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Autore: Maybe Charlie Knows    27/11/2018    1 recensioni
- Non lo so, Saul. Insomma, noi stiamo facendo la musica che ci piace, no? Vogliamo quello, no? Vogliamo essere ricordati per quello. -
È stato Duff a parlare, con la sua voce vellutata, spalmato sul pavimento mentre stringe tra le braccia Victoria: ha lo sguardo vigile di un gatto in agguato, il bassista. Nessun altro se ne accorge ma Izzy e Duff si scambiano uno sguardo eloquente: hanno già affrontato questi discorsi, lontano dagli altri.
Piomba un silenzio tombale all’interno di quelle quattro mura. Ad un tratto a tutti sembra di poter sentire i pensieri degli altri, cosa che non piace a nessuno: preferirebbero non avere così chiaro il punto di vista di ciascuno, tener per sé una visione molto più gestibile della realtà.
- Beh, certo. Cioè, forse. In realtà, chi se ne frega essere ricordati, no? Esistiamo ora. Quando sarò morto, non mi sarà troppo utile sapere se qualcuno si ricorda di me. Invece, potrebbe essersi utile lasciare questo schifo. Non voglio più vivere in questa merda. - (Dal Capitolo 1)
Missing moments di Love will tear us apart.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Axl Rose, Izzy Stradlin, Quasi tutti
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Skies of rust – Capitolo II


The end of love
Even in my dreaming it was a good line for a song.






In a manner of speaking I just want to say
that I could never forget the way
you told me everything by saying nothing.
In a manner of speaking I don't understand
how love in silence becomes reprimand
but the way that i feel about you is beyond words.
(Tuxedomoon – In a manner of speaking)

