Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: hikaru83    23/10/2018    6 recensioni
Di Sherlock, per quanto non ami parlare di sé, sappiamo più di quello che ci si aspetterebbe da una persona tanto riservata. Abbiamo conosciuto i suoi genitori, suo fratello, sua sorella. Sappiamo che da bambino amava giocare ai pirati, sorrideva tanto, avrebbe voluto avere un cucciolo, aveva almeno un amico e probabilmente era quello più “normale” della famiglia. A detta sua sappiamo che “le donne non sono proprio il suo campo” e a noi va benissimo. Abbiamo persino imparato a comprendere il suo carattere. Insomma ad osservarlo bene, e a non soffermarsi sulla prima impressione, di Sherlock sappiamo molto. Ma di John? Del caro e buon John? Dell’onesto, irreprensibile, coraggioso, corretto John? Sappiamo che è stato un soldato, un capitano per di più, sappiamo che è medico, ha studiato con Mike, che ha una sorella lesbica alcolista con cui non è in buoni rapporti. Non conosciamo nulla della sua famiglia, non niente del suo passato. Nessuno si è presentato al suo matrimonio, andato a trovarlo dopo la nascita di Rosie o per il suo battesimo, nessuno è andato al funerale di Mary. Sembra quasi che il “prima di Sherlock” non sia per nulla importante. Ma sarà davvero così? Non ci tocca che scoprirlo.
[Johnlock]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harriet Watson, John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccoci alla fine di questa storia, grazie immensamente per il vostro calore e le vostre recensioni, anche se non ho risposto ancora ad alcune di voi non è per poca voglia ma è per poco tempo al pc. Risponderò a tutte perchè la gioia che mi date ogni volta che ne leggo una nuova è immensa e un grazie è il minimo che vi meritarte.
Ma ora basta ciarlare, ecco a voi l'ultimo capitolo. Bacetti a tutte le mie belle gioie!




Io&Sherlock



Capitolo 4



Le mani di Sherlock accarezzano dolcemente la mia pelle. Sono certo che sia sveglio da un sacco di tempo e sia rimasto a osservarmi fino a ora. Mi sento così sicuro ad averlo accanto, che non posso che sentirmi a casa in ogni luogo. Lo attraggo a me a occhi chiusi cercando le sue labbra. Vengo ricompensato dal sapore della sua bocca. Che meraviglioso risveglio!

Prepariamo i bagagli, dei miei nessuna notizia, ma davvero oramai non mi sorprende, né me lo aspettavo. Paghiamo il conto al B&B e ringraziamo la proprietaria assicurandole che la consiglieremo a chiunque vorrà venire a Dover. Lei ci ringrazia e ci dona un sacchetto con dei biscotti. «Per rendere il viaggio più piacevole,» ci dice.

Chiamiamo un taxi che ci accompagna alla villetta vista mare di zio Larry. La casa, in pietra, simile a quella dei miei genitori ma con la porta laccata di un blu elettrico così come le persiane. L’Iris, il fiore preferito della zia, riempie il giardino e si muove pigramente alla brezza marina.

La porta si spalanca appena il taxi riparte e mi trovo avvolto in due braccia esili ma forti, e da un profumo dolce di lillà.

«Il mio bambino!»

«Zia, ho superato i quarant’anni, non sono un bambino da parecchio tempo,» ridacchio.

«Non dire sciocchezze!» dice quasi scandalizzata, guardandomi come fossi matto. «Tu sarai sempre il mio bambino.» Poi un sorriso le fa illuminare il viso. «Ti ho preparato un sacco di cose buone.»

«Sherlock, lei è zia Sophie, la cuoca migliore di tutta Dover.»

«Oh, scusa, quanto sono sbadata! È un piacere conoscerti, Sherlock,» lo saluta con un sorriso, poi lo lo abbraccia di slancio lasciandolo completamente sbalordito, e io non posso fare a meno di guardarli sorridendo. Si allontana osservandolo per qualche istante. Poi si volta verso di me: «John, tesoro, hai davvero degli ottimi gusti, complimenti! Hai accalappiato un bel bocconcino. Va che occhi, ed è anche ben messo. Alto il giusto per farti sentire al sicuro; e che mani! Posso solo immaginare che cosa riesce a fare con mani così.» Sherlock rimane immobile e un bel colorito rosso pomodoro gli colora le guance. Vorrei poter fermare la zia, ma è decisamente un tornado. Ruota intorno a Sherlock osservandolo da ogni lato.
«Wow! Il miglior lato B che abbia mai visto. Niente da dire, non potevi fare scelta migliore, tesoro. Hai la mia benedizione.»

