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Autore: AngelCruelty    22/07/2018    0 recensioni
Una donna maledetta.
Il volto dell'amore passato, presente o futuro che si manifesta a chi la guarda.
Centinaia di uomini disposti a dare la vita per lei, o forse ... non per lei.
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Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il volto




 
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IL VOLTO
Episodio 3: Al proprio posto 
 

L'indomani, quando mi svegliai, la prima cosa che sentii fu un mal di testa penetrante. Feci una smorfia mentre iniziavo a prendere coscienza: ricordavo il ballo, le bevute, qualcosa su una maledizione. Ero sorpresa di ricordare quella parte: i deliri da ubriaca in genere venivano cancellati dalla mia memoria. In ogni caso era stata un'allucinazione stupida: a chi dispiacerebbe essere amata da chiunque? Se poi volevamo essere precisi, io ero già amata pressocché da ogni uomo che avevo incontrato. Eccetto forse Bernard … provai una fitta al cuore e la smisi di riflettere: dovevo rimettermi in sesto. Mi alzai e preparai un caffè, cercando di fare una colazione decente. Mentre spilucchiavo dal piatto con poca determinazione il mio cellulare vibrò. Lo afferrai all'istante, sperando di trovare qualche notizia da Bernard. Si trattava però di Simòn, che mi chiedeva che fine avesse fatto la sua preziosa maschera. Mi portai una mano alla testa per la mia sbadataggine e poi andai a prenderla in camera, decisa a riportargliela subito. Purtroppo però, la maschera non c'era. Non la stavo indossando, non era sul letto, né a terra, non si trovava proprio da nessuna parte. Come glielo avrei spiegato? Resistetti all'impulso di mangiarmi le unghie e continuai a cercare, ma alla fine dovetti arrendermi. L'avevo persa. Sempre più sconsolata mi vestii e decisi di andare a teatro ugualmente, per chiedergli scusa. Mi ero comportata da vera stronza e per giunta non era servito a nulla. Stavolta entrai con la coda tra le gambe, cercando di non disturbare il lavoro dei colleghi di Simòn. Non appena entrai dietro le quinte però, la voce del mio amico risuonò gelida.
“Cosa ci fai qui?” domandò.
Non credevo potesse arrabbiarsi a quel modo, tantomeno per una semplice maschera! Non era il Simòn che conoscevo. Diressi cautamente lo sguardo verso la sua direzione e incontrai i suoi occhi. Vi notai un odio inaspettato, profondo. Congiunsi le mani a mo' di preghiera e partii con le mie scuse: “Simòn, mi dispiace davvero. Non avrei dovuto ...”
“Non avresti dovuto? Vanessa fammi il piacere!” esclamò lui. Sembrava si stesse trattenendo dall'urlarmi contro, quasi fossi una strega.
“Vanessa? Aspetta, ma cosa dici?” domandai interdetta. Vanessa era la sua ex, e non la vedevo da nessuna parte. Con chi stava parlando?
“Sarà passato anche un anno dal tuo tradimento, ma ricordo il tuo nome. Fuori di qui!” stavolta non si mise freni, gridò a piena voce. Sapevo quanto dolore gli aveva provocato quella donna, lui la amava più di qualsiasi altra cosa mentre lei … era passata di uomo in uomo, fingendo di essere fuori per lavoro durante la settimana e frequentando Simòn nel weekend. Si erano lasciati quando lui l'aveva scoperta tramite uno dei suoi tanti ragazzi. Ma quel che stava accadendo in quel momento non aveva senso.
“Simòn, sono Beth ...” dissi con voce soffocata. Il panico stava per inghiottirmi, la consapevolezza iniziava a insinuarsi nella mia mente: maledetta.
Simòn scosse la testa, si avvicinò a una sua amica e gli chiese di scortarmi fuori. Io mi feci trasportare senza dire una parola, confusa. Poteva una cosa così essere vera? Una maledizione? La maschera aveva detto: “Apparirai agli occhi altrui con il volto del loro amore presente, passato o futuro.” Dunque, intendeva letteralmente? No, era impossibile… Tuttavia in quel momento passammo vicino a una pila di scatole, tra cui una blu dalla quale spuntavano le ali da cigno della maschera che avevo rubato … Le parole che aveva sentenziato mi rimbombarono nelle orecchie: “Le cose tornano sempre al loro posto”.
