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Autore: Nadine_Rose    21/09/2018    5 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
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Capitolo 1

 

Un’amara salvezza

 

“Io so cosa vuol dire non tornare.

A traverso il filo spinato

ho visto il sole scendere e morire;

ho sentito lacerarmi la carne

le parole del vecchio poeta:

«Possono i soli cadere e tornare:

a noi, quando la breve luce è spenta,

una notte infinita è da dormire».”

Primo Levi, Il tramonto di Fossoli

 


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Immagine dal film “Schindler’s List”

 

Gonzaga (campo di transito Dulag 152), 19 dicembre 1944

 

Hermann sedeva sulla poltrona. Le gambe accavallate e il secondo bicchiere di vodka in mano. Aveva già indossato la sua divisa da SS-Obersturmführer, intuendo che qualcosa da lì a poco sarebbe accaduto. Il silenzio di quella notte propagava nell’aria un triste presagio di morte che s’insinuava in tutto il suo essere. Gli faceva paura il silenzio negli ultimi tempi poiché lo costringeva a fare i conti con se stesso, a fare a pugni con l’uomo che era diventato: un debole a causa di una donna, a causa di un’ebrea. E lei dormiva ancora, completamente nuda, semicoperta dal lenzuolo bianco che esaltava il colore olivastro della sua pelle e il colore nero dei suoi capelli. Dormiva beatamente, rannicchiata su se stessa, nella sua acerba e strafottente bellezza che, per l’ennesima notte, lo aveva sedotto e vinto. La odiava per lo stesso motivo per cui l’amava. Tra le braccia di Sarah metteva a nudo la sua vulnerabilità, ritrovandosi fragile nel suo bisogno di dipendere da un altro. Era un qualcosa che lo tormentava ma che, allo stesso tempo, gli dava piacere e non poteva fare a meno di ricercarlo ancora. Viveva ormai dimentico delle vere ragioni per le quali si trovava a Fossoli, delle sue responsabilità, del suo grado, del suo progetto di ascesa militare, dei suoi ideali di superiorità ariana, aspettando un’altra notte per aggrovigliarsi nei fili di una passione malata e della sua esistenza in subbuglio, per lasciarsi morire tra le pieghe di quelle lenzuola.

Sarah allungò la mano, credendo di trovarlo ancora al suo fianco e si sdraiò, emettendo un lieve gemito. Poi sedette e, stringendo forte al petto il lenzuolo, lo fissò lungamente con espressione disfatta. Hermann aveva il potere di farle toccare il cielo con un dito e, subito dopo, farla risprofondare nel baratro della solitudine, tra le ombre dell’incertezza. Il legame che le garantiva la sopravvivenza si era trasformato in un amore senza il quale non poteva vivere. Lo amava pur sapendo che tutto ciò fosse sbagliato e irrazionale, folle e immorale, non corrisposto e senza futuro e a confermarglielo erano quegli occhi verdi che sembravano guardarla di nuovo con disprezzo.

“Che succede?” gli domandò con un fil di voce, scorgendo nel suo sguardo fiero e sprezzante un velo di paura.

“Rivestiti, che ho un brutto presentimento!” rispose Hermann, riprendendo quel suo tono autoritario.

“L’ultima volta che lo hai detto il campo è stato quasi distrutto[1]”, fece Sarah atterrita mentre il tenente si alzò di scatto.

“Non controbattere e sbrigati!” disse per poi dirigersi verso la piccola finestra.

Spostò la tendina: attraverso i vetri bagnati dal freddo, tutto sembrava normale e tranquillo, avvolto da un sottile velo bianco che gli richiamava alla mente profumi e ricordi degli inverni in Germania, fino a quando l’eco di una sparatoria[2] non squarciò feroce il silenzio e frenò i suoi pensieri, ormai già approdati a un passato tanto vicino per gli anni trascorsi quanto lontano per come li percepiva. Vide le due sentinelle cadere uccise e la neve sotto i loro corpi tingersi velocemente di sangue e i partigiani, un numero smisurato, correre verso il campo di transito. Con respiro affannoso, caricò in fretta la pistola e la ripose nella fondina sul fianco, voltandosi e rivolgendo lo sguardo a Sarah che adesso era in piedi sull’uscio della porta, tremante di paura nel suo cappotto di due taglie più grande. Anche lui aveva paura. Le andò incontro, con la fulminea e tormentata decisione che, qualsiasi cosa fosse successa quella notte, ne avrebbe fatta l’occasione giusta per metterla in salvo per salvare se stesso. Facendola scappare dal campo avrebbe ritrovato se stesso, liberandosi da ciò che in realtà amore non era. Era forse ossessione, evasione per sopravvivere a quel latente senso di colpa per le crudeltà viste e inferte, un diversivo alla solitudine di una realtà quotidiana stravolta da un incarico militare diverso in una terra straniera, un gioco fomentato dall’inconscio fascino del proibito, pensò.

E fuori lo scenario si presentò apocalittico: i partigiani, furenti e armati fino ai denti, avevano attaccato in contemporanea i tre presidi della Guardia nazionale repubblicana, della Brigata nera e del campo di transito mentre i fascisti, i tedeschi e i prigionieri correvano disorientati per quell’attacco imprevisto e urlavano, chi per dare ordini, chi per paura, accompagnati dall’incessante sottofondo di spari ed esplosioni. Sarah piangeva sommessamente aggrappata al braccio di Hermann che si guardava attorno confuso tra il bisogno di proteggerla e il desiderio di reagire all’attacco nemico. Le prese il viso tra le mani e, con un bacio, le rubò l’ultima lacrima. Nessuno avrebbe fatto caso a loro.

“Sarah, ascoltami”, disse, costringendola a guardarlo negli occhi, “adesso dovrai scappare.”

La ragazza, stravolta da paura e tristezza, dissentì con il capo e abbassò lo sguardo e, prima che Hermann potesse controbattere spazientito e arrabbiato, si ritrovarono con tre mitra puntati contro. Il tenente rivolse un rapido sguardo ai partigiani, che si guardarono tra di loro interdetti da quell’insolita scena, per poi ritornare a Sarah.

“Quando questa maledetta notte sarà finita”, riprese con tono più calmo e persuasivo, “ci saranno ritorsioni contro i prigionieri e, se mi uccideranno, chi ti proteggerà? Devi scappare, Sarah.”

“Insieme… Scappiamo insieme… Lascia tutto e vieni via con me”, fece la ragazza concitatamente, tenendosi forte alle sue braccia.

“Non capisci?” continuò, scuotendola un po’. “Io non posso tradire la mia patria, la divisa che indosso, gli ideali di una vita intera.”

“Ed io cosa sono stata per te?” A questa domanda, seria e rotta da deboli singhiozzi, rimase per la prima volta senza una risposta pronta e Sarah diede al silenzio un’interpretazione che la illudesse ancora.

Una forte esplosione li riportò alla realtà e ricordò loro la minacciosa presenza dei tre partigiani. Uno di loro si avvicinò di più a Hermann e con il mitra gli premette forte sulla mostrina da colletto fino a farlo inginocchiare dolorante.

Alzò le braccia in segno di resa mentre Sarah iniziò a urlare disperata, supplicando i partigiani: “No, vi prego! Non fategli del male, mi ha salvato la vita!”

In un simile frangente, il tenente avrebbe reagito tirando fuori la sua pistola e, invece, restò immobile per proteggerla da un ulteriore pericolo e, in quella posizione di sottomissione, capì di amarla veramente.

è una prigioniera, portatela via!” urlò.

L’amava e adesso era disposto a lasciarla andare non per riprendere in mano la propria vita ma per salvarla a lei. Poi un colpo alla nuca con il calcio del mitra e tutto divenne buio. Per il forte shock, Sarah non proferì né un urlo né parola alcuna e tutt’attorno i suoni e i rumori cominciarono a giungere alle sue orecchie attutiti e ovattati. Tremante, sudata e ansimante, mentre la vista perdeva nitidezza, permise a due mani di afferrarla con forza fino a condurla di corsa fuori dal campo verso un’amara salvezza.

 

“Notte scura, notte senza la sera,

notte impotente, notte guerriera.

Per altre vie, con le mani le mie

cerco le tue, cerco noi due.”

 

Pierangelo Bertoli & Tazenda, Spunta la luna dal monte



[1]In riferimento al campo di Fossoli trasferito a Gonzaga in seguito ai bombardamenti.

[2]In riferimento alla battaglia sostenuta dai partigiani modenesi e reggiani nella notte tra il 19 e il 20 dicembre 1944. 

   
 
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