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Autore: queenjane    02/12/2018    1 recensioni
Riprendendo spunto da una mia vecchia storia, Beloved Immortal, ecco il ritorno di due amati personaggi, due sorelle, la loro storia, nella storia, sotto altre angolazioni. Le vicende sullo sfondo tormentato e sontuoso del regime zarista.. Dedicato alle assenze.. Dal prologo .." Il 15 novembre del 1895, la popolazione aspettava i 300 festosi scampanii previsti per la nascita dell’erede al trono, invece ve ne furono solo 101.. "
Era nata solo una bambina, ovvero te..
Chiamata Olga come una delle sorelle del poema di Puskin, Onegin ..
La prima figlia dello zar.
Io discendeva da un audace bastardo, il figlio illegittimo di un marchese, Felipe de Moguer, nato in Spagna, che alla corte di Caterina II acquistò titoli e fama, diventando principe Rostov e Raulov. Io come lui combattei contro la sorte, diventando baro e spia, una principessa rovesciata. Sono Catherine e questa è la mia storia." Catherine dalle iridi cangianti, le sue guerre, l'appassionata storia con Andres dei Fuentes, principe, baro e spia, picador senza timore, gli eroi di un mondo al crepuscolo" .... non avevamo idea,,, Il plotone di esecuzione...
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro."
"Let those who remember me, know that I love them" Grand Duchess Olga Nikolaevna.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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“Cosa fai?” la nota vocetta aveva una nota di curiosità, rovesciai la testa, stesi un braccio per farlo avvicinare, era in tenuta da marinaio, pronto alle sue monellerie.
 “Scrivo, zarevic” indicando il quaderno, me lo presi sulle gambe, un movimento fluido e familiare, finalmente stava bene, si dimenò per sistemarsi meglio.

Suonava la tromba, il tamburo, cantava a modo suo l’inno imperiale,  era sempre in movimento. Appena poteva compiva un’irruzione nell’aula di studio delle sue sorelle e faceva chiasso, correndo intorno al tavolo e cantando finchè non lo portavano via, e si dimenava e scalciava. Era un bambino felice e chiassoso, che si godeva la vita, salute permettendo.
E molto dolce, senza essere lezioso,  amava i cani e i gatti (the cat!, ma va, il gatto era il suo animaletto preferito) ogni tanto raccoglieva fiori e pensieri.
E tanto rimaneva una peste, farlo mangiare restava una lotta e una supplica, cercare di fargli fare il riposino pomeridiano senza strepiti un miraggio nel deserto, i polmoni erano veramente buoni.
Poteva essere arrogante e maleducato, un imperatore dei viziati, conscio del suo rango, ma si era rassegnato a far volare gli aquiloni o modellini di alianti od aeroplani, i bambini no. 
Se era sulle spalle di suo padre o uno dei suoi marinai, apriva le braccia, si limitava a dire “Bimbo vola”, tranne che era Olga a prenderlo per le ascelle e farlo volteggiare sopra la testa, pochi ed esperti movimenti, sicura come pochi, ogni tanto pure io.

“Cosa?”
“Un compito” il marinaio Nagorny mi fece un cenno, Aleksey si girò nel mio  grembo “E come sai che è tuo?”
“Riconosco il colore del quaderno e poi vi è sopra il mio nome, alla francese” Catherine Raulov, con vari svolazzi. “ E le iniziali, C. R., vedi”  fece una smorfia, confrontandole con quelle che aveva sul colletto A. H., Aleksey Nicolaevich, che in cirillico la N si scrive H E lui era sveglio, attento.
“I segni sono diversi” enunciò, aveva compreso.
“Hai ragione.. questo è l’alfabeto europeo, Zarevic, questi sono caratteri cirillici” basita, aveva da compiere quattro anni ed era veramente sveglio, ripeto “Lettere diverse rispetto a questo” toccò una bibbia, che vai a sapere come era finita sulla mia scrivania, poi rilevai che ce la aveva lasciata Tatiana
“Sei troppo piccolo per imparare gli alfabeti, peste” lo canzonai, sistema sicuro per farlo interessare
“NO” gli catturai il palmo prima che lo sbattesse sul tavolino “Allora.. è una questione di segni e suoni.. “ gli baciai la guancia, lo sistemai meglio sulle gambe, intanto Nagorny (la tata marinaio) si accomodava con maggior agio su una sedia e ascoltava la spiegazione, monitorarlo a vista poteva risultare ed in effetti era faticoso.

