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Autore: gravityhits    16/11/2018    0 recensioni
Due universi, due persone appartenenti a pianeti diversi che non avrebbero mai dovuto collidere. Entrambi svuotati da una vita che non si aspettavano di avere, entrambi soli contro loro stessi. Lei in caduta libera, in attesa che la gravità faccia il suo lavoro, lui pronto a prenderla.
Kairos: momento giusto, critico o opportuno per agire.
Genere: Dark, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
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Kasper
 
Gli incubi erano frequenti, una scena diversa della mia vita ogni notte. Era un’abitudine, qualcosa che era ormai incapace di farmi soffrire e nonostante le lacrime non provavo nulla. Ma quella notte avevo visto lei e le cose erano diverse. Non mi svegliai solo in lacrime, ero anche sudata, non riuscivo a respirare e avevo graffi su tutto il corpo, autoinflitti ovviamente.
Eravamo solo cinque in quello sgabuzzino, io ero stata la prima ad arrivare e per molto tempo ero stata anche l’unica. Poi ci fu Rosalie, dieci anni, Carmen, dodici anni, Laura, sedici anni e infine, Hope cinque anni. Avevamo tutte questo istinto protettivo verso Hope, io più delle altre visto che ero arrivata quando avevo la sua età. Temevo finisse come me e avrei fatto di tuttp per salvarla e darle la vita che meritava, sapevo che per me non c’era più speranza ma c’era lei. Lo vidi come un segno, come se l’universo cercasse di dirmi che era il momento di fare qualcosa. Avevo messo in atto un piano ma si era ritorto contro di me, contro di noi. Non ci faceva mai del male davanti alle altre, era il suo momento privato con noi e non voleva condividerlo ma quella notte era arrabbiato. Si sentiva tradito da me e voleva farmela pagare. Ci marchiò, eravamo di sua proprietà da quel momento in poi.
Infine prese Hope e entrò dentro di lei mentre noi sedevamo legate l’una all’altra a guardare la scena, non potevamo girarci, non potevamo chiudere gli occhi o lui avrebbe fatto solo di peggio. Le sue grida sarebbero rimaste stampate nella mia memoria fino alla fine dei miei giorni. Morì qualche giorno dopo, tra le mie braccia, a causa mia.
Mi ero tatuata il suo nome nel secondo in cui avevo avuto la mia libertà, era un modo per ricordarla, per farla vivere attraverso me. 
Mi svegliai presto come al solito, preparai il caffè per tutti, indossai i soliti vestiti monotoni e uscì per andare a lezione. Nonostante tutto fosse estremamente simile a prima sentivo un’aria di cambiamento. Riuscivo a percepire il qualcosa di diverso e forse era dovuto principalmente alla presenza di Kareem. In due mesi era riuscito ad infiltrarsi nella mia vita, come un ladro. Avevo dimenticato di chiudere la porta e lui era sgusciato dentro senza chiedere il permesso a nessuno. La cosa non mi dispiaceva affatto, avere qualcuno con cui parlare di tutto senza sentirsi lontanamente giudicata o compatita era piacevole. C’era qualcuno di nuovo nella mia vita, qualcuno che era riuscito a vedere la persona che si nascondeva dietro a quelle grosse felpe. Con lui potevo parlare del mio passato anche se non lo facevo mai, avevo la possibilità di farlo, avevo una scelta. 
Ci vedevamo principalmente in biblioteca, in un reparto che nessuno visitava e abbastanza lontano dall’area studio da non disturbare nessuno. Era tranquillo lì, lui mi raccontava la sua giornata e io li raccontavo la mia e solitamente finivamo per dibattere su un autore qualunque o sull’ultimo film uscito al cinema. Era piacevole, solo io e lui e nessun’altro. Era venuto a conoscenza della mia avversione per i luoghi affollati quindi non frequentavamo spesso feste o locali. I suoi amici non erano a conoscenza del nostro rapporto e a me andava benissimo soprattutto dopo aver ricevuto sguardi ambigui da metà della popolazione femminile del campus. Stavamo bene così, due ore al giorno riuscivano a purificarci dal mondo esterno. Era il genere di amicizia che non avrei mai pensato di avere. 
 

