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Autore: pokepony10    07/12/2018    0 recensioni
Non esiste similitudine della vita più vera del ciclo vitale della farfalla. Due storie parallele e l'una il riflesso dell'altra, due storie incrociate tra loro, due personaggi che cercano la libertà in una vita ostile.
DALL'ULTIMO CAPITOLO
- " e la gente non ci crede, non crede nella storia dell'effetto farfalla! Non crede che basta una battuta, una risata, uno sguardo di troppo che dentro di te si crea un uragano, un uragano così forte che finisce per strapparti le ali dei sogni e della speranza... Senza ali cosa posso fare quando oramai sto cadendo dalla cima della mia fortezza...? Vorrei poter volare di nuovo... "-
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mi faceva male la testa, cercai di aprire gli occhi, ero sul mio letto. -come ci sono finito qui?- pensai alzandomi
-ti sei finalemte svegliato caro- disse una voce familiare dalla cucina. Mi avvicinai alla porta e con sorpresa ci trovai un uomo ai fornelli -papà? Che ci fai qui?- chiesi sedendomi
-ragazzo mio, ero venuto a trovarti quando ho sentito un forte tonfo e tu non rispondevi quindi ho preso la chiave di riserva che hai nascosto fuori. Sono entrato e ti ho trovato sdraiato per terra, tutto bene?- chiese
-devo solo aver avuto un calo di pressione-
-cos'hai mangiato per colazione stamattina?-
-nulla, devo dimagrire un po’-
-chi ti sta mettendo in testa questi pensieri? tu sei fantastico così e poi fare digiuno non servirà a molto, devi uscire più spesso da questa casa e goderti la vita, non hai amici al bar? Nessuna ragazza che con cui passi il tuo tempo?-
-non credo…- risposi -anzi una ragazza c'è, è una cliente abituale e le piace molto scrivere- dissi guardando il contenitore con tutti i fogli che mi aveva dato. Mio padre mise un piatto di pasta davanti a me e prese il raccoglitore.
 
Lo vidi leggere in silenzio quando all'improvviso sentì il citofono. Andai a rispondere lasciando papà alla lettura -pronto?-
-salve, sono il postino ho una lettera indirizzata a te, se mi apri te la porto-disse. Io aprì e poi scappai a vestirmi, neanche due minuti che aprì la porta e presi dalle mani del postino una lettera in una busta rossa e firmata Ketlin.
 
Preoccupato ringrazi e tornai in cucina -di chi è?- chiese mio padre abbassando il raccoglitore
-Ketlin-
-e chi è?-
-bho…- risposi aprendo. Bastarono 2 parole per capire chi era -foglio 5- lessi
-una nuova pagina ? Certo che è inquietante, una ragazza di cui sai solo ora il nome sa invece dove abiti- osservò mio padre
-lei ha solo dato la lettera, mica sa davvero dove vivo, piuttosto, che mi dici di quelle storie?-
-mi sembra molto un diario personale, come se fosse un suo sfogo contro il mondo. Io ti consiglierei di lasciar perdere, cerca solo di attirare l'attenzione facendo la vittima, dovresti frequentare persone con qualche rotella più sana- mi consigliò lui
-a me invece interessa la storia, poi in fin dei conti è una brava ragazza e ha scritto anche altre storie molto interessanti- risposi aprendo la busta.  Mi sedetti e iniziai a leggere.
 
Quando si cresce si cambia, ciascuno col proprio ritmo, ciascuno a modo suo, e poi c'è chi non cambia, chi è fermo nel corpo di una ragazzina perchè un paio di fottuti ormoni non aiutano a maturare.
quando sei in mezzo a tante persone che come fiori in primavera sbocciano e rimani sola, come quando la gente ti guarda e ti giudica, ti prende in giro perchè la natura è stronza con te, perchè non ti ha dato il corpo perfetto ma una maturità maggiore... non me ne faccio nulla della maturità... non serve a nulla avere vent'anni
 in testa e undici fuori, sentirti messa da parte perchè non hai nulla da mostrare se non ciò che hai dentro e le cicatrici che hai fuori.
cerca un posto per te, un posto lontano dal mondo, un luogo dove quelle persone che ti feriscono sono grandi come briciole che con una mano puoi schiacciare, scrivi, sfogati, butta fuori tutto e forse un giorno troverai qualcuno che della tua storia trarrà qualcosa di buono... credi e forse troverai un modo per mettere fine a tutta la tua sofferenza che nascondi dietro notti in bianco, dietro ore nei cessi e dietro mille menzogne.
Solo da solo scopri quanto sei vulnerabile e forse desidererai non averlo mai scoperto.

