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Autore: queenjane    06/11/2018    1 recensioni
Riprendendo spunto da una mia vecchia storia, Beloved Immortal, ecco il ritorno di due amati personaggi, due sorelle, la loro storia, nella storia, sotto altre angolazioni. Le vicende sullo sfondo tormentato e sontuoso del regime zarista.. Dedicato alle assenze.. Dal prologo .." Il 15 novembre del 1895, la popolazione aspettava i 300 festosi scampanii previsti per la nascita dell’erede al trono, invece ve ne furono solo 101.. "
Era nata solo una bambina, ovvero te..
Chiamata Olga come una delle sorelle del poema di Puskin, Onegin ..
La prima figlia dello zar.
Io discendeva da un audace bastardo, il figlio illegittimo di un marchese, Felipe de Moguer, nato in Spagna, che alla corte di Caterina II acquistò titoli e fama, diventando principe Rostov e Raulov. Io come lui combattei contro la sorte, diventando baro e spia, una principessa rovesciata. Sono Catherine e questa è la mia storia." Catherine dalle iridi cangianti, le sue guerre, l'appassionata storia con Andres dei Fuentes, principe, baro e spia, picador senza timore, gli eroi di un mondo al crepuscolo" .... non avevamo idea,,, Il plotone di esecuzione...
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro."
"Let those who remember me, know that I love them" Grand Duchess Olga Nikolaevna.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Alexei was taken away too soon, but he has truly found a better place now.
Maybe, everything is preferable to the dark cellar of Ipatiev’House.
Don’t go away, remain with me, Alexei.
Sussurri in inglese, che traslavo in spagnolo e francese.
Poliglotta per amore e afflizione.
Alexei.
Please, don’t go away. I need you now.
A loving son and a good little brother.
A fighter.
Il senso di disperazione, abbandono.
Come quando ero entrata per la prima e ultima volta a casa Ipatiev, in giugno, travestita da donna delle pulizie, una lacera pezzente.
Sporca, decisa, verso una eterna ignoranza.
Io avevo lasciato un ragazzino, ritrovavo un adolescente,il viso fiero e solenne, pallido come una pergamena sbiancata, così magro da stringere il cuore, sdraiato su un lettino da  campo, immobile dopo il suo ultimo attacco di emofilia, ogni movimento lo straziava per il dolore, aveva freddo e ogni tanto tremava, nonostante la calura estiva, un fremito straziante e superficiale, delle coperte di lana sulle gambe.
 “Aleksey”mi sfiorò la guancia, rafforzai la stretta delle braccia “Ciao Cat” Per quanto potessi essermi preparata in teoria, mi veniva da piangere a vederlo. “Mica sto delirando” lo sguardo stupito, gli occhi dilatati per lo stupore, immensi come una lampada azzurra“No, sono io” mi tirò un  pizzicotto per cautela, risi, tornai seria, lo serrai, mentre parlavo, rapidi sussurri.. E ascoltavo, gli strofinai il pugno contro le scapole E parlavamo. “Aleksey, Alejo tesoro”
.. ne avrei avuto di tempo su cui riflettere, intanto ti stringevo, Cat, ricambiato con zelo, eri tesa, le braccia irrigidite quando lo dissero, non pronunciasti una parola e tanto  ormai avevo imparato a conoscerti, non quello che dicevi ma le tue reazioni, i gesti, mi tenevi ancora più forte, fosse stato possibile mi avresti messo in tasca e saresti andata via, mi ancorai di più ancora ai tuoi polsi.
Il primo sussurro di Mattias ruppe l’aria.
NO.
NO.
“Lasciami, è un ordine” disse Alessio e intanto mi stringeva, disperato, come me “Ti saluto ora con un bacio e un arrivederci, qualsiasi cosa mi facciano o dicono, non reagire.. Non reagite, fate finta di nulla”
“NO” .. Cat non mi lasciare, ti prego, voglio stare con te, voglio venire in Spagna … NON MI LASCIARE. Dicevo una cosa e ne volevo un’altra, da prassi e tradizione, e non avevo la febbre,  mi avevi scosso, ricordandomi che esisteva il mondo, oltre la sedia a rotelle, le stanze chiuse e la tristezza, che di nuovo volevo sentire la pioggia sul viso, l’erba sotto le mani e ridere, avevo da compiere 14 anni me lo meritavo. Le colpe dei padri e delle madri non dovrebbero ricadere sui figli, come ci stava succedendo, ormai da un anno e rotti, dall’abdicazione, una lenta progressione verso l’inferno e la disperazione. E in mezzo a tutto quanto, mi sentivo di nuovo sicuro, che .. la prigionia, e la mia era tripla, la malattia, la sedia a rotelle e, last but not least, il soggiorno a casa Ipatiev.
“Invece sì… le truppe di rinforzo arriveranno al massimo verso il 25 luglio” lo baciai  sulla guancia, per quello che avevo sentito facevo prima a uscire con lui in braccio, andando come bersagli sotto una  mitragliatrice in funzione, le possibilità di uscirne vivi erano maggiori.. Oddio. “Ti voglio bene, Alessio, sempre” sussurrai, annichilita, il mio cervello che macinava, disperato.
Il secondo sussurro ruppe il momento, sussultai, Alessio mi aveva tirato un morso, mio malgrado mi scostai per istinto “Vattene, Cat..” una pausa “Scusami “
“Scusami tu.” Mi inchinai, vietandomi di toccarlo “Alessio, andremo via..”
“Già..” Morti o vivi, non poteva durare per sempre. Ed ero arrabbiato, rivederti confermava che potevo stare meglio,  ora avevo due possibilità su un milione, prima manco una me ne concedevo .
Eri leggenda, Catherine, mai ti saresti fermata.
Eri il sole.
 