Kareem
 
Era un giorno come un altro. Mi svegliai con una ragazza nuda avvolta dalle mie lenzuola, un mal di testa atroce e un vago e lontano senso di colpa. Era la prima volta che mi sentivo in colpa per aver fatto sesso, era già qualcosa. Ogni mattina provavo la sensazione di aver tradito qualcuno e mi ritrovavo sotto la doccia a fare una lista di ragioni per le quali non avevo commesso alcun reato. Ero single, giovane e le ragazze erano sempre molto consenzienti. Ma ogni mattina sentivo di dovermi scusare con qualcuno per qualcosa. Sapevo esattamente per quale ragione mi sentivo così ma ero piuttosto deciso ad ignorare la cosa.
Le cose erano insolitamente diverse e ne ero piuttosto soddisfatto. Avevo qualcuno che non mi conoscesse, che non associasse una lunga lista di difetti al mio nome, qualcuno a cui avrei potuto mostrare una parte di me che non pensavo nemmeno di avere. L’idea era quella di di capire se tutte le cose orribili che avevo fatto alle persone nella mia lunga e tempestosa vita fossero dovute alle aspettative che quest’ultime avevano o se fossi davvero io il problema. 
In più la compagnia giornaliera di Kasper era più che piacevole. Il fatto che non conoscesse me, il mio passato, la mia famiglia e tutto il peso che comportavano riusciva a rilassarmi. Non dovevo fare attenzione alla mia reputazione e alla mia immagine con lei. Non che in passato avessero avuto importanza ma era una cosa in meno per la quale sentirsi in colpa. Lei non si sentiva in dovere di essere d’accordo con ogni mio pensiero, idea o opinione perché lei non conosceva il cognome di mio padre o quello di mia madre. Per lei non facevo parte dell’elite studentesca della Columbia, non era a conoscenza di ogni mia svista e prima di conoscermi non si era già fatta un’opinione sul mio conto. Per lei ero solo Kareem e non c’era niente di più piacevole. 
Avevamo programmato i nostri incontri secondo i nostri orari nel luogo più privato e lontano dal mio mondo che conoscessi. Avrei fatto di tutto per tenerla lontana dal vero me e dal mondo in cui ero stato cresciuto, aveva attraversato l’inferno e avrei fatto di tutto per proteggerla dal mio inferno. Certo, sapevo che prima o poi la verità sarebbe uscita fuori e che lei si sarebbe resa conto che le persone come me non erano abbastanza per qualcuno come lei ed ero pronto a vederla uscire dalla mia vita. Ma probabilmente avrei buttato all’aria le cose ancora prima che possa scoprire chi sono davvero. 
Andai a prendere mia sorella e a portarla a scuola, era una di quelle cose che facevo per assicurarmi che lei stesse bene senza mostrarle la mia preoccupazione. A lei non piacevo, non le ero mai piaciuto, come tutti dava la colpa a me e io non la biasimavo. Era troppo giovane per aver visto ciò che aveva visto, era troppo giovane per lasciarselo alle spalle, nemmeno io ci riuscivo. Non mi parlava mai, rimaneva in silenzio fino al nostro arrivo quando mi salutava e se ne andava. Avevo l’impressione di aver perso anche lei, avevo un talento nel far scappare tutti. 
 
Kasper
 
Ero in anticipo, avevo preso del caffè e delle donuts anche se non avevo venti dollari da spendere. Ero seduta al solito posto e cercavo proposte di lavoro su internet mentre sorseggiavo caffè nero senza zucchero. -Hey, scusa il ritardo ma sono passato a…- disse Kareem, apparendo da dietro la zona di mitologia. -Il caffè…si sono passata a prenderlo anche io- dissi, lui sorrise. -Ho preso delle donuts- disse, mentre io li mostravo la scatola accanto a me. -Bene…ho preso caffè freddo però- disse, sorrisi e presi la roba dalle sue mani mentre cercava di sedersi accanto a me. -Sei l’unico capace di bere caffè freddo con questo tempo- replicai, lui scosse la testa. -Fuori fa freddo, qui siamo al caldo quindi anche tu puoi bere caffè freddo- disse, mentre mi porgeva il bicchiere. -È alla nocciola- disse, sorrisi e glielo presi dalle mani. -Tanto non avevo alcuna intenzione di dormire sta notte- dissi, sorseggiando il caffè che mi aveva portato. -Perché quali sono i tuoi programmi per sta notte?
-Girare per i quartieri di New York alla ricerca di un lavoro- risposi, lui annuì e sorseggiò il caffè che li avevo preso mentre cercava una donuts alla fragola nel sacchetto. -Credi sia una buona idea? New York non è famosa per la sua sicurezza, specie quando sei di sesso femminile e sei particolarmente attraente.
-Se vuoi dirmi che sono una bomba sexy, non girarci troppo attorno- dissi, lui rise e scosse la testa. -Probabilmente tu non avrai problemi...- aggiunse facendomi ridere. -Posso accompagnarti se vuoi.
-La regola è di non vedersi al di fuori del luogo sicuro, Kareem..
-Posso fare un’eccezione se ne va della tua sicurezza- replicò, sorrisi e abbassai lo sguardo. 
-Sono una donna di città, posso cavarmela da sola- risposi, lui non insistette. -In più è venerdì sera, non ho alcuna intenzione di rovinare i tuoi piani- aggiunsi, lui scosse la testa e mi guardò. -Non avevo piani.
-Un uomo di mondo come te non ha piani per il venerdì sera? Non ti vedrai con la tua nuova conquista?- chiesi, notai immediatamente la sua espressione cambiare e mi misi a ridere. Nel momento in cui l’avevo visto avevo notato una traccia di rossetto sul maglione e un vago rossore sulla guancia, in più aveva profumo da donna. -Non sarai mica gelosa, Kasper…
-Nah, volevo sapere da dove ha comprato il rossetto la tua amica- replicai, lui sorrise e notò la traccia sul maglione. -Okey mi hai beccato.
-Come si chiama? Hai bisogno di consigli sulle donne da me? Vuoi sapere come dovresti comportarti durante quel periodo del mese?- chiesi, Kareem sorrise e scosse la testa. -Spero tu l’abbia trattata come si deve.
-È solo…
-Una botta e via? Dai, racconta!- esclamai. Ero sinceramente curiosa anche se una parte di me provava un leggero prurito chiamato invidia o gelosia, credo…
-Non parlerò della mia vita ses…sentimentale con te- disse, correggendosi e facendomi scoppiare a ridere. Guardai l’ora e iniziai a mettere via le mie cose. -Mi dispiace ma devo andare- dissi, lui si alzò con me. -Tutto bene?
-Si, certo ma se voglio andare in giro a cercare un lavoro mi conviene andare prima dell’apertura serale in caso propongano un giorno di prova- dissi, lui mi porse il caffè e annuì. -Sicura di non avere bisogno di me?
-Sicura, se succede qualcosa infrangerò la regola- dissi, lui annuì e mi aiutò a mettere la giacca, avvolse la sciarpa attorno al mio collo e mi sorrise. -Fa attenzione- disse, mentre andavo verso l’uscita. -Infrangi la regola, Kasper- disse, prima che sparissi dietro gli scaffali. 
 