Erano le vacanze primaverili in Crimea, ricordai, possibile che, ospite perenne, perdessi sempre tempo a giocare con lo zarevic.. quaranta minuti dopo, avevo riempito una risma di fogli con i segni degli alfabeti russo e occidentale, avevo le ciocche ingarbugliate, e ALEKSEY RIDEVA  

“Buffo..” mi sfiorò il gomito sinistro, non volendo, trasalii per il dolore, ed era colpa del principe Raulov, mi aveva ben scosso per il braccio, la settimana avanti, quando avevo chiesto di poter andare con la famiglia imperiale, per favore, una stretta così forte che potevo ancora osservare la mappa di colori dei lividi, che variavano dal blu al viola e al giallo, con fantastiche gradazioni. E le sue collere scoppiavano per tutto e nulla, e tanto ancora non avevo imparato a girargli alla larga. Le sue mani erano pesanti, sempre, come per mia madre, sulle parole potevamo glissare, ci si fa ben l’abitudine.
“Cat.”
“Dimmi, Aleksey” tornai al presente “Ti ho fatto male al braccio?” desolato, un piccolo sussurro per non farsi sentire
“No amore, perché?” sussultando, addolorata “Ti ho toccato e hai saltato per il dolore, come quando Bimbo cade” Bimbo era lui, ogni tanto si declinava così, lo baciai, di nuovo, lui mi carezzò il gomito, così il dolore (bua) passa.. ogni tanto era davvero dolce, rilevai, cercai di scacciare la preoccupazione dai suoi occhi “Stai tranquillo, tesoro”
“Sicura? Sicura sicura?”gli carezzai la guancia, per favore, dimmi che va tutto bene.
“Tu non mi hai fatto nulla” definitiva, presi la sua manina, lo aiutai a scrivere “Aleksey Nicolaevich” in russo e in inglese, spiegando da capo.
“Aleksey Nicolaevic, è l’ora degli impacchi” disse Nagorny. In via preventiva, per combattere i gonfiori agli arti, doveva fare dei cicli di massaggi et alia
 “Non dite NO, zarevic.. questo è un dovere, per la Russia, vero, signor Nagorny.. “ a sentirsi appellare signore, lui marinaio semplice, da una principessa annuì mentre Alessio rimandò i suoi strepiti, curioso
“Io devo fare i compiti, voi quanto sopra. Poi ci troviamo in spiaggia.. Non vi comanda nessuno, zarevic, se non i vostri genitori, ma hanno dato un incarico, li deluderemmo se non venisse fatto quanto dobbiamo” 
“Vero..”
Tante cose non le poteva fare, giusto, però potevo pungolarlo da quel lato e inventare qualcosa per fargli passare il tempo.  Volente o nolente, gli impacchi se li sarebbe presi uguale, e si indisponeva era peggio
 “ Catherine vieni con me”
“Va bene, fatti preparare e arrivo”  andai dal Dr Botkin, mi aveva assistito quando ero caduta da cavallo, presa il morbillo e così via e sapeva la situazione in casa Raulov. Mi feci fare una fasciatura intorno al gomito, così che, ove avessi sollevato le maniche avrei potuto dire che ero caduta da qualche parte, ero sempre tanto sbadata.
Ero stata un terremoto e sapevo riconoscere un mio pari, tralasciando che molte delle bizze dello zarevic erano di frustrazione, anni dopo mi disse che avrebbe voluto essere come gli altri, perché non poteva essere come tutti.. perché.. già.
E per me era una suprema ironia avere una bibbia tra le mie cose. Come era doveroso, assistevo alle lunghe liturgie obbligatorie, mi confessavo  e prendevo la comunione, ed era solo apparenza. Dio poteva essere sorridente, lontano e remoto nelle icone, mai si era palesato nelle lunghe notti in cui pregavo che facesse terminare il tormento, il dolore,  i movimenti sofferti di mia madre Ella, che fosse l’ultima volta che prendevo uno schiaffo o una spinta o che mi trattasse male. Sobrio od ubriaco, il principe Raulov, alla fine ero diventata una iattura con piena convinzione e coscienza. Se chi deve amarti sostiene che sei una nullità o ti armi di arroganza o soccombi, io ero diventata  egocentrica come pochi. Tralasciando che, da quando era nato Sasha, stavo relativamente in pace. Avevo imparato a credere solo in me stessa, fine, e girare più al largo possibile dal principe padre.
Abbastanza. Scesi, Alessio mi aspettava, inutile perdere tempo su annose questioni.