Izzy era nervoso.
In realtà gli succedeva spesso. Nonostante, per svariati motivi, spesso si ritrovasse a ricoprire il ruolo del tipo pacato e razionale del gruppo, vi erano diverse situazioni che potenzialmente potevano inquietarlo o comunque farlo tremare dentro. Prima di un concerto, ad esempio, era sempre teso. Concentrato, ma comunque teso.
C’era qualcosa di diverso in ciò che stava provando in quel momento, tuttavia. Non si trattava di qualcosa di facile da ammettere a sé stessi: prima di quel pomeriggio di giugno, c’erano stati altri mille primi appuntamenti con altre mille ragazze, oltre a incontri ben meno standard. Il fatto che proprio quello, fra tutti, lo rendesse così agitato, meritava una riflessione che però non era in grado di formulare lì, su due piedi.
Intanto doveva trovare il modo di smetterla di sudare così tanto.
Non che non fosse un ragazzo riflessivo, il buon Izzy Stradlin. Anzi, fra tutti i mascalzoni e i cervelli bruciati che c’erano in giro, quel guercio sicuramente non temeva le parole e il loro significato, anzi. Venerava il pensiero, l’elaborazione di concetti e la traduzione di emozioni di cui l’uomo era capace.
Solo, in quel momento gli pareva che quella mirabolante abilità tipica della specie umana fosse solo in grado di aumentare la sua sudorazione.
Attendeva da qualche minuto a lato di una strada affollata di Silver Lake, Los Angeles, l’ombelico di quella dannata città. Aveva lottato con i ragazzi per avere l’automobile, quel pomeriggio, giusto per conferirsi un tocco d’indipendenza in più. Appoggiato contro quel macinino scassato mentre persone di ogni genere gli passavano vicino, quel vecchio diavolo si accese la seconda sigaretta di fila. La California era un autentica fornace ma di solito non gli provocava certi effetti.
Ancora niente.
Certo, lei non gli era sembrata una ritardataria. Tuttavia, Izzy non era riuscito a impedirsi di arrivare in anticipo davanti al negozio di dischi che gli era stato indicato come punto di ritrovo.
Indossava una camicia a maniche corte cremisi e un paio di pantaloni neri e lunghi che gli stavano facendo desiderare di essere morto, sotto il sole infernale della città degli angeli. Portava gli occhiali scuri sul naso, guadagnando un po’ di sicurezza dalla sensazione che almeno non si poteva scorgere il suo sguardo saettare da una parte all’altra del marciapiede.
- Ehi. -
Ovvio. Era arrivata esattamente dall’unico lato della strada verso cui non stava guardando. Ma Izzy era il tipo calmo, quello cool: non smise di ripeterselo mentalmente mentre si voltava a guardarla, prendendosi il proprio tempo per sorridere. – Ehi. -
Naz indossava un paio di jeans a vita alta che sembravano un po’ troppo larghi per lei, stretti con una cintura logora a cui erano stati aggiunti dei buchi, oltre a una canotta bianca su cui era stampata la faccia di David Bowie sulla copertina di Aladdin Sane. I colori erano un po’ sbiaditi. Portava i capelli corti e aveva gli occhi più belli che Izzy avesse mai visto.
- Come va? – Izzy si liberò dell’espressione imbambolata con cui la stava fissando un secondo prima che lei se ne accorgesse. Non osò avvicinarsi, tuttavia: l’aveva baciata, vista nuda, aveva fatto l’amore con lei, ma questo era un altro paio di maniche. Dal pomeriggio sulla spiaggia, dopo il quale Naz gli aveva lasciato il suo numero, era la prima volta che si vedevano.
Izzy non aveva fatto altro che pensarci.
- Bene! Tu? – La ragazza non sembrava imbarazzata né da quelle frasi di circostanza, né da quella distanza fisica. Sembrava affrontare tutto con la disinvoltura e l’audacia con cui l’aveva conosciuta: sembrava non ci fosse davvero nulla che potesse spaventarla. – Io attacco alle sette comunque, alla fine. Che ti va di fare? – Naz si passò una mano davanti alla fronte, prima di scostare un ciuffo di capelli ribelli con uno sbuffo.
Carina.
- Beh, potremmo prenderci qualcosa da bere, magari. Cioè io, tu sei minorenne. – Izzy si augurò disperatamente di suonare rilassato come sempre. Aveva come l’impressione di tradire in maniera plateale il proprio nervosismo. – O magari possiamo andare al cinema. Vedere che danno. –
Solo dopo aver formulato quella proposta, si rese conto di avere solo cinque dollari in tasca. Non era riuscito a recuperare altro dal fondo comune della Hellhouse. Si appoggiò di nuovo alla vecchia Mustang sfasciata, incrociando le braccia al petto in maniera sciolta, mentre pregava che i film usciti all’inizio dell’estate facessero tutti schifo.
Poteva offrirle al massimo una passeggiata.
Maledizione.
Dopo un breve momento di pausa, Izzy vide Naz inclinare la testa di lato. Un sorriso leggero incurvò le labbra della ragazza. Non sembrava beffarda o minacciosa, solo… intenerita?
- Perché, tu ce li hai i soldi per andare al cinema? -
Izzy avvertì chiaramente che non lo stava prendendo in giro né sminuendo. Quella domanda pronunciata con genuinità, solo un pizzico di divertimento, era più simile a una manifestazione di gratitudine, caratteristica paradossale dato il contenuto della stessa.
Il ragazzo le sorride di rimando, prima di scoppiare a ridere.
Avrebbe capito solo dopo che semplicemente Naz non era abituata ad essere trattata così.
Con gentilezza.
- Forza, andiamo. Ho un’idea. -
Non si toccarono, non ancora. Naz si limitò a fargli un cenno col capo, uno di quelli che lui avrebbe fatto a un compagno per invitarlo a una partita di basket magari.
Eppure nel seguirla, gli sembrò di conoscerla con un’intimità decennale.
Silver Lake di giorno era anche piuttosto accogliente, rispetto ad altri quartieri di Los Angeles che, limitandosi ad ospitare la vita notturna della metropoli, con la luce del sole si trasformavano in pattumiere a cielo aperto. Attorno a loro vi erano sì tipi strani, con capelli strani, vestiti strani e andature strane, ma anche mamme intente a trascinare i figli capricciosi per strada, nugoli di donne che chiacchieravano fra loro, vecchietti che ispezionavano le strade accaldati.
Izzy si limitò a chiederle di Christie, degli esami finali a scuola, a raccontarle delle prove della band mentre camminava al suo fianco: non le fece ulteriori domande sulla destinazione.
C’era qualcosa che gli diceva che Naz non avrebbe sbagliato.
- Ta-daaan! -
Da qualche parte all’interno di quel negozio, una radio mandava l’ultimo pezzo dei Tuxedomoon. Lei amava il post punk. Difficile si fosse trattato di qualcosa di più di una coincidenza, ma a Izzy piacque pensare che ci fosse come la trama di una poesia dietro.
Si trovava di fronte a Wilbourne&Sons, un piccolo rivenditore di elettrodomestici e prodotti tecnologici che probabilmente non si sarebbe mai calcolato. Sembrava un tipo negozio di periferia, pulito, adatto allo shopping in famiglia, con prezzi economici per chiunque non fosse spiantato come loro.