Ero sconvolta. Mi nascosi in un vicolo a pensare cosa fare. Con chi avrei potuto parlare di una cosa simile? Mi avrebbero presa per pazza, o molto probabilmente lo ero! Dovevo assolutamente essere pazza per credere a una cosa del genere. Oppure il pazzo era Simòn, che mi aveva scambiata per qualcun altro. Il mal di testa della sbornia non era ancora passato, ero ancora sotto l'effetto dell’alcol? Dovevo sfogarmi con qualcuno, e l'unica persona che mi aveva sempre compresa era Bernard. Non importava cosa era accaduto tra noi la sera precedente, sicuramente mi avrebbe accolta vedendomi in quello stato. Avremmo finto che nulla fosse mai successo. Mi presentai al suo ufficio e chiesi di lui alla sua segretaria, che però non voleva lasciarmi passare.
“Le dica che si tratta di Beth!” sbottai sbattendo il tacco a terra.
“Mi dispiace, ma l'avvocato ha esplicitamente detto di non far passare nessuno quest'oggi. Sta preparando un'arringa importante.” disse lei, con la stessa sufficienza che in genere adottavo io quando parlavo con i clienti del mio capo. I miei nervi erano a fior di pelle. Dovevo vedere Bernard, cosicché lui mi rassicurasse e mi dicesse che era stato tutto un malinteso: la sera precedente, la maledizione, tutto un brutto sogno. Così decisi di saltare direttamente alle maniere forti. Mi avviai di corsa verso la porta del suo ufficio e la spalancai prima che la segretaria potesse bloccarmi.
“Questa donna non voleva lasciarmi entrare!” esordii tutto d'un fiato al suo sguardo disorientato.
Lui si alzò imbarazzato, non si aspettava certo di vedermi lì.
“Margot, la lasci passare, è mia moglie.” Disse lui, rassicurando la donna che mi aveva seguito.
Ma mentre lei se ne andava sollevata, la mia vita crollava a terra silenziosamente, senza far rumore, senza che nessuno se ne accorgesse. Mia moglie? Lui in quel momento guardava me e vedeva lei?
“Serena cara, cosa ci fai qui? Credevo che tu non volessi mai mettere piede in un edificio simile” domandò Bernard, venendo verso di me.
Ma non volevo mi toccasse. Non mentre pensava che io fossi un'altra. Ancora una volta sentii la voce della maschera nella mia testa, ma non forte e chiara come la prima volta, bensì lontana e soffice come in un ricordo antico: “Per loro, tu sarai l'anima gemella che hanno sempre desiderato”.
“Bernard …” balbettai: “Tu mi ami?”
Lui mi guardò intenerito, con un sorriso dolce che non avevo mai visto prima sul suo volto: “Certo, Serena.” disse allungando le braccia verso di me per circondarmi. Ma io non ne potevo più. Avevo creduto che quando un uomo arrivasse al punto di tradire la moglie il suo amore per lei fosse ormai sepolto, e invece … non mi vedeva. 'Alla fine, ogni cosa torna al suo posto' aveva detto la maschera, e lui era tornato da Serena. Prima che mi potesse raggiungere con il suo abbraccio iniziai a correre il più veloce possibile, lasciandolo lì a chiedersi perché mai la sua austera moglie si stesse comportando in quel modo adolescenziale. Una volta che le porte dell'ascensore si chiusero non potei che scoppiare a piangere. Ero maledetta, l'uomo che amavo non mi contraccambiava e mai avrebbe potuto farlo, perché per lui ero ormai invisibile.