Tutto cambia, tutto matura e tutto diventa più bello. Tutte le farfalle fanno il loro bozzo, e tanti enormi bozzi si formano intorno al bruco, tutti hanno trovato il loro luogo e il loro momento, rimane solo un bruco, quello che sulla sua corazza conserva ancora le ferite dei morsi di prepotenti vespe.
 Per salvarsi decide di nascondersi, di salire in alto per assaggiare per un istante la brezza sulla pelle, come se si volasse già. È dalla cima dell'albero sacro della piazza, un albero che come torre graffia il cielo azzurro, che non si vedono i difetti.
 Come dalla cima di un campanile, da quel albero si vede tutto, tutti i disastri della società, tutte le morti, le nascite, i pianti e le urla, ma non si può fare nulla, solo osservare perché non si ha la forza di sporgersi e urlare la verità, si rischia di cadere e un bruco senza ali è destinato a cadere e morire.
 
Il bruco sta lontano dal bordo, la paura di morire attanaglia il suo piccolo cuore, come anche le offese e la paura di non diventare mai una farfalla, eppure la solitudine gli è di compagnia, forse è quello il luogo dove in pace inizierà la sua metamorfosi, da sola con il tramonto sul mare.
 

Con uno strano senso di commozione abbassai il foglio e posai gli occhi sul piatto di pasta, era fredda tutta incollata, ma era buona anche se imperfetta -Ketlin…- pensai leggendo il nome, avevo l'impressione che fosse tuto diverso su quella pagina, sentivo di aver già visto quell'alto albero di cui parlava.
 
Mangiai velocemente ed uscì di casa -dove vai?- chiese papà
-in piazza, tu mettiti comodo, torno più tardi- dissi chiudendomi la porta alle spalle. Camminai per le strade, gli occhi di tutti mi fissavano, mi giudicavano solo perché indossavo una tuta stropicciata, o forse perché avevo i capelli spettinati.
 
Salì sul pullman e aspettai la mia fermata. Una signora anziana si avvicinò a me e senza dire nulla la feci sedere e rimasi n piedi. Alla fermata successiva delle ragazze salirono e si misero ad un metro da me, odiavo situazioni come quella. Mi fissavano e ridevano, mi fissavano di nuovo e ridevano e così fino a che non ho retto più -che cazzo c'avete da ridere?- bisbigliai tra i denti irritato
-non sapevo che i barboni parlassero, dove hai rubato quella felpa? Ad un mercatino delle pulci?- mi istigò una ragazza dai capelli ricci e castani
-e tu da quale vicoletto per puttane esci?- pensai, ma rimasi in silenzio
-hai perso la lingua? Non sai neanche farti valere e ti faresti definire uomo?- continuò le circondata dalle risate delle amiche. Ero imbarazzato e dispiaciuto per la situazione, ero un disturbo per i passeggeri, per tutti, come ogni giorno della mia vita.
 
Il pullman si fermò e le ragazze fecero per scendere, passarono vicino a me spingendomi con modi bruschi poi si fermarono d'improvviso -voi non scendete da qui finchè non chiedete scusa al ragazzo- disse una voce familiare
-levati dalle palle, noi dobbiamo passare- rispose la bulla
-forse non hai capito bene, riporta il tuo fottuto culo dentro il pullman ed io non ti denunciò per aggressione-
-fa il cazzo che ti pare manico di scopa, tanto non è vera aggressione e lui non ha le palle per denunciare- disse la riccia spingendo l'avversaria dal pullman che finì  sul marciapiede, l'autista chiuse le porte e il mio viaggio prosegui. Mi affacciai e da lontano vidi Ketlin alzarsi da terra con le mani al naso.
 
   
 
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