“Allora, un castello dei cavalieri con tre cinte murarie e le torri e il fossato e quanto altro..”
“Bello .. raccogliamo le conchiglie e le alghe e ..”
“Magari sul dietro costruiamo un canale segreto, il castello è sul mare, zarevic, chi lo ha inventato?”
“I pirati..?” Annuendo, gli misi tra le mani un vecchio binocolo.. “Fermo e vediamo se avvisti qualcosa..” quindi " Dopo voglio state con te"
“Certo “dopo gli impacchi.

Sua madre urlava che doveva essere fatto tutto comme au fait, che non si doveva stancare troppo, e all’atto pratico erano le tate e i marinai ad attuare quanto necessario, oltre che Olga e Tanik. Già. Ma la zarina e sua diletta amica Vyribova erano la perfezione, of course, a 13 anni ero un tantino sarcastica.
“Che navi hai visto, comunque?”
“Nessuna”ironico.

Non era vietato  e nemmeno era il caso di dichiararlo in modo espresso, tutto il tempo che passavo con lo zarevic. .. In via ufficiosa, vi era il  placet dello zar. Nagorny e compagnia avevano la consegna di non interferire se Aleksey voleva stare con me, ero sicura e qualificata, definire che lo adoravo era riduttivo. ..E tanto le verità palesi sono sempre le più nascoste..

Con le sue sorelle ci divertivamo a fare gite, pic-nic, nuotare, giocare a tennis, le vacanze primaverili per me erano sempre un ristoro dal lungo inverno.


“Cioè, Zarevic? Niente?”
Mi stesi vicina a lui e me lo ritrovai sopra il petto, mi sfiorò il viso con le manine, posai il palmo contro il tenero rigonfio del suo pannolone, sua madre gli faceva portare ancora i pannolini, sia per il giorno che per la notte, e lui non voleva e in quello non comandava.
Per ineccepibile logica, faceva impazzire dove poteva, una lagna per principio.
“Io invece ho visto la nave di Ulisse, che tornava ad Itaca, gli scudi sulle fiancate mezzi rotti, e che importa, i marinai e i guerrieri sono invecchiati, nuova pelle è cresciuta sulle loro cicatrici e tornano a casa..”
“Cat.. ma che dici?” perplesso
“Nulla, una nave che ho visto” gli strizzai l’occhio “Vuoi che dorma con te?”
“Sì e non mi lasciare” 
“Quanto la fai lunga per il tuo sonnellino” tranne che valeva quanto sopra e se attaccavamo con botta e risposta saremmo andati avanti per un pezzo.
“Un nuovo gioco, quello del silenzio, sia io che te muti “ la sua manina scivolò nella mia, non mi mossi di un millimetro, alla fine dormiva e proseguì oltre l’orario, tanto che lo presi in braccio e uscimmo fuori, in una delle terrazze piene di fiori variopinti, giocattoli e racchette da tennis.


Il vento portava il profumo del mare e delle onde.
“Cat.. “ sollevò la testa, mi cinse il collo e strofinò il viso contro la mia spalla
“Ciao, tesoro .. dormito bene?”
“No” per evitarmi la soddisfazione “E mettimi giù”
“Subito”
“Dobbiamo continuare con i nomi..”
“L’alfabeto?”basita.
“E cosa, scusa?” mise le mani dietro la schiena, scrollò la testa “Dai, muoviti, che è divertente” ancora, sardonico  “ O preferisci Dimitri che ti fa l’elenco di come cavalca bene?”
“Io preferisco te e mio fratello, vieni qua..tralasciando che Dimitri Paulovic cade di continuo, tanto bravo non è”