Il terzo sussurro “Cerca di uscire in giardino e mangiare se ti riesce”mi stringesti per una breve eternità “Io non mi faccio ammazzare, intesi, ti porto via, ti voglio bene”
“Anche io, Cat, portami via”
“Ora no,  presto” E dimmi il motivo, quello vero. Non ti facevi ammazzare, come quando mi avevi salutato a Mogilev, nel settembre 1915, era una promessa. Tirai in alto il mento, le spalle indietro come quando avevo reagito alle guardie che mi volevano fregare una catena d’oro,  Nagorny agli arresti, suo solo crimine la devozione verso di me. Il tuo solo peccato l’amore che ci portavi.
Vidi mia madre invecchiare ancora di più nel giro di pochi minuti quando dicesti che il tuo primo figlio aveva gli occhi chiari.
La costernazione.
Ma eri arrivata fino a lì,  non potevo mollare.
 
 “Ma si può essere più disperati per non dire altro..?”io ad Andres, di quel giorno avrei ricordato per sempre il calore della strette di Olga, il gusto salto delle mie lacrime.
E il furioso accoppiamento, uno sfogo di lussuria e disperazione.
“Sei sconvolta..” Un eufemismo, una cauta perifrasi, facevo prima a uscire con Alessio in braccio, ribadisco, piazzandoci sotto una delle mitragliatrici in funzione, e avevamo maggiori probabilità di sopravvivere. 
“Hanno ricevuto delle lettere” La prima all’inizio di giugno, la quale enunciava che gli amici non dormivano, attendevano l’ora della liberazione, la rivolta dei cechi scuoteva il potere dei bolscevichi .. Stare attenti e vegliare, ecco le istruzioni, cui seguì una risposta con la pianta della casa e la annotazione che Alessio era sempre a letto, che non si poteva muovere.  La seconda lettera si diffondeva a descrivere un piano di salvataggio, era necessario che una finestra fosse senza sigilli, per poter calare tutti..
La terza lettera giunse nel delirio, la guardia era stata rafforzata.
Se gliele avevano mandate i bolscevichi, ecco la scusa per ammazzarli.
Mi veniva da vomitare e lo feci, con zelo, anche se ero digiuna da ore.
Dopo che eri arrivata Cat la risposta fu fredda, non potevamo e volevamo fuggire, solo la forza ci avrebbe portato via, come con la forza ci avevano portato via da Tobolsk, non avremmo dato alcun appoggio attivo
Il 5 luglio la guardia era cambiata, il giorno avanti era giunto un nuovo comandante Jurovskij, che aumentò le misure di sicurezza, una nuova mitragliatrice e di mettere delle sbarre alla finestra da cui dovevamo calarci, la  sola che era aperta per cambiare l’aria.
Era scostante e gelido,  pignolo fino alla nausea, fece inventariare i gioielli che la famiglia aveva addosso, facendo quindi apporre dei sigilli. Ignorando che la zarina e le granduchesse avevano i corsetti imbottiti di pietre preziose.
“Non potete entrare, ordini superiori”
“Come volete, ma questo latte chi me lo paga?”alzando la voce.
..nella strada c’era silenzio,una breve pausa dai  rumori mattutini,  sia Marie che Anastasia riconobbero la tua voce, che discutevi come una iena, in collera che quel giorno non potevi consegnare il latte.
Non eri venuta per sicurezza e se ti ammazzavano sia noi che i tuoi figli ne avremmo avuto un ben  misero risultato.
Cat. Catherine .. non me lo ero immaginato. “Alessio, se .. succede qualcosa, ogni cosa, promettimi che avrai cura di lei”
“.. ma che blateri Olga..” scherzava? Era impazzita? Intanto mi cambiava, a quasi 14 anni ero peggio di un infante, confinato a letto “Cat è forte solo in apparenza.. ha bisogno di te, per non impazzire”