Izzy lanciò a Naz un’occhiata di traverso, sorridendo perplesso e al contempo elettrizzato: dietro quella scelta assurda, doveva esserci qualcosa di grandioso, lo leggeva negli occhi furbi che la ragazza sfoggiava in quel momento. – Siamo già alla fase in cui compriamo insieme la lavatrice? -
Naz scoppiò a ridere e solo in quel momento entrambi si resero conto di aver rilassato le spalle e i nervi. Fu tutto più facile.
- No, non puoi ancora lamentarti di essere stato accalappiato. Vieni. – Con la stessa facilità con cui respirava, Naz gli prese la mano per trascinarlo all’interno. Non rappresentavano i clienti modello, no: un vecchietto – probabilmente Wilbourne – dietro un lungo bancone lanciò loro un’occhiata sospettosa. Sembrava proprio il genere di uomo con un fucile a pompa nascosto sotto la scrivania, tuttavia Izzy ridacchiò senza preoccupazioni.
- Ecco. – Naz lo trascinò soddisfatta davanti a un’esposizione ordinata di televisori più o meno piccoli. Trasmettevano, probabilmente per mostrare ai potenziali acquirenti le diverse risoluzioni e qualità del video, spezzoni di film diversi fra loro. Quello che avevano davanti stava mostrando una giovane e bellissima Audrey Hepburn in abito arancione, in un cucinino angusto.
Cinema.
- Quando eravamo piccoli, io e mio fratello sgattaiolavamo un sacco di volte ai drive-in per guardare i vecchi film. Ho sempre desiderato saper parlare con lo stesso fascino di Audrey Hepburn. -
Izzy si volse a guardarla, non conosceva quel film nonostante avesse presente l’attrice. Eppure, osservando il viso di Naz che si illuminava di un sorriso davanti allo schermo, gli sembrò di averlo visto almeno un centinaio di volte. Con lei, una bambina mingherlina e impavida davanti all’idea di essere beccata con le mani nel sacco.
- I'll tell you one thing, Fred, darling... I'd marry you for your money in a minute. Would you marry me for my money? – Naz recitò quella battuta quasi in contemporanea col movimento delle labbra di quella muta Audrey Hepburn. Izzy avrebbe voluto conoscere la battuta del belloccio biondo che stava osservando la diva di Hollywood con lo stesso sguardo che lui aveva per quella ragazzina.
- In a minute. – Ci pensò Naz a girarsi verso di lui, replicando lo stesso tono di George Peppard.
- Ehi, quello lo conosco. -
Izzy si avvicinò a un grande schermo d’ultima generazione, che in quel momento stava proiettando l’immagine di due uomini in una macchina decapottabile, con sedili tigrati di pessimo gusto. Uno di loro sembrava piuttosto stanco o piuttosto ubriaco.
Il ragazzo si volse entusiasta verso Naz, scoprendo sorpreso un’espressione dubbiosa sul viso della ragazza. Questa si morse il labbro, mostrando un sorriso che in realtà celava dispiacere.
- Ti giuro, non ho idea di cosa sia. – Izzy scorse dell’imbarazzo dietro quella che doveva essere nonchalance. E dire che si trattava di una pellicola recente. Avrebbe realizzato solo dopo qualche tempo che l’esperienza di Naz, nel corso di quella vita sfumata e incerta che conduceva, si limitava a quei vecchi film che aveva visto da bambina, per caso.
- She likes you? How do you know? – Con un sorriso furbesco, Izzy abbassò la propria voce e la rese più ruvida, sfoderando anche un vago accento latino. Bastò per suscitare in Naz una risatina leggera, che dissolse quel senso di inadeguatezza.
- The eyes, chico. They never lie. – Quando si volse verso di lei, per completare quella battuta guardandola giustamente negli occhi, Izzy credette di sentire il cuore esplodere. Fu una sensazione sconcertante ma inevitabile, di fronte a quelle grandi pupille scure che lo osservavano in quella maniera. Forse Naz non si rendeva conto del modo in cui si era illuminato il suo sguardo, rivelando al ragazzo un mondo inaspettato; o forse era Izzy ad essere abbastanza sciocco da leggere in quello scricciolo dei sentimenti che in realtà appartenevano a lui. In ogni caso, avvertì chiaramente di poter conquistare il mondo con quegli occhi addosso.
 - Oh caspiterina, stanno dando Rebel without a cause. – Il modo in cui Naz si entusiasmò improvvisamente lo lasciò di stucco. Non si aspettava di veder sfuggire il suo sguardo così presto. Ma gli occhioni della ragazza si erano posati su uno degli schermi più all’avanguardia che il locale aveva a disposizione.
Un belloccio in giacca rossa spiccava nell’ambiente scuro del set, accanto al viso contrito di una giovane dall’aspetto insieme dolce e in qualche modo terribilmente contrito. Le labbra di James Dean stavano scandendo parole prive di suono in quell’ambiente non così distante dal mondo dipinto da Nicholas Ray: se la storia dell’attore aveva consacrato quella pellicola ad una leggenda patinata, l’impronta del racconto si scorgeva chiaramente nella vita che conducevano.
-  I'm sorry.
I'm sorry that I treated you mean today. You shouldn't believe what I say when I'm with the rest of the kids. Nobody, nobody acts sincere. -
Izzy già la stava contemplando, col viso verso di lei, quando Naz iniziò a recitare quella battuta a memoria con una naturalezza incredibile. C’erano mille notti passate con suo fratello a rubare pezzetti di vita altrui, dietro quell’imitazione di Natalie Wood.
Senza nemmeno pensarci su, senza calcolare i gesti di James Dean, Izzy si chinò per posare le proprie labbra sulla tempia di Naz.
La sovrastava in altezza, ma quando la ragazza si volse a guardarlo si sentì incredibilmente piccolo. Per qualche secondo, rimase in bilico fra il tempo che era passato troppo veloce dal loro primo incontro e le parole che si sarebbero detti in futuro. Nel presente, c’era solo quella bizzarra e intensa intimità, fatta del fiato che Izzy tenne sospeso in attesa della reazione della ragazza.
Aveva come la sensazione che ne sarebbe dipesa la sua vita.
- Why did you do that? -
Il sorriso che si aprì sul viso delicato di Naz non aveva nulla a che fare con la sorpresa scossa della giovane Judy. Era fuori da film, schermi e qualsiasi altro materiale servisse a intrappolare i sentimenti per renderli racconti.
- I felt like it. – Izzy recitò la battuta con orgoglio, restituendole il sorriso. Wilbourne, alle loro spalle, li stava scrutando indeciso se andare a cacciarli immediatamente o far finta di nulla per un altro po’. Teppisti.
Rimasero incuranti del fatto che a James Dean e a Natalie Wood ci sarebbe voluto ancora un po’ per rendersi conto dei reciproci sentimenti: Naz si protese, sollevandosi sulle punte dei piedi, verso Izzy nel momento stesso in cui questi si chinò di nuovo, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Mentre riconquistava quelle labbra soffici e cariche di promesse, Izzy realizzò che non sarebbe mai stato in grado di scrivere una canzone in grado di descrivere ciò che stava accadendo.
Tutto sommato, gli andava bene così.
- Andiamo? –
Accolse le dita di Naz fra le proprie mentre si faceva trascinare dalla sua voce lontano da Wilbourne.
Un giorno sarebbe tornato a ringraziarlo.


