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Autore: Roiben    18/12/2018    2 recensioni
Che cos'è la devianza? Un semplice virus digitale diffusosi fra gli androidi a seguito di contatti e scambio di dati? Un malfunzionamento patogeno causato da un errore di progettazione? L'evoluzione autonoma di un programma preinserito? O la semplice presa di coscienza della propria esistenza e di un pensiero indipendente?
Come l'hanno percepita gli androidi? E gli esseri umani?
Anche gli androidi hanno dei sogni?
Genere: Angst, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Connor/RK800, Elijah Kamski, Hank Anderson, Markus/RK200
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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chapter 17. A new home



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CANADA

Date

NOV 15TH, 2038


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CHATHAM-KENT - ONTARIO

470 McNaughton Ave

Time

AM 01:04


«Dimmi, Connor, avverti qualche genere di fastidio?».


Connor osserva Kamski riporre i suoi strumenti e poi posare gli occhi su di lui, in un’interessata attesa. Lancia un rapido esame delle proprie funzioni, operazione che non gli costa che una manciata di secondi, e accenna un pacato diniego.


«Sembra non ci siano conseguenze spiacevoli» azzarda.


Elijah ride piano. «Ottima notizia. Tuttavia mi riferivo alle modifiche che ho apportato».


«Oh!» esclama imbarazzato. Riflette brevemente. «C’è un sottile ronzio che ancora posso percepire, ma apparentemente è in attenuazione: all’inizio lo avvertivo in modo più intenso rispetto a ora».


«Sì, è una reazione momentanea: il sistema si sta allineando ai nuovi codici immessi. Altro?».


«Non ne sono sicuro. È più… una sensazione, in effetti» tituba.


Accigliato, lo scienziato lo scruta con dubbio. «Sensazione, Connor? Di che genere?».


«Di vuoto. Qualcosa che non posso afferrare, che sembra voler sfuggire ai controlli incrociati del mio sistema, come… un miraggio? Sì, penso si possa definire così».


Riflette, ma nessuna buona idea giunge in suo soccorso. «Non so cosa pensare» ammette, un po’ indispettito. Lo fissa negli occhi, con decisione. «Se dovesse venirti in mente qualche nuova informazione al riguardo, credi di potermela far conoscere?».


«Lo farò certamente» promette Connor mentre segue con gli occhi i movimenti dell’uomo che, con metodo, disattiva il campo magnetico riponendo con cura i piccoli generatori e, infine, scollega l’androide dall’alimentatore, dato che oramai la sua batteria è di nuovo autosufficiente. «Grazie, signore» si decide a dire, lasciando finalmente quel benedetto (e molto scomodo) tavolo.


«Non c’è di che, Connor. Ammetto di aver fatto in gran parte i miei interessi ma, seppur così non fosse stato, di certo Markus e il tuo tenente Anderson avrebbero volentieri attentato alla mia salute fisica, nel caso in cui avessi preso in considerazione l’idea di tirarmi indietro» spiega giulivo.


Connor è un po’ sorpreso dalla replica di Kamski. Che Hank non nutrisse grande stima né simpatia per lo scienziato lo sapeva per certo, ma quali sono le motivazioni di Markus? Indirizza a quest’ultimo una fugace occhiata incuriosita, la quale viene raccolta e ricambiata. Forse più tardi avranno la possibilità di approfondire quella questione.


*


Nel lasso di tempo in cui lo scienziato si allontana per rimettere ordine nel suo materiale, Connor viene raggiunto e accerchiato prima da Hank e Sumo, poi da Markus e Jander, e tutti loro sembrano incredibilmente ansiosi di sapere, così che Connor viene presto sommerso di domande tra le più disparate e, per quanto si impegni, non trova neppure il tempo di analizzarle a dovere e fornire una qualche parvenza di risposta.


«I circuiti e i biocomponenti di Connor sono perfettamente intatti e il suo sistema operativo è funzionante a livelli più che accettabili, direi quasi ottimali» viene in suo soccorso Elijah, prendendo nota del palese disagio del povero RK800. «Personalmente gradirei prendermi una pausa di qualche ora per riposarmi. Tuttavia vorrei anche essere certo che i miei androidi siano al sicuro. Per tale motivo vi proporrei di volervi trasferