Skies of rust – Capitolo
II
The end of love
Even in my dreaming
it was a good line for a song.
In a manner of speaking
I just want to say
that I could never forget the way
you told me everything by saying nothing.
In a manner of speaking I don't understand
how love in silence becomes reprimand
but the way that i feel about you is beyond words.
(Tuxedomoon – In a manner of speaking)
Izzy era nervoso.
In realtà gli succedeva spesso. Nonostante, per svariati motivi, spesso si
ritrovasse a ricoprire il ruolo del tipo pacato e razionale del gruppo, vi
erano diverse situazioni che potenzialmente potevano inquietarlo o comunque
farlo tremare dentro. Prima di un concerto, ad esempio, era sempre teso.
Concentrato, ma comunque teso.
C’era qualcosa di diverso in ciò che stava provando in quel momento, tuttavia.
Non si trattava di qualcosa di facile da ammettere a sé stessi: prima di quel
pomeriggio di giugno, c’erano stati altri mille primi appuntamenti con altre
mille ragazze, oltre a incontri ben meno standard. Il fatto che proprio quello,
fra tutti, lo rendesse così agitato, meritava una riflessione che però non era
in grado di formulare lì, su due piedi.
Intanto doveva trovare il modo di smetterla di sudare così tanto.
Non che non fosse un ragazzo riflessivo, il buon Izzy
Stradlin. Anzi, fra tutti i mascalzoni e i cervelli
bruciati che c’erano in giro, quel guercio sicuramente non temeva le parole e
il loro significato, anzi. Venerava il pensiero, l’elaborazione di concetti e
la traduzione di emozioni di cui l’uomo era capace.
Solo, in quel momento gli pareva che quella mirabolante abilità tipica della
specie umana fosse solo in grado di aumentare la sua sudorazione.
Attendeva da qualche minuto a lato di una strada affollata di Silver Lake, Los
Angeles, l’ombelico di quella dannata città. Aveva lottato con i ragazzi per
avere l’automobile, quel pomeriggio, giusto per conferirsi un tocco
d’indipendenza in più. Appoggiato contro quel macinino scassato mentre persone
di ogni genere gli passavano vicino, quel vecchio diavolo si accese la seconda
sigaretta di fila. La California era un autentica fornace ma di solito non gli
provocava certi effetti.
Ancora niente.
Certo, lei non gli era sembrata una
ritardataria. Tuttavia, Izzy non era riuscito a
impedirsi di arrivare in anticipo davanti al negozio di dischi che gli era
stato indicato come punto di ritrovo.
Indossava una camicia a maniche corte cremisi e un paio di pantaloni neri e
lunghi che gli stavano facendo desiderare di essere morto, sotto il sole
infernale della città degli angeli. Portava gli occhiali scuri sul naso,
guadagnando un po’ di sicurezza dalla sensazione che almeno non si poteva
scorgere il suo sguardo saettare da una parte all’altra del marciapiede.
- Ehi. -
Ovvio. Era arrivata esattamente dall’unico lato della strada verso cui non
stava guardando. Ma Izzy era il tipo calmo, quello cool: non smise di ripeterselo
mentalmente mentre si voltava a guardarla, prendendosi il proprio tempo per
sorridere. – Ehi. -
Naz indossava un paio di jeans a vita alta che sembravano un po’ troppo larghi
per lei, stretti con una cintura logora a cui erano stati aggiunti dei buchi,
oltre a una canotta bianca su cui era stampata la faccia di David Bowie sulla
copertina di Aladdin Sane. I colori erano un po’ sbiaditi. Portava i capelli
corti e aveva gli occhi più belli che Izzy avesse mai
visto.
- Come va? – Izzy si liberò dell’espressione
imbambolata con cui la stava fissando un secondo prima che lei se ne
accorgesse. Non osò avvicinarsi, tuttavia: l’aveva baciata, vista nuda, aveva
fatto l’amore con lei, ma questo era un altro paio di maniche. Dal pomeriggio
sulla spiaggia, dopo il quale Naz gli aveva lasciato il suo numero, era la
prima volta che si vedevano.
Izzy non aveva fatto altro che pensarci.
- Bene! Tu? – La ragazza non sembrava imbarazzata né da quelle frasi di
circostanza, né da quella distanza fisica. Sembrava affrontare tutto con la
disinvoltura e l’audacia con cui l’aveva conosciuta: sembrava non ci fosse
davvero nulla che potesse spaventarla. – Io attacco alle sette comunque, alla
fine. Che ti va di fare? – Naz si passò una mano davanti alla fronte, prima di
scostare un ciuffo di capelli ribelli con uno sbuffo.
Carina.
- Beh, potremmo prenderci qualcosa da bere, magari. Cioè io, tu sei
minorenne. – Izzy si augurò disperatamente di suonare
rilassato come sempre. Aveva come l’impressione di tradire in maniera plateale
il proprio nervosismo. – O magari possiamo andare al cinema. Vedere che danno.
–
Solo dopo aver formulato quella proposta, si rese conto di avere solo cinque
dollari in tasca. Non era riuscito a recuperare altro dal fondo comune della Hellhouse. Si appoggiò di nuovo alla vecchia Mustang
sfasciata, incrociando le braccia al petto in maniera sciolta, mentre pregava
che i film usciti all’inizio dell’estate facessero tutti schifo.
Poteva offrirle al massimo una passeggiata.
Maledizione.
Dopo un breve momento di pausa, Izzy vide Naz
inclinare la testa di lato. Un sorriso leggero incurvò le labbra della ragazza.
Non sembrava beffarda o minacciosa, solo… intenerita?
- Perché, tu ce li hai i soldi per andare al cinema? -
Izzy avvertì chiaramente che non lo stava prendendo
in giro né sminuendo. Quella domanda pronunciata con genuinità, solo un pizzico
di divertimento, era più simile a una manifestazione di gratitudine,
caratteristica paradossale dato il contenuto della stessa.
Il ragazzo le sorride di rimando, prima di scoppiare a ridere.
Avrebbe capito solo dopo che semplicemente Naz non era abituata ad essere
trattata così.
Con gentilezza.
- Forza, andiamo. Ho un’idea. -
Non si toccarono, non ancora. Naz si limitò a fargli un cenno col capo, uno di
quelli che lui avrebbe fatto a un compagno per invitarlo a una partita di
basket magari.
Eppure nel seguirla, gli sembrò di conoscerla con un’intimità decennale.
Silver Lake di giorno era anche piuttosto accogliente, rispetto ad altri
quartieri di Los Angeles che, limitandosi ad ospitare la vita notturna della
metropoli, con la luce del sole si trasformavano in pattumiere a cielo aperto.
Attorno a loro vi erano sì tipi strani, con capelli strani, vestiti strani e
andature strane, ma anche mamme intente a trascinare i figli capricciosi per
strada, nugoli di donne che chiacchieravano fra loro, vecchietti che
ispezionavano le strade accaldati.
Izzy si limitò a chiederle di Christie, degli esami
finali a scuola, a raccontarle delle prove della band mentre camminava al suo
fianco: non le fece ulteriori domande sulla destinazione.
C’era qualcosa che gli diceva che Naz non avrebbe sbagliato.
- Ta-daaan! -
Da qualche parte all’interno di quel negozio, una radio mandava l’ultimo pezzo
dei Tuxedomoon. Lei amava il post punk. Difficile si
fosse trattato di qualcosa di più di una coincidenza, ma a Izzy
piacque pensare che ci fosse come la trama di una poesia dietro.
Si trovava di fronte a Wilbourne&Sons, un piccolo
rivenditore di elettrodomestici e prodotti tecnologici che probabilmente non si
sarebbe mai calcolato. Sembrava un tipo negozio di periferia, pulito, adatto
allo shopping in famiglia, con prezzi economici per chiunque non fosse
spiantato come loro.
Izzy lanciò a Naz un’occhiata di traverso, sorridendo
perplesso e al contempo elettrizzato: dietro quella scelta assurda, doveva
esserci qualcosa di grandioso, lo leggeva negli occhi furbi che la ragazza
sfoggiava in quel momento. – Siamo già alla fase in cui compriamo insieme la
lavatrice? -
Naz scoppiò a ridere e solo in quel momento entrambi si resero conto di aver
rilassato le spalle e i nervi. Fu tutto più facile.
- No, non puoi ancora lamentarti di essere stato accalappiato. Vieni. – Con la
stessa facilità con cui respirava, Naz gli prese la mano per trascinarlo
all’interno. Non rappresentavano i clienti modello, no: un vecchietto –
probabilmente Wilbourne – dietro un lungo bancone
lanciò loro un’occhiata sospettosa. Sembrava proprio il genere di uomo con un
fucile a pompa nascosto sotto la scrivania, tuttavia Izzy
ridacchiò senza preoccupazioni.
- Ecco. – Naz lo trascinò soddisfatta davanti a un’esposizione ordinata di
televisori più o meno piccoli. Trasmettevano, probabilmente per mostrare ai
potenziali acquirenti le diverse risoluzioni e qualità del video, spezzoni di
film diversi fra loro. Quello che avevano davanti stava mostrando una giovane e
bellissima Audrey Hepburn in abito arancione, in un cucinino angusto.
Cinema.
- Quando eravamo piccoli, io e mio fratello sgattaiolavamo un sacco di
volte ai drive-in per guardare i vecchi film. Ho sempre desiderato saper
parlare con lo stesso fascino di Audrey Hepburn. -
Izzy si volse a guardarla, non conosceva quel film nonostante
avesse presente l’attrice. Eppure, osservando il viso di Naz che si illuminava
di un sorriso davanti allo schermo, gli sembrò di averlo visto almeno un
centinaio di volte. Con lei, una bambina mingherlina e impavida davanti
all’idea di essere beccata con le mani nel sacco.
- I'll tell you one thing, Fred, darling... I'd marry you for your
money in a minute. Would you marry me for my money? – Naz recitò quella
battuta quasi in contemporanea col movimento delle labbra di quella muta Audrey
Hepburn. Izzy avrebbe voluto conoscere la battuta del
belloccio biondo che stava osservando la diva di Hollywood con lo stesso
sguardo che lui aveva per quella ragazzina.
- In a minute. – Ci pensò Naz a girarsi verso di lui, replicando lo stesso tono
di George Peppard.
- Ehi, quello lo conosco. -
Izzy si avvicinò a un grande schermo d’ultima
generazione, che in quel momento stava proiettando l’immagine di due uomini in
una macchina decapottabile, con sedili tigrati di pessimo gusto. Uno di loro
sembrava piuttosto stanco o piuttosto ubriaco.
Il ragazzo si volse entusiasta verso Naz, scoprendo sorpreso un’espressione
dubbiosa sul viso della ragazza. Questa si morse il labbro, mostrando un
sorriso che in realtà celava dispiacere.
- Ti giuro, non ho idea di cosa sia. – Izzy scorse
dell’imbarazzo dietro quella che doveva essere nonchalance. E dire che si
trattava di una pellicola recente. Avrebbe realizzato solo dopo qualche tempo
che l’esperienza di Naz, nel corso di quella vita sfumata e incerta che
conduceva, si limitava a quei vecchi film che aveva visto da bambina, per caso.
- She likes you? How do you know? – Con un sorriso furbesco, Izzy
abbassò la propria voce e la rese più ruvida, sfoderando anche un vago accento
latino. Bastò per suscitare in Naz una risatina leggera, che dissolse quel
senso di inadeguatezza.
- The eyes, chico. They never lie.
– Quando si volse verso di lei, per completare quella battuta guardandola
giustamente negli occhi, Izzy credette di sentire il
cuore esplodere. Fu una sensazione sconcertante ma inevitabile, di fronte a
quelle grandi pupille scure che lo osservavano in quella maniera. Forse Naz non
si rendeva conto del modo in cui si era illuminato il suo sguardo, rivelando al
ragazzo un mondo inaspettato; o forse era Izzy ad
essere abbastanza sciocco da leggere in quello scricciolo dei sentimenti che in
realtà appartenevano a lui. In ogni caso, avvertì chiaramente di poter
conquistare il mondo con quegli occhi addosso.
- Oh caspiterina, stanno dando Rebel without a cause. – Il modo
in cui Naz si entusiasmò improvvisamente lo lasciò di stucco. Non si aspettava
di veder sfuggire il suo sguardo così presto. Ma gli occhioni della ragazza si
erano posati su uno degli schermi più all’avanguardia che il locale aveva a
disposizione.
Un belloccio in giacca rossa spiccava nell’ambiente scuro del set, accanto al
viso contrito di una giovane dall’aspetto insieme dolce e in qualche modo
terribilmente contrito. Le labbra di James Dean stavano scandendo parole prive
di suono in quell’ambiente non così distante dal mondo dipinto da Nicholas Ray: se la storia dell’attore aveva consacrato quella
pellicola ad una leggenda patinata, l’impronta del racconto si scorgeva
chiaramente nella vita che conducevano.
- I'm sorry. I'm
sorry that I treated you mean today. You shouldn't believe what I say when I'm
with the rest of the kids. Nobody, nobody acts sincere. -
Izzy già la stava contemplando, col viso verso di
lei, quando Naz iniziò a recitare quella battuta a memoria con una naturalezza
incredibile. C’erano mille notti passate con suo fratello a rubare pezzetti di
vita altrui, dietro quell’imitazione di Natalie Wood.
Senza nemmeno pensarci su, senza calcolare i gesti di James Dean, Izzy si chinò per posare le proprie labbra sulla tempia di
Naz.
La sovrastava in altezza, ma quando la ragazza si volse a guardarlo si sentì
incredibilmente piccolo. Per qualche secondo, rimase in bilico fra il tempo che
era passato troppo veloce dal loro primo incontro e le parole che si sarebbero
detti in futuro. Nel presente, c’era solo quella bizzarra e intensa intimità,
fatta del fiato che Izzy tenne sospeso in attesa
della reazione della ragazza.
Aveva come la sensazione che ne sarebbe dipesa la sua vita.
- Why did you do that? -
Il sorriso che si aprì sul viso delicato di Naz non aveva nulla a che fare con
la sorpresa scossa della giovane Judy. Era fuori da film, schermi e qualsiasi
altro materiale servisse a intrappolare i sentimenti per renderli racconti.
- I felt like it. – Izzy recitò la battuta con
orgoglio, restituendole il sorriso. Wilbourne, alle
loro spalle, li stava scrutando indeciso se andare a cacciarli immediatamente o
far finta di nulla per un altro po’. Teppisti.
Rimasero incuranti del fatto che a James Dean e a Natalie Wood ci sarebbe
voluto ancora un po’ per rendersi conto dei reciproci sentimenti: Naz si
protese, sollevandosi sulle punte dei piedi, verso Izzy
nel momento stesso in cui questi si chinò di nuovo, come se fosse la cosa più
naturale del mondo.
Mentre riconquistava quelle labbra soffici e cariche di promesse, Izzy realizzò che non sarebbe mai stato in grado di
scrivere una canzone in grado di descrivere ciò che stava accadendo.
Tutto sommato, gli andava bene così.
- Andiamo? –
Accolse le dita di Naz fra le proprie mentre si faceva trascinare dalla sua
voce lontano da Wilbourne. Un giorno sarebbe tornato a ringraziarlo.
And those were the days of roses
poetry and prose and, Martha,
all I had was you and all you had was me.
There was no tomorrows,
we'd packed away our sorrows
and we saved them for a rainy day.
(Tom
Waits - Martha)
Izzy entrò nella casa con cautela
nel salotto. Aveva già avuto modo di visitare quel posto, ma in qualche modo
sarebbe sempre rimasto avvolto dall’alone di mistero e distanza che la vita che
costudiva gli aveva attribuito.
L’appartamento di Naz era silenzioso. Sapeva che suo fratello era partito per
Porto Rico, per raggiungere la sua ragazza. C’erano soltanto loro due e, questo
Izzy lo sapeva e lo avvertiva, qualcun altro. Una
presenza nebulosa.
- Vuoi del caffè? -
Persino dopo tutto ciò che erano arrivati a condividere, la voce di Naz tradì
del nervosismo.
Izzy appoggiò lo zaino logoro sul divanetto che trovò
incastrato in un angolo del cucinino: il soffitto era basso, i mobili piuttosto
eterogenei per stile e materiale, i fornelli e il piccolo frigorifero
probabilmente risalivano a vent’anni prima. Su di essi era china la figuretta
esile, i capelli che stavano già iniziando a ricrescere sulla nuca e il collo
scoperto.
Il ragazzo le sorrise, quando Naz finalmente trovò il coraggio di voltarsi.
Aveva ancora gli occhi rossi e gonfi della notte precedente.
Quando l’aveva trovata stesa sul pavimento in lacrime e in panico e aveva
capito di amarla.
- Grazie. Sono distrutto. – Era tardo pomeriggio ormai: il sole californiano
ancora filtrava dalla finestrella. Con grande naturalezza, come se fosse nato
per stare in quel buco di soffitta, Izzy si lanciò
sul divano ed osservò Naz recuperare una tazza sbeccata.
Sapeva che l’unico modo per metterla a suo agio, era dimostrarsi a propria
volta tranquillo.
Una settimana. Sette lunghi giorni. Ecco quanto gli aveva chiesto di stare da
lei. Mason sarebbe stato via di più, ma Izzy non
aveva osato puntualizzarlo. Non avrebbe mai immaginato che quel giorno sarebbe
arrivato: dato il passato e le incombenze – l’incombenza
– della ragazza, trascorrere anche solo una notte in quell’angolo di South
Central era sempre apparso come un mito irrealizzabile.
Sapeva che da qualche parte in quella casa c’era qualcuno, qualcuno che alla
fine Naz avrebbe dovuto presentargli. Ma Izzy non
chiese nulla. Aveva l’impressione che, in quel momento più che mai, fosse
necessario attendere i tempi della giovane.
Darle il tempo di adattarsi, di rilassare quei nervi del collo sempre
dolorosamente tesi.
La osservò avvicinarsi con la tazza colma di caffè fumante in mano, con
l’espressione dispiaciuta di chi avanza scuse in anticipo per non si sa bene
cosa; allo stesso tempo, percepì la sua profonda gioia. Izzy
ne fu stupito, ma subito dopo comprese.
Era contenta di averlo lì.
- Vuoi stare fermo? – Poco tempo dopo, in quella stessa cucina, il ragazzo si
ritrovò oggetto di un’operazione piuttosto delicata. – Se continui a muoverti,
farò un disastro. – Manco a dirlo, gli scappò da ridere proprio in
quell’istante, mandando all’aria i propositi meticolosi di Naz.
Avevano sistemato la roba di Izzy nella cameretta
della ragazza, che lui aveva osservato con genuina curiosità: aveva gustato la
collezione di vecchi dischi, i poster appesi al soffitto spiovente e la vecchia
chitarra, mentre Naz pian piano prendeva confidenza con la sua presenza lì.
Avevano scelto la colonna sonora, optando per un compiacente disco uno di The Wall. Poi erano giunte le note dolenti.
Le forbici.
- Sei sicura di non stare tagliando un po’ troppo? – Si azzardò a chiedere per
la sesta volta Izzy, comodamente piazzato fra le
gambe della giovane. Aveva preso posto, come da indicazioni, su una delle
sedie, mentre Naz si era appollaiata sul tavolo.
La sensazione di aria che batteva sul collo non gli piaceva per niente.
- Oh insomma, vuoi fidarti di me una buona volta? – Sbottò l’altra senza
riuscire a nascondere una nota di divertimento che non rassicurò Izzy, osservando un’altra ciocca scura cadere a terra. – E
poi, ho quasi finito. – Il ragazzo accentuò apposta il proprio sospiro di
sollievo, prima di scoppiare ancora una volta a ridere.
- Ti ricordo che sono io ad avere le forbici in mano, Isbell.
-
Non si resero subito conto del cambiamento. Inizialmente fu solo una sensazione
vaga, che però non interruppe i battibecchi e gli scherzi. Poi lo sguardo di Izzy venne catturato da qualcosa. Un’ombra.
Affacciata alla porta della cucina, c’era una sagoma che il ragazzo già
conosceva: se l’era immaginata esattamente così, dalle poche parole carpite a
Naz e da ciò che lui ci aveva costruito sopra, ma l’impatto fu comunque forte. Joanie fissò entrambi senza un’espressione particolare,
come se non fosse particolarmente stupita di trovare uno sconosciuto in casa.
Sembrava, in realtà, persa. Come se fosse capitata lì per caso. I grandi occhi
scuri, così simili a quelli che Izzy venerava, erano
accentuati dalla magrezza e dal pallore del volto; le membra sottili navigavano
in una vecchia camicia da notte bianca, i capelli pendevano flosci sulla
schiena.
Sentì Naz irrigidirsi dietro di lui. Quel momento sarebbe arrivato prima o poi,
nell’arco della permanenza, eppure il ragazzo sapeva che lei non si sarebbe mai
potuto preparare ad esso.
Passò un lungo istante di silenzio.
- Fatto. – Un ultimo zac, poi Naz fu subito in piedi. Izzy
avvertì lo spostamento d’aria, passandosi una mano sui capelli tagliati di
fresco. Osservò le due donne affiancarsi. Solo un cieco avrebbe guardato le
somiglianze sopra le differente: Joanie sembrava
assente dalla realtà; mille bombe avrebbero potuto esploderle attorno e lei non
se ne sarebbe curata. Naz invece, nel suo tormento e nelle sue controversie
interiori, era presente. Era parte di un flusso, comunicativa e sensibile.
Lei era vita.
- Mamma, questo è Jeffrey. È il mio ragazzo. -
Il modo in cui la avvolse nel proprio abbraccio, discreta ma ferma, scosse
qualcosa nel suo animo.
La donna non disse una parola, si limitò a fissarlo. Izzy
si rese conto che, da qualche parte nella sua testa, stava capendo ciò che la
figlia le stava dicendo. Semplicemente, aveva rinunciato ad essere partecipe di
qualcosa che si era rivelato più grande di lei.
Se Naz non aveva mollato, non l’avrebbe fatto nemmeno lui.
- È un enorme piacere, signora. -
Si alzò in piedi come avrebbe fatto un qualsiasi ragazzo con un’educazione da
bravo americano alle spalle. Abbozzò persino un inchino con la testa,
tremendamente serio e allo stesso tempo tranquillo. Non le stava prendendo in
giro: quello era un momento decisivo. Naz non l’avrebbe mai detto ad alta voce,
ma nel quadro dello scombussolamento interiore che l’aveva colpita in quei
giorni, quell’incontro significava molto.
Recuperare un minimo di speranza in un futuro sereno.
Izzy tese la mano, con circospezione, per afferrare
con delicatezza quella di Joanie. Si accorse di come
la ragazza trattenne il fiato, di fronte quella mossa avventata. Ma lui
continuò a fissare la donna con un sorriso discreto, lasciando che si abituasse
al contatto con lui.
Joanie non si ritrasse.
Con gentilezza, quando fu sicuro di quel contatto più mentale che fisico,
accompagnò quella sagoma emaciata verso il tavolo, per indurla a prendere posto
alla tavola con loro. Nel momento in cui la donna, senza cambiare espressione,
decise di seguirlo, Izzy seppe di aver appena
conquistato una tappa importante.
Ciò che ritrovò nello sguardo di Naz glielo confermò.
Più tardi, si ritrovarono al solo lume della luna che filtrava dalla
finestrella della cameretta di Naz. Con loro, solo la voce calda di Tom Waits,
che dal giradischi narrava le parole di Closing Time.
Era l’album preferito della ragazza, questa era una delle prime cose che aveva
imparato di lei.
Izzy se ne stava disteso sul materasso che, a terra,
fungeva da letto. Non era trascorso molto da quando avevano fatto l’amore e ora
il ragazzo accarezzava delicato le corde della chitarra, fredda contro il suo
petto nudo. Aveva recuperato i pantaloni unicamente a causa del freddo.
Non si ricordava il momento in cui aveva smesso di suonare. Stava solo cercando
di godersi ciò che aveva davanti.
- And I was always so
impulsive, I guess that I still am. -
Le gambe di Naz erano lattee nell’oscurità, la linea del suo collo un tratto di
matita. In quella maglia dei dei Led Zeppelin quasi
scompariva: era l’unica cosa che indossava, quella e la sua anima.
Da quando l’aveva chiamato nel cuore della notte per dirgli che lo amava, era
diventata trasparente ai suoi occhi. Persino averla di fronte, presa a cantare
Martha con lo stesso tono di Waits, rivelava che stava attraversando un periodo
cruciale, di transizione.
Non aveva avuto bisogno di chiederglielo. Izzy aveva
compreso attraverso piccoli gesti, parole quasi casuali e sguardi rubati. Aveva
compreso che Naz stava decidendo che tipo di persona voleva essere per il resto
della vita, quali erano i suoi reali desideri, per cosa voleva lottare ancora
che non fosse altro da lei. La sua vita aveva ruotato attorno agli altri: suo
padre e la sua incapacità di essere tale, sua madre e il collasso mentale,
oltre che familiare, le responsabilità verso di lei quando era diventata figlia
e verso suo fratello, l’unico che le era rimasto. Le esigenze degli altri erano
ciò che aveva sempre conosciuto e attraverso esse aveva dato una definizione a
sé stessa. Pian piano però, quelli che erano sempre stati fardelli si stavano
allontanando. Stava per restare sola, finalmente libera forse, ma con una
grossa responsabilità sulle spalle: cercare un’identità.
Però Izzy, che l’aveva sempre osservata da distante,
che era entrato nella sua esistenza come una brezza estiva, sapeva che c’era
molto di più oltre quel vuoto che vedeva davanti a sé. Percepiva la sua
desolazione, di fronte al dubbio di non essere più di qualcosa costruito in
funzione di altri, persino di lui. Ma lui, Izzy, la
vedeva per ciò che era.
Un’anima folle e di una bontà incredibile, con una prospettiva sua su ogni
cosa.
Sorrise mentre la guardava emozionarsi e cantare, stonando un poco, quella
poesia di Tom Waits, i piedi nudi sul pavimento scricchiolante. Sarebbe stato
onorato di poter assistere a tutto ciò che quella persona straordinaria avrebbe
combinato.
- Ti amo. Da qui alla luna, ecco quanto ti amo. -
Izzy sorrise mentre riponeva la chitarra a lato,
lasciando che Naz avanzasse verso di lui ballando prima, gattonando sul
materasso bitorzoluto poi.
La ragazza s’infilò con lentezza fra le sue gambe, puntellandosi con le mani
che affondavano nella superficie ruvida ai lati del suo torace scarno,
allungando il collo come un gatto per ricevere un bacio. Izzy
ne osservò i lineamenti distesi e i muscoli in attesa, con le palpebre
abbassate su quegli occhi immensi, contemplandone l’armonia, prima di
accontentarla. Mentre la sua bocca accoglieva quel sapore ormai così familiare,
con i polpastrelli accarezzò la pelle vellutata sulle sue cosce, risalendo
verso il bordo della maglietta. Naz, seguendo istintivamente quel tocco, gli si
avvicinò senza staccare le proprie labbra dalle sue, alzando un braccio per
appoggiarsi alla parete alle sue spalle. Si fermò soltanto per portare le manine
ad afferrare l’indumento che la ricopriva, sfilandoselo con un solo gesto di
fronte a lui, restando nuda e con i capelli scarmigliati.
Izzy, di fronte a quella visione, ebbe la netta
sensazione quella parte di loro sarebbe vissuta per sempre. Non era semplicemente
possibile condividere qualcosa di così forte con qualcuno di così magnifico e
non credere, di conseguenza, nell’eternità di certe emozioni. Sarebbe arrivato
il futuro e con lui il rimorso, le incomprensioni e i silenzi. Ma alle spalle e
nel cuore avrebbero per sempre conservato quella prova, la prova della
possibilità di sentirsi completati da qualcuno senza chiedere e senza faticare.
Solo per il fatto di essere loro due.
In pace col resto del mondo.
When evening shadows and the stars
appear
and there is no one there to dry your tears,
I could hold you for a million years
to make you feel my love. […]
I could make you happy, make your dreams come true,
nothing that I wouldn't do
go to the ends of the Earth for you
to make you feel my love.
(Bob Dylan – Make you feel my love)
Era in ritardo.
Izzy fece un profondo tiro di
sigaretta, sporgendosi ancora un poco dalla finestra per evitare che il fumo
entrasse nella stanza. Era stata lei a dirgli di fare così.
“Se proprio non riesci a trattenerti,
chiuditi in camera mia, prendi il barattolino che trovi nel cassetto e stai
alla finestra. E stai attento che Daniel non ti veda.”
Ancora non si vedeva da nessuna parte.
Erano mezzanotte e un quarto, lei sarebbe dovuta rientrare allo scoccare del
nuovo giorno. Come una moderna Cenerentola. Izzy
aggrottò le sopracciglia. No, non avrebbe perso la testa come un tonto
qualunque al pensiero che lei avesse trovato un principe.
Mettere a letto Daniel non era stato semplice. Quel bambino era meraviglioso,
furbo, furbissimo perdiana. Aveva cercato d’ingannarlo e di distrarlo in tutti
i modi, chiedendo una nuova favola, una canzone, lamentandosi di dover fare di
nuovo la pipì, tutto per poter stare alzato un po’ di più. Il motivo di tanto
impegno era facilmente intuibile: Izzy era molto più
permissivo e molto più malleabile di Naz. Daniel doveva aver intuito di essere
in una posizione di vantaggio, con quell’uomo divertente e rilassato che
portava sempre un sacco di giochi in dono.
Naz come madre, beh, era tutta un’altra storia.
Sulla strada che si stagliava sotto la finestrella, apparve un’auto che catturò
la sua attenzione. Era quasi nuova, una bella Bmw
tirata a lucido che stonava alla grande con quel particolare quartiere di Los
Angeles, decisamente più rustico. Izzy strinse gli occhi.
Dal lato del guidatore uscì un giovanotto piuttosto ordinario, in completo
scuro, con una zazzera di capelli biondi che gli conferiva un’aria gioviale.
L’uomo lo vide affrettarsi ad aggirare la vettura, per andare ad aprire galantemente
la porta del passeggero.
Naz era raggiante. Poche volte Izzy l’aveva vista
agghindata in quel modo. Indossava un vestito nero dalla linea semplice, senza
maniche e con lo scollo a barchetta, che le arrivava appena sopra il ginocchio.
Scarpe con un bel tacco alto, ornamenti semplici, i capelli cresciuti in uno
chignon morbido da cui sfuggivano alcune ciocche, che le incorniciavano il
viso. Persino da quella distanza, scorgeva le sue labbra rosse piegate
all’insù, in un sorriso.
La osservò scambiare gli ultimi convenevoli con quello sconosciuto, il quale
persino da lì gli sembrava fastidiosamente in linea coi suoi pensieri riguardo
alla bellezza della donna. Stizzito, Izzy andò a
spegnere la sigaretta nel barattolino, richiudendo con forza il coperchio.
Trattenne il fiato con quando lo vide chinarsi su di lei.
Naz lo salutò amichevolmente con due baci sulla guancia, alla francese. Si
scambiarono poche parole, prima che lei prendesse la via della palazzina,
camminando con confidenza su quelle scarpe assurdamente alte.
Izzy si allontanò dalla finestra, lasciandola aperta
per arieggiare, tornando in salotto.
- Ciao. È andato tutto bene? Sta dormendo? -
Erano passati tre mesi. Tre mesi, giusto il tempo per far arrivare anche in
quell’estate 1991 il caldo torrido a Los Angeles. Tre mesi da quando si era
presentato sul suo posto di lavoro per chiedere di recuperare una vita insieme
e di metterla a parte del mondo di suo figlio.
Anche allora, nonostante la reazione più che positiva, Izzy
sapeva che sarebbe stata una battaglia. Fortunatamente, con la band si erano
intrattenuti in città per registrare. Lavoravano sodo, ma almeno la distanza da
Daniel era minima.