Kareem
 
Rimasi seduto in biblioteca a leggere la biografia di un vecchio giornalista britannico mentre sorseggiavo caffè e mangiavo nervosamente le donuts che Kasper aveva preso. Non riuscivo a smettere di pensare a lei, temevo che potesse succederle qualcosa e che qualcuno potesse farle del male. Non riuscivo a smettere di pensare al fatto che l’aveva chiamata ‘’regola’’, come se le avessi fatto capire intenzionalmente che non ci saremmo mai visti al di fuori di quel reparto in quell’immensa biblioteca. L’ultima cosa che volevo era che lei sentisse che mi vergognavo di lei, perché non era così. Presi il telefono e chiamai Bill.
L’avevo conosciuto durante una solitaria serata per bar in città e da quel giorno frequentavo spesso il suo bar. Ricordo che la sera in cui l’avevo incontrato tornavo da una cena con la mia famiglia e avevo solo voglia di ubriacarmi fino a zittire le voci nella mia testa. Lui era stato davvero d’aiuto, mi aveva chiesto se mi piacesse la musica e li avevo detto che mi piaceva dilettarmi alla chitarra. Mi aiutò a perfezionare la mia tecnica alla chitarra, a comporre e a scrivere e da quella sera suono nel suo locale occasionalmente. -Dimmi che cerchi ancora qualcuno per aiutarti nel pub- dissi, nel momento in cui rispose al telefono. -Ciao anche a te figliolo, è da tanto che non ti si sente, stai bene? Come va la scuola? Io sto bene e si, mi sei mancato anche tu.
-Allora? Cerchi ancora qualcuno?
-Si ma se hai intenzione di portarmi uno dei tuoi amici della confraternita perché suo padre ha deciso di tagliarli i fondi…per favore evita.
-Ci vediamo più tardi allora. Ciao Bill, mi sei mancato- dissi, prima di riattaccare. Presi la mia roba, infilai la giacca e corsi verso la mia auto. Guardai l’orario dell’autobus per andare in città e vidi che sarei riuscito ad intercettare Kasper alla fermata. La trovai seduta sulla panchina, completamente assorbita dalla sua giacca e dalla sua sciarpa e nonostante gli strati sembrava stesse ancora tremando. -Sali!- dissi, fermandomi davanti a lei dopo aver abbassato il finestrino. -Che cosa ci fai qui?- chiese lei, avvicinandosi all’auto. Dallo specchietto vidi l’autobus avvicinarsi. -Sali, l’autobus sta arrivando- dissi, lei sembrava confusa. -Kasper, dai, fa freddo!- esclamai, dopo un lungo istante di esitazione entrò in macchina. -Per qualche strana ragione ti immaginavo esattamente con questo genere di auto, lussuosa ma mascolina- disse, osservando la mia Jeep. -Non ti ho chiamato- disse, accesi l’aria condizionata e avvicinai le sue mani al riscaldamento. -Ti voglio portare in un posto- dissi, lei si tolse la sciarpa e sbucò fuori dal suo guscio. -Dovrei preoccuparmi?- chiese, scossi la testa e mi concentrai sulla guida. Lei poggiò la testa contro il finestrino e osservò la città passarle davanti agli occhi. Sembrava immersa nell’immagine di New York ad alta velocità. -Non dovresti fidarti di me- dissi, lei si voltò e mi sorrise. -Chi ha detto che mi fido di te?
-Sei salita spontaneamente nella mia auto, potrei…farti del male- risposi, lei scosse la testa e scrollò le spalle. -Chi ti dice che non sia esattamente questa la ragione per la quale sono salita?- chiese lei, prima di tornare ad guardare fuori dal finestrino. Mentre eravamo bloccati nel traffico Kasper accese la radio e cercò una stazione che le piacesse. Passò quasi cinque minuti a fare il giro di tutte le stazioni senza trovare quella che più l’aggradava. Le passai il cavo AUX e lei inserì il suo telefono. Scelse una canzone di Lana Del Rey che non avevo mai sentito prima e poi mise l’ultimo album di Eminem e ci ritrovammo a cantare le sue canzoni nel bel mezzo del traffico. Dopo una lunga mezz’ora arrivammo nel centro città, poco lontani da Time Square. -Che cosa ci facciamo in città?- chiese, mentre la trascinavo verso il bar del mio amico Bill. -In macchina e a quest’ora la strada sembra più lunga ma in realtà ci metteresti una decina di minuti in autobus, con la linea dodici- dissi, lei mi guardò confusa. -Che ne sai tu di linee di autobus? Guidi una macchina che costa più della mia intera esistenza- replicò lei, sorrisi e scrollai le spalle. Entrai nel bar e la spinsi a seguirmi. 
 
