomporsi e tornando a sedersi comodamente. “Bene, anch’io.” Dissi a quel punto, colta nuovamente da una forse ingiusta rabbia, che intanto aveva ripreso a crescermi dentro. Scivolando nel silenzio, Christopher non disse nulla, e solo dopo attimi trascorsi nel mutismo, decise di parlarmi. “Quindi l’hai scoperto, vero?” indagò, improvvisamente sconsolato. Confusa, scossi la testa, e avvicinandomi, attesi ancora. “Che… che cosa?” sussurrai appena, sentendo la collera trasformarsi lentamente in fredde e amare lacrime. “Noi due. Non potremmo stare insieme. È per questo che sono scappato, ricordi?” mi rispose lui di rimando, stringendomi ancora la mano e accarezzandola lentamente. Lasciandolo fare, gliela strinsi, e non riuscendo a trattenermi, unii le nostre labbra in un bacio dolce, caldo e tenero, in netto contrasto con l’atmosfera appena oltre il vetro della mia finestra. Fu quindi questione di un attimo, e prendendo parte a quel lieve contatto, ne assunse il controllo, guidandomi in quello che lentamente divenne qualcosa di diverso da un semplice sfiorar di labbra. Pur volendo, non approfondii quel bacio, e quando ci staccammo, faticai a respirare. “Lo ricordo, e hai ragione, ma non mi importa. Ci siamo incontrati per caso, ma ti amo, e non potrei lasciarti.” Dissi poi, ritrovando la calma ormai persa e il coraggio di esternare per l’ennesima volta i miei sentimenti. Conoscendomi, sapevo di non mentire, e non appena quelle parole trovarono la libertà grazie alla mia voce, mi sentii incredibilmente più leggera. Ci eravamo baciati più di una volta, e quella non era certo la nostra prima dichiarazione d’amore, ma per qualche strana ragione, la sola vista di quel libro aveva risvegliato in me il ricordo del dolore provato nel giorno della sua sparizione dalla mia vita. Si era trattato soltanto di pochi giorni, ma al suo ritorno avevo promesso a me stessa che non l’avrei perso ancora, e ora intendevo mantenere questa promessa, una promessa che avevo fatto sia a me stessa che a lui. Tentando di ricacciare indietro le lacrime, mi fermai a guardarlo, e baciandomi ancora, si godette assieme a me la purezza di quel momento, con la cui fine, continuò a stringermi le mani, follemente innamorato di me come di nessun’altra. “Neanch’io, tesoro, neanch’io.” Mi disse infatti, dando conferma alla speranza che covavo nel cuore e nascondevo dal giorno in cui ci eravamo incontrati per la prima volta. A quelle parole, mi sciolsi come fredda neve a contatto con il caldo sole, e con ancora le lacrime agli occhi, sentii un nodo serrarmi la gola. Non riuscivo a parlare né a respirare, ma ero felice. Solo maledettamente felice. “Davvero?” chiesi, in un moto d’insicurezza nato da quella così accorata confessione. “Davvero, fatina mia, davvero.” Rispose lui, facendosi più vicino per stringermi in un abbraccio e raccogliere le mie lacrime con il pollice fino a cancellarle dai miei occhi. In quel momento, avrei voluto restare con lui, ma improvvisamente, un suono attirò l’attenzione di entrambi. Voltandomi, fissai lo sguardo sulla finestra chiusa, e fu allora che lo vidi. Midnight, il merlo di mia sorella, fermo sul davanzale della finestra, ed emettere quel suo caratteristico verso, un canto alle mie orecchie tutt’altro che melodioso, che credevo di aver imparato ad ignorare. Per mia sfortuna, non era stato così, e scoprendolo, non potei trattenere una chiara espressione di fastidio. “Cos’ha da urlare quell’uccellaccio?” chiesi, pensando ad alta voce e parlando più con me stessa che con Christopher. “Non lo scopriremo finchè non andiamo. Vieni?” disse lui in risposta, stranamente divertito dalla mia stizza. “Va bene.” Concessi, decidendomi a scendere dal letto e appoggiandomi al braccio che intanto mi aveva romanticamente