Lo scoppio di risata dello zio blocca qualsiasi cosa volessi dire – sempre se avessi trovato qualcosa di appropriato da dire....

«Tesoro, non mi spaventare il ragazzo. Non credo sia abituato ad attacchi diretti come il tuo. John, immagino non l’avessi avvertito, vero?»

«E cosa avrei dovuto dire?» domando, ancora sconcertato dall’atteggiamento vulcanico di mia zia. Dovrei conoscerla, ormai, ma non perde occasione di stupirmi comunque.

«In effetti è una bella domanda...» dice lo zio con un’espressione pensierosa. «Che ne dite: entriamo? Prometto che proverò a tenerla a bada, per quanto mi sia possibile.»

«Quanto siete esagerati! Ho solo fatto i complimenti a John per il buon gusto, dicendo cose che probabilmente hanno pensato la maggior parte delle persone che li hanno incontrati. Solo che quelli non avevano il coraggio di essere tanto onesti.» Poi mi osserva e continua: «Naturalmente è fortunatissimo anche lui, John. Sei splendido, ma sei il mio bambino. Non potrei fare osservazioni del genere al mio bambino.»

«Giuro, va benissimo così,» le dico in fretta, sorridendole. Inutile cercare di farle smettere di chiamarmi bambino, non funzionerebbe.

«Ah, Sherlock,» lo richiama lei improvvisamente seria. «Una cosa sola: prova a far soffrire il mio bambino e te ne pentirai, te lo assicuro. Non hai idea di quanto possa essere vendicativa se mi ci metto.»

«Se lo facessi soffrire, signora, meriterei ogni punizione che le possa venire in mente, e probabilmente non sarebbe sufficiente.»

La risposta dev’essere stata soddisfacente per la zia perché annuisce e si volta precedendoci in casa. Io non dico nulla, perché non ho parole per quello che è appena successo.

Quando lasciamo il salotto, un sentimento dolce-amaro mi attanaglia lo stomaco.

Il grande tavolo di legno, su cui ho passato innumerevoli pomeriggi da bambino. Il vecchio divano morbido e perennemente coperto da una trapunta patchwork colorata. Il camino di pietra, acceso tutte le sere. Tutto è immutato, e tutto sa più di casa di quanto non lo faccia casa ormai casa dei miei. Eppure da piccolo amavo casa mia, ogni spazio era perfetto e ricco di bei ricordi e colori. Poi le cose sono cambiate e la casa di zio Larry è diventata il mio luogo di rifugio.

Mi riempiono di domande, gli faccio vedere alcune foto di Rosie e gli racconto qualche nostra avventura che non ho ancora pubblicato sul blog.

Raccontano anche loro. Il problema è che raccontano di me, di quando ero ragazzino e di tutti i guai che ho combinato. E nessuno vorrebbe che il proprio compagno scoprisse certe cose.

Sherlock sembra a suo agio. Gli occhi scintillano di gioia e quando lo vedo scoppiare a ridere non mi importa neanche che è stato per il racconto di come sono rimasto appeso a testa in giù sull’albero in cortile. Per quanto mi riguarda, per vederlo così sereno e così felice, possono raccontargli qualsiasi cosa.

Come immaginavo, il “pranzetto” della zia assomiglia più a un pranzo di Natale. Ma quando tira fuori la Gipsy Tart, signori, non ce n’è per nessuno.

«John, ora sembra davvero che tu sia un poppante! Hai gli occhi che brillano come un bambino in un negozio di giocattoli,» mi prende in giro Sherlock notando la mia espressione.

«Dici così perché non l’hai mai assaggiata. Vedrai che non riuscirai più a farne a meno dopo,» mi difendo.

«John ama questa torta. Una fetta e la giornata più nera diventava molto più leggera,» dice zia Sophie.

Io le sorrido in modo scemo e le allungo il piatto. «Una fetta abbondante, grazie.»

«Ma non ti eri lamentato di essere troppo pieno?» domanda la zia ridendo.

«Non si è mai troppo pieni per la Gipsy Tart! Mai!»

Zia Sophie si mette a ridere mentre taglia una bella fetta di torta e la mette nel mio piatto prima di passarmelo. «Fetta grande anche per te Sherlock?» domanda poi.

«Direi proprio di sì!» esclama, prima di farsi dare la sua porzione. Non appena mette in bocca la prima forchettata, il suo sguardo si illumina. «Dio, John, Mycroft ucciderebbe per questa torta!»

Scoppio a ridere. In effetti, Mycroft potrebbe anche farlo.

«Mycroft?» domanda curioso e perplesso lo zio.