Già, la violenza sia fisica che verbale, un surrogato di inferno, eri diventata grande tra le botte e le parole cattive.
“Alessio, promettimelo, di non mollare, che non la lascerai sola”
“Lo prometto” Allora non avevo idea del prezzo che avrei pagato, pensavo che fosse un discorso come tanti. “Siete amici, tu e lei”
“ E tu e lei ..”
“Sì.. “un breve sorriso, di speranza, era dimagrita, triste, immaginava meglio di noi quello che poteva capitare, quando Mamma aveva risposto alle lettere aveva sancito che avevamo fornito ai bolscevichi la scusa per ammazzarci tutti, un privato sussurro che Mamma eluse. Era disperata e ci avrebbe fatto morire tutti.. Tu credi solo in LEI.. la replica Certo. Che è la sola a essere venuta, con suo marito, lo sai ..  Se ho una sola speranza di scamparla  è grazie al lupo, la risposta. E finirono là.. per quanto ne so, Cat, ci avevi ridato la speranza, io mi imponevo di sorridere e mangiare, uscire un poco, in braccio a Papa, ero un soldato, quello il mio dovere dinanzi ai tuoi ordini inespressi. Mi avevi ridato la fiducia. Fine del dettato.

Il 17 luglio, molto presto, un contadino che abitava in viale Voznenskij nelle  stanze a pianterreno di una dimora che sorgeva dinanzi a casa Ipatiev uscì in giardino per un bisogno.  Sentì  degli spari soffocati che provenivano dalla cantina della dimora di cui sopra, il rumore di un furgone Ford in moto, tornò dentro subito. Il suo compagno di stanza gli chiese se avesse sentito, lui rispose che aveva udito delle detonazioni, entrambi avevano capito. Non parlarono oltre, poco tempo dopo i cancelli di casa Ipatiev si aprirono e un furgone  piombò fuori a gran velocità.
L’immobilità. Eri lercio di polvere, sudore, sangue la giacca era completamente intrisa sui polsi, sul petto. Sotto portavi una maglia da marinaio, cercavo di essere leggera, una piuma
.. al collo la croce di battesimo.
Senza fretta, delicata come non ero mai stata, a mia memoria.
L’immobilità, ineludibile, come se ti fossi spezzato del tutto, rompendoti in mille pezzi che nessuno avrebbe raccolto.
… Quando mi avevi riconosciuto, avevi cercato di metterti in piedi,a fatica,  ero volata da voi, ci eravamo stretti, tutti e tre, senza parole, così forte da farci male. Dopo,  mi avevi buttato le braccia sul busto, la testa sul petto, sentendo le mie spalle che sussultavano mi avevi baciato una guancia, asciugato le lacrime con le mani, già non era il momento per quello... Io altrettanto, dovevamo calmarci e andare via, una prassi di sopravvivenza, da soldati.
Una radura, eravamo in quella maledetta parte di foresta, e il buio e la disperazione mi stavano sommergendo.
E sarei potuta andare a cercare il furgone, ammazzare qualcuno e rimanere eliminata a mia volta. Mollare tutto e andarmene .. Potevo anche sopprimermi. “Aspetta..  posso sollevarti?”Lui aveva sbuffato, lo avevo  già fatto, mentre il mio cervello bacato si perdeva nelle sue ipotesi, mi ero già mossa. Barcollando un poco sotto il suo carico, era diventato alto e per quanto i recenti attacchi di emofilia lo avessero debilitato, facendogli perdere peso e colorito, pesava. “Che si fa?” le sue braccia allacciate sul collo, a cercare calore e riparo, avevo soppresso una mia imminente crisi isterica. Due sopravissuti che cercavano conforto da una disperata..
Altrettanto quella sera.
 