Dimitri Paulovic Romanov era un cugino di Alessio e compagnia, figlio del granduca Paolo, appunto, e di Alessandra di Grecia, era nato prematuro e sua madre era morta di parto. Il padre, abbattuto dal dolore, aveva lasciato che il bimbo e la sorella più grande, Marie, venissero allevati dal granduca Sergio (zio di Nicola II) e sua moglie Ella, riprendendosi poi alla grande, che impalmò una donna bellissima, peccato che lei fosse una borghese.  Per l’ostracismo della corte e rivestire i panni del martire, scelse la via dell’esilio a Parigi, i due ragazzini di fatto erano orfani, di entrambi i genitori, e lo divennero poi tripli e più oltre quadrupli. Infatti, il granduca Sergio, loro padre putativo, morì in un attentato nel 1905, e la sua vedova si ritirò dal mondo, fondando un convento e divenendone madre badessa, dedicandosi alle opere di carità e agli orfani in generale e non a due particolari, ovvero Dimitri e sua sorella.
Cercavo di ricordare quello, per tollerare i suoi  modi saccenti e il ritrovarmelo costantemente tra i piedi.
Era nato nel 1891, nel 1908  era giovane, avido di vita e avventure, i capelli scuri resi lucidi dalla brillantina che mi porgeva svelto i racconti di cui sopra, un piatto di dolci ai tè pomeridiani e.. Olga sosteneva che gli piacevo e io ne ridevo, povero lui, si vede che gli piacciono i corvi e gli assi da stiro, sono così scura di occhi e capelli che a momenti farò cra-cra e sono piatta come una tavola.. Tu per tante cose dormi in piedi, brontolava, comunque, ove rilevavo che ero ancora troppo giovane per pensare all’amore mi dava ragione e chiudevamo lì. (Nel dicembre 1916 partecipò al complotto per uccidere Rasputin, a proposito)


“Devo essere io il tuo preferito ..”
“Aleksey, cosa vuoi che scriva? Che sei geloso..?” rise e mi diede un bacetto, mi sciolse la treccia, sbuffai e tornammo a noi.
“Che sei bravo.. bello e buono..”
“Certo .. e di più ancora” le iridi azzurre vibrarono di divertimento
“Va bene, un panerigico..”
“Eh.. ?”
“Una serie di lodi e .. molto esagerato, però ..” con lui da una domanda saltavamo sempre ad un'altra, e, in fondo, andava bene così. 
 Il caldo era così intenso che ritornai con la mente in un luogo ben lontano dalla Crimea, a un complesso rituale, in Spagna, durante il primo soggiorno in Europa, nell’anno di grazia 1905.
 
Il corteo che sfilava, nella luce calda e accecante di fine pomeriggio nell’arena.
Gli araldi a cavallo, i toreri seguiti dalle loro cuadrillas, composte da due picadores a cavallo, di tre banderilleros e dagli incaricati di ritirare il corpo dell’animale morto.
Avevo  un vestito color crema e una mantilla color avorio sopra gli scuri capelli, mi tamponavo il viso con un fazzoletto bianco, come altri spettatori, che, in caso di voler concedere la grazia della vita al toro, avrei dovuto agitare in alto come tutti.
Era la prima parte, il tercio de varas, il toro era uscito nell’arena, il sangue rosso che cadeva e zampillava, mentre compiva un giro intero a sinistra, invece che a destra come in genere avveniva. Era massiccio, ingombrante, pericoloso, mentre il matador ne provocava le cariche con il capote, un grande drappo di rigida tela, rosa acceso da una parte e giallo dall’altra.
Ed erano entrati i picadores,con le loro picche, lunghe lance con una punta in acciaio, i cavalli bardati con speciali protezioni su ventre e arti.
picadores, banderillos, poi sarebbe rientrato il matador con la muleta per l’assalto finale, tranne che non era andato secondo la tradizione.
 
