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Autore: NyxTNeko    21/07/2018    1 recensioni
Roma, 37 d.C.
Una giovanissima schiava proveniente dalla Gallia, abile conoscitrice di ogni tipo di erba, approda nella Città Eterna. Divenuta libera, la sua vita sembra essere destinata a svolgersi nell'ombra della Capitale del Mondo...fino a quando il potere non entrerà dalla porta della sua piccola bottega di filtri e veleni e le stravolgerà l'esistenza risucchiandola inevitabilmente nel suo vorticoso buco nero.
Locusta, la prima serial killer della storia, fu un personaggio enigmatico, quasi leggendario, di cui si sapeva davvero poco anche ai suoi tempi, una cosa, però, era assolutamente certa: la strega di Nerone non sarebbe sopravvissuta a lungo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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"Nam quae prima solo ruptis radicibus arbos 
velliturhuic atro liquuntur sanguine guttae 
et terram tabo maculantmihi frigidus horror 
membra quatit gelidusque coit formidine sanguis"
Virgilio, Eneide, IIvv. 27-30

Roma, 24 marzo

- Mi avete fatta chiamare? - domandò umilmente Locusta al cospetto di Poppea Sabina, chinando il capo.

Non appena vide il suo aspetto delicato, femminile, ma che evidenziava i primi segni dell'età e delle piccole porzioni di veleno che ingeriva ogni mattina, sulle labbra di Poppea si formò un sogghigno fugace, che fece sparire per mostrarle un'espressione più docile e pacata - Così siete voi la famosa Locusta, la donna capace di placare le angosce del mio futuro marito, in grado di scacciare i demoni dal suo cuore, una dote non molto comune - l'adulò facendole segno di avvicinarsi al suo cospetto.

Era languidamente sdraiata su di un preziosissimo triclinio, realizzato dalle meravigliose mani delle sue schiave persiane. Con la mano la invitava a sedersi sul tappeto posto ai suoi piedi.

Per affetto nei confronti di Nerone, Locusta non rifiutò di obbedire al suo volere, seppur non molto convinta dalle intenzioni di quella donna. Il suo sguardo era addirittura più terrificante di quello dell'Augusta; mestamente compì alcuni passi, fermandosi a pochi centimetri dal triclinio e, sempre a testa bassa, attese che la futura imperatrice le parlasse. Rimase immobile, al pari di una statua di marmo.

- Pensavo che aveste seguito Nerone in Campania - disse Poppea suadente, la sua voce simile ad un sibilo, in grado di ipnotizzare qualunque uomo - Per quale motivo avete deciso di restare qui? 

- Per eseguire il suo volere, esattamente come fate voi, Poppea Sabina - rispose prontamente Locusta - L'ultima cosa che desidero è vederlo adirato, come vorrei che fosse sempre felice...

- Per questo avete approvato tacitamente la sua dura scelta di...

- Si, a volte bisogna compiere dei sacrifici se si vuole raggiungere la pace interiore, è stato lui a dirmi ciò - rispose Locusta alzando la testa e guardandola benignamente.

Poppea osservava nuovamente quella donna così insolito: il suo aspetto,  prossimo alla decadenza, non sminuiva la sua forza d'animo. Non dimostrava affatto l'età raggiunta, al contrario, l'involucro che custodiva la sua anima era ancora energico, pronto all'azione e disponibile all'obbedienza, mai cieca e fanatica, sempre dettata dal buon senso. L'affetto di Locusta era onesto, non l'avrebbe mai tradito né tantomeno complottato contro di lui.

- Vi prego Poppea, voi che avete l'età e i mezzi per farlo, non lasciatevi acceccare dal potere, amatelo come lui ama voi - la supplicò fissandola intensamente - All'apparenza può sembrare un po' sciocco e capriccioso, ma in realtà è intelligentissimo, molto buono, a volte persino ingenuo, e possiede un cuore d'oro, purtroppo a pezzi - si fermò, le sorrise e proseguì - Due cuori infranti dovrebbero ricomporsi a vicenda, o no?

Quella domanda retorica la colpì molto: Locusta riuscì a comprenderla al volo, a leggere il suo dolore, la sua vita di fatiche, di stenti e di rinunce che la temprarono e le strapparono la spensieratezza della gioventù.

Le continue, pesanti accuse mosse dall'Augusta di immoralità, e persino la condanna a morte del suo primo marito, Rufrio Crispino, un capo della guardia pretoriana, ordinata nuovamente da quell'odiosa Agrippina, non erano riuscite comunque a smuoverla dal suo intento di raggiungere la gloria. Aveva ottenuto la sua vendetta grazie a Nerone, il quale l'aveva accontentata togliendo gli onori e la scorta di germani alla madre.