And those were the days of roses
poetry and prose and, Martha,
all I had was you and all you had was me.
There was no tomorrows,
we'd packed away our sorrows
and we saved them for a rainy day.
(Tom Waits - Martha)


Izzy entrò nella casa con cautela nel salotto. Aveva già avuto modo di visitare quel posto, ma in qualche modo sarebbe sempre rimasto avvolto dall’alone di mistero e distanza che la vita che costudiva gli aveva attribuito.
L’appartamento di Naz era silenzioso. Sapeva che suo fratello era partito per Porto Rico, per raggiungere la sua ragazza. C’erano soltanto loro due e, questo Izzy lo sapeva e lo avvertiva, qualcun altro. Una presenza nebulosa.
- Vuoi del caffè? -
Persino dopo tutto ciò che erano arrivati a condividere, la voce di Naz tradì del nervosismo.
Izzy appoggiò lo zaino logoro sul divanetto che trovò incastrato in un angolo del cucinino: il soffitto era basso, i mobili piuttosto eterogenei per stile e materiale, i fornelli e il piccolo frigorifero probabilmente risalivano a vent’anni prima. Su di essi era china la figuretta esile, i capelli che stavano già iniziando a ricrescere sulla nuca e il collo scoperto.
Il ragazzo le sorrise, quando Naz finalmente trovò il coraggio di voltarsi. Aveva ancora gli occhi rossi e gonfi della notte precedente.
Quando l’aveva trovata stesa sul pavimento in lacrime e in panico e aveva capito di amarla.
- Grazie. Sono distrutto. – Era tardo pomeriggio ormai: il sole californiano ancora filtrava dalla finestrella. Con grande naturalezza, come se fosse nato per stare in quel buco di soffitta, Izzy si lanciò sul divano ed osservò Naz recuperare una tazza sbeccata.
Sapeva che l’unico modo per metterla a suo agio, era dimostrarsi a propria volta tranquillo.
Una settimana. Sette lunghi giorni. Ecco quanto gli aveva chiesto di stare da lei. Mason sarebbe stato via di più, ma Izzy non aveva osato puntualizzarlo. Non avrebbe mai immaginato che quel giorno sarebbe arrivato: dato il passato e le incombenze – l’incombenza – della ragazza, trascorrere anche solo una notte in quell’angolo di South Central era sempre apparso come un mito irrealizzabile.
Sapeva che da qualche parte in quella casa c’era qualcuno, qualcuno che alla fine Naz avrebbe dovuto presentargli. Ma Izzy non chiese nulla. Aveva l’impressione che, in quel momento più che mai, fosse necessario attendere i tempi della giovane.
Darle il tempo di adattarsi, di rilassare quei nervi del collo sempre dolorosamente tesi.
La osservò avvicinarsi con la tazza colma di caffè fumante in mano, con l’espressione dispiaciuta di chi avanza scuse in anticipo per non si sa bene cosa; allo stesso tempo, percepì la sua profonda gioia. Izzy ne fu stupito, ma subito dopo comprese.
Era contenta di averlo lì.
- Vuoi stare fermo? – Poco tempo dopo, in quella stessa cucina, il ragazzo si ritrovò oggetto di un’operazione piuttosto delicata. – Se continui a muoverti, farò un disastro. – Manco a dirlo, gli scappò da ridere proprio in quell’istante, mandando all’aria i propositi meticolosi di Naz.
Avevano sistemato la roba di Izzy nella cameretta della ragazza, che lui aveva osservato con genuina curiosità: aveva gustato la collezione di vecchi dischi, i poster appesi al soffitto spiovente e la vecchia chitarra, mentre Naz pian piano prendeva confidenza con la sua presenza lì. Avevano scelto la colonna sonora, optando per un compiacente disco uno di The Wall. Poi erano giunte le note dolenti.
Le forbici.
- Sei sicura di non stare tagliando un po’ troppo? – Si azzardò a chiedere per la sesta volta Izzy, comodamente piazzato fra le gambe della giovane. Aveva preso posto, come da indicazioni, su una delle sedie, mentre Naz si era appollaiata sul tavolo.
La sensazione di aria che batteva sul collo non gli piaceva per niente.
- Oh insomma, vuoi fidarti di me una buona volta? – Sbottò l’altra senza riuscire a nascondere una nota di divertimento che non rassicurò Izzy, osservando un’altra ciocca scura cadere a terra. – E poi, ho quasi finito. – Il ragazzo accentuò apposta il proprio sospiro di sollievo, prima di scoppiare ancora una volta a ridere.
- Ti ricordo che sono io ad avere le forbici in mano, Isbell. -
Non si resero subito conto del cambiamento. Inizialmente fu solo una sensazione vaga, che però non interruppe i battibecchi e gli scherzi. Poi lo sguardo di Izzy venne catturato da qualcosa. Un’ombra.
Affacciata alla porta della cucina, c’era una sagoma che il ragazzo già conosceva: se l’era immaginata esattamente così, dalle poche parole carpite a Naz e da ciò che lui ci aveva costruito sopra, ma l’impatto fu comunque forte. Joanie fissò entrambi senza un’espressione particolare, come se non fosse particolarmente stupita di trovare uno sconosciuto in casa. Sembrava, in realtà, persa. Come se fosse capitata lì per caso. I grandi occhi scuri, così simili a quelli che Izzy venerava, erano accentuati dalla magrezza e dal pallore del volto; le membra sottili navigavano in una vecchia camicia da notte bianca, i capelli pendevano flosci sulla schiena.
Sentì Naz irrigidirsi dietro di lui. Quel momento sarebbe arrivato prima o poi, nell’arco della permanenza, eppure il ragazzo sapeva che lei non si sarebbe mai potuto preparare ad esso.
Passò un lungo istante di silenzio.
- Fatto. – Un ultimo zac, poi Naz fu subito in piedi. Izzy avvertì lo spostamento d’aria, passandosi una mano sui capelli tagliati di fresco. Osservò le due donne affiancarsi. Solo un cieco avrebbe guardato le somiglianze sopra le differente: Joanie sembrava assente dalla realtà; mille bombe avrebbero potuto esploderle attorno e lei non se ne sarebbe curata. Naz invece, nel suo tormento e nelle sue controversie interiori, era presente. Era parte di un flusso, comunicativa e sensibile.
Lei era vita.
- Mamma, questo è Jeffrey. È il mio ragazzo. -
Il modo in cui la avvolse nel proprio abbraccio, discreta ma ferma, scosse qualcosa nel suo animo.
La donna non disse una parola, si limitò a fissarlo. Izzy si rese conto che, da qualche parte nella sua testa, stava capendo ciò che la figlia le stava dicendo. Semplicemente, aveva rinunciato ad essere partecipe di qualcosa che si era rivelato più grande di lei.
Se Naz non aveva mollato, non l’avrebbe fatto nemmeno lui.
- È un enorme piacere, signora. -
Si alzò in piedi come avrebbe fatto un qualsiasi ragazzo con un’educazione da bravo americano alle spalle. Abbozzò persino un inchino con la testa, tremendamente serio e allo stesso tempo tranquillo. Non le stava prendendo in giro: quello era un momento decisivo. Naz non l’avrebbe mai detto ad alta voce, ma nel quadro dello scombussolamento interiore che l’aveva colpita in quei giorni, quell’incontro significava molto.
Recuperare un minimo di speranza in un futuro sereno.
Izzy tese la mano, con circospezione, per afferrare con delicatezza quella di Joanie. Si accorse di come la ragazza trattenne il fiato, di fronte quella mossa avventata. Ma lui continuò a fissare la donna con un sorriso discreto, lasciando che si abituasse al contatto con lui.
Joanie non si ritrasse.
Con gentilezza, quando fu sicuro di quel contatto più mentale che fisico, accompagnò quella sagoma emaciata verso il tavolo, per indurla a prendere posto alla tavola con loro. Nel momento in cui la donna, senza cambiare espressione, decise di seguirlo, Izzy seppe di aver appena conquistato una tappa importante.
Ciò che ritrovò nello sguardo di Naz glielo confermò.
Più tardi, si ritrovarono al solo lume della luna che filtrava dalla finestrella della cameretta di Naz. Con loro, solo la voce calda di Tom Waits, che dal giradischi narrava le parole di Closing Time. Era l’album preferito della ragazza, questa era una delle prime cose che aveva imparato di lei.
Izzy se ne stava disteso sul materasso che, a terra, fungeva da letto. Non era trascorso molto da quando avevano fatto l’amore e ora il ragazzo accarezzava delicato le corde della chitarra, fredda contro il suo petto nudo. Aveva recuperato i pantaloni unicamente a causa del freddo.
Non si ricordava il momento in cui aveva smesso di suonare. Stava solo cercando di godersi ciò che aveva davanti.
- And I was always so impulsive, I guess that I still am. -
Le gambe di Naz erano lattee nell’oscurità, la linea del suo collo un tratto di matita. In quella maglia dei dei Led Zeppelin quasi scompariva: era l’unica cosa che indossava, quella e la sua anima.
Da quando l’aveva chiamato nel cuore della notte per dirgli che lo amava, era diventata trasparente ai suoi occhi. Persino averla di fronte, presa a cantare Martha con lo stesso tono di Waits, rivelava che stava attraversando un periodo cruciale, di transizione.
Non aveva avuto bisogno di chiederglielo. Izzy aveva compreso attraverso piccoli gesti, parole quasi casuali e sguardi rubati. Aveva compreso che Naz stava decidendo che tipo di persona voleva essere per il resto della vita, quali erano i suoi reali desideri, per cosa voleva lottare ancora che non fosse altro da lei. La sua vita aveva ruotato attorno agli altri: suo padre e la sua incapacità di essere tale, sua madre e il collasso mentale, oltre che familiare, le responsabilità verso di lei quando era diventata figlia e verso suo fratello, l’unico che le era rimasto. Le esigenze degli altri erano ciò che aveva sempre conosciuto e attraverso esse aveva dato una definizione a sé stessa. Pian piano però, quelli che erano sempre stati fardelli si stavano allontanando. Stava per restare sola, finalmente libera forse, ma con una grossa responsabilità sulle spalle: cercare un’identità.
Però Izzy, che l’aveva sempre osservata da distante, che era entrato nella sua esistenza come una brezza estiva, sapeva che c’era molto di più oltre quel vuoto che vedeva davanti a sé. Percepiva la sua desolazione, di fronte al dubbio di non essere più di qualcosa costruito in funzione di altri, persino di lui. Ma lui, Izzy, la vedeva per ciò che era.
Un’anima folle e di una bontà incredibile, con una prospettiva sua su ogni cosa.
Sorrise mentre la guardava emozionarsi e cantare, stonando un poco, quella poesia di Tom Waits, i piedi nudi sul pavimento scricchiolante. Sarebbe stato onorato di poter assistere a tutto ciò che quella persona straordinaria avrebbe combinato.
- Ti amo. Da qui alla luna, ecco quanto ti amo. -
Izzy sorrise mentre riponeva la chitarra a lato, lasciando che Naz avanzasse verso di lui ballando prima, gattonando sul materasso bitorzoluto poi.
La ragazza s’infilò con lentezza fra le sue gambe, puntellandosi con le mani che affondavano nella superficie ruvida ai lati del suo torace scarno, allungando il collo come un gatto per ricevere un bacio. Izzy ne osservò i lineamenti distesi e i muscoli in attesa, con le palpebre abbassate su quegli occhi immensi, contemplandone l’armonia, prima di accontentarla. Mentre la sua bocca accoglieva quel sapore ormai così familiare, con i polpastrelli accarezzò la pelle vellutata sulle sue cosce, risalendo verso il bordo della maglietta. Naz, seguendo istintivamente quel tocco, gli si avvicinò senza staccare le proprie labbra dalle sue, alzando un braccio per appoggiarsi alla parete alle sue spalle. Si fermò soltanto per portare le manine ad afferrare l’indumento che la ricopriva, sfilandoselo con un solo gesto di fronte a lui, restando nuda e con i capelli scarmigliati.
Izzy, di fronte a quella visione, ebbe la netta sensazione quella parte di loro sarebbe vissuta per sempre. Non era semplicemente possibile condividere qualcosa di così forte con qualcuno di così magnifico e non credere, di conseguenza, nell’eternità di certe emozioni. Sarebbe arrivato il futuro e con lui il rimorso, le incomprensioni e i silenzi. Ma alle spalle e nel cuore avrebbero per sempre conservato quella prova, la prova della possibilità di sentirsi completati da qualcuno senza chiedere e senza faticare. Solo per il fatto di essere loro due.
In pace col resto del mondo.