Kasper
 
Mi trascinò in questo bar in Midtown, all’incrocio tra Time Square Street e 7th Avenue. Inizialmente l’idea di andare per bar con lui non mi entusiasmava, non ero molto brava con le persone e non provavo nemmeno ad esserlo. Non volevo conoscere i suoi amici perché probabilmente mi avrebbero odiata e io avrei odiato loro. Probabilmente passare il tempo in biblioteca non era più di suo gradimento e per sopportarmi aveva bisogno d’alcol e ciò significava che presto sarebbe uscito dalla mia vita per noia. La noia era una delle ragioni che non avevo considerato quando avevo analizzato le possibili cause della fine del nostro rapporto puramente platonico. Il bar era molto retro, c’era un jukebox infondo alla stanza, un lungo bancone e un bar ben fornito. Era tutto in legno e decorato con vecchi poster di star famose tra gli anni cinquanta e gli anni novanta, odorava di cannella e birra ed era vuoto. L’uomo dietro al bancone asciugava i bicchieri quando entrammo e per mia sorpresa si alzò per salutare Kareem che lasciò la mia mano nel momento in cui lui si voltò per guardarci. 
-Guarda chi si rivede!- esclamò l’uomo, stringendo Kareem in un caloroso abbraccio. Il proprietario sembrava avere attorno ai quarant’anni, era di bell’aspetto, aveva grandi occhi blu e un sorriso caloroso. Indossava un paio di jeans e una camicia di flanella il che mi fece sorridere. -Quand’è stata l’ultima volta che ti sei fatto vedere?- chiese l’uomo, stringendo ancora Kareem per le spalle. -Dev’essere passato tanto tempo perché sei davvero invecchiato, amico - disse Kareem, l’uomo si mise a ridere e poi mi rivolse un’occhiata. -Hai portato qualcuno- disse, senza togliere gli occhi da me. -Ho portato qualcuno.
-Non porti mai nessuno- aggiunse l’uomo, rivolgendo un’occhiata a Kareem. -C’è una prima volta per tutto- replicò Kareem, l’uomo mi guardò ancora una volta e io feci del mio meglio per non sentirmi a disagio. -Come ti chiami, ragazzina?- chiese l’uomo, sospirai sollevata di sentire qualcosa vagamente rivolto a me. -Kasper, si chiama…Kasper. Cioè, in realtà si chiama Joe ma io la chiamo Kasper il che non so nemmeno se a lei piaccia ma la chiamo così ma non significa che tu debba chiamarla...- disse Kareem, battendomi sul tempo. Lo guardai confusa e divertita dal suo lungo stupido e inutile monologo sul mio nome. Continuava a muovere la gamba e sembrava che li stessero sudando le mani. -Sei nervoso?- chiesi, rivolgendoli uno sguardo accusatorio. -Credo sia nervoso- rispose l’uomo, sorridendo. -Perché sei nervoso?
-Si, figliolo, perché sei nervoso?- chiese l’uomo, cogliendomi di sorpresa. -Oh…devo andare- dissi. L’idea che Kareem mi stesse presentando il padre comportava troppo stress e un peso che non volevo avere. Che cosa voleva dire esattamente? Che ero la sua ragazza? Pensavo fossimo solo amici? Perché mi presenterebbe suo padre?
Prima che potessi raggiungere la porta Kareem mi afferrò per i fianchi e mi prese di peso trascinandomi esattamente dove mi trovavo pochi secondi prima. -Ora sei tu quella nervosa- disse lui, notando il modo in cui giocavo con l’anello. -Non è mio padre- disse Kareem, guardandomi. -Ma ho apprezzato la tua imminente paura che potesse essere mio padre- aggiunse, sorrisi e abbassai lo sguardo. -Okey, io ancora non ho capito il tuo nome ragazzina- disse l’uomo, sorrisi e li porsi la mano. -Joe, piacere di conoscerla- risposi, lui sorrise e mi strinse la mano. -Bill, e il piacere è tutto mio- disse. -Venite, sedetevi- disse Bill. Ci sedemmo al bancone e Bill ci preparò dei drink. -Whiskey on the rock, come piace a te. Spero che ti vada bene, Joe- disse Bill. -Perché non le chiedi che cosa le piacerebbe bere, piuttosto- replicò Kareem. -Mi piace il whiskey, quindi va benissimo così- replicai, abbozzando un sorriso. 