E quando seppe della sua dipartita non poté non rallegrarsi di essersi finalmente sbarazzata di quella vipera.

Mancava l'ultimo tassello: Ottavia, una donnicciola così pudica e casta da farle venire il voltastomaco, sensazione che aveva notato anche nel Princeps, stufo di averla al suo fianco. Voleva quella donna morta!

Locusta era riuscita a leggere tutto quanto nella sua anima martoriata. Era stato probabilmente ciò ad aver spinto Nerone a tenerla sotto la sua protezione.

- Ci proverò, Locusta - riferì solamente, velando il suo turbamento - Ma sarà comunque difficile con un uomo che desidera essere amato più come un figlio che come un marito, e in effetti, voi avete sia l'aspetto sia l'età di una madre...

- Non interferirò con il vostro compito, Poppea, voi sarete la futura moglie e  imperatrice, ed io semplicemente Locusta, l'avvelenatrice, la strega

- Siete una donna molto intelligente e mi piacete - sorrise compiaciuta - Ora potete pure andare, Locusta, questa conversazione è stata molto utile...

Era abbastanza saggia da capire i ruoli e gli spazi, non sarebbe stata un ostacolo, bensì una risorsa, una carta da usare a proprio vantaggio, avendo, essa, un forte ascendente sull'imperatore.  
 

Il sonno del giovane Princeps era agitato - Lasciatemi...lasciatemi andare! - urlava ripetutamente mentre stringeva con forza il lenzuolo sul quale era sdraiato, si girava e si rigirava continuamente, in preda all'angoscia e al terrore, agitava le braccia come se volesse scacciare i demoni che ricominciavano a popolare i suoi sogni tramutandoli in incubi spaventosi.

- Andatevene viaaaaa - gridò Nerone un attimo prima di riaprire gli occhi: si accorse di essere solo nella stanza. 
"Era solo un incubo..." si disse alzando il busto e toccandosi il viso sudato - Quante ore avrò dormito? Non ricordo... - si scompigliò i capelli di fuoco e si mise seduto sul bordo dell'ampio letto. Riprese a respirare regolarmente.

Aveva indosso ancora i suoi abiti regali, probabilmente era crollato dal sonno senza nemmeno essersene accorto; infatti non ricordava più nulla di ciò che era accaduto dopo il compimento del matricidio, sapeva solo che le tempie gli pulsavano, incessantemente. Non rammentava nemmeno del come e quando fossero tornati a palazzo.

Chissà quanto aveva bevuto...

Girò la testa in direzione della luce che proveniva dalle sue spalle cercando di ricordare; improvvisamente, balzò in piedi ed uscì, corse per cercare il filosofo, lo trovò curvo a scrivere, nella stanza accanto alla sua.

- Buongiorno altezza - gli rivolse quando se lo vide passare davanti, leggermente intontito e confuso.

- Buongiorno a voi, Seneca...cosa state scrivendo? - gli chiese grattandosi la testa.

- La missiva per il Senato, siete stato voi stesso ad ordinarmelo, non vi ricordate?

- Al momento è già tanto se mi ricordo come mi chiamo - ammise Nerone accasciandosi sul suo letto, intatto - Ho un mal di testa terribile... - si massaggiò le tempie insistentemente.

- Posso immaginarlo, maestà - alzò la testa per guardarlo e proferì ridendo - Ieri sera vi siete scolato quasi tutto il vino della villa, dopo aver contemplato il cadavere di vostra madre, non vi vedevo così euforico dai tempi in cui ero ancora il vostro tutore personale...

- Quindi gli incubi che ho avuto stanotte sono dovuti alla sbornia? - domandò l'imperatore osservando il soffitto.

- Probabilmente...anche se non sono sicuro...credo che sia stato di più il mastodontico banchetto... - gli fece presente in maniera composta.

- Quando siamo tornati a Roma?

- Non appena siete crollato dal sonno, altezza imperiale, non riuscivate più ad elaborare una frase di senso compiuto, parlavate per metà greco e per l'altra metà latino, oltre a non reggervi più in piedi...

Nonostante l'ex precettore continuasse ad esporargli le varie vicende, girovagando, Nerone non riusciva a fare mente locale di quegli avvenimenti, gli parevano distanti e il mal di testa non accennava a diminuire - Basta...basta...ve ne prego...piuttosto elencatemi i programmi della giornata

- Per prima cosa dovete leggere questa davanti a tutto il Senato e...