Iniziai a girovagare per le strade di Milano come un'anima in pena. Cosa avrei fatto adesso? Non avevo più il mio migliore amico, né il mio amante. Non ero abituata a non ottenere ciò che volevo, immaginate cosa significasse per me perdere ciò che ritenevo mio da tempo. Mentre passeggiavo a testa bassa, all'improvviso sentii una forte stretta sul mio braccio e una voce sibilare al mio orecchio: “Cosa ci fai qui? Non ti avevo forse detto di rimanere in casa, eh?” era un uomo, ed ero abbastanza sicura di non aver mai sentito prima la sua voce. Mi voltai appena per guardarlo in volto, e i suoi occhi erano sgranati e minacciosi. Tutt'a un tratto non ero solo confusa, ero terrorizzata.
“Non so di cosa tu stia parlando!” dissi cercando di liberarmi dalla sua morsa.
Ma lui teneva il pugno ferreo sul mio braccio senza alcuna intenzione di lasciarmi andare: “Non fare la finta tonta, io stavolta ti ammazzo, hai capito? Sei qui per avvertire il tuo amichetto, eh?” continuò lui, strattonandomi.
Non esitai a chiamare aiuto. Non appena gli sguardi della gente caddero su di noi, lui mi lasciò andare e finse indifferenza. Tuttavia l'espressione sul suo volto lasciava trapelare una rabbia violenta. Non gli diedi altre occasioni, iniziai a correre forsennatamente, confusa, frustrata, impaurita. Il cuore mi batteva all'impazzata e ripresi a piangere. Quell'uomo pensava che io fossi la sua ragazza, una ragazza che in quel momento era segregata in una casa perché vittima dei suoi abusi, una ragazza che ora rischiava la vita perché lui credeva di averla vista in giro per Milano quando lui glielo aveva vietato. Scappa, scappa, scappa. Ripetevo come un mantra. Non sapevo se il suggerimento era diretto a me stessa oppure a lei.
Mi asciugai le lacrime e mi voltai, rendendomi conto che finalmente ero fuori dalla portata di quel pazzo. Ero a soli due isolati da casa, per cui mi avviai verso il palazzo di mattoni rossi rallentando il passo. Appena varcata la soglia dell'atrio, mi sentii più protetta, sollevata. Quindi sospirai iniziando a salire per le scale. Udii dei passi venire verso di me, e la tranquillità svanì di colpo. E se si fosse trattato di un uomo? E se mi avesse scambiata per sua moglie, per poi litigare con lei per via di questo equivoco? E se si fosse innamorato di me, credendomi la sua anima gemella, finendo per non incontrare mai la vera donna della sua vita ossessionandosi sulla persona sbagliata?
“Celine?” la voce delicata di un uomo risuonò per la scalinata.
Io rimasi con il capo chino, sperando di convincerlo di aver commesso un errore: “No, non mi chiamo Celine ...” sussurrai. Anche la mia voce suonava diversa nella sua mente?
“Oh mio Dio, Celine!” continuò lui, ignorando le mie parole: “Come diavolo … Tu sei morta! Ti ho visto … il tuo corpo era …” i suoi deliri rimbombarono per le strette scalinate.
E così, Celine era il suo amore passato. Ormai non potevo più nascondermi. Avevo appena fatto un altro danno, semplicemente esistendo. Mi intrufolai tra l'uomo e il muro e continuai la salita, il più veloce possibile. Arrivai davanti alla porta e armeggiai con le chiavi, mentre il tipo mi inseguiva e urlava disperato. Mi chiusi dentro a due mandate e lo ascoltai bussare ripetutamente.
“Celine, apri … sei viva, non posso crederci. Io ti perdono, qualsiasi sia la ragione per cui ti sei finta morta ti perdono, ma per favore, adesso apri la porta! Mi senti? Celine!” i suoi singhiozzi continuarono per ore e ore … Ogni giorno tornava e lasciava messaggi sdolcinati facendoli passare sotto il portone, ricolmi di scuse e amore verso la moglie morta. E io non ho potuto che assistere muta, senza potere di fronte a una magia così oscura. L'ultima volta che ho sentito la sua voce mi disse che aveva deciso di andare da uno psichiatra, perché chiunque stesse vivendo in quell'appartamento non poteva essere  la sua Celine. E se mi avesse guardata in viso ancora una volta? Cosa avrebbe fatto? Avevo rovinato la vita di quell'uomo, l'avevo mandato da uno strizzacervelli, mentre quella sbagliata, quella maledetta, ero io.
  
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