«Sì, è suo fratello maggiore.» Il mio sguardo si posa sulla pendola all’angolo. «Oh! È già tardi. Dovremmo chiamare un taxi o non facciamo in tempo a prendere il treno.»

«È già ora?» mi chiede la zia.

«Su, devono tornare a Londra. Hanno una bambina che li aspetta,» risponde al posto mio lo zio, togliendomi dall’impaccio.
Sono stato bene con loro, ma ho davvero bisogno di tornare a casa. Il silenzio della mia famiglia mi ha ferito più di quello che immaginavo e, anche se sono felice di aver portato qui Sherlock oltre al fatto di aver messo le cose in chiaro, ho davvero bisogno di tornare nella nostra cara Londra.

La zia sparisce in cucina per poi tornare con due pacchetti.

«Ginger Cobnut Cake e Huffkins. E non osare dire che non dovevo. Sai che amo cucinare e così suo fratello non dovrà uccidere nessuno per gustarsi qualche ricetta del Kent.»

Tra i biscotti fatti dalla proprietaria del B&B e le cose date dalla zia, credo che Mycroft mi ci farà tornare con chissà quale scusa, qui a Dover.

«Comunque niente taxi. Vi accompagniamo noi. E niente storie.»

«Grazie, zio.»
 
***
 

La stazione non è particolarmente affollata. Il fatto di essere in mezzo alla settimana probabilmente è una benedizione. Il nostro treno è già al binario, e questo ci permette di sistemare le nostre cose nello scompartimento con calma. Scendiamo per salutare gli zii senza fretta.

«Fate buon viaggio. E John, ricordati di mandarci una foto con la piccola Rosie. Ho giusto una cornice che aspetta di essere riempita.» Il tono di zia Sophie è speranzoso.

Le sorrido e l’abbraccio. Abbraccio anche lo zio e faccio in tempo a vedere Sherlock venire abbracciato con calore dalla zia.
Non credo che a questo si abituerà mai.

Sto per salire sul vagone quando una voce mi ferma sul primo gradino. «John.»

Mi volto lentamente. Mia sorella e a pochi passi da noi. Ha il fiatone, come se avesse fatto la strada di corsa. Poco dietro di lei vedo mamma avvicinarsi.

«Harry, mamma...» bisbiglio annichilito.

«Siamo state delle stupide, John, ma non potevamo farti andare via facendoti credere che... Oddio, non so neanche cosa tu possa aver pensato, ma qualsiasi cosa sia ce lo meritiamo. Solo che, John...» La voce di Harry si spegne.

«Quello che tua sorella cerca di dire è che ti vogliamo bene,» interviene mamma. «Non importa un accidenti se lui è un amico, un fratello, un collega o il tuo compagno. Lo vediamo che ti rende felice ed è l’unica cosa che conta. Anche tuo padre ci arriverà, prima o poi. Spero che per allora vorrai perdonarlo per tutto il male che il suo rifiuto ti ha fatto.» Sposta lo sguardo sul mio compagno. «E tu, Sherlock, ti saremo sembrati senza cuore, come minimo. Ma ti assicuro che siamo state felici di conoscerti, e siamo felicissime che tu ti prendi cura di John. Fa tanto il forte ma anche lui ha bisogno di qualcuno a cui appoggiarsi, e tu sembri perfetto.»

Il fischio del capo treno ci desta. Abbraccio prima mamma e poi Harry e sorrido agli zii. Scommetto che le hanno chiamate loro.

Una volta sul treno, apro freneticamente il borsone e tiro fuori la scatola di latta che è stata il nostro forziere ancora piena del nostro tesoro. Mi sporgo dal finestrino (ringraziando mentalmente il fatto che sia un vecchio treno. Con i nuovi non sarebbe più possibile farlo) e chiamo mia sorella. Lei si volta, mi guarda sorpresa e prende la scatola che le porgo.

«Tienila per me, Harry!»

Mi sorride e vedo delle lacrime bagnarle le ciglia.

Quando il treno parte mi sento più sereno. Non tutto si è risolto, ma alla fine è andata meglio di quello che credevo.

Mi volto verso Sherlock, accomodato di fianco a me. Gli prendo la mano e gli sorrido. Lui risponde con quel suo lieve sorriso che amo. Dopodiché guardo fuori dal finestrino e, senza abbandonare la sua mano, osservo il paesaggio che si muove veloce, lasciando piano piano Dover alle spalle e portandoci finalmente a casa, a Londra, da Rosie.
 

***
 

Londra ci accoglie con una pioggerellina fina e una luce bianca e delicata. Il traffico è indomabile, come sempre. Tutto sembra esattamente come l’abbiamo lasciato.