- Non ho proprio voglia di mostrarmi trionfante a quei vecchi caproni - borbottò infastidito l'imperatore.

Seneca sapeva benissimo dell'astio che Nerone provava verso i senatori, non poteva biasimarlo: i membri del Senato non erano certamente degli uomini il cui pensiero era rivolto al bene della popolazione e dell'Impero. Più e più volte l'imperatore aveva alzato la voce per cercare di cambiare la situazione, poche erano state quelle in cui lo avevano ascoltato.

- Mandate qualcuno al mio posto - comandò il Princeps alzandosi in piedi e sovrastandolo con la sua imponenza - Preferisco parlare con gente di buon senso...

- Ossia, maestà?

- La gente comune, Seneca, è l'unica che mi ascolta davvero - gli rispose con amarezza.

Il filosofo sorrise a testa bassa, a differenza di tanti altri prima di lui, Nerone non aveva mai dimenticato le esigenze del suo popolo "Agrippina se solo vi foste resa conto di che figlio avevate, forse adesso..."

- Vado a prepararmi, il popolo mi aspetta - emise saltellando, dopo aver ritrovato il suo consueto umore.  
 

Nerone venne accolto con tutti gli onori dal popolo, il quale credette alla sua buona fede e alle sue parole: non avrebbe mai agito contro di loro. Fu un grande sollievo per molti sapere che finalmente quella donna era fuori dai giochi.

Niente e nessuno avrebbe potuto fermare il suo grandioso progetto di rinnovamento, nemmeno il Senato stesso, che credette alla versione "ufficiale" della vicenda e cioè che l'Augusta si era suicidata, non essendo riuscita ad uccidere il figlio.

Solo un uomo non si lasciò abbindolare da quella menzogna, un fiero e noto oppositore dell'imperatore: il senatore Publio Clodio Trasea Peto - Preferisco uscire da questo marciume, piuttosto che accettare di credere a simili fandonie! Fuori di qui potrò dire ciò che penso di ognuno di voi, imperatore compreso - sbraitò nel momento in cui mise piede fuori dalla Curia, disgustato dall'atteggiamento lusingatore di quella gente priva di dignità. 
 

- Ave Cesare - salutarono in coro, con il braccio teso, i tribuni militari e i centurioni mandati da Afranio Burro per congratularsi dello scampato pericolo.

- Salute a voi, miei fedelissimi - ricambiò il saluto gioiosamente - La vostra dedizione mi esalta - esclamò infine osservando quei militari con il viso appoggiato sul palmo della mano.

- La vostra vita è la nostra, Cesare

- Si...si... ora andate pure, e ringraziate il prefetto Burro, che si preoccupa tanto della mia incolumità

Uno ad uno lasciarono la stanza del trono, quando si svuotò Nerone poté tirare un sospiro di sollievo e godersi la tanto bramata libertà - Finalmente quei rompiscatole se ne sono andati...l'ho sempre pensato che l'inquadramento militare fa ammattire il cervello...

Afferrò la cetra e mentre le sue dita scivolarono tra le corde dello strumento, la maschera di ebetudine indossata fino a quel momento si sciolse. 

Odiava doversi ancora mostrare come uno sciocco incapace, lo irritava profondamente, per fortuna il tempo della dipendenza era giunto al termine e tra non molto avrebbe rivelato la sua vera natura al mondo intero.

- Vi divertite alle mie spalle - irruppe una voce femminile dietro di lui che lo fece sobbalzare, ma non appena intuì chi fosse si tranquillizzò.

- Perdonatemi Poppea cara - si scusò arrossendo - Non mi hanno dato un attimo di tregua...inoltre non mi sono ripreso del tutto dalla sbronza... - confessò ridendo Nerone. Lasciò il primo e sincero amore per raggiungere quello nuovo e carnale.

- Allora sarò io la vostra cura... Nerone... - Lo prese per mano e lo guardò dritto nei suoi occhi chiari, azzurri come il più superbo dei cieli primaverili. L'imperatore si perse nel suo sguardo profondo, abissale e lasciò che fu lei a dominarlo quel giorno.
 

- Devi pagare per il tuo delitto...devi pagare per il tuo delitto...devi pagare per il tuo delittoooo! - ripetevano sempre più rabbiose tre strane figure alate dall'aspetto di donna.