offerto. Lentamente, varcammo insieme la porta della mia stanza e poi quella di casa, uscendone senza un fiato. Una volta fuori, venni colta da un freddo che non anticipai, e sforzandomi di mantenere la calma, esitai. “Stai bene?” non tardò a chiedermi Christopher, con una vena di preoccupazione nello sguardo e nella voce. “Sì, sì, non è niente. Fa solo freddo. Per fortuna non nevica.” Fui veloce a rispondere, tentando di dissimulare un malcelato malessere reso più sopportabile dalla sua sola presenza. Mantenendo il silenzio, Christopher si limitò a sorridere, e stringendomi a lui, trovai conforto fra le sue braccia. Di lì a poco, il canto di quello sconsiderato merlo cessò, sostituito dall’allegro squittire del mio amico roditore. “Bucky!” chiamai, staccandomi dal mio lui e chinandomi per salutarlo. “Vieni!” lo incoraggiai, mostrandogli la mano e invitandolo a prendere come sempre posto sulla mia spalla. Obbedendo, il piccolo parve annuire, e in un attimo, mi fu accanto. “Sempre inseparabili, vedo.” Commentò allora lo stesso Christopher, fingendosi geloso di quell’adorabile palla di pelo. “Totalmente.” Risposi subito io, sorridendo divertita dal suo essere così spontaneo. “Come noi.” Non mancai di aggiungere, dandogli un altro bacio e rassicurandolo con amore e dolcezza. “Lo so, piccola, non preoccuparti.” Mi rispose in un sussurro innamorato, poco prima  di ricambiare quel contatto e farmi ardere le guance come il focolare acceso in casa. Lasciandolo fare, non mi sottrassi a quella manifestazione d’affetto, e  quando questa ebbe fine, notai qualcosa. Come sempre, Bucky mi era rimasto accanto, ma solo ora scoprivo che una sorta di piccola sciarpa gli pendeva dal collo. Stando ai miei ricordi, non gliene avevo certo regalata una, e tacendo la mia scoperta, non dissi nulla. Fingendo indifferenza in realtà non provata, mossi qualche incerto passo fra la neve, scorgendo in lontananza un viso amico. Sky. Taciturna e quieta come l’acqua del lago ormai gelata, restava in piedi a fissare quella distesa di ghiaccio, e pur notandomi, non si voltò. Non volendo disturbarla, la salutai con un solo cenno della mano, avendo poi il piacere e la fortuna di vederla sorridere. Alla sua vista, Bucky squittì contento, e lasciando la mano di Christopher, mi avvicinai. “Sei stata tu?” chiesi, indicando per un attimo con lo sguardo la nuova sciarpina del mio scoiattolo. “Che posso dire? Mi piace il sorcetto.” Rispose lei, tanto tranquilla quanto sincera, per poi ridursi al silenzio e fissare stavolta gli occhi sull’orizzonte. Poco dopo, un fischio ben modulato abbandonò le sue labbra, e rispondendo a quella sorta di richiamo, Midnight volò nella sua direzione, fino a posarsi sulla sua spalla e imitarla nel guardare dritto davanti a sé. “Sky?” chiamai, volendo soltanto attirare la sua attenzione. “Sì?” chiese lei, spostando lo sguardo dall’orizzonte al mio viso. “Grazie.” Sussurrai al suo indirizzo, grata di quel gesto pieno di considerazione. Inizialmente, il suo rapporto con Bucky non era certo stato dei migliori, ma ora lo vedevo mutare lentamente. Restavo in silenzio, non proferivo parola, ma con la quiete padrona del mio animo, potevo dirmi orgogliosa di avere una sorella come lei. Eravamo diverse, ma sempre tali, e mentre il tempo continuava a scorrere, e l’affatto caldo mattino sfumava in un assolato pomeriggio, io le restai accanto, e non sentendo altro che il sibilo del vento, l’abbracciai. Ad essere sincera, non sapevo se la profezia della signora Vaughn si sarebbe mai avverata permettendole di trovare l’amore e non dirsi più sola, ma nonostante tutto lo feci comunque, sicura che come ogni persona o essere vivente al mondo, anche lei avesse bisogno di calore umano.   

 
   
 
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