L’animale si era rigirato e  aveva tirato una cornata al torero, sul braccio, mentre la folla rimaneva in silenzio, con orrore,  e un picador faceva rampare il cavallo, cercando di distrarre il toro  con la sua lunga asta.
Ed era sceso, urlando, la sua voce rimbombava come un tuono, gli buttassero la muleta, il drappo color rosso intenso, per distrarre il toro, che entrassero i banderillos, portassero via l’infortunato, e intanto provocava la bestia con i movimenti del suo corpo, scartando a destra e sinistra..
Era agile, fluido, potente, un guerriero delle antiche leggende.
Un gladiatore.
 
il picador  aveva ucciso la bestia.
La folla era impazzita, piovevano fiori ed applausi sulla sabbia.
Era alto, con le spalle larghe e lunghe gambe, con un pigro movimento si era tolto il cappello, e si era inchinato.
Aveva gli occhi verdi.
Mi erano rimaste le braccia lungo i fianchi, annotai che alzava la mano, ricambiai il saluto.
Era Andres, nel 1905, alla corrida di Granada.
Aveva 22 anni, ricordai, un’altra età rispetto a Dimitri Paulovic Romanov, tranne che, sentendolo vantarsi il pensiero correva a lui, mi veniva voglia di aprire bocca e dargli i suoi consigli, ovvero controllare che il cavallo non abbia lesioni sul dorso, che mettere una sella in quelle condizioni è una tortura.. essere decisi e rilassati, io li applicavo con risultati eccellenti, tranne che una ragazza non deve intervenire  a sproposito.
Ed Andres era bello, lo era a 22 anni come dopo, a 33, all’epoca delle nostre nozze.

“Xanto è un nome ben strano” scambiai un’occhiata con Olga, forse eravamo giusto noi due a sapere, dell’augusto consesso riunito per il tè pomeridiano che era l’appellativo di uno dei due cavalli di Achille.
“Già.. già” quelle surprise, la Vyribova sapeva declinare qualche altra parola oltre ad “oh.. oh..” Dimitri raccontava non so cosa su chi, sempre in materia di cavalli, presi una sorsata di tè. Anche a Livadia, come a Carskoe Selo, il servizio era in argento massiccio, su candide tovagliette, che accompagnava uno squisito servizio, con cibi dolci e salati, i biscotti inglesi che Alix prediligeva e fette di caldo pane imburrato. In Spagna si mangiava tardi per pranzo, nel pomeriggio inoltrato, per il caldo, ogni tanto i particolari tornavano a tradimento. Mi era piaciuta, almeno lì mi mimetizzavo, non ero l’unica a essere scura di occhi e capelli
“ E voi principessa Raulov, che osservate, siete stata una amazzone eccellente o almeno così.. che avete avuto un brutto incidente” Olga mi tirò un calcio, riemersi constatando che la cara V. mi rivolgeva parola, in apparenza simpatica, in realtà mi dava della fifona. Se dicevo che ero brava avrei peccato di immodestia, se mi schernivo sarei passata da incapace. “Vi ringrazio dell’interesse, la caduta è stata tre anni fa, comunque ho riniziato …” ecco, diciamo la verità, siamo oggettivi.

“Dimmi che non monterai ad uomo” stavamo prendendo il fresco dopo cena.
“Olga assolutamente no.. sarà all’amazzone, su Xanto. Mi spieghi perché una donna di 25 anni ( la V., che ne aveva appunto 25, allora) deve provocare una ragazza di 13?”avevo una mezza idea, volevo sentire il suo parere.
“Per darti una lezione di modestia..lei cerca di interpretare i pensieri di mamma..”
“Mai pensato che tua mamma abbia interesse di come cavalco..”
“E sminuirti.. I cavalli a noi Romanov piacciono e.. sarò esplicita, mia nonna paterna vedrebbe con favore un tuo matrimonio con Dimitri”
“E molti vedrebbero con favore un tuo matrimonio con lui..”di rimando, per evitare fratture, che lo zarevic vi era, peccato che avesse (definizione minima) una salute precaria e la legge salica, instaurata da Paolo I nel 1796, vietava alle donne di salire sul trono. E Alix aveva ormai 36 anni, la possibilità che avesse un altro maschio erano limitate, per l’età,  oppure, poteva concepire ancora e poteva avere l’ennesima bambina- mia madre aveva avuto mio fratello a 36 anni, forse era l’eccezione che sanciva la regola.
“Siamo cugini, la chiesa ortodossa proibisce queste unioni, in genere, tranne che mia zia Xenia ha sposato Sandro Mihalovic e sono cugini primi..”
“Senti .. ora a 13 anni siamo troppo giovani per pensare al matrimonio, avremo tempo “ non che ci tenessi a sposarmi, anzi, e la scusa della giovane età poteva reggere ancora per qualche anno
“ Spero di non avere un pubblico  assiepato ..” Se Fuentes aveva affrontato un toro in una arena gremita, curandosi solo di salvare la propria e altrui pelle, io potevo ben riuscire, e mi comparve il “sorrisetto diabolico”, che la mia amica temeva.
“Se non altro sono molto più leggera di Dimitri e userò una coperta più spessa, quel cavallo salta come un grillo che ha la schiena escoriata, ho controllato prima di cena”
“Niente corvetta o balzi, grazie”