«Sembra che anche senza di noi Londra sia sopravvissuta,» commento, guardandomi in giro.

«Mmmh... Non credere, John. Un altro giorno e ci avrebbero richiamati.»

Scendiamo dal taxi e la porta del 221B si apre per accoglierci. Rosie è tra le braccia di Mrs. Hudson e la prendo immediatamente tra le mie. Mi è mancata questa piccola peste.

Anche Mycroft e Greg sono in casa. Saliamo nel nostro appartamento e raccontiamo più o meno la nostra piccola vacanza davanti a un bel tè e alla torta della zia Sophie. Mycroft si prende due belle fette e credo avrebbe fatto il tris se non fosse per le battute poco gentili di Sherlock. Spero non si vendicherà mandandolo in qualche missione suicida per questo... Per evitare ciò, sotto lo sguardo divertito di Greg, gli prometto che gli preparerò un pacchetto con un po’ di torta e di biscotti da portare a casa, e la cosa sembra funzionare.

La notte, dopo aver messo a letto Rosie, mi siedo sulla mia poltrona e sento Sherlock suonare per me. Mi era mancato terribilmente il suono del suo violino.

E mi era mancato terribilmente anche il nostro grande letto, mancanza che mi tolgo buttandoci Sherlock sopra e divorandolo letteralmente.
 
***
 

I giorni passano velocemente. Greg ha trovato un caso piuttosto complicato e Sherlock è finalmente nel suo elemento.
Cercare di scovare i piani assurdi dei criminale lo diverte quanto a un ragazzino diverte un pomeriggio al luna park.
Tutto è tornato alla normalità, tutto come prima. A volte sento gli zii, a cui ho mandato una foto di me, Sherlock e Rosie con lo sfondo del London Bridge che hanno apprezzato tantissimo, e ricevo persino chiamate da mamma e Harry. Anche questo sta diventando parte della normalità.

Di mio padre non so nulla, ma non è che mi aspettassi una sua chiamata.

Questo caso ci sta tenendo parecchio occupati. Una rapina in una nota gioielleria con omicidio annesso. Detta così non sembra una cosa particolarmente difficile, se non fosse che il corpo è stato ritrovato all’interno della stanza blindata della gioielleria dal proprietario – unico ad avere i codici di sicurezza – e che non si è accorto di nulla se non una volta aperta la camera blindata. L’allarme era inserito, il negozio chiuso, nessun segno di scasso e niente dalle telecamere di sicurezza. La sera la stanza blindata era piena, la mattina conteneva solo un cadavere. Niente del resto nel negozio era stato toccato. Sherlock è riuscito ad arrivare a un gruppo di hacker, e stiamo seguendo diverse piste.

«Sono esausto.» La porta d’ingresso finalmente viene chiusa dietro di noi dopo una giornata estenuante. Non ci siamo fermati un secondo.

«Toby ha fatto un buon lavoro. Domani chiamo Gavin per informarlo delle novità,» sciorina Sherlock sbagliando (sono certo di proposito) per l’ennesima volta il nome di Greg. Ridacchio seguendolo su per le scale che portano all’appartamento. Quando entriamo le luci sono spente e un silenzio irreale ci accoglie per qualche istante, finché le luci si accendono e: «Sorpresa!!!»

Per poco non mi prende un colpo.

«John, sappi che io non centro nulla,» cerca di difendersi Sherlock, avvicinandosi al tavolo imbandito. «Ma seriamente, le donne fanno paura. Mi avrebbero ucciso. Persino Mycroft ha dovuto sottostare, figurati un po’.»

Mi guardo intorno. A parte la mia piccola Rosie, Mrs. Hudson, Mycroft, Greg, i signori Holmes, Molly e Mike, sono presenti anche gli zii, mamma, Harry e...

«Papà?» Il silenzio torna a farsi prepotente, o forse sono io a non sentire il chiacchiericcio intorno a me.

«John.»

«Fatico a crederci,» ammetto. «Come mai siete qui?»

«Non possiamo festeggiare il tuo compleanno, John?» chiede mamma.

«Il mio, cosa?» domando confuso.

«Oddio, fratellone, stai cominciando a perdere colpi! Oggi è il tuo compleanno.»

Rimango ad osservare tutti con gli occhi sgranati. E sì, non mi ero accorto fosse il mio compleanno.

Non parlo direttamente a mio padre perché non so davvero cosa dire, ma sono stupidamente felice del fatto che sia qui, che siano tutti qui.