Volavano intorno al povero Nerone, che aveva assunto l'aspetto di Oreste, uno dei matricidi più famosi della letteratura classica, molto conosciuto dall'imperatore  stesso. Era posizionato al centro di uno spazio vuoto, nero; si copriva le orecchie e gli occhi terrorizzato - Lasciatemi in pace... andatevene via da me!

- Ahhhhhhhhh - proseguirono le tre donne con la bocca spalancata ruotando vorticosamente attorno al malcapitato, il quale per difendersi dalla loro vendetta si mise in ginocchio, abbassando la testa.

- Non puoi sfuggire alla vendetta delle Erinni, delle Furie, hai commesso il matricidio, devi pagare con la tua vita! - aggiunsero le tre donne colpendolo violentemente sulla schiena con torce e fruste. Si avventarono su di lui e gli sfilarono le vesti.

- Voi non potete capire...ho dovuto farlo... - si giustificò angosciato, coprendosi la parte inferiore del corpo con le mani.

- Ahhhhhhhhhhh - fece di nuovo una della tre, Tisifone, strappandosi uno dei serpenti che sostituivano i capelli - Assassino...assassino...matricida...matricida...

Al monologo disperato si aggiunsero le altre due sorelle: Aletto e Megera, la prima gridava in ginocchio, stracciando rumorosamente le vesti di Nerone, la seconda, invece, non la smetteva di torturarlo lanciando i tizzoni ardenti sul corpo del giovane.

- Basta vi prego...la colpa non è mia...è di mia madre...è lei ad avermi rovinato la vita...io volevo solo essere me stesso e alla fine sono diventato imperatore...contro il mio volere...l'ho fatto per non precipitare nel baratro della follia...

Agrippina in persona apparve dinanzi a lui, Nerone tentò di nascondere la faccia, le Erinni, però, brutalmente gli tirarono i capelli e lo obbligarono a guardarla - Eccola tua madre - gli indicarono strattonandolo - Esattamente come tu l'hai contemplata, in preda al delirio

L'imperatore tremava di paura alla sua vista: i suoi capelli scomposti svolazzavano in aria, simili a quelli di Medusa, le vesti erano gronde di sangue rappreso, un tutt'uno con l'abito. Gli occhi erano stralunati, balenanti, furenti, i capillari talmente evidenti da ricoprire interamente la sclera bianca: rendevano ancora più sinistre le iridi chiare.

- Che tu sia maledetto, Nerone - digrignò  Agrippina, estrasse il pugnale dal ventre squarciato, alla vista del sangue zampillante il Princeps si sentì mancare - Non ci sarà posto riservato a te nei Campi Elisi, solo l'eterno vagabondare al di fuori dell'Averno, insieme a me - emise feroce la donna nell'atto di colpirlo. ‎La lama brillò sinistramente nelle sue pupille...

Un urlo agghiacciante squarciò la notte.

Ottavia, al fianco del Princeps si svegliò di soprassalto - Cosa succede altezza? 

Il marito non le rispose. La donna riuscì ad ascoltare solamente il suo respiro irregolare, affannato, e il battito accelerato del cuore.

Accese la candela e alla vista della luce Nerone si voltò verso di lei e terrorizzato indietreggiò - Vattene via! A...allontanati da me...non...non avrai la mia vita!

- Sono io Ottavia, vostra moglie, altezza - aveva intuito che il suo sonno era stato disturbato da uno dei suoi incubi inquietanti, era ancora bloccato nel mondo dei sogni - Non abbiate paura di me

Le sue pupille erano talmente ristrette da sembrare dei puntini minuscoli, doveva essere stato qualcosa di tremendo ad averlo scosso in quella maniera.

L'imperatore continuava ad emettere solo dei gorgoglii, come fosse un bambino spaventato che cercava la consolazione della mamma.

Ottavia si avvicinò piano piano al marito, accarezzò delicatamente sulla testa, poi lo strinse a sé. Nerone, quasi incosciente, incapace di discernere la realtà dall'illusione, credette di essere stato salvato da una divinità benigna, le permise, perciò, di toccarlo, di rassicurarlo e si calmò tra le sue braccia. 
 

In quella stessa notte, tra le vie della Capitale alcuni individui incisero i nomi di Alcemone e Oreste sui muri di parecchie abitazioni e nei vari cunicoli;  altri invece posarono, sul braccio destro della statua dell'imperatore, presente nel Foro, un sacco di cuoio, simbolo dei matricidi.

I nemici di Nerone cominciarono ad emergere dal fondo della massa credulona e trovarono in quel delitto il pretesto per poter diffondere a gran voce il proprio dissenso ed odio nei confronti del Princeps. 
 

   
 
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