-Allora, suppongo sia lei- disse Bill, guardandomi e spingendo Kareem a guardarmi. -Si, è lei- rispose Kareem, sorseggiando il suo drink. -Posso sapere di che cosa state parlando o…
-Bill cerca una cameriera- disse, sorrisi e mi alzai. -Dovevi dirmelo prima!- esclamai, mi tolsi la felpa e presi il cardigan che tenevo nello zainetto, tolsi il cappello e pettinai i capelli con le mani al meglio delle mie capacità. Presi il mio curriculum dallo zaino e lo porsi a Bill. -Pensavi di ottenere un lavoro mostrando le gemelle?- chiese Kareem, guardandomi dritto negli occhi e ignorando la presenza dei miei seni. -È l’unico modo per ottenere un lavoro quando si è giovani e di sesso femminile.
-Hai lavorato allo Spike Room?- chiese Bill, annuì e lui sembrò sorpreso. -Non ci è morto qualcuno qualche mese fa?- chiese, sorrisi e annuì. -Durante il mio turno- aggiunsi, Kareem mi guardò sorpreso. -Che cosa è successo?- chiese Kareem. -Due uomini litigavano e uno ha pugnalato l’altro e se qualcuno chiama un ambulanza nel Queens alle tre del mattino solitamente l’ambulanza arriva il più tardi possibile a raccogliere il cadavere. Ho cercato di tenerlo in vita ma dopo una mezz’ora di rianimazione è morto.
-Dev’essere stato difficile- disse Bill, il mio sguardo finì su Kareem e per la prima volta sentì il bisogno di mentire davanti a lui. L’ultima cosa che volevo era che lui pensasse che fossi una persona fredda e distaccata, senza alcuna empatia o compassione ma non era la prima volta che affrontavo la morte di petto e nemmeno lo conoscevo quel uomo quindi la sua morte aveva raschiato solo la superfice del primo dei dodici stadi del dolore che conoscevo. -Si, ehm…un’esperienza toccante- dissi, non sapendo bene quali parole usare per quel genere di situazione. -Hai lavorato in molti bar nello stesso periodo…com’è possibile?
-Non avevo altro da fare e ho preso l’abitudine di nutrirmi e sopravvivere ma sto cercando di smettere, glielo assicuro- dissi, entrambi sorrisero e Bill mi chiese di darli del tu. -È una matricola alla Columbia, ha iniziato un paio di mesi fa- disse Kareem. -Okey, sei assunta- disse Bill, sorrisi. -Davvero? Non vuoi vedere come…- chiesi, lui annuì. -Nah, sono sicuro che tu te la cavi piuttosto bene e in caso non sia così sarà Kareem a pagarne le conseguenze- rispose Bill, sorrisi e guardai Kareem. -Prometto che non ci saranno conseguenze da pagare- dissi, guardandolo, lui mi fece l’occhiolino e sorrise. -Ne sono sicuro- disse. -Quando comincio?- chiesi, Bill mi lanciò un grembiule. -Sta sera- disse, annuì e mi tolsi il cardigan e avvolsi il grembiule attorno alla vita. Iniziai con l’abbassare le sedie e pulire i tavoli. -Grazie per il lavoro, Kareem- dissi, mentre lui mi girava attorno. -Figurati…credo di averlo fatto più per me che per te- disse, lo guardai confusa e lui sorrise. -Qui sei al sicuro e posso tenerti d’occhio-rispose, sorrisi e annuì. -Me la sono cavata fino adesso senza la tua attenta supervisione, mi è morto un uomo davanti, ricordi?
-A proposito, grande recita poco fa- rispose lui, lo guardai confusa e poi capì di che cosa parlava. -Scusa?
-Ti si leggeva negli occhi che non avevi alcun interesse per la morte di quell’uomo- replicò lui, mi sentì profondamente offesa da ciò che disse. -Si chiamava Luke Rogers, aveva due figli ed era divorziato. Al suo funerale c’erano poche persone, tra cui Lara e Mike, i suoi figli che non vedeva da dieci anni. Non sono più in grado di provare emozioni forti legate a persone che non conosco ma questo non significa che la sua morte non mi interessasse- risposi, lui serrò le labbra e io mi allontanai per sistemare gli altri tavoli. -Kasper- disse, attirando la mia attenzione. -Mi dispiace- disse, annuì e continuai a lavorare.
 