Naz gli aveva concesso di vederlo, di occuparsi di lui e passarci del tempo
insieme, ma a rigide condizioni. Doveva accadere sempre in quell’appartamento
oppure in luoghi pubblici e, in questi casi, sempre per poche ore. Slash o Duff non potevano partecipare, in alcun modo. Aveva
l’obbligo di tenere un comportamento decoroso, senza scurrilità o aggressività.
In quegli incontri, erano assolutamente vietati alcool e droghe.
“Ma per chi cazzo mi hai preso?”
“Per il chitarrista dei Guns N’Roses, Jeff.”
Erano passati tre mesi da quando le aveva chiesto di ricominciare con lui, con
loro.
Il concetto di Naz Kurt di “andarci piano” era non andarci affatto.
- Sta dormendo, sì. So badare a nostro figlio. – Izzy
non riuscì a non suonare un tantino stizzito. Quasi si lanciò sul divanetto
incastrato in un angolo della cucina, mentre si guadagnava un’occhiata sorpresa
da parte di Naz. La osservò togliersi le scarpe col tacco con sollievo, prima
di avanzare verso la credenza a recuperare un bicchiere d’acqua. L’uomo non
poté fare a meno di pentirsi un po’, per la propria antipatia.
Non gli riusciva proprio, di essere distaccato con lei.
- Com’è andata la cena aziendale? – Domandò quindi subito dopo, cercando di
simulare della nonchalance. Diavolo, detestava sentirsi come un ragazzino. Era
tutta colpa di Naz.
- Oh, molto bene davvero. È stato un ottimo modo per rafforzare la coesione di
gruppo, sai. – Eccola, sofisticata e adulta. Izzy era
fermamente convinto che in fondo si sforzasse, per farlo risultare inadeguato,
per sottolineare come lei fosse cresciuta mentre loro – lui – erano rimasti agli anni ’80, a giocare agli dei del rock. Era
stata una delle argomentazioni su cui aveva più insistito, quando si era
riparlato di tornare a stare insieme, non solo ad avere un figlio insieme.
Gli scappò uno sbuffo piuttosto sonoro. Ecco, di nuovo, il fattore “ragazzino”
che fastidiosamente confermava le insinuazioni della donna.
Naz se ne accorse ma non rispose, limitandosi a stringere le labbra. – Vado a
dare un’occhiata a Danny. Sono molto stanca. – Le due frasi apparentemente
scollegate fra loro in realtà furono un messaggio molto chiaro per Izzy.
Leva le tende.
Quando la vide andare nell’altra stanza, si passò le mani fra i capelli,
frustrato. Non poteva continuare ad assecondare quella sua indifferenza o darle
motivi per continuare a pensare che lui in fondo fosse uno scapestrato, un tossico
infantile e che non fosse prospettabile una stabilità familiare con lui.
Perché non era così.
Perché avrebbe smosso anche le montagne e rivoluzionato la Terra per loro e lei
non aveva alcun diritto di togliergli quella profonda convinzione.
- Beh, grazie mille per essere passato. Se vuoi, possiamo sentirci in settimana
per un altro pomeriggio con Daniel. Puoi andare. -
Grazie per aver viaggiato con noi, vi
auguriamo una buona giornata.
- Naz, tutto questo è assurdo. – Lesse negli occhi della donna, in piedi
davanti alla porta di collegamento con le camere da letto, che aveva temuto una
reazione del genere. Tuttavia, vide anche dello stupore. Izzy
era consapevole di aver parlato con una voce che finalmente rispecchiava ciò
che aveva dentro.
Si alzò in piedi con deliberata lentezza, avvicinandosi senza staccare gli
occhi dai suoi. – Non siamo più ragazzini. Ci siamo fatti del male abbastanza.
Che senso ha andare avanti con questa farsa in cui tu sei imperturbabile e
superiore e io sono ancora la persona da punire? -
Per un attimo, sul volto della donna che era diventata Izzy
intravide la ragazzina con cui aveva condiviso la vita. Spiazzata, esitò a
rispondere, forse non troppo sicura di cosa dire. L’uomo quindi ne approfittò
per proseguire.
- Sono pulito da mesi. So che temi io abbia ricadute, ma non sento minimamente
la mancanza di ciò che sono stato negli ultimi anni. Forse ha avuto un senso, a
un certo punto. Ma ora che ho Daniel, non provo il minimo interesse in qualcosa
che non mi faccia essere un buon padre per lui. Sul nuovo disco stiamo
lavorando bene e ci sarà un tour, questo è vero. So che hai paura che io me ne
vada di nuovo lontano. Ma la mia musica non ha una sola direzione, come anche
le mie prospettive di carriera non sono unicamente i Guns
N’Roses. Una tua parola e me ne tiro fuori, lo sai. -
Naz non lo interruppe. Abbandonò lentamente la maschera di freddezza che aveva
vestito prima, mentre i muscoli del viso si rilassavano sotto la carezza di
quelle parole. Tuttavia, non riuscì a trattenersi dall’assumere un cipiglio
arrabbiato. Incrociò le braccia sotto il seno.
- Ti sto già dando fiducia, Jeff. – Izzy si sforzò
per non ribattere subito, per lasciarle il tempo di esporre ciò che già sapeva
avrebbe detto. Incredibile come lei riuscisse a mandarlo quasi in bestia.
Incrociò le braccia a propria volta. – Sei rispuntato fuori dopo anni di
silenzio. Hai avuto dei problemi di dipendenza. Superati ora, lo riconosco, ma
non da molto tempo. In generale, lo stile di vita che hai condotto fino ad ora non
va bene per mio figlio… -
- Nostro figlio, Naz, nostro. Cristo, ti viene così difficile dirlo? – Sbottò
di colpo, interrompendola. Sapeva di aver appena perso un paio di punti,
alzando appena la voce e rischiando così di svegliare Daniel; infatti la donna
gli scoccò un’occhiataccia, facendogli segno di abbassare la voce
freneticamente. Izzy la ignorò: non avrebbe usato
quelle sciocchezze come pretesto per zittirlo dove aveva ragione.
- … e non puoi pretendere che per me sia tutto semplice. Ho lavorato sodo per
costruire per me e lui stabilità e serenità. Tu sei tornato e mi hai ributtato
addosso ricordi e rimorsi che avevo messo da parte. Non posso dimenticare tutto
quello che è successo nel giro di pochi mesi. Ci vuole tempo. -
Incredibilmente, Izzy si rilassò. Qualcosa, nelle
parole di una donna che cercava con grande solerzia di mantenere un contegno,
ma che era scossa nel profondo da ciò che stava dicendo, riuscì a distendere i
suoi nervi. Sorrise con una dolcezza pura nello sguardo, osservando il viso
cresciuto di Naz.
Quindi allungò con discrezione una mano, per posarla su una di quelle guance
vellutate.
- Non devi dimenticare ma puoi perdonarmi. Io l’ho fatto, con te. -
La donna sgranò gli occhi, sconvolta da quell’affermazione. Izzy
la vide paralizzarsi sul posto, ma non perse la calma né l’intenzione delicata
davanti a quello scandalo.
- Tu? Perdonare me?! -
Sapeva che l’avrebbe detto. Dal suo punto di vista, non aveva certo torto.
Solo che ce le aveva anche lui, le sue ragioni.
- Io, perdonare te. In fondo, mi avevi tradito e poi mollato per il mio
migliore amico. Anche dopo, quando abbiamo saputo del bambino, vi ho odiati da
morire e ho sofferto come un cane. -
La vide stringere le labbra e trattenere il respiro. Se anche s’era aspettata
che, prima o poi, sarebbe arrivata la resa dei conti sulla questione, non lo
diede a vedere. Izzy scosse il capo: sulle sue
labbra, permaneva quel sorrisetto che di beffardo non aveva nulla.
- Stai davvero paragonando… ? -
A Naz ci vollero alcuni secondi per riprendersi dal colpo e, anche quando
recuperò la capacità di parola, le uscirono solo poche sillabe balbettate, a
metà fra la rabbia e il tradimento.
Izzy la interruppe di nuovo.
- Non sto paragonando nulla, Naz. Ti sto dicendo che voi mi avete preso e mi
avete deluso. Poi, quando è stato il momento, noi abbiamo deluso te. Io ti ho
deluso e ti ho abbandonato. Ed è stato orribile, è stato assurdo. In qualche
modo però ci ha portato qua, ha portato Daniel ad essere il meraviglioso
bambino che è. E ora che abbiamo la possibilità di essere felici, saremmo
proprio stupidi a non coglierla. -
Quella donna aveva sempre avuto gli occhi troppo, maledettamente grandi.