When evening shadows and the stars appear
and there is no one there to dry your tears,
I could hold you for a million years
to make you feel my love. […]
I could make you happy, make your dreams come true,
nothing that I wouldn't do
go to the ends of the Earth for you
to make you feel my love.
(Bob Dylan – Make you feel my love)



Era in ritardo.
Izzy fece un profondo tiro di sigaretta, sporgendosi ancora un poco dalla finestra per evitare che il fumo entrasse nella stanza. Era stata lei a dirgli di fare così.
Se proprio non riesci a trattenerti, chiuditi in camera mia, prendi il barattolino che trovi nel cassetto e stai alla finestra. E stai attento che Daniel non ti veda.”
Ancora non si vedeva da nessuna parte.
Erano mezzanotte e un quarto, lei sarebbe dovuta rientrare allo scoccare del nuovo giorno. Come una moderna Cenerentola. Izzy aggrottò le sopracciglia. No, non avrebbe perso la testa come un tonto qualunque al pensiero che lei avesse trovato un principe.
Mettere a letto Daniel non era stato semplice. Quel bambino era meraviglioso, furbo, furbissimo perdiana. Aveva cercato d’ingannarlo e di distrarlo in tutti i modi, chiedendo una nuova favola, una canzone, lamentandosi di dover fare di nuovo la pipì, tutto per poter stare alzato un po’ di più. Il motivo di tanto impegno era facilmente intuibile: Izzy era molto più permissivo e molto più malleabile di Naz. Daniel doveva aver intuito di essere in una posizione di vantaggio, con quell’uomo divertente e rilassato che portava sempre un sacco di giochi in dono.
Naz come madre, beh, era tutta un’altra storia.
Sulla strada che si stagliava sotto la finestrella, apparve un’auto che catturò la sua attenzione. Era quasi nuova, una bella Bmw tirata a lucido che stonava alla grande con quel particolare quartiere di Los Angeles, decisamente più rustico. Izzy strinse  gli occhi.
Dal lato del guidatore uscì un giovanotto piuttosto ordinario, in completo scuro, con una zazzera di capelli biondi che gli conferiva un’aria gioviale. L’uomo lo vide affrettarsi ad aggirare la vettura, per andare ad aprire galantemente la porta del passeggero.
Naz era raggiante. Poche volte Izzy l’aveva vista agghindata in quel modo. Indossava un vestito nero dalla linea semplice, senza maniche e con lo scollo a barchetta, che le arrivava appena sopra il ginocchio. Scarpe con un bel tacco alto, ornamenti semplici, i capelli cresciuti in uno chignon morbido da cui sfuggivano alcune ciocche, che le incorniciavano il viso. Persino da quella distanza, scorgeva le sue labbra rosse piegate all’insù, in un sorriso.
La osservò scambiare gli ultimi convenevoli con quello sconosciuto, il quale persino da lì gli sembrava fastidiosamente in linea coi suoi pensieri riguardo alla bellezza della donna. Stizzito, Izzy andò a spegnere la sigaretta nel barattolino, richiudendo con forza il coperchio.
Trattenne il fiato con quando lo vide chinarsi su di lei.
Naz lo salutò amichevolmente con due baci sulla guancia, alla francese. Si scambiarono poche parole, prima che lei prendesse la via della palazzina, camminando con confidenza su quelle scarpe assurdamente alte.
Izzy si allontanò dalla finestra, lasciandola aperta per arieggiare, tornando in salotto.
- Ciao. È andato tutto bene? Sta dormendo? -
Erano passati tre mesi. Tre mesi, giusto il tempo per far arrivare anche in quell’estate 1991 il caldo torrido a Los Angeles. Tre mesi da quando si era presentato sul suo posto di lavoro per chiedere di recuperare una vita insieme e di metterla a parte del mondo di suo figlio.
Anche allora, nonostante la reazione più che positiva, Izzy sapeva che sarebbe stata una battaglia. Fortunatamente, con la band si erano intrattenuti in città per registrare. Lavoravano sodo, ma almeno la distanza da Daniel era minima.
Naz gli aveva concesso di vederlo, di occuparsi di lui e passarci del tempo insieme, ma a rigide condizioni. Doveva accadere sempre in quell’appartamento oppure in luoghi pubblici e, in questi casi, sempre per poche ore. Slash o Duff non potevano partecipare, in alcun modo. Aveva l’obbligo di tenere un comportamento decoroso, senza scurrilità o aggressività. In quegli incontri, erano assolutamente vietati alcool e droghe.
Ma per chi cazzo mi hai preso?
Per il chitarrista dei Guns N’Roses, Jeff.
Erano passati tre mesi da quando le aveva chiesto di ricominciare con lui, con loro.
Il concetto di Naz Kurt di “andarci piano” era non andarci affatto.
- Sta dormendo, sì. So badare a nostro figlio. – Izzy non riuscì a non suonare un tantino stizzito. Quasi si lanciò sul divanetto incastrato in un angolo della cucina, mentre si guadagnava un’occhiata sorpresa da parte di Naz. La osservò togliersi le scarpe col tacco con sollievo, prima di avanzare verso la credenza a recuperare un bicchiere d’acqua. L’uomo non poté fare a meno di pentirsi un po’, per la propria antipatia.
Non gli riusciva proprio, di essere distaccato con lei.
- Com’è andata la cena aziendale? – Domandò quindi subito dopo, cercando di simulare della nonchalance. Diavolo, detestava sentirsi come un ragazzino. Era tutta colpa di Naz.
- Oh, molto bene davvero. È stato un ottimo modo per rafforzare la coesione di gruppo, sai. – Eccola, sofisticata e adulta. Izzy era fermamente convinto che in fondo si sforzasse, per farlo risultare inadeguato, per sottolineare come lei fosse cresciuta mentre loro – lui – erano rimasti agli anni ’80, a giocare agli dei del rock. Era stata una delle argomentazioni su cui aveva più insistito, quando si era riparlato di tornare a stare insieme, non solo ad avere un figlio insieme.
Gli scappò uno sbuffo piuttosto sonoro. Ecco, di nuovo, il fattore “ragazzino” che fastidiosamente confermava le insinuazioni della donna.
Naz se ne accorse ma non rispose, limitandosi a stringere le labbra. – Vado a dare un’occhiata a Danny. Sono molto stanca. – Le due frasi apparentemente scollegate fra loro in realtà furono un messaggio molto chiaro per Izzy.
Leva le tende.
Quando la vide andare nell’altra stanza, si passò le mani fra i capelli, frustrato. Non poteva continuare ad assecondare quella sua indifferenza o darle motivi per continuare a pensare che lui in fondo fosse uno scapestrato, un tossico infantile e che non fosse prospettabile una stabilità familiare con lui.
Perché non era così.
Perché avrebbe smosso anche le montagne e rivoluzionato la Terra per loro e lei non aveva alcun diritto di togliergli quella profonda convinzione.
- Beh, grazie mille per essere passato. Se vuoi, possiamo sentirci in settimana per un altro pomeriggio con Daniel. Puoi andare. -
Grazie per aver viaggiato con noi, vi auguriamo una buona giornata.
- Naz, tutto questo è assurdo. – Lesse negli occhi della donna, in piedi davanti alla porta di collegamento con le camere da letto, che aveva temuto una reazione del genere. Tuttavia, vide anche dello stupore. Izzy era consapevole di aver parlato con una voce che finalmente rispecchiava ciò che aveva dentro.
Si alzò in piedi con deliberata lentezza, avvicinandosi senza staccare gli occhi dai suoi. – Non siamo più ragazzini. Ci siamo fatti del male abbastanza. Che senso ha andare avanti con questa farsa in cui tu sei imperturbabile e superiore e io sono ancora la persona da punire? -
Per un attimo, sul volto della donna che era diventata Izzy intravide la ragazzina con cui aveva condiviso la vita. Spiazzata, esitò a rispondere, forse non troppo sicura di cosa dire. L’uomo quindi ne approfittò per proseguire.
- Sono pulito da mesi. So che temi io abbia ricadute, ma non sento minimamente la mancanza di ciò che sono stato negli ultimi anni. Forse ha avuto un senso, a un certo punto. Ma ora che ho Daniel, non provo il minimo interesse in qualcosa che non mi faccia essere un buon padre per lui. Sul nuovo disco stiamo lavorando bene e ci sarà un tour, questo è vero. So che hai paura che io me ne vada di nuovo lontano. Ma la mia musica non ha una sola direzione, come anche le mie prospettive di carriera non sono unicamente i Guns N’Roses. Una tua parola e me ne tiro fuori, lo sai. -
Naz non lo interruppe. Abbandonò lentamente la maschera di freddezza che aveva vestito prima, mentre i muscoli del viso si rilassavano sotto la carezza di quelle parole. Tuttavia, non riuscì a trattenersi dall’assumere un cipiglio arrabbiato. Incrociò le braccia sotto il seno.
- Ti sto già dando fiducia, Jeff. – Izzy si sforzò per non ribattere subito, per lasciarle il tempo di esporre ciò che già sapeva avrebbe detto. Incredibile come lei riuscisse a mandarlo quasi in bestia. Incrociò le braccia a propria volta. – Sei rispuntato fuori dopo anni di silenzio. Hai avuto dei problemi di dipendenza. Superati ora, lo riconosco, ma non da molto tempo. In generale, lo stile di vita che hai condotto fino ad ora non va bene per mio figlio… -
- Nostro figlio, Naz, nostro. Cristo, ti viene così difficile dirlo? – Sbottò di colpo, interrompendola. Sapeva di aver appena perso un paio di punti, alzando appena la voce e rischiando così di svegliare Daniel; infatti la donna gli scoccò un’occhiataccia, facendogli segno di abbassare la voce freneticamente. Izzy la ignorò: non avrebbe usato quelle sciocchezze come pretesto per zittirlo dove aveva ragione.
- … e non puoi pretendere che per me sia tutto semplice. Ho lavorato sodo per costruire per me e lui stabilità e serenità. Tu sei tornato e mi hai ributtato addosso ricordi e rimorsi che avevo messo da parte. Non posso dimenticare tutto quello che è successo nel giro di pochi mesi. Ci vuole tempo. -
Incredibilmente, Izzy si rilassò. Qualcosa, nelle parole di una donna che cercava con grande solerzia di mantenere un contegno, ma che era scossa nel profondo da ciò che stava dicendo, riuscì a distendere i suoi nervi. Sorrise con una dolcezza pura nello sguardo, osservando il viso cresciuto di Naz.
Quindi allungò con discrezione una mano, per posarla su una di quelle guance vellutate.
- Non devi dimenticare ma puoi perdonarmi. Io l’ho fatto, con te. -
La donna sgranò gli occhi, sconvolta da quell’affermazione. Izzy la vide paralizzarsi sul posto, ma non perse la calma né l’intenzione delicata davanti a quello scandalo.
- Tu? Perdonare me?! -
Sapeva che l’avrebbe detto. Dal suo punto di vista, non aveva certo torto.
Solo che ce le aveva anche lui, le sue ragioni.
- Io, perdonare te. In fondo, mi avevi tradito e poi mollato per il mio migliore amico. Anche dopo, quando abbiamo saputo del bambino, vi ho odiati da morire e ho sofferto come un cane. -
La vide stringere le labbra e trattenere il respiro. Se anche s’era aspettata che, prima o poi, sarebbe arrivata la resa dei conti sulla questione, non lo diede a vedere. Izzy scosse il capo: sulle sue labbra, permaneva quel sorrisetto che di beffardo non aveva nulla.
- Stai davvero paragonando… ? -
A Naz ci vollero alcuni secondi per riprendersi dal colpo e, anche quando recuperò la capacità di parola, le uscirono solo poche sillabe balbettate, a metà fra la rabbia e il tradimento.
Izzy la interruppe di nuovo.
- Non sto paragonando nulla, Naz. Ti sto dicendo che voi mi avete preso e mi avete deluso. Poi, quando è stato il momento, noi abbiamo deluso te. Io ti ho deluso e ti ho abbandonato. Ed è stato orribile, è stato assurdo. In qualche modo però ci ha portato qua, ha portato Daniel ad essere il meraviglioso bambino che è. E ora che abbiamo la possibilità di essere felici, saremmo proprio stupidi a non coglierla. -
Quella donna aveva sempre avuto gli occhi troppo, maledettamente grandi.
- Io ti ho perdonato e ho perdonato anche me stesso. Quando ti accorgerai che è stato solo il momento sbagliato? -
Per alcuni lunghi istanti, si guardarono diritti in faccia e Izzy credette che avrebbe finito per baciarla. Lei a quel punto si sarebbe divincolata e l’avrebbe sbattuto fuori. Con un po’ di fortuna, si sarebbe resa conto in settimana che non valeva la pena di intristire Daniel per ciò che accadeva fra loro, ma sarebbe tornata a mettere fra loro quel muro di cartapesta.
Naz scoppiò a ridere.
- Ti metti anche a citare le canzoni, adesso? -
Qualcosa dentro Izzy vibrò nell’udire quel suono cristallino. Il suo sorriso si fece più largo. Staccò la mano dalla sua guancia per portarla dietro il capo, grattandosi con aria leggermente imbarazzata. – Beh, ho sempre pensato che quella canzone fosse un autentico capolavoro. -
- Sì, lo so. – Non avrebbe saputo dire se fosse effettivamente affetto – amore – quello che vide nello sguardo di Naz. Però ottenne l’effetto di placare ogni sua smania, ogni suo conflitto. Non gli parve nemmeno di essere mai stato arrabbiato, in un qualsiasi momento della sua vita.
- Adesso è meglio che tu vada. Ci risentiamo in settimana domani o dopodomani, d’accordo? – La sua voce era morbida come una piuma. Non si sfiorarono nemmeno, ma a Izzy sembrò quasi che l’avesse abbracciato. Annuì senza trattenere la soddisfazione: in quelle cose non dette, c’era un mare di significati e intenzioni che sapevano di speranza.
Si volse un’ultima volta, sull’uscio, per scambiare con lei un’ultima occhiata. Naz esitò qualche istante, appoggiata allo stipite della porta. C’era ancora qualcosa in lotta, dentro di lei.
Ma il sorriso che gli risolve alla fine, quello sicuramente valeva tutta la pazienza, il tempo e le canzoni d’amore del mondo.