Kareem
 
Una parte di me sperava che lei fosse tanto fredda da non battere ciglio alla morte di qualcuno e che questo la rendesse una persona orribile quasi quanto lo ero io ma era solo mille volte migliore di me e ne avevo avuto di nuovo la conferma. -Se hai intenzione di esibirti sta sera allora ti conviene sistemare il materiale- disse Bill, evitai lo sguardo di Kasper ma sentivo esattamente il modo in cui mi guardava. -Esibirti? Dimmi che è uno di quei spettacoli di lip sync che fanno le Drag Queen!- esclamò lei, sorrisi e scossi la testa. -Si, è esattamente ciò che faccio- risposi. Salì sul piccolo palco accanto al bancone e iniziai a sistemare il materiale. Mi sedetti sullo sgabello per accordare la chitarra e sistemare il microfono mentre Bill si occupava delle luci e del suono. Suonai qualche nota e testai il microfono, nel farlo notai lo sguardo curioso di Kasper. I suoi occhi finivano su di me ma nel momento in cui la guardavo lei abbassava lo sguardo e tornava a fare ciò che stava facendo. -Hai qualcosa di nuovo?- chiese Bill, presi il quaderno nero che avevo nello zaino e glielo porsi, lui lo sfogliò e si mise a leggere alcune delle ultime canzoni che avevo scritto. -Sei ispirato a quanto vedo- disse, rivolgendo un occhiata a Kasper. -È la prima che porti qui- disse, lo guardai e scrollai le spalle. -Non è solo la prima ragazza ma è anche la prima persona, persino quando stavi con la bionda non hai mai pensato di portarla al Blue. Pensavo ti vergognassi di me.
-Sai che non è così- replicai, lui sorrise e annuì. -È speciale- disse, lo guardai confuso. -Scusa?
-Dev’essere qualcuno di speciale se hai deciso di portarla qui…
-Oppure sono un buon amico che aiuta un’amica- replicai, lui scosse la testa. -Come vuoi, ragazzo, come vuoi- disse, in tono accondiscendente. 
Il bar si riempì in poche ore, più che altro giovani ragazze e ragazzi alla ricerca di una serata di alcol e buona musica. Bill mi aveva proposto di aspettare che tutti i tavoli fossero pieni prima di iniziare a suonare quindi ero seduto al bancone a chiacchierare con alcune ragazze per passare il tempo. In qualche modo il mio sguardo continuava a finire su Kasper e uno dei lati negativi di questo mio indesiderato potere era quello di notare ogni singolo maschio che posava gli occhi su di lei. Notavo il modo in cui la guardavano, i sorrisi seducenti che le regalavano e soprattutto notai che lei non sembrava rendersene conto. Al bancone un ragazzo aveva fatto di tutto per farle capire le sue intenzioni ma lei ne era completamente allo scuro. 
Ero particolarmente affascinato da come lei non riuscisse a rendersi conto di come il resto del mondo la vedeva. Anche solo tralasciando il suo aspetto fisico che era accentuato da quella canottiera nera, il modo in cui sorrideva ai clienti e i suoi grandi occhi verdi erano riusciti a far cadere qualche testa quella sera. -Kareem, tocca a te- disse Bill, annuì e presi la chitarra prima di salire sul palco.
 