- Io ti ho perdonato e ho perdonato anche me stesso. Quando ti accorgerai che è
stato solo il momento sbagliato? -
Per alcuni lunghi istanti, si guardarono diritti in faccia e Izzy credette che avrebbe finito per baciarla. Lei a quel
punto si sarebbe divincolata e l’avrebbe sbattuto fuori. Con un po’ di fortuna,
si sarebbe resa conto in settimana che non valeva la pena di intristire Daniel
per ciò che accadeva fra loro, ma sarebbe tornata a mettere fra loro quel muro
di cartapesta.
Naz scoppiò a ridere.
- Ti metti anche a citare le canzoni, adesso? -
Qualcosa dentro Izzy vibrò nell’udire quel suono
cristallino. Il suo sorriso si fece più largo. Staccò la mano dalla sua guancia
per portarla dietro il capo, grattandosi con aria leggermente imbarazzata. –
Beh, ho sempre pensato che quella canzone fosse un autentico capolavoro. -
- Sì, lo so. – Non avrebbe saputo dire se fosse effettivamente affetto – amore – quello che vide nello sguardo di
Naz. Però ottenne l’effetto di placare ogni sua smania, ogni suo conflitto. Non
gli parve nemmeno di essere mai stato arrabbiato, in un qualsiasi momento della
sua vita.
- Adesso è meglio che tu vada. Ci risentiamo in settimana domani o dopodomani,
d’accordo? – La sua voce era morbida come una piuma. Non si sfiorarono nemmeno,
ma a Izzy sembrò quasi che l’avesse abbracciato.
Annuì senza trattenere la soddisfazione: in quelle cose non dette, c’era un
mare di significati e intenzioni che sapevano di speranza.
Si volse un’ultima volta, sull’uscio, per scambiare con lei un’ultima occhiata.
Naz esitò qualche istante, appoggiata allo stipite della porta. C’era ancora
qualcosa in lotta, dentro di lei.
Ma il sorriso che gli risolve alla fine, quello sicuramente valeva tutta la
pazienza, il tempo e le canzoni d’amore del mondo.
Juliet, when we made love you used
to cry
you said 'I love you like the stars above, I'll love you till I die'.
There's a place for us, you know the movie song:
when you gonna realize it was just that the time was
wrong, Juliet?
(Dire
Straits – Romeo and Juliet)
-
Ho detto che devi andare a letto, Danny. -
Si chiuse l’uscio alle spalle con discrezione, facendo il pieno del suono della
quotidianità.
La luce in salotto era accesa e da lì provenivano le due voci che conosceva
meglio al mondo. Izzy era riuscito a rincasare prima
del solito. Nell’ultima settimana si era intrattenuto fino a tardi nello studio
di registrazione, salvo poi mettere dei paletti al suo produttore e all’agente
con cui non faceva altro che litigare da quando avevano iniziato a lavorare al
nuovo progetto.
Finché si tratteneva in città, aveva bisogno di tempo per la famiglia.
- Mamma, ti prego, voglio solo esercitarmi un altro po’. -
L’uomo si affacciò alla porta del salotto accogliente, arredato secondo i gusti
minimalisti e vagamente orientaleggianti di Naz. Non era passato molto tempo da
quando si erano trasferiti in quella casa: avevano trascorso i primi anni nel
vecchio loft di Izzy a Hollywood, vicino agli studi e
vicino all’ambiente artistico di Los Angeles. Poi Daniel aveva iniziato a
crescere e loro, con lui, a invecchiare. Avevano improvvisamente sentito il bisogno
di spazi più ampi, zone più tranquille, meno cemento armato e più verde.
Avevano trovato quella villetta fra Echo Park e
Victor Heights e subito a Naz era piaciuta da morire.
- Oh, ciao. Non pensavo tornassi così presto. – La donna era ancora in tenuta
professionale. Evidentemente, per stare col bambino, non aveva pensato di
cambiarsi. Stava in piedi, le mani sui fianchi coperti da un paio di pantaloni
neri modello capri e da una camicia borgogna dalla linea morbida, che la faceva
sembrare più un’artista che una dirigente di una casa di produzione
cinematografica.
Osservava con fermezza un bambino non troppo alto di circa sette anni, con un
cipiglio ancora più risoluto. Aveva una zazzera di capelli scuri spettinata e
indossava già il pigiamino a motivi di Mickey Mouse. Non sembrava
particolarmente stanco, nonostante fosse stato a scuola tutto il giorno.
- Papà, papà! Posso suonare il piano ancora un po’? – Daniel immediatamente
corse da lui, con voce lamentosa. Il marmocchio aveva imparato subito che, se
voleva una risposta un po’ più permissiva, il genitore a cui rivolgersi era Izzy.
- Non ti ci mettere anche tu, adesso! Domani potrai continuare ad esercitarti,
dopo i compiti. Adesso devi dormire. – L’uomo non fece in tempo a parlare che
Naz subito se la prese anche con lui, sollevando le mani in aria con
esasperazione. A Izzy scappò da ridere, anche se
cerco di riacquisire serietà subito. Non voleva concludere quella lunga
giornata facendosi squartare dalla sua compagna.
Alla fine, non si erano mai sposati. Semplicemente, avevano ritenuto esaudita
la richiesta che Izzy le aveva avanzato, ormai tre
anni prima, nel momento in cui avevano trovato una quadra a quel nuovo cosmo.
Ci si erano stabiliti comodamente e non avevano sentito il bisogno di anelli e
cerimonie.
- Ascolta tua madre, Daniel. Domani ho il pomeriggio libero e ti prometto che
suoniamo insieme, chitarra e piano, d’accordo? -
Nonostante il bimbo parve rischiararsi alla prospettiva della sua attività
padre-figlio preferita, ci vollero ancora diversi sforzi per mandarlo a letto.
Alla fine, Daniel cedette protestando e sfoggiando persino un principio di
pianto: s’incamminò verso il piano superiore come se, in cameretta, lo
attendesse una crocifissione.
- Com’è andata la giornata? Hai cenato? – Izzy
osservò con un sorrisetto furbesco il pianoforte che riluceva, in un angolo.
Alla fine, senza che nessuno dei due avesse premuto particolarmente, era
successo: il pargolo aveva fortemente voluto imparare a suonare uno strumento.
Alla scelta dello stesso, tuttavia, si era presentato un colpo di scena. Alle
chitarre dei genitori, aveva preferito un vecchio pianoforte verticale Yamaha,
che aveva dato modo anche a Naz di imparare col figlio qualcosa di nuovo.
- Uno strazio. Alla Geffen hanno visioni troppo
differenti dalle mie. Mi propongono suoni che non m’interessano. – Izzy si avvicinò al divano color testa di moro,
sprofondandoci. – Sì, ho preso un hamburger da Gino’s.
– Naz invece, lanciando un’occhiata sospettosa alle scale su cui era appena
salito Daniel, sospirò prima di avviarsi verso un armadietto. L’uomo seppe
ancora prima che lei entrasse in azione che stava recuperando una bottiglia di
vino, probabilmente californiano.
Nessuno dei due avrebbe saputo indicare il momento esatto in cui tutti quei
gesti erano diventati piacevoli abitudini, una traccia di sicurezza nelle loro
giornate.
Naz tornò verso di lui con un unico calice pieno, che gli tese. – Tu niente? –
Domandò l’uomo perplesso, ricevendo un’alzata di spalle in risposta. – Sono
troppo stanca. – Subito dopo, andò ad avviare il lettore CD collegato all’ottimo
impianto di cui si erano dotati – ovviamente. Izzy
recuperò subito il sorriso.
Various Positions.
In quegli anni, Naz era diventata la donna che, sotto sotto, era sempre stata.
Da assistente di Beverly Johnson, era passata ad essere il suo braccio destro:
si occupava di contrattazione e vendite come se la produzione cinematografica
fosse sempre stata la sua grande passione; si era ritagliata del tempo per la
musica e continuava ad esserne una grande cultrice, anche grazie alla loro
relazione; era una splendida madre, che Daniel adorava quando non veniva spedito
a letto presto.