Il cielo aveva assunto una calda sfumatura di pesca sopra di noi, le prime stelle si accendevano, quiete e perfette. Era il tramonto, una pausa momentanea.
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “ ..se hai paura non vai da nessuna parte, osservasti una volta,  e ne convenni quando ti vedemmo su Xanto. Avevi un’amazzone grigio tortora, i capelli raccolti in una treccia e cavalcavi sulla sella da donna come se non avessi nessun pensiero al mondo. E ti scocciava, Xanto avrebbe reso di più montato ad uomo e non avevi osato, per non creare uno scandalo.. E non mi ero inalberata che sapevo che eri sicura, compita, non avevo paura e tu nemmeno, forse saresti stata davvero e sul serio una regina delle Amazzoni allora.. la naturalezza. La precisione.  Fantastica.. voltasti il cavallo di lato, facendolo sgroppare e scalciare, nel recinto di allenamento e.. “
Gli feci saltare il recinto, rampai nella luce del mattino come una stella cadente.
 Cavalcavo il vento.
 
“Zarevic, che succede?” aveva una faccia chiusa e tempestosa, un uragano pronto a scoppiare “I bimbi non volano, dicevi..”
“In genere no..”era arrabbiato e frustrato, capii, la Vyribova per poco non aveva sbattuto i piedi per terra, per la strizza, mentre cavalcavo .. la avevo battuta. Un suo gioco cui avevo partecipato senza volere e tanto avevo ragione io, mai sfidarmi, che alla lunga vincevo sempre io.
“Zarevic.. una volta sono volata da cavallo e mi sono fatta male, lo sai” gli misi una mano sulla spalla, ero impiastrata di sudore e tanto non se curava “Sei grande, Alessio, ma non per questo, non ancora.. Io ho passato mesi ed anni ad allenarmi, prima di volare”
“Sicura?” gli tirai un colpo leggero sui fianchi rivestiti dal pannolino, gli massaggiai la schiena “Un giorno volerai  nel vento a cavallo, ora come ora sarà tra le mie braccia.. vado?” annuì e lo sollevai, per sua delizia, mettendolo sulle spalle "Bimbo vola!!" le braccia e le mani spalancate, alzai le mie, le prese. “Bello, Cat”
“Io e te, saremo sempre fianco a fianco, side by side”
Bimbo vola.. ora e sempre.

E anni dopo, cavalcò davvero e sul serio, con me.
“Stai fermo, immobile, non muovere i piedi, le mani sul pomello della sella, respira e non fare altro fino a quando non te lo dico. Per il resto immobile”Ordinai, secca, un tono a cui non aveva mai replicato o dissentito, mentre usavo un masso come mio montatoio, le redini in una mano e risalii. La fiducia di tanti anni ritornava.  Ridacchiò quindi enunciò “Cat..” incerto si appoggiò sul mio petto,usuale fonte di protezione, scossi la testa e lo raddrizzai, un movimento tra le sue scapole, lieve e preciso.
“Non girarti, guarda avanti e a dritto, schiena alta e mento in fuori, tieni le redini e dagli un piccolo colpo con i talloni, so che lo sai fare, sei bravissimo. “ Un piccolo e dolce trotto, il vento danzava leggero tra le dita e i capelli. “ Io sono qui dietro, non dovrebbe schizzare al galoppo,  che è stanco ma fai piano, comunque metto le mani IO sul pomello, comandi TU Alessio, quindi regolati, passo e poi trotto, come ora, bravissimo ancora”  E il terreno era piano, senza rilievi, incrociai le dita, sperando che non si sentisse male. Saranno stati non più di tre o quattro minuti che lo resero felice.
“E’ stato bellissimo, grazie”Scese con rammarico, cauto, seguendo le mie istruzioni,  si mise sul fianco, lo presi per le ascelle e planò sul prato, un arco secco e perfetto, poi  mi cinse con le braccia, il bacio che mi diede sulla guancia sancì che mi aveva perdonato e sciolse ogni rabbia

