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Autore: NPC_Stories    18/11/2018    0 recensioni
Dopo l'avventura nel dungeon che celava la città distrutta di Atorrnash, Linomer aveva riportato in superficie numerose perle nere che erano appartenute a Ka'Narlist, il malvagio sovrano degli elfi scuri. La leggenda vuole che in quelle perle fossero rinchiuse le anime dei suoi nemici... ma c'è forse un limite a quanto possono essere strani i nemici di un antico arcimago che mirava a diventare un dio? Di certo dovevano essere molti, e variegati.
Questa è la storia di un povero mago che, da solo, deve occuparsi di gestire almeno quelli che non erano malvagi.
Come reagiranno queste persone, trovandosi in un mondo visceralmente diverso da quello in cui sono nate?
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Breve spin-off di Jolly Adventures. O meglio, non so se sarà breve. Diciamo che non ha una trama strutturata, è una collezione di eventi. Aggiornerò ogni tanto, quando mi verranno le idee. Quantomeno sarà una buona carrellata di possibili spunti per avventure.
Disclaimer: quasi tutti i personaggi appartengono a me, ma altri fanno parte dell'ambientazione e appartengono alla Wizards of the Coast e ai loro creatori.
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1320 DR: La copia falsa del vero, la copia vera del falso


Le stanze nella torre di Linomer stavano cominciando a diventare troppo strette; erano pensate per ospitare soltanto una persona e uno o due ospiti occasionali, mentre ora ci vivevano in tre.
Kavrin era al settimo cielo perché aveva un nuovo amico: un giovane drago delle dimensioni di un lupo, una creatura dal corpo sinuoso e affusolato, coperto di scaglie blu argentate. Kavril lo adorava. Passava intere giornate a giocarci e a rincorrerlo per le varie stanze. Sapeva che lo zio Linomer l’aveva creato con il fango e la magia e non era un vero drago, ma per lui lo era: completamente vero.
Sapeva che il drago era intelligente e non era un animale, né un giocattolo, ma il bambino era… un bambino, appunto… e nessun pudore e nessun rimprovero potevano trattenerlo dal tirare la coda al drago ogni volta che desiderava invitarlo a giocare.
Per di più era un drago magico. Poteva trasformarsi in una persona, e Kavrin lo aveva scoperto nel modo peggiore. Un giorno aveva probabilmente esagerato con i approcci entusiastici, il drago era scappato a rifugiarsi in un armadio e quando ne era uscito si era trasformato in una ragazza umana. Kavrin aveva già visto gli umani, quando era andato alla fiera, ma non aveva molta familiarità con loro. Quel giorno aveva scoperto che gli umani, anche le femmine, sono abbastanza forti da sollevare un bambino e buttarselo sulla spalla. Kavrin era stato trasportato come un sacco, a testa in giù, in giro per le stanze della torre. Il drago-donna saltellava e faceva piroette, in un modo che gli aveva fatto venire il mal di mare. Alla fine il bimbo era stato scaricato sul grande divano bianco dello zio, proprio come se fosse stato un sacco di patate. L’umana gli aveva puntato contro un dito e l’aveva minacciato con livore: “Questo è quello che succederà se proverai di nuovo a cavalcarmi. Non sono il tuo pony! Sono stata chiara?”
Kavrin non aveva idea di cosa fosse un pony, ma da allora non aveva più provato a salire sulla schiena del drago.
Il giorno dopo erano di nuovo amici come prima.
Naturalmente un Simulacro non poteva ricordare l’incidente, non poteva serbare rancore: ogni volta che dormiva i suoi ricordi si azzeravano, tornava a sapere solo quello che sapeva al momento della sua creazione. Che Kavrin era prezioso e che era suo compito tenerlo d’occhio... e, soprattutto, tenerlo occupato. In modo che Linomer potesse continuare il suo lavoro sulle perle.

Linomer aveva deciso che era tempo di grandi cambiamenti: il suo laboratorio di magia non le sembrava più il luogo adeguato per fare certi esperimenti, non con Kavrin e il suo Simulacro che giocavano a rincorrersi proprio fuori dalla porta. Il rumore la deconcentrava, e inoltre aveva sempre paura che La Cosa facesse irruzione nel suo studio senza preavviso. Avrebbe potuto semplicemente bloccare la porta, ma non le piaceva farlo. Quando pasticci con la magia, non puoi mai essere certa che non dovrai scappare all'improvviso da un esperimento riuscito male. O da un mostro.
L’elfo della luna, o meglio l’apparente elfo della luna, era alle prese con una decisione difficile: continuare con le perle che emanavano poco o nessun potere? E se avessero contenuto altri bambini? No, decisamente meglio di no. Avrebbe spostato la priorità sulle perle che racchiudevano creature un po’ più potenti. Non molto di più… ma nemmeno inermi.
Però nel frattempo avrebbe dovuto portarsi avanti anche su un altro fronte: approfondire gli studi sulla magia del sangue. Forse, se c’erano altri bambini intrappolati nelle perle, erano parenti di Kavrin. Forse c’era un motivo se Ka’Narlist lo aveva scelto. Se fosse riuscita ad utilizzare il sangue di Kavrin per isolare le perle che contenevano altri elfi scuri, sarebbe stato un enorme passo avanti. Il problema era che quelle perle non contenevano corpi, ma solo anime. Non c’era sangue lì dentro. Sarebbe stato come chiedere ad un cane di cercare la traccia olfattiva di una persona facendogli annusare un ritratto di quella persona. Un errore logico.
Linomer sospirò e chiuse il quaderno che conteneva i suoi appunti sulla magia del sangue. Stava cercando di riassumere le poche informazioni che aveva trovato su cinque diversi tomi antichi, alcune delle quali si contraddicevano.
Mi servono altri libri. Ne so ancora troppo poco.
Si appoggiò stancamente allo schienale della poltrona, gettò indietro la testa e fissò lo sguardo sul soffitto. Era completamente affrescato, ritraeva il cielo stellato e fra le stelle erano disegnate le costellazioni con pochi tratti semplici ma precisi. Linomer mosse una mano e mormorò una parola di comando, e le stelle cominciarono a brillare, come se non fossero solo dipinte. Il cielo cominciò a ruotare intorno al disegno della stella del nord, come accadeva al firmamento ogni notte. Linomer tenne gli occhi sul soffitto dipinto con grande attenzione, perché non poteva permettersi errori: quella lenta rotazione era l’ingranaggio di una sorta di magica cassaforte. Quando le stelle raggiunsero una certa posizione, quella della mezzanotte del solstizio d’estate, il mago fece un brusco cenno con la mano e il movimento degli astri si fermò. Non bastava sapere quale fosse la chiave di quel mistero, e nemmeno conoscere le parole e i gesti di attivazione; era necessaria una perfetta conoscenza dei movimenti delle stelle per indovinare l’esatta combinazione visiva che avrebbe rivelato la botola segreta.
Anzi, non l’avrebbe semplicemente rivelata: l’avrebbe a tutti gli effetti portata su questo Piano dell’esistenza, perché non era una semplice porta segreta, era una porta che si affacciava su una tasca extraplanare. La botola sul soffitto non esisteva nemmeno sul Piano Materiale, finché la giusta posizione delle stelle non riattivava un incantesimo dormiente di Reggia Meravigliosa che Linomer aveva reso permanente.
La botola si aprì al suo comando e Linomer levitò verso il soffitto, entrando dalla botola che era abbastanza larga da lasciar passare una creatura molto più corpulenta di lei. Spesso Linomer doveva attraversare quella soglia trasportando libri o altri oggetti, quindi era una precauzione necessaria.
Il mago ne sapeva qualcosa, di precauzioni necessarie; ad esempio, non poteva chiudersi la botola alle spalle, altrimenti le protezioni avrebbero fatto in modo che scomparisse di nuovo dal suo laboratorio sul Piano Materiale, di fatto intrappolandola in quel luogo extraplanare. Chiudere la botola era una misura estrema nel caso in cui fosse stata sotto attacco. Se fosse rimasta chiusa dentro avrebbe comunque potuto uscire, ma solo al prezzo di disfare alcune delle protezioni magiche del suo spazio segreto, e non voleva farlo. Il suo sancta sanctorum era protetto contro il teletrasporto ed i viaggi planari, solo un mago epico sarebbe riuscito a infrangere le sue barriere, e non senza sforzo.
Non senza sforzo. Una magra consolazione.
Linomer era troppo intelligente per dormire sugli allori, sapeva che quel luogo non era completamente sicuro, nessun luogo lo è davvero. Per questo usava la Reggia Meravigliosa come biblioteca, come magazzino per oggetti di valore, lasciando intendere di crederlo il luogo più sicuro del mondo (giusto nel caso in cui qualcuno fosse riuscito ad entrare)... ma non teneva lì le cose davvero importanti. Quelle erano nella sua torre, in mezzo alle normali cianfrusaglie, coperte da illusioni che le facevano apparire oggetti dal potere blando.

Linomer si diresse con sicurezza al suo piano di lavoro. Uno dei tanti, quello meno ingombro di roba.
Spostò con cura un fascio di pergamene, un pesante tomo pieno di oggettini casuali che aveva usato come segnalibri di fortuna (chissà quanto tempo prima?) e un grosso barattolo che conteneva tre diamanti immersi nel sangue.
Oh, è vero, questo progetto. Scosse la testa con un'espressione quasi dispiaciuta e fu molto cauta nel sollevare il barattolo e nel posarlo su uno scaffale. La faccenda di Atorrnash me l’ha fatto passare di mente. Non importa, Jacquelemenia può anche aspettare. Adesso ho faccende più urgenti a cui pensare.
Allontanò con decisione il pensiero della sua ultima apprendista, perché provava un accenno di affetto per lei. Non sapeva cosa sarebbe uscito da quelle perle nere; se fosse stata una creatura che leggeva nel pensiero, Linomer non voleva darle alcuna arma da sfruttare a suo vantaggio. Non poteva permettere che qualcuno facesse del male alle persone che amava, quindi si concesse un minuto per regolare il respiro e svuotare la mente: non poteva permettersi di pensare alla sua apprendista, né a Beith, ai suoi Simulacri o ai suoi amici che l’avevano aiutata nel dungeon… e soprattutto non doveva pensare a Kavrin. In quel momento Kavrin era la persona per cui provava più affetto e verso cui si sentiva più protettiva. Lasciò che le immagini mentali di queste persone sbiadissero e si allontanassero in un angolo della sua mente, protette da un velo pesante come nebbia. Per una mente allenata, un semplice esercizio di meditazione poteva scindere il pensiero razionale da quello emotivo.
Estrasse dalla tasca il cofanetto miniaturizzato che conteneva le perle, lo poggiò sul tavolo da lavoro e con una formula magica lo riportò alle sue dimensioni originali. All'interno aveva diviso le perle in diversi sacchetti, raggruppando quelle che avevano un livello di potere analogo.
Non troppo debole, non troppo forte… ricordò a se stessa, scegliendo una perla da un sacchetto grigio. Adesso, che la fortuna mi assista.

Rompere la perla era sufficiente per liberare l’anima al suo interno. Linomer incollò la perla al ripiano del tavolo con due gocce di colla alchemica e poi prese in mano un martello.
Chissà cosa accadrebbe se, anziché rompere la perla, la sciogliessi nell'aceto? Si domandò con curiosità. L'anima sarebbe comunque libera? Io penso di sì… chissà cosa accadrebbe se mangiassi una perla e il processo di digestione la sciogliesse. Il corpo della creatura si formerebbe nel mio stomaco?
Linomer scosse la testa, dicendosi che talvolta la sua curiosità andava troppo oltre. Tuttavia non riuscì ad impedirsi di continuare su quel filone di pensieri.
Chissà cosa succederebbe se una creatura delle dimensioni di un elfo inghiottisse la perla che contiene un gigante.
Per gli dèi, che cosa ho che non va nella testa?