Certe cose poi non sarebbero mai cambiate, come Leonard Cohen.
- Insistono ancora con il graffio punk rock e con l’addio ai sintetizzatori? –
Come una gatta, prese posto al suo fianco, con la schiena contro il bracciolo
del divano per poterlo guardare meglio, andando a infilare i piedi scalzi sotto
le gambe del compagno alla ricerca di calore. Brindarono al volo mentre Izzy annuiva.
- Continuo a non capire perché questa smania di, non so, ingrezzire
tutto. Sanno che non è il mio stile, che non sono Chris Cornell.
E poi ho già sfornato tutto il punk e il metal di questo mondo, adesso ho
bisogno di input diversi. – Izzy si abbandonò allo sfogo,
nonostante avesse già ripetuto gli stessi concetti almeno cinque volte nel
pomeriggio. Raccontare certe cose a Naz gli permetteva di mettere ordine ai
fastidi e agli stimoli della pancia.
La donna prese ad arrotolarsi una ciocca di lunghi capelli scuri, pensierosa.
Lui ne osservò l’espressione, ritrovando la bellezza dietro tutta la stanchezza
della giornata. – E di che input stiamo parlando? -
Non era polemica, ma sinceramente curiosa. Izzy
sorseggiò il vino prima di rispondere.
- Beh, questo mondo è gigante. In giro fanno della musica che nessuno ancora si
è dato la pena di ascoltare, addirittura con oggetti che non sono ancora stati
realizzati. Voglio qualcosa che mi dia da pensare. -
Naz annuì. Probabilmente era stata perfettamente consapevole del suo pensiero,
ben prima della risposta, ma sapeva anche che mettere a sistema le cose gli
serviva per poi prendere delle decisioni.
- Mi sembra poi una scelta imprenditoriale molto ingenua. – Aggiunse lei poco
dopo, mentre Izzy con una mano andava ad accarezzarle
il ginocchio. – Voglio dire, il grunge è già esploso. Non capisco perché
puntare su un prodotto che ha già saturato il mercato. -
A volte era davvero difficile ritrovare la ragazzina che lavorava da Big Bull
sotto quella forma sofisticata e professionale: era una cosa che stupiva sempre
chiunque la incontrasse, ma non Izzy. Lui non aveva
solo assistito ad una buona fetta di quell’evoluzione, ma l’aveva capita anche
quando se n’era – sciaguratamente – perso dei pezzi.
- Poi, sulla strumentazione, beh, è un pochino limitante il loro punto di
vista. Non è cosa togli o cosa metti, ma come lo usi alla fine che conta. –
Inaspettatamente, Naz si alzò per raggiunge un armadietto poco distante,
tornando indietro con una rivista fra le mani. Era l’ultimo numero di The Wire, una di quelle letture che avevano sempre a casa.
- Simon Reynolds ha scritto un articolo interessante sul post-rock. – Izzy prese in mano la rivista avanguardistica, fissandone
la copertina senza vederla davvero. Anche prima di leggere ciò che gli stava
suggerendo Naz, sentiva una grossa sensazione di calore allargarsi all’altezza
del petto. – Si parla di Stereolab, Bark Psychosis, ma anche i Tortoise in realtà ci stanno. Recentemente ho sentito anche
di una band scozzese, Mogwai, stanno sfornando del
materiale. -
- Ah-a. – Annuì l’uomo, concentrato sul viso di lei tanto quanto su ciò che
stava dicendo. Un’altra delle cose che non erano cambiate: parlare di musica
come di un unico flusso vitale, con una persona che l’avrebbe sempre stimolato.
- Vedi, alla fine la strumentazione è sempre quella, basso e batteria, chitarra
elettrica, ma li si sposta su un altro piano. Su quello della musica
elettronica, ad esempio. O su qualcosa di più noise,
visto che vogliono suoni alternativi, meno armonici. Più shoegaze.
-
Fu a metà di quella sequela di idee che Izzy realizzò
quale fosse, in realtà, il vero nodo della questione, il vero punto su cui
insistere se voleva davvero risolvere i propri dilemmi artistici.
Attese comunque che Naz avesse terminato, paziente, prima di affermare con
grande tranquillità, come se stesse parlando del tempo: - Sai, credo che dovresti
farmi tu da agente. -
La donna non stava bevendo ma, se avesse avuto un bicchiere in mano, probabilmente
avrebbe sputato tutto per la sorpresa.
- Ma sei ammattito? – Non si era mai sentito più lucido di così. La soluzione
era così semplice: lei era l’unica che fosse in grado di porsi sulla sua stessa
linea di pensiero, ma allo stesso tempo gli offrisse un punto di vista esterno,
aperto. Sapeva quali erano le domande che lui, come artista, si stava ponendo e
poteva offrirgli delle risposte valide.
- Oh, non dirmi che non ne saresti capace. Ti occupi di chiudere contratti e
far fare soldi a una casa di produzione, Naz. – Gli occhi di Izzy brillavano mentre la prendeva in giro, conoscendo la
sua polla. Questa in risposta sbuffò, per poi aprire bocca con l’intenzione di
parlare. Ancora una volta però, l’uomo la anticipò. – E non tirarmi nemmeno
fuori la storia che non sai nulla di musica. Sei una musicista. Hai cultura e
interesse per le evoluzioni. Sicuramente alcune cose non le sai fare, ma a
lavorare per Beverly hai imparato in fretta. -
Nonostante l’espressione scettica che Naz esibì, Izzy
seppe leggere nella sua testa una nota d’interesse che glielo confermò, avrebbe
vinto la guerra.
Certo, si sarebbe misurato per un po’ con la cocciutaggine di quella donna, ne
avrebbero discusso almeno un altro paio di volte. Poi però lei si sarebbe
arresa.
- Mi sono dimenticata di dirti… - Cambiò discorso con la nonchalance di un
fachiro che cammina su un tappeto di aghi, tornando di nuovo verso il
mobiletto, stavolta per recuperare un foglietto di carta. - … che ha chiamato
William. -
A quel punto il sorriso di Izzy vacillò un poco.
Erano passati molti anni da determinati fatti particolarmente dolorosi ma
assimilati, razionalizzati, accettati. Tuttavia, non si erano fatti mancare un
poco di suspense, senza la quale evidentemente non potevano vivere.
- Ah sì? Che ti ha detto? -
Axl di sicuro non era più il terzo elemento di un
triangolo strano. Lui e Naz si erano rivisti soltanto una volta e di sfuggita,
solo perché lei era passata a prendere Izzy fuori dal
ristorante dove era andato a cena con l’amico. Non c’era più quel tipo di
tensione, ma non si poteva dire che Axl le volesse
bene.
Izzy sapeva – e anche Naz – che l’amico e amante di
un tempo dava la colpa a lei del ritiro dei chitarrista dai Guns
N’Roses. La considerava un po’ la loro Yoko Ono. A
nulla erano valsi i tentativi di Izzy di spiegargli
che Naz e Daniel erano stati l’input finale per prendere una decisione che già
aveva accarezzato.
- Che la prossima settimana è in città con i ragazzi e ti chiede di andare a
bere qualcosa. – Rispose la donna con grande tranquillità, lasciandogli l’indirizzo
dell’hotel di Axl.
Izzy sapeva che, da qualche parte, Naz soffriva un po’
per il fallito tentativo di stabilire un contatto con una persona che era
rimasta importante per il suo compagno. C’erano stati molti trascorsi brutti e
rimpianti, ma lei alla fine aveva perdonato.
Aveva visto cosa c’era oltre un passato buio e controverso.
- E ricordati ancora che questo weekend andiamo al minigolf con Chris e Jus. So che lo detesti… - Fu il turno della donna di
anticipare le sue lamentele. - … ma sai che Chris in questo periodo è
suscettibile e l’abbiamo promesso. Tanto ormai è diventata un pallone, si
stancherà in fretta e ci porterà a mangiare quintali di gelato. – La data del
parto di quella turboavvocatessa che era diventata la
migliore amica di Naz era alle porte, eppure questa non sembrava proprio
incline al sano riposo raccomandato dai dottori.