Mia madre Ella lo  aveva chiamato Alexander, come mio zio, come il defunto zar,  pareva ringiovanita di dieci anni, era felice e appagata di quel nuovo figlio.
Si era ripresa rapidamente dalla gravidanza, tornando snella come un giunco in poche settimane, la sua attenzione e cura costante erano per Sasha.
Il figlio dei suoi trentasei anni, dagli occhi scurissimi, le  ciocche castano chiaro, quando aveva avuto me era giovane e forse più  immatura, ora si godeva quella maternità in modo consapevole, esatto, lo adorava, era il compimento delle sue speranze, dei suoi sogni.
E lui era talmente precoce e irrequieto che nessuna carezza, tata o bon bon lo calmava, finché non era con nostra madre non la finiva di strillare, in braccio a lei, presto iniziò a riconoscerla con sorrisi di estasi, robusto e instancabile camminava già a undici mesi e a quindici erompeva in un “MAMMA” trionfale.
Era un  grande amore a due,così totale e possessivo da escludere ogni altra persona. Me compresa.
Mia nonna materna, enfin, ne era stata contenta, ci aveva messo sedici anni ma ci era riuscita, senza mettere al mondo una caterva di femmine come la giovane zarina, impresa più che ragguardevole
Olga era una femmina, secondo la gentile definizione di cui sopra, tranne che aveva la grinta di un giovane cavaliere ed il temperamento riflessivo di un eremita.
Quando mi veniva a trovare alla tenuta dei Raulov in Crimea, gli onnipotenti cosacchi allentavano la sorveglianza e la scorta e proponevo una cavalcata.
Sfuggivamo ridendo alle raccomandazioni, poi ci scambiavamo di cavalcatura.
Montava allora su uno strepitoso purosangue, chiamato Tintagel, come il leggendario castello di re Artù, che dava l’idea di cavalcare il vento.
Lo incitava e spariva, una freccia tesa e precisa. “..non hai idea di come riesca a sentirmi libera.. almeno per un poco”, io che arrancavo sul placido castrato e ben glielo concedevo, lo scambio, in fondo io avevo Tintagel a perenne disposizione.
Era la figlia dello zar, suo padre possedeva immense ricchezze e titoli, pareva destinata a un grande avvenire tranne che, alle volte, mi veniva da pensare che fossi più libera io, la nostra amicizia era una oasi eccezionale, che le granduchesse non frequentavano quasi nessuno e si divertivano tra loro, Alessandra riteneva corrotta e lasciva la corte e isolava la sua famiglia.

Era un dato di fatto che la salute precaria dello zarevic avesse calamitato su di lui l’attenzione dei genitori, che trascuravano le figlie. Tatiana diventava silenziosa, Marie preferiva stare con la cugina Irina, Anastasia moltiplicava i dispetti e studiava sempre meno.
Olga invece si chiudeva nei libri e cavalcava il vento.
Trovando sempre il sistema di battermi a carte, dama e scacchi, le veniva naturale, a prescindere dal mio impegno.
Era fumo e ombra, luce e perfezione, la mia amata sorella.