Rosie viene coccolata da tutti, persino papà la prende in braccio. Sento le lacrime pizzicarmi gli occhi, ma cerco di non darlo a vedere. Sherlock è accanto a me in mezzo secondo per accertarsi che vada tutto bene. Gli faccio un sorriso per tranquillizzarlo e sento la sua mano sulla mia schiena accarezzarmi per calmarmi.

«Sherlock, visto che a mio fratello la mia presenza dovrebbe essere sufficiente come regalo, ho portato qualcosa per te,» gli si rivolge Harry. Lo vedo guardarla sorpreso mentre apre il grosso pacchetto che gli porge e si ritrova in mano un album di foto. «Serve che tu conosca bene mio fratello. Non è possibile che tu non abbia mai visto le sue foto da bambino. Anche se credo che apprezzerai parecchio quelle di dove ti ho messo il segno.»

Vedo Sherlock arrivare al primo segno e i suo occhi si sgranano. Le mie foto dal giorno dell’arruolamento campeggiano.

«Grazie, Harriett!» Sherlock sembra davvero grato. Credo sia la prima volta che lo vedo così.

Mia sorella ride. «Ero certa avresti apprezzato. Magari per Natale ti porto la sua uniforme. Direi che dovrebbe stargli ancora bene.»

Vedo Sherlock arrossire improvvisamente. «Davvero?» le chiede. Se non lo conoscessi, direi che si sia commosso.

«Certo! Del resto, tra cognati dobbiamo andare d’accordo!» esclama mia sorella tutta contenta.

Sorrido felice per questa affermazione.

«John.» La voce di mio padre mi rimette all’erta. Non mi ero accorto si fosse avvicinato.

«Dimmi, papà.» Il mio cuore batte furiosamente nel petto, tanto sono agitato.

«Ha mentito, prima,» dice, abbassando il tono di voce e rivolgendo lo sguardo verso Sherlock. «Ha fatto davvero di tutto per farmi capire quanto fosse importante essere qui oggi.» Lo guardo attento e anche sorpreso. «Ho commesso tanti errori in vita mia, John. Siamo stati lontani per tanto, e so che è tutta colpa mia. Così come sono certo che commetterò ancora tanti errori, e di questo mi scuso in anticipo. Ma non potevo davvero commettere anche questo.» Lo vedo prendere qualcosa dalla tasca. Un pacchetto di velluto. Me lo porge e io lo apro. La Victoria Cross di nonno splende all’interno. «È il pezzo più prezioso, John. La affido a te. Non mi fiderei di nessun altro. Tienila al sicuro fino al mio ritorno,» mi dice, e gli occhi mi si riempiono di lacrime. Le emozioni straripanti che sento nel petto mi riportano all’ultima missione di papà, a quell’ultimo saluto prima di perdersi nella guerra. La mano forte di papà stringe la mia spalla. E davvero mi sento in pace.

 
***
 

È notte. Sono così stanco che non riesco a dormire. Troppe le emozioni in questa giornata.

«Spero ti sia piaciuta la sorpresa.» Sherlock mi abbraccia nel buio. Non ha bisogno di chiedermi se sono o meno sveglio.

«Sì, Sherlock, mi hai regalato il miglior compleanno di sempre.»

«Io non ho fatto nulla, ancora.» Posso sentire il suo sorriso sulla mia pelle, le sue labbra che iniziano a baciarmi dietro l’orecchio mandando migliaia di scariche elettriche per il mio corpo.

«Hai ragione, Sherlock, mi devi ancora dare il mio regalo. Visto che mia sorella il regalo ha deciso di farlo a te.»

«Un signor regalo, seriamente.»

«Bene, allora. Il mio regalo dov’è?» Mi volto nel suo abbraccio e lo guardo in quegli splendidi occhi.

Lui mi sorride, mi trascina su di sé e mi dice. «Vieni a prenderlo, dottore.»

Sorrido mentre mi abbasso sulle sue labbra.

«Buon compleanno, John.»

Questo è davvero il miglior compleanno della mia vita.


Fine


Note: Siamo giunti al termine, spero che questo ultimo capitolo sia stato all'altezza delle vostre aspettative. Io ho amato i miei personaggi, e come sempre mi mancheranno un po', ma il bello delle storie è proprio questo, se mancano qualcosa di buono ho scritto e se la mancanza è tanta si può rileggere tutte le volte che si vuole, basta aprire il file e puff eccoli ricomparire. Comunque non vi abbandono, settimana prossima ci sarà Halloween e credete davvero che non ci sia un evento piccino picciò che vi regali tante belle storie nuove?
Alla prossima dunque, e grazie per essere state qui con me.
  
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