Kasper
 
Kareem salì sul palco e attirò l’attenzione su di se, ogni singola ragazza in quella stanza guardava lui. L’avevano notato ancor prima che salisse sul palco, uno come lui era praticamente impossibile da non vedere. I riflettori facevano risaltare i suoi occhi nocciola e lo rendevano mille volte più affascinante. Avevo passato la serata a servire drink e ascoltare Kareem parlare con stupide ragazze superficiali, l’avevo sentito ridere alle loro stupide battute e fingere di essere interessato ai loro stupidi film. Il numero di ragazze che mi avevano chiesto di offrirli un drink da parte loro aveva superato il numero di dita in mia possessione. Sapevo che la serata sarebbe stata lunga e che avrei dovuto sopportare la vista di tutte quelle ragazze attaccate a lui per molto tempo. Ma per rendermi la vita un inferno lui aveva deciso di prendere una chitarra ed esibirsi. Nel momento in cui salì sul palco le urla delle donne presenti erano più forti dei miei pensieri e sembrava che nessuno volesse staccare gli occhi da lui. Nemmeno io volevo farlo. Presi la macchina fotografica dallo zainetto e mi misi nel luogo dove avrei avuto uno scatto pulito. Poi lui iniziò a suonare e io persi la capacità di fare più cose allo stesso tempo. In quel momento le urla svanirono, le persone svanirono ed ebbi la sensazione di essere sola con lui. La sua voce era perfettamente imperfetta, il modo in cui cantava, la sua voce era capace di trasmetterti tutto il dolore che aveva provato. Le sue canzoni…riuscivo a vedere nella sua musica tutte le cose che cercava di nascondere dietro a quella maschera da duro. Era vulnerabile su quel palco, era umano più di quanto avrebbe mai ammesso di essere. In quel momento, mentre lui si esibiva pensai che le cose sarebbero andate davvero male per me. Mi resi conto che rischiavo di finire in una trappola, rischiavo di farmi catturare da lui e in qualche modo volevo davvero che succedesse, volevo mettere piede nella sua trappola e lasciarli fare qualsiasi cosa volesse con me. Sapevo esattamente che genere di ragazzo fosse e non avevo alcuna intenzione di cambiarlo, non ero nessuno per pretendere di cambiare qualcuno e non volevo che cambiasse. In quel momento mi resi conto che avrei sofferto più di quanto avrei mai voluto ma ero pronta a buttarmi. Per la prima volta nella mia vita non ero stata spinta, mi ero buttata e sarebbe stata la caduta più orribilmente magnifica della mia vita.
Scattai qualche foto, bellissime foto di lui nel suo ambiente naturale, foto del pubblico esultante, foto dello sguardo fiero di Bill ma ci fu una foto in particolare che non riuscivo a smettere di guardare. Sembrava che stesse guardando la fotocamera, sorrideva e guardava la fotocamera.
L’esibizione finì presto, troppo presto, suonò una decina di canzoni che dal mio parziale punto di vista erano perfette. Scese dal palco per farsi assalire da un gruppo di ragazze particolarmente eccitate, poi mentre attraversava la folla un secondo gruppo di ragazze un po' più adulte lo fermarono e lo toccarono un po' troppo per i miei gusti e finalmente arrivò al bancone. Si voltò e guardò nella mia direzione, sorrisi e vista la massa di gente davanti a me gli feci cenno di uscire con me. -Non devi dirmi che ti è piaciuto, so quanto tu possa essere critica quando si tratta di musica e non devi sentirti in obbligo di….- disse Kareem, una volta avermi raggiunta fuori. Non lo lasciai finire di parlare perché venni colpita da un attacco di impulsività con il quale non ero familiare. Io e l’impulsività non eravamo grandi amiche, una ragazza come me che è stata rapita a cinque anni e torturata per dieci doveva optare per uno stile di vita controllato e calcolato. L’impulsività non era una buona idea ma quella volta lo fu. 
Avevo letto molto sulle farfalle nello stomaco e le scintille nell’aria, non avevo mai dato un bacio prima quindi le consideravo stupide frasi usate per farti innamorare dell’idea dell’amore. 
Ma poi lo baciai e rimisi in questione la mia intera esistenza. Le sue labbra erano morbide, sapevano di birra e la sua pelle sotto alle mie dita era morbida come quella di un bambino. Non avevo mai baciato e quindi non sapevo che cosa aspettarmi, non sapevo che cosa volesse dire ricambiare un bacio ma lui me lo fece capire. Le sue mani avvolsero delicatamente i miei fianchi e il bacio divenne più intenso ma sempre delicato. Le nostre lingue si intrecciarono in un lento valzer che non pensavo di essere capace di ballare, il suo profumo mi avvolgeva. 
Poi, in un attimo, come se una lampadina si fosse accesa nella mia piccola testolina mi resi conto del grande sbaglio che avevo fatto e mi allontanai. Feci tre lunghi passi indietro e mi passai un dito sulle labbra. -Pessima idea- dissi, lui mi guardò con l’aria confusa e sorpresa.
-Pessima idea…davvero una pessima idea, Joe- dissi, camminando avanti e indietro per il marciapiede. -Kasper- disse, lo guardai e dovetti immediatamente abbassare lo sguardo per l’imbarazzo. -Joe, chiamami Joe, mi chiamo Joe- borbottai, lo vidi sorridere con la coda dell’occhio. -Mi dispiace…non avrei dovuto baciarti e in più non sono nemmeno brava nel farlo quindi mi scuso anche per il mio mancato talento nell’arte del limonare.
-Te la cavi piuttosto bene, in realtà…
-Non voglio saperlo!- esclamai, lui sorrise. -Non è divertente Kareem- dissi, lui sorrise e annuì. -In realtà lo è, c’è qualcosa di esilarante nel vederti perdere la testa per un bacio. 
-Perché non dovrei perdere la testa? Noi siamo amici e non si baciano gli amici.
-Ho baciato un mucchio dei miei amici…
-Tutte donne suppongo- replicai, lui sorrise e abbassò lo sguardo. -Senti, non è niente di così grave, è stato un bacio innocente.
-Ti sei esibito e hai usato quella tua magica voce per sedurre le donne presenti e poi eri davanti a me con i tuoi grandi occhi scuri e io….
-Okey….ti piacciono i musicisti quindi, non pensavo fossi quel tipo di ragazza- replicò lui, scherzando. -Che tipo di ragazza?
-La groupie- rispose, gli tirai uno schiaffo sul braccio e tornai dentro dove passai il resto del turno a fare una lista di pro e contro della situazione.
 
 
 
 
 
   
 
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