Fece oscillare il martello prima che le venissero in mente altre idee creative. La perla si ruppe con un sonoro crac!, e qualche istante dopo una nebbiolina grigia cominciò ad aleggiare sopra il tavolo. Cominciò a delinearsi la forma di una creatura grande quanto un uomo, dalla pelle di un insipido color grigio chiaro, lucida come se fosse coperta di cera. Man mano che la figura prendeva consistenza, Linomer riconobbe la creatura da quei suoi tratti così tipici: gli arti lunghi e sgraziati, la corporatura magra e ingannevolmente fragile, un viso privo di lineamenti con una sorta di becco al posto della bocca…
Pochissime creature avrebbero riconosciuto un doppelganger nella sua forma naturale, perché solo pochi fortunati possono dire di averne visto uno. Di solito quelle creature ingannatrici vivono ammantandosi dell’aspetto di qualcun altro, e molte persone non sanno che il loro vicino di casa, o addirittura un membro della loro famiglia, è segretamente stato sostituito da un doppelganger.
Linomer però riusciva sempre a vedere il vero aspetto delle creature, anche quando loro non volevano. Questo non era certo il primo doppelganger che incontrava.

Tornare alla vita dopo millenni di quiescenza non era una passeggiata; le sue precedenti esperienze con altri prigionieri delle perle l’avevano chiaramente dimostrato. Durante le prime ore, le creature liberate potevano sperimentare malessere, sbalzi d’umore, confusione, e soprattutto una ridotta capacità motoria. Beith era stata incapace di camminare senza inciampare per tutto il primo giorno. Di solito, dormire aiutava il cervello a ristabilire i giusti collegamenti con il nuovo corpo, o almeno questa era la teoria di Linomer.
Il doppleganger si era appena reso conto di essere libero, in un luogo sconosciuto, davanti ad uno sconosciuto. Un istante dopo si rese conto di essere anche nudo, ovvero nella sua forma originale. Il suo primo istinto fu di trasformarsi, ma non era ancora pronto per un simile sforzo; la sua pelle si tinse di un colore più pallido, gli arti si accorciarono e Linomer vide che stava cercando di prendere l’aspetto di un elfo… ma la trasformazione si bloccò a metà, producendo un ibrido che non aveva nulla di naturale. Un'immagine che avrebbe davvero preferito non vedere. In aggiunta a questo, poteva distinguere il vero aspetto del doppelganger in sovrapposizione alla nuova forma che aveva assunto, come se la forma fasulla fosse un’illusione semi-trasparente.
“Prego, non c’è bisogno che vi diate tanta pena.” Linomer parlò in elfico, sperando che la creatura comprendesse la lingua. “Non siete il primo doppelganger che mi capita di incontrare.”
Il suo nuovo ospite la guardò con aria confusa, ma sembrò afferrare le sue parole. La sua figura tornò ad avere i tratti naturali della sua razza.
“Dove mi trovo?” domandò, parlando in un elfico dai tratti molto più arcaici. Studiò l’aspetto di Linomer per un momento. “Siete un elfo d’argento. Mi trovo nel regno di Shantel Othreier? Come sono arrivato qui?”
Linomer sussultò, sentendo quel nome. Dovette rimandare a mente le sue conoscenze sulla storia antica del Faerûn per ricollegare quella domanda ad un contesto che avesse senso.
“No, mi dispiace.” Rispose, passando con naturalezza alla lingua elfica antica. Non l’aveva mai parlata prima, ma comprendere il linguaggio delle altre creature e rispondere nello stesso modo faceva parte dei suoi poteri innati. “Il regno di Shantel Othreier non esiste più da circa dodicimila anni.”
La creatura non cambiò espressione, ma dovette appoggiarsi al bordo del tavolo perché sembrava che le sue gambe stessero per cedere.
“Dodicimila…”
Linomer usò un pizzico di magia telecinetica per trasportare una sedia vicino al doppelganger. Lo strano ospite colse l’invito e non se lo fece ripetere.
“Dodicimila anni…” mormorò di nuovo, lasciandosi cadere sulla poltroncina. Rimase in silenzio per qualche secondo, poi si riscosse e tornò ad essere la creatura lucida e pragmatica che tutti i doppelganger sono. “Allora dove mi trovo? Voi chi siete? Perché sono qui?”
“Vi trovate in una città umana di nome Derlusk. Si trova in una regione che un tempo era parte regno di Ilythiir, molto vicino alla capitale Atorrnash. Questi nomi vi sono familiari?”
“Certo!” Esclamò la creatura con un pizzico di impazienza. “Mi trovavo ad Atorrnash proprio… un minuto fa, anche se ho la sensazione che un minuto fa sia moltissimo tempo fa.”
Linomer aprì le braccia in un gesto come di scuse. “La vostra anima era prigioniera in una perla incantata, per opera del malvagio arcimago Ka’Narlist. Capisco la vostra confusione. Sono passati circa diciannovemila anni dalla distruzione di Atorrnash e dalla… morte di Ka’Narlist.” Mentì, perché non vedeva il motivo di condividere informazioni importanti, come il fatto che l’anima dell'arcimago fosse a sua volta prigioniera di una perla. “Temo che tutte le persone che conoscevate non siano più fra noi.”
“Ka’Narlist…” mormorò il doppelganger. “Certo, mi ricordo di lui. Mi ricordo del suo popolo corrotto. Io ero stato inviato dal regno di Aryvandaar per… esiste ancora?” interruppe il suo discorso e alzò gli occhi su Linomer, in modo quasi speranzoso.
“Temo di no.” Fu la desolante ma prevedibile risposta.
Il doppelganger gemette.
“Ero stato inviato dal regno di Aryvandaar per spiare gli elfi scuri, ma alla fine sono stato scoperto. Ora tutte le mie informazioni sono inutili, e nessuno mi pagherà per questo.” Produsse uno strano schiocco con il becco, e Linomer capì che anche se non gli vedeva la bocca, probabilmente doveva avere una sottile apertura che usava per parlare.
“A me interessano le vostre informazioni.” Lo corresse lei. “Mi occupo di ricerche storiche e vi pagherò per le vostre informazioni, ma dovete capire che non si tratta più di questioni di vita o di morte, solo di curiosità accademica.”
Il doppelganger rimase in silenzio per un lungo momento, a riflettere.
“Sì. Si può fare. Ma badate, per un mago le mie informazioni sono più che curiosità. Non ho intenzione di svendere il mio lavoro.”
“Sono certo che possiamo accordarci.” Promise Linomer. “Possiamo spostarci nel mio studio? Dovrò prendere appunti.” Invitò, indicando la botola che li avrebbe riportati sul Piano Materiale.