Il tempo era trascorso, un altro anno era scivolato e l’estate si avvicinava
“Ad agosto andiamo a Cowes .. troveremo lo zio Bertie e tutta la famiglia reale inglese”  Alix era la nipote della regina Vittoria d’Inghilterra, imperatrice delle Indie, quando sua madre era morta, la nonna l’aveva allevata e la zarina aveva passato molto tempo in Inghilterra e Scozia, a Londra come a Balmoral e simili, tanto che lo zar Nicola II la definiva la sua principessa inglese.
“Che è la settimana delle regate, andate con lo Standart?” annuì, scostandosi una ciocca chiara dal viso, al polso sinistro brillava un sottile braccialetto dorato che le avevano regalato i suoi a 12 anni, per la buona sorte. Anche la zarina ne aveva uno simile, come Tata, sarebbe poi toccato a Marie e Anastasia.
“E tu dove vai di bello? Che avete programmato ? la Spagna, scommetto..”
“E Parigi..”sorrisi trionfante, scacciando la malinconia, del resto non potevamo sempre essere insieme “Ti scriverò e tu a me, d’accordo?”
“Su quanti cuori infrangerai ..”
“E dai.. sono un corvo”
You are fishing for compliments, my dear, Aleksej dice che sei bellissima”
“Lui non conta, è un bambino”
Lui contava più di tutti, invece.

“Lo dicono in tanti..che sei bella, da Dimitri fino a ..” le scoccai un’occhiata esasperata ed un bacio “Io sento lodi su lodi su te e Tata..” ed era la verità, erano entrambe splendide, ognuna a suo modo, come poi le altre due.
“E’ ben vero, tranne che le figlie dell’imperatore sono considerate splendide a prescindere.” Sardonica come al suo solito. “E mio fratello è sveglio, fidati”
“Che sia sveglio lo so” a quattro anni sapeva scrivere il suo nome in russo, inglese e francese e lo sapevo, che glielo avevo insegnato io, parlava bene in russo con la servitù ed in inglese con sua madre ed il resto della famiglia, era precoce ed affettuoso.
Lupus in fabula..” sussurrai, sentendo che si avvicinava a passo di carica, preannunciato dal tamburo che suonava e seguito da Nagorny che si tappava le orecchie, un poco esagerando, un poco per risparmiare i timpani affaticati.
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “.. la fiducia, ecco, ogni volta che ti vedeva il suo visetto si illuminava di gioia, gli piaceva stare con te, eravate due chiacchieroni inesauribili, con i vostri botta e risposta sareste andati avanti le ore, lo calmavi sempre, cercando di distrarlo. Gli sarebbe piaciuto avere una bicicletta, aveva un triciclo speciale costruito per lui,  pattinare, andare su un cavallino vivace e non su miti pony o lenti asinelli.. Già, tutte attività potenzialmente lesive e quindi pericolose. E ci piangeva, non era giusto, in fondo, amaro, rabbioso,a nulla valeva che fosse amato, coccolato e viziato, con una stanza piena di giocattoli costosi, mancandogli la salute .. E invece di proibirgli questo e quello cercavi di insistere su quello che poteva fare.. Per istinto. E ne avevi di pazienza, con lui ne serviva sempre in dosi elevate
Eravamo nel parco imperiale, tra le splendide aiuole curate e le fontane, sorgeva intenso il profumo di rose, lillà, caprifoglio e gelsomino, osservai una farfalla che danzava davanti a noi.
Lo zarevic mi passò un braccio sul collo, incantato, gli feci cenno di zittirsi “Bella.. a cosa giochiamo? Al silenzio no, che poi mi addormento” ce lo potevo fregare quando era piccolo, rilevai, divertita, ORA no. “A guardare le nuvole e trovare le forme..” che potevano essere vascelli, aeroplani come cartine geografiche per trovare i tesori e buffi animali. Si lanciò in un elenco, salvo osservare, saggio, che un tesoro poteva essere una cosa bella, come un fiore, a proposito a me quale piaceva? Le rose bianche, gli baciai una guancia abbronzata, lo tenevo stretto contro lo sterno,profumo di rose e infanzia, baci e carezze, io non ero nessuno tranne me stessa e mi amava lo stesso, insieme ero possessiva verso di lui e per lui fino allo spasimo. “Bene”
“Cosa? Lascia stare i boccioli, monello, sono più carini sulle piante” in verità ci mancava solo che si pungesse per regalarmi un fiore.
“E che pensi.. tieni” si cacciò una mano in tasca e mi porse un foglio ripiegato in quattro
“Guarda, Cat” aveva disegnato un mazzo di fiori, allegro e colorato, nel mezzo ecco una rosa bianca, e la data e Alexis. “Questo è in francese, Cat..”
“Grazie, sei una meraviglia”
 
Side by side, always.
Thanks you my little prince.
   
 
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