Juliet, when we made love you used to cry
you said 'I love you like the stars above, I'll love you till I die'.
There's a place for us, you know the movie song:
when you gonna realize it was just that the time was wrong, Juliet?
(Dire Straits – Romeo and Juliet)



- Ho detto che devi andare a letto, Danny. -
Si chiuse l’uscio alle spalle con discrezione, facendo il pieno del suono della quotidianità.
La luce in salotto era accesa e da lì provenivano le due voci che conosceva meglio al mondo. Izzy era riuscito a rincasare prima del solito. Nell’ultima settimana si era intrattenuto fino a tardi nello studio di registrazione, salvo poi mettere dei paletti al suo produttore e all’agente con cui non faceva altro che litigare da quando avevano iniziato a lavorare al nuovo progetto.
Finché si tratteneva in città, aveva bisogno di tempo per la famiglia.
- Mamma, ti prego, voglio solo esercitarmi un altro po’. -
L’uomo si affacciò alla porta del salotto accogliente, arredato secondo i gusti minimalisti e vagamente orientaleggianti di Naz. Non era passato molto tempo da quando si erano trasferiti in quella casa: avevano trascorso i primi anni nel vecchio loft di Izzy a Hollywood, vicino agli studi e vicino all’ambiente artistico di Los Angeles. Poi Daniel aveva iniziato a crescere e loro, con lui, a invecchiare. Avevano improvvisamente sentito il bisogno di spazi più ampi, zone più tranquille, meno cemento armato e più verde.
Avevano trovato quella villetta fra Echo Park e Victor Heights e subito a Naz era piaciuta da morire.
- Oh, ciao. Non pensavo tornassi così presto. – La donna era ancora in tenuta professionale. Evidentemente, per stare col bambino, non aveva pensato di cambiarsi. Stava in piedi, le mani sui fianchi coperti da un paio di pantaloni neri modello capri e da una camicia borgogna dalla linea morbida, che la faceva sembrare più un’artista che una dirigente di una casa di produzione cinematografica.
Osservava con fermezza un bambino non troppo alto di circa sette anni, con un cipiglio ancora più risoluto. Aveva una zazzera di capelli scuri spettinata e indossava già il pigiamino a motivi di Mickey Mouse. Non sembrava particolarmente stanco, nonostante fosse stato a scuola tutto il giorno.
- Papà, papà! Posso suonare il piano ancora un po’? – Daniel immediatamente corse da lui, con voce lamentosa. Il marmocchio aveva imparato subito che, se voleva una risposta un po’ più permissiva, il genitore a cui rivolgersi era Izzy.
- Non ti ci mettere anche tu, adesso! Domani potrai continuare ad esercitarti, dopo i compiti. Adesso devi dormire. – L’uomo non fece in tempo a parlare che Naz subito se la prese anche con lui, sollevando le mani in aria con esasperazione. A Izzy scappò da ridere, anche se cerco di riacquisire serietà subito. Non voleva concludere quella lunga giornata facendosi squartare dalla sua compagna.
Alla fine, non si erano mai sposati. Semplicemente, avevano ritenuto esaudita la richiesta che Izzy le aveva avanzato, ormai tre anni prima, nel momento in cui avevano trovato una quadra a quel nuovo cosmo. Ci si erano stabiliti comodamente e non avevano sentito il bisogno di anelli e cerimonie.
- Ascolta tua madre, Daniel. Domani ho il pomeriggio libero e ti prometto che suoniamo insieme, chitarra e piano, d’accordo? -
Nonostante il bimbo parve rischiararsi alla prospettiva della sua attività padre-figlio preferita, ci vollero ancora diversi sforzi per mandarlo a letto. Alla fine, Daniel cedette protestando e sfoggiando persino un principio di pianto: s’incamminò verso il piano superiore come se, in cameretta, lo attendesse una crocifissione.
- Com’è andata la giornata? Hai cenato? – Izzy osservò con un sorrisetto furbesco il pianoforte che riluceva, in un angolo. Alla fine, senza che nessuno dei due avesse premuto particolarmente, era successo: il pargolo aveva fortemente voluto imparare a suonare uno strumento. Alla scelta dello stesso, tuttavia, si era presentato un colpo di scena. Alle chitarre dei genitori, aveva preferito un vecchio pianoforte verticale Yamaha, che aveva dato modo anche a Naz di imparare col figlio qualcosa di nuovo.
- Uno strazio. Alla Geffen hanno visioni troppo differenti dalle mie. Mi propongono suoni che non m’interessano. – Izzy si avvicinò al divano color testa di moro, sprofondandoci. – Sì, ho preso un hamburger da Gino’s. – Naz invece, lanciando un’occhiata sospettosa alle scale su cui era appena salito Daniel, sospirò prima di avviarsi verso un armadietto. L’uomo seppe ancora prima che lei entrasse in azione che stava recuperando una bottiglia di vino, probabilmente californiano.
Nessuno dei due avrebbe saputo indicare il momento esatto in cui tutti quei gesti erano diventati piacevoli abitudini, una traccia di sicurezza nelle loro giornate.
Naz tornò verso di lui con un unico calice pieno, che gli tese. – Tu niente? – Domandò l’uomo perplesso, ricevendo un’alzata di spalle in risposta. – Sono troppo stanca. – Subito dopo, andò ad avviare il lettore CD collegato all’ottimo impianto di cui si erano dotati – ovviamente. Izzy recuperò subito il sorriso.
Various Positions.
In quegli anni, Naz era diventata la donna che, sotto sotto, era sempre stata. Da assistente di Beverly Johnson, era passata ad essere il suo braccio destro: si occupava di contrattazione e vendite come se la produzione cinematografica fosse sempre stata la sua grande passione; si era ritagliata del tempo per la musica e continuava ad esserne una grande cultrice, anche grazie alla loro relazione; era una splendida madre, che Daniel adorava quando non veniva spedito a letto presto.
Certe cose poi non sarebbero mai cambiate, come Leonard Cohen.
- Insistono ancora con il graffio punk rock e con l’addio ai sintetizzatori? – Come una gatta, prese posto al suo fianco, con la schiena contro il bracciolo del divano per poterlo guardare meglio, andando a infilare i piedi scalzi sotto le gambe del compagno alla ricerca di calore. Brindarono al volo mentre Izzy annuiva.
- Continuo a non capire perché questa smania di, non so, ingrezzire tutto. Sanno che non è il mio stile, che non sono Chris Cornell. E poi ho già sfornato tutto il punk e il metal di questo mondo, adesso ho bisogno di input diversi. – Izzy si abbandonò allo sfogo, nonostante avesse già ripetuto gli stessi concetti almeno cinque volte nel pomeriggio. Raccontare certe cose a Naz gli permetteva di mettere ordine ai fastidi e agli stimoli della pancia.
La donna prese ad arrotolarsi una ciocca di lunghi capelli scuri, pensierosa. Lui ne osservò l’espressione, ritrovando la bellezza dietro tutta la stanchezza della giornata. – E di che input stiamo parlando? -
Non era polemica, ma sinceramente curiosa. Izzy sorseggiò il vino prima di rispondere.
- Beh, questo mondo è gigante. In giro fanno della musica che nessuno ancora si è dato la pena di ascoltare, addirittura con oggetti che non sono ancora stati realizzati. Voglio qualcosa che mi dia da pensare. -
Naz annuì. Probabilmente era stata perfettamente consapevole del suo pensiero, ben prima della risposta, ma sapeva anche che mettere a sistema le cose gli serviva per poi prendere delle decisioni.
- Mi sembra poi una scelta imprenditoriale molto ingenua. – Aggiunse lei poco dopo, mentre Izzy con una mano andava ad accarezzarle il ginocchio. – Voglio dire, il grunge è già esploso. Non capisco perché puntare su un prodotto che ha già saturato il mercato. -
A volte era davvero difficile ritrovare la ragazzina che lavorava da Big Bull sotto quella forma sofisticata e professionale: era una cosa che stupiva sempre chiunque la incontrasse, ma non Izzy. Lui non aveva solo assistito ad una buona fetta di quell’evoluzione, ma l’aveva capita anche quando se n’era – sciaguratamente – perso dei pezzi.
- Poi, sulla strumentazione, beh, è un pochino limitante il loro punto di vista. Non è cosa togli o cosa metti, ma come lo usi alla fine che conta. – Inaspettatamente, Naz si alzò per raggiunge un armadietto poco distante, tornando indietro con una rivista fra le mani. Era l’ultimo numero di The Wire, una di quelle letture che avevano sempre a casa.
- Simon Reynolds ha scritto un articolo interessante sul post-rock. – Izzy prese in mano la rivista avanguardistica, fissandone la copertina senza vederla davvero. Anche prima di leggere ciò che gli stava suggerendo Naz, sentiva una grossa sensazione di calore allargarsi all’altezza del petto. – Si parla di Stereolab, Bark Psychosis, ma anche i Tortoise in realtà ci stanno. Recentemente ho sentito anche di una band scozzese, Mogwai, stanno sfornando del materiale. -
- Ah-a. – Annuì l’uomo, concentrato sul viso di lei tanto quanto su ciò che stava dicendo. Un’altra delle cose che non erano cambiate: parlare di musica come di un unico flusso vitale, con una persona che l’avrebbe sempre stimolato.
- Vedi, alla fine la strumentazione è sempre quella, basso e batteria, chitarra elettrica, ma li si sposta su un altro piano. Su quello della musica elettronica, ad esempio. O su qualcosa di più noise, visto che vogliono suoni alternativi, meno armonici. Più shoegaze. -
Fu a metà di quella sequela di idee che Izzy realizzò quale fosse, in realtà, il vero nodo della questione, il vero punto su cui insistere se voleva davvero risolvere i propri dilemmi artistici.
Attese comunque che Naz avesse terminato, paziente, prima di affermare con grande tranquillità, come se stesse parlando del tempo: - Sai, credo che dovresti farmi tu da agente. -
La donna non stava bevendo ma, se avesse avuto un bicchiere in mano, probabilmente avrebbe sputato tutto per la sorpresa.
- Ma sei ammattito? – Non si era mai sentito più lucido di così. La soluzione era così semplice: lei era l’unica che fosse in grado di porsi sulla sua stessa linea di pensiero, ma allo stesso tempo gli offrisse un punto di vista esterno, aperto. Sapeva quali erano le domande che lui, come artista, si stava ponendo e poteva offrirgli delle risposte valide.
- Oh, non dirmi che non ne saresti capace. Ti occupi di chiudere contratti e far fare soldi a una casa di produzione, Naz. – Gli occhi di Izzy brillavano mentre la prendeva in giro, conoscendo la sua polla. Questa in risposta sbuffò, per poi aprire bocca con l’intenzione di parlare. Ancora una volta però, l’uomo la anticipò. – E non tirarmi nemmeno fuori la storia che non sai nulla di musica. Sei una musicista. Hai cultura e interesse per le evoluzioni. Sicuramente alcune cose non le sai fare, ma a lavorare per Beverly hai imparato in fretta. -
Nonostante l’espressione scettica che Naz esibì, Izzy seppe leggere nella sua testa una nota d’interesse che glielo confermò, avrebbe vinto la guerra.
Certo, si sarebbe misurato per un po’ con la cocciutaggine di quella donna, ne avrebbero discusso almeno un altro paio di volte. Poi però lei si sarebbe arresa.
- Mi sono dimenticata di dirti… - Cambiò discorso con la nonchalance di un fachiro che cammina su un tappeto di aghi, tornando di nuovo verso il mobiletto, stavolta per recuperare un foglietto di carta. - … che ha chiamato William. -
A quel punto il sorriso di Izzy vacillò un poco. Erano passati molti anni da determinati fatti particolarmente dolorosi ma assimilati, razionalizzati, accettati. Tuttavia, non si erano fatti mancare un poco di suspense, senza la quale evidentemente non potevano vivere.
- Ah sì? Che ti ha detto? -
Axl di sicuro non era più il terzo elemento di un triangolo strano. Lui e Naz si erano rivisti soltanto una volta e di sfuggita, solo perché lei era passata a prendere Izzy fuori dal ristorante dove era andato a cena con l’amico. Non c’era più quel tipo di tensione, ma non si poteva dire che Axl le volesse bene.
Izzy sapeva – e anche Naz – che l’amico e amante di un tempo dava la colpa a lei del ritiro dei chitarrista dai Guns N’Roses. La considerava un po’ la loro Yoko Ono. A nulla erano valsi i tentativi di Izzy di spiegargli che Naz e Daniel erano stati l’input finale per prendere una decisione che già aveva accarezzato.
- Che la prossima settimana è in città con i ragazzi e ti chiede di andare a bere qualcosa. – Rispose la donna con grande tranquillità, lasciandogli l’indirizzo dell’hotel di Axl.
Izzy sapeva che, da qualche parte, Naz soffriva un po’ per il fallito tentativo di stabilire un contatto con una persona che era rimasta importante per il suo compagno. C’erano stati molti trascorsi brutti e rimpianti, ma lei alla fine aveva perdonato.
Aveva visto cosa c’era oltre un passato buio e controverso.
- E ricordati ancora che questo weekend andiamo al minigolf con Chris e Jus. So che lo detesti… - Fu il turno della donna di anticipare le sue lamentele. - … ma sai che Chris in questo periodo è suscettibile e l’abbiamo promesso. Tanto ormai è diventata un pallone, si stancherà in fretta e ci porterà a mangiare quintali di gelato. – La data del parto di quella turboavvocatessa che era diventata la migliore amica di Naz era alle porte, eppure questa non sembrava proprio incline al sano riposo raccomandato dai dottori.
- Sarà meglio che vada a dare un’occhiata a Daniel. -
Izzy la osservò prendere la strada per le scale, accorgendosi di un dettaglio. Sembrava quasi tentennante, come se ci fosse qualcosa fra i suoi pensieri a reclamare attenzione.
- Allora ci penserai? -
Naz si bloccò a metà strada, prima di girarsi verso di lui lentamente. Izzy la vide esitare, quasi stesse selezionando con cura le parole giusto. Lui aggrottò le sopracciglia, subodorando qualcosa.
Qualcosa di inaspettato.
- Beh, sai. Sono andata dal dottore stamattina. – Naz sembrò arrossire, nella luce soffusa creata dalle lampade. Spostò il peso del corpo da un piede all’altro, prima di prendere il coraggio a piene mani. Lo guardò diritto negli occhi, trattenendo a malapena un sorriso dolcissimo.
- Mi ha detto che dovrò starmene tranquilla e lontano dallo stress per un po’. Per almeno altri otto mesi, ecco. -
Izzy non reagì subito. Rimase immobile a ricambiare il suo sguardo, mentre in sottofondo la musica serena e familiare di Dance me to the end of love riempiva la stanza.
Quindi sorrise a propria volta, un sorriso diverso da tutti quelli che le aveva riservato fino a quella sera. Senza aggiungere una parola, si alzò dal divano e con passi lenti e misurati la raggiunge, posizionandosi di fronte alla sua figura minuta. Negli occhi le trovò un poco di esitazione, insieme alla gioia che aveva covato in segreto per tutta la giornata.
Quindi le prese le mani, portandosene una alla spalla, intrecciando l’altra con la propria. Fluidamente, senza alcuna forzatura, la trascinò con sé in movimento ondeggianti, lievi, sulle note e sulla voce di Leonard Cohen.
Naz si mise a ridere fra le sue braccia, una risata argentina con cui fece scivolare via anche quel poco di tensione che aveva provato nel dovergli dare la notizia. Seguì naturalmente il ritmo leggero dettato dalla guida di Izzy.
Questi continuò ad osservarla ballare, concedersi a lui e amarlo in tutti i modi in cui una persona può amare qualcun altro.
Ne assaporò il bacio con gratitudine e meraviglia, seguendo più il battito del cuore di quella donna che la canzone che arrivava dallo stereo.
Era sempre stata così, lei.
Lei e quel suo straordinario modo di farlo sentire vivo.