E sentivo Olga a un battito, vicina, anche se sapevo che era morta, solo quello, che mi era vicina, che sarebbe rimasta sempre, nei ricordi e nella memoria. E ancora non era il momento, avrei pianto dopo, per loro e mio padre, come per Alessandra, vite spezzate in nome di nulla..  
Olga e il suo sorriso.
Tatiana, il lampo grigio del suo sguardo che raccontava quello che non diceva... e mille e mille cose, petali e frammenti, ricordi e risate, una vita da vivere anche per loro. E la speranza era il bagliore di quei grandi occhi, ora come allora, una delicata sfumatura di azzurro come quando sorge l'alba, era un miracolo che fossero scampati all'eccidio, altro prodigio che avessimo lasciato Ekaterimburg  senza farci ammazzare, ho tremato ogni singolo minuto. 


La solitudine che avevi sperimentato, Alessio, in quelle settimane era veleno, tossico al massimo grado, dentro come un  freddo che  gelava le ossa, le foreste fitte, il fango  che entrava in ogni pertugio, la tensione, l’essere feriti, l’attesa di combattere. E ricordavi, anche se non volevi.
 Perché ? Quella parola rotolava dentro come un rombo di guerra, la ragazza, espletate le attività quotidiane dormiva, o fingeva, giaceva a occhi chiusi, il buio delle palpebre come un conforto. E  lui si fissava le  mani e .. smontava e rimontava le armi, in quello era bravo, gli era piaciuto, nella vita di prima, come il tempo passato con LEI e con LUI. Soprattutto con lei.
Gli piaceva anche ora, stare con LEI. E si sentiva protetto e al sicuro. Che paradosso,  dopo che era successo lo avevo avvolto tra le braccia, serrato addosso facendo attenzione alla sua gamba lesa, incurante del sangue, dello sporco e del sudore, forse voleva  trasmettergli  tutta la sua voglia di vivere, la  rabbia, lo aveva stretto come a non volerlo più lasciare. 
Un privilegio. 
E la rabbia. In primo luogo ce la aveva con LORO, ma soprattutto con se stesso. 
Per quanto storpio, invalido, debole,  era sopravissuto. 
Che sarcasmo atroce. 
 And I’m  a soldier.
A fighter.
 

Ma che inventare, se non mi parlavi .. Anzi, non parlavi con nessuno, siamo giusti, ci intendevamo a gesti, ti facevi  accudire solo da me, di pura malavoglia,  e tanto eri furioso. Con la vita, la tua debolezza apparente, con me e tutto il mondo. Tralasciando che se mi assentavo un’ora, mi cercavi con gli occhi, “Non te ne andare” e appena ricomparivo mi serravi il polso, possessivo. E il sollievo ti si  dipingeva sul viso, guai a me se volevo cambiare aria, ubriacarmi o che.. Eri una mia responsabilità, era amore al principio, come ora, tranne che ero ghiaccio, neve e brina, la mia freddezza era solo apparente ..  fino a quando non ne combinasti una delle tue, a stretto giro, dopo le mie solitarie isterie del lutto.
Mi hai tirato addosso tazze, asciugamani, e via così, la rabbia di una vicenda terribile.. E comunque, avevi reagito, tranne che ti avrei appeso per le orecchie.
A fine novembre, almeno a livello fisico, stavi meglio, eri in ripresa.
E l’istinto di sopravvivenza era il sedativo più potente
“Sei convinto?”
“Certo”
“E come dovrò chiamarti?”
“Andres..”una domanda in apparenza innocente, a 17 e 14 anni si reinventavano, Fuentes in fieri, nella forma.
Sophie era nella sostanza..
Andres e sua figlia, un altro capitolo a parte.
   
 
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