Linomer passò il resto della giornata a prendere appunti sullo stile di vita degli antichi Ilythiiri, sulle loro difese militari (una cosa di scarso interesse), sulle loro tradizioni magiche (molto più interessante) e sulla genealogia di alcune famiglie nobili, tutte riconducibili alla discendenza di Ka’Narlist. Arrivò a supporre che il doppelganger avesse visitato la città più o meno duemila anni prima del Sundering, cioè quando ormai il regno di Ka’Narlist era ben consolidato, e probabilmente millenni dopo la nascita di Kavrin. Si era fatto l’idea che Kavrin dovesse appartenere alle prime generazioni di creature di sangue semi-divino, perché il bambino emanava una debole aura magica in modo del tutto inconsapevole.
Verso sera suonò una campanella d’oro, per comunicare al suo simulacro che doveva presentarsi e che doveva farlo in forma umana. Pochi istanti dopo infatti una donna bussò alla porta e aprì, restando sulla soglia.
“Il padrone ha bisogno di qualcosa?” domandò, attendendo ordini.
Linomer stava per ordinarle di cucinare qualcosa per il suo ospite, anche se non sapeva se i doppelganger avessero bisogno di mangiare (ma perché non avrebbero dovuto?). Purtroppo qualcun altro la batté sul tempo: un bambino che non vedeva il suo caro zio da tutto il giorno.
La Cosa scattò accanto alle gambe dell’umana, scivolando nello studio privato del mago.
“Zio, guadda che bella bacchetta!” esclamò entusiasta, mostrando un mestolo di legno con l’estremità larga colorata di giallo e rosso con i pastelli a cera. “Faccio acchio le magie!”
Poi Kavrin vide il doppelganger, il doppelganger vide Kavrin, e scoppiò il finimondo.

La Cosa gridò “Un mooottro!” e scappò urlando fuori dalla stanza, in cui, pensò Linomer, non aveva nemmeno il permesso di entrare. Il Simulacro si lanciò all’inseguimento del bambino. Linomer si nascose il viso in una mano, sospirando, ma il peggio doveva ancora venire.
Il doppelganger infatti schizzò in piedi come se la sedia fosse in fiamme.
“Un elfo scuro! Dicevate che non ne esistono più, che si erano estinti o trasformati in creature diverse.” Lanciò a Linomer un’occhiata che, nonostante i doppelganger siano poco espressivi, lasciava intendere un carico di sospetto e di giudizio.
“Non vi ho mentito, lui è un caso a parte. Si trovava in una perla, come voi. Anche il bambino è una vittima di Ka’Narlist.”
Il doppelganger fece nuovamente schioccare quella specie di becco che aveva al posto della bocca. “Vittima? Gli elfi scuri non sono mai vittime. Forse l’arcimago l’ha messo lì perché la sua discendenza potesse ri-colonizzare il mondo se le cose fossero andate male.”
“Con un solo individuo? Non siate ridicolo.” Linomer dissipò quei suoi dubbi con un gesto della mano.
“Voi chiaramente non capite” scandì lentamente quella creatura amorfa, come se pensasse di avere davanti un idiota “Ka’Narlist stava cercando di diventare un dio. Ma chissà quando ci sarebbe riuscito? Se io volessi diventare un dio, cercherei di assicurarmi che i miei discendenti, gli individui di razza più pura, possano sopravvivere anche se il mio popolo venisse distrutto. In modo da poter diffondere la parola.”
Diffondere la parola… considerò Linomer, con un brivido gelido lungo la schiena, O qualcosa di più? Quanto sa, costui, della Maledizione? È possibile che Ka’Narlist abbia salvato alcuni individui delle prime generazioni perché avevano un maggiore potere? Se fosse diventato un dio, avrebbe potuto avere il suo culto personale di super-sacerdoti. Pensò, non avendo una definizione migliore.
“Sì, ma l’arcimago è morto, e qualunque piano avesse su questa creatura è fallito.” Obiettò Linomer, ostentando una tranquillità che non aveva. “Ora è soltanto un bambino che non sa niente del mondo e che crescerà ben lontano dalla perversione del suo popolo.”
“La perversione del suo popolo fa parte di lui.” Decretò il doppelganger. “Lo tenete con voi a vostro rischio e pericolo.”
Lo sa. Decise Linomer. Sa della Maledizione, per forza. Ha spiato gli elfi scuri, conosce perfino le loro abitudini igieniche e sessuali, figuriamoci se non si è accorto che le sacerdotesse venivano regolarmente possedute. Ma ha scelto di tacere… e ora finge di non saperlo.
Se lo lascio andare via, rivelerà l’esistenza di Kavrin al miglior offerente.

“Mi assumerò questo rischio.” Disse solamente, cercando di non far trasparire nulla dalla sua espressione.
Il doppelganger però era una spia consumata, sapeva cogliere il minimo accenno di emozione dalle espressioni del volto, e capì che Linomer sapeva. Capì che non l’avrebbe lasciato andare vivo, o magari, se era fortunato, non l’avrebbe lasciato andare con i suoi ricordi ancora intatti.
Approfittò della sua posizione, visto che era ancora in piedi mentre Linomer era seduta, e senza preavviso scattò di corsa verso la porta.

Appena fuori dalla porta, il doppelganger si trovò in un ampio salone, illuminato da due larghe finestre. Non aveva familiarità con gli appartamenti di Linomer, ma gli bastò uno sguardo alla parete per capire che si trovava in una torre circolare. Solo che non vide scale da nessuna parte. Si trovò presto il cammino sbarrato dalla donna di prima, la serva del mago, che però non ebbe la prontezza di riflessi di reagire subito. Il doppelganger si chinò, afferrò Kavrin e corse verso la porta in fondo al salone. Il bambino cominciò quasi subito a scalciare, ma la presa del doppelganger era troppo salda.
La creatura ebbe una brutta sorpresa quando scoprì che la porta non conduceva alle scale, ma ad una cucina. Ora si trovava in una stanza senza via d’uscita, ad eccezione della finestra. Sentì dei passi in avvicinamento: il mago stava arrivando, e anche la serva. Si costrinse a pensare in fretta; l’unica arma che aveva era il suo corpo, e la vita dell’elfo scuro in ostaggio.

Quando Linomer e il Simulacro attraversarono di corsa la porta della cucina, si trovarono davanti uno spettacolo che sulle prime sembrava un incubo: due Kavrin.
“Zio, il mottro!” Gridò uno dei due, indicando l’altro.
“Ho paura!” Piagnucolò l’altro bambino, guardando Linomer con i suoi occhioni verdi colmi di lacrime.
Se Linomer fosse stata una persona normale, avrebbe esitato. Se fosse stata solo una maga, avrebbe lanciato un incantesimo di divinazione, dando tempo al doppelganger di inventarsi qualcos’altro. Ma Linomer era una creatura magica, e per lei vedere la vera forma delle cose era una capacità costante ed automatica.
Il secondo bambino era il doppelganger, e stava cercando di far leva sui suoi sentimenti. La cosa di per sé era ridicola, non era mai stata molto emotiva, ma… adesso lo era.
Linomer non era abituata a provare tutti quei sentimenti.
Tutta quella rabbia.
Un ringhio animalesco le uscì dalla gola. Un incantesimo di Telecinesi le salì alla mente come per sua propria volontà, e Linomer pronunciò la breve formula in modo quasi incomprensibile, tanto si sentiva la gola serrata per la furia.
Funzionò. Il bambino-doppelganger venne sollevato in aria improvvisamente e strattonato verso la finestra, che andò in frantumi con un rumore di vetri rotti. Il suo visetto infantile venne attraversato da un’espressione di stupore, poi di odio, poi scomparve oltre la finestra e Linomer non lo vide più.
Sentì delle grida da fuori, e pochi istanti dopo uno schianto raccapricciante. Il Simulacro corse alla finestra, mentre Linomer si chinava a terra per guardare in faccia Kavrin. Il bambino sembrava spaventato… da lei. Era stranissimo vedere la paura nei suoi occhi e Linomer si sentì stringere il cuore.
“Ehi, terremoto, lo so che sei tu quello vero.” Gli disse, in quello che sperava fosse un tono rassicurante.
Kavrin corse a cercare conforto fra le sue braccia, scoppiando in lacrime.
“Be’, si è schiantato proprio bene.” Li informò il Simulacro in tono neutro. Neanche lei aveva apprezzato le vili azioni del doppelganger. “Sembra che abbia cercato di trasformarsi in una creatura con le ali, ma non ha fatto in tempo.”
“Non aveva ancora il pieno controllo sul suo corpo.” Ipotizzò Linomer, prendendo in braccio Kavrin e dandogli qualche pacca sulla schiena. “Ma non ha altri da incolpare che sé stesso. Provare a portarmi via…” si fermò, stupita dalle sue stesse parole.
Che cosa sto facendo? Kavrin non è mio. Non posso… non posso tenerlo per sempre. Non so come crescere un elfo, e cosa farei se la Maledizione si manifestasse?
Kavrin strinse più forte le braccia intorno al suo collo.
“Lo zio lancia i mottri dalla finettra.” Sussurrò, in tono quasi ammirato. “Posso lanciare acchio qualcosa giù?”
Linomer lo afferrò da sotto le ascelle e lo allontanò per poterlo guardare in faccia.
“Ma certo che no! Come ti viene in mente?”
Kavrin aprì e richiuse la bocca, ma rimase in silenzio.
Forse un’educazione di base riuscirò a dargliela, dopotutto.
“Vado a recuperare il cadavere.” Annunciò il Simulacro in tono leggero, come se fosse normale.
Sì… Forse.

           

   
 
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