- Sarà meglio che vada a dare un’occhiata a Daniel. -
Izzy la osservò prendere la strada per le scale,
accorgendosi di un dettaglio. Sembrava quasi tentennante, come se ci fosse
qualcosa fra i suoi pensieri a reclamare attenzione.
- Allora ci penserai? -
Naz si bloccò a metà strada, prima di girarsi verso di lui lentamente. Izzy la vide esitare, quasi stesse selezionando con cura le
parole giusto. Lui aggrottò le sopracciglia, subodorando qualcosa.
Qualcosa di inaspettato.
- Beh, sai. Sono andata dal dottore stamattina. – Naz sembrò arrossire, nella
luce soffusa creata dalle lampade. Spostò il peso del corpo da un piede all’altro,
prima di prendere il coraggio a piene mani. Lo guardò diritto negli occhi,
trattenendo a malapena un sorriso dolcissimo.
- Mi ha detto che dovrò starmene tranquilla e lontano dallo stress per un po’.
Per almeno altri otto mesi, ecco. -
Izzy non reagì subito. Rimase immobile a ricambiare
il suo sguardo, mentre in sottofondo la musica serena e familiare di Dance me
to the end of love riempiva la stanza.
Quindi sorrise a propria volta, un sorriso diverso da tutti quelli che le aveva
riservato fino a quella sera. Senza aggiungere una parola, si alzò dal divano e
con passi lenti e misurati la raggiunge, posizionandosi di fronte alla sua
figura minuta. Negli occhi le trovò un poco di esitazione, insieme alla gioia
che aveva covato in segreto per tutta la giornata.
Quindi le prese le mani, portandosene una alla spalla, intrecciando l’altra con
la propria. Fluidamente, senza alcuna forzatura, la trascinò con sé in
movimento ondeggianti, lievi, sulle note e sulla voce di Leonard Cohen.
Naz si mise a ridere fra le sue braccia, una risata argentina con cui fece
scivolare via anche quel poco di tensione che aveva provato nel dovergli dare
la notizia. Seguì naturalmente il ritmo leggero dettato dalla guida di Izzy.
Questi continuò ad osservarla ballare, concedersi a lui e amarlo in tutti i
modi in cui una persona può amare qualcun altro.
Ne assaporò il bacio con gratitudine e meraviglia, seguendo più il battito del
cuore di quella donna che la canzone che arrivava dallo stereo.
Era sempre stata così, lei.
Lei e quel suo straordinario modo di farlo sentire vivo.
Dance me very tenderly and dance me
very long,
we're both of us beneath our love, we're both of us above. […]
Dance me to the children who are asking to be born,
dance me through the curtains that our kisses have outworn,
raise a tent of shelter now, though every thread is torn,
dance me to the end of love.
(Dance me to the end of love – Leonard Cohen)
OFF ZONE:
Pensavate che non sarei tornata. E invece.
Allora, dopo aver pubblicato Youth ho avuto un momento di morte ispirativa/ispirazionale/comesidice. Fra università e cose varie, ovviamente, un
blocco ci stava eccome. Non me ne sono preoccupata troppo e infatti a un certo
punto le idee e la voglia sono tornate.
Inizialmente questo doveva essere l’ultimo dei Missing
Moments di questa piccola opera, anche per rispettare
una sorta di scaletta temporale. Tuttavia, a un certo punto il mio cervello ha
insistito tantissimo per buttare giù due righe su quest’idea, poi le righe sono
diventate quattro e niente, sapete come funziona, no? È andato tutto in merda.
Questo capitolo – se così lo possiamo definire – parte dal lavoro di revisione
di Love will tear us apart, lavoro che è arrivato
circa al sedicesimo capitolo se vi può interessare.
Rileggendo e riscrivendo, mi sono resa conto di come la storia si sviluppasse,
anche giustamente, attorno ai due poli di Naz e Axl.
E ci sta, perché è quello il vero intrigo, dopotutto. Tuttavia, ho ritenuto
giusto rielaborare e approfondire la sfera emotiva di Izzy
in modo da trasformarla, senza modificare la trama, in una vera storia incentrata
su un triangolo, letteralmente su TRE ANGOLI che fanno da motore e perno a
tutte le vicende.
Inoltre, forse grazie alla saggezza (!) data dall’età, ora subisco molto meno
il fascino della relazione fra Naz ed Axl, dando
nuovo spessore e nuova importanza a invece il rapporto fra lei e Izzy.
Quindi ne è uscita una panoramica dei ricordi di Izzy,
i ricordi che più danno l’idea di come lui in questa storia vede Naz, di cosa
prova per lei, di cosa ha imparato da lei.
Ovviamente, manco a dirlo, questo è l’Izzy Stradlin della mia testa: un figuro un po’ hipster, sensibile
e dotato di controcoglioni giganteschi nell’esserlo.
Anche la digressione finale sulla musica, è tutto frutto del mio immaginario: a
lui ho trovato stesse bene un certo tipo di musica progressive e noise che a me piace un sacco, anche se so che nella realtà
non fa. In questo alternative universe sì, perché c’è
la mia Naz.
A ogni ricordo, ho legato una canzone d’amore. Anzi, per me sono LE canzoni d’amore,
fra le più belle che siano mai state scritte.
Il prossimo capitolo sarà probabilmente incentrato tutto su Axl
Rose; ci sarà uno sbalzo indietro (spoiler!1!1!! ma chi mi caga) però credo che
alla fine sia giusto dar corso all’ispirazione.
Fate come Izzy e non lasciatevi soffocare dalle
etichette discografiche nella vostra testa.
PER AMORE DEL DIRITTO D’AUTORE:
Questo è ultradenso di qualsiasi cosa e i
prossimi saranno sempre peggio.
Partiamo dal titolo: The end of love di Florence + The Machine, manco a dirlo.
Anche il sottotitolo fa riferimento alla canzone ed esalta, per me, il tema dei
“brani d’amore”.
La maglietta di Aladdin Sane è un regalo che prima o poi mi farò anch’io.
I tre film citati nel primo ricordo sono, in ordine: Breakfast at Tiffany’s di Blake Edwards,
Scarface di Brian De Palma e Rebel Without a Cause di Nicholas Ray.
La canzone è In a manner of speaking
dei Tuxedomoon, manifesto post-punk. Mi dà modo di
annunciare che Naz, nella versione aggiornata di Love, oltre a essere una
grandissima fan di Leonard Cohen e Tom Waits, ha gusti insoliti e di solito
anticipa molte tendenze. Insomma, la donna perfetta per Izzy.
Prima di passare alle lacrime con Tom Waits, i due piccioncini fanno i classiconi e ascoltano The Wall
dei Pink Floyd, disco uno. Il trend prosegue con la maglia dei Led Zeppelin.
Make you feel my love non è presente nelle
narrazioni, ma io ce l’ho messa comunque perché per me è e sarà sempre LA
canzone d’amore. Purtroppo, è stata scritta alla fine degli anni ’90.
Per quanto riguarda la storia dei Guns, se non
sbaglio non ho fatto strafalcioni con gli incastri temporali. Izzy ha effettivamente quittato nel 1991 dopo essersi
ripulito, iniziando poi a far musica per conto proprio. Semplicemente, nella
mia storia ha un paio di ragioni in più. Inoltre, so che ha continuato a far
dischi con la Geffen per un po’, prima di
abbandonarla.
"When you gonna realize it was just that the time was wrong"
è un’altra quote da Romeo and Juliet dei Dire Straits, altra Canzone, con C maiuscola, d’amore.
Nell’ultima parte, l’anno è il 1994, anche se comunque si intuisce dal fatto
che Daniel ha sette anni.
Various Positions è uno dei grandi capolavori del
compianto maestro Cohen.
Chris Cornell l’ho citato perché bisogna smetterla di
parlare solo di Kurt Cobain a proposito del movimento grunge.
L’articolo di The Wire e la definizione di post-rock
sono usciti davvero nel 1994! E i Mogwai quell’anno
incisero il primo EP.
Infine, la Yoko Ono dei Guns alla fine si chiama Naz
Kurt. Ed effettivamente nella storia va un po’ così.
Alla prossima!