Dance me very tenderly and dance me very long,
we're both of us beneath our love, we're both of us above. […]
Dance me to the children who are asking to be born,
dance me through the curtains that our kisses have outworn,
raise a tent of shelter now, though every thread is torn,
dance me to the end of love.
(Dance me to the end of love – Leonard Cohen)


 

 

 

 

 

OFF ZONE:

Pensavate che non sarei tornata. E invece.
Allora, dopo aver pubblicato Youth ho avuto un momento di morte ispirativa/ispirazionale/comesidice. Fra università e cose varie, ovviamente, un blocco ci stava eccome. Non me ne sono preoccupata troppo e infatti a un certo punto le idee e la voglia sono tornate.
Inizialmente questo doveva essere l’ultimo dei Missing Moments di questa piccola opera, anche per rispettare una sorta di scaletta temporale. Tuttavia, a un certo punto il mio cervello ha insistito tantissimo per buttare giù due righe su quest’idea, poi le righe sono diventate quattro e niente, sapete come funziona, no? È andato tutto in merda.
Questo capitolo – se così lo possiamo definire – parte dal lavoro di revisione di Love will tear us apart, lavoro che è arrivato circa al sedicesimo capitolo se vi può interessare.
Rileggendo e riscrivendo, mi sono resa conto di come la storia si sviluppasse, anche giustamente, attorno ai due poli di Naz e Axl. E ci sta, perché è quello il vero intrigo, dopotutto. Tuttavia, ho ritenuto giusto rielaborare e approfondire la sfera emotiva di Izzy in modo da trasformarla, senza modificare la trama, in una vera storia incentrata su un triangolo, letteralmente su TRE ANGOLI che fanno da motore e perno a tutte le vicende.
Inoltre, forse grazie alla saggezza (!) data dall’età, ora subisco molto meno il fascino della relazione fra Naz ed Axl, dando nuovo spessore e nuova importanza a invece il rapporto fra lei e Izzy.
Quindi ne è uscita una panoramica dei ricordi di Izzy, i ricordi che più danno l’idea di come lui in questa storia vede Naz, di cosa prova per lei, di cosa ha imparato da lei.
Ovviamente, manco a dirlo, questo è l’Izzy Stradlin della mia testa: un figuro un po’ hipster, sensibile e dotato di controcoglioni giganteschi nell’esserlo. Anche la digressione finale sulla musica, è tutto frutto del mio immaginario: a lui ho trovato stesse bene un certo tipo di musica progressive e noise che a me piace un sacco, anche se so che nella realtà non fa. In questo alternative universe sì, perché c’è la mia Naz.
A ogni ricordo, ho legato una canzone d’amore. Anzi, per me sono LE canzoni d’amore, fra le più belle che siano mai state scritte.
Il prossimo capitolo sarà probabilmente incentrato tutto su Axl Rose; ci sarà uno sbalzo indietro (spoiler!1!1!! ma chi mi caga) però credo che alla fine sia giusto dar corso all’ispirazione.
Fate come Izzy e non lasciatevi soffocare dalle etichette discografiche nella vostra testa.


PER AMORE DEL DIRITTO D’AUTORE:
Questo è ultradenso di qualsiasi cosa e i prossimi saranno sempre peggio.
Partiamo dal titolo: The end of love di Florence + The Machine, manco a dirlo. Anche il sottotitolo fa riferimento alla canzone ed esalta, per me, il tema dei “brani d’amore”.
La maglietta di Aladdin Sane è un regalo che prima o poi mi farò anch’io.
I tre film citati nel primo ricordo sono, in ordine: Breakfast at Tiffany’s di Blake Edwards, Scarface di Brian De Palma e Rebel Without a Cause di Nicholas Ray.
La canzone è In a manner of speaking dei Tuxedomoon, manifesto post-punk. Mi dà modo di annunciare che Naz, nella versione aggiornata di Love, oltre a essere una grandissima fan di Leonard Cohen e Tom Waits, ha gusti insoliti e di solito anticipa molte tendenze. Insomma, la donna perfetta per Izzy.
Prima di passare alle lacrime con Tom Waits, i due piccioncini fanno i classiconi e ascoltano The Wall dei Pink Floyd, disco uno. Il trend prosegue con la maglia dei Led Zeppelin.
Make you feel my love non è presente nelle narrazioni, ma io ce l’ho messa comunque perché per me è e sarà sempre LA canzone d’amore. Purtroppo, è stata scritta alla fine degli anni ’90.
Per quanto riguarda la storia dei Guns, se non sbaglio non ho fatto strafalcioni con gli incastri temporali. Izzy ha effettivamente quittato nel 1991 dopo essersi ripulito, iniziando poi a far musica per conto proprio. Semplicemente, nella mia storia ha un paio di ragioni in più. Inoltre, so che ha continuato a far dischi con la Geffen per un po’, prima di abbandonarla.
"When you gonna realize it was just that the time was wrong" è un’altra quote da Romeo and Juliet dei Dire Straits, altra Canzone, con C maiuscola, d’amore.
Nell’ultima parte, l’anno è il 1994, anche se comunque si intuisce dal fatto che Daniel ha sette anni.
Various Positions è uno dei grandi capolavori del compianto maestro Cohen.
Chris Cornell l’ho citato perché bisogna smetterla di parlare solo di Kurt Cobain a proposito del movimento grunge.
L’articolo di The Wire e la definizione di post-rock sono usciti davvero nel 1994! E i Mogwai quell’anno incisero il primo EP.
Infine, la Yoko Ono dei Guns alla fine si chiama Naz Kurt. Ed effettivamente nella storia va un po’ così.



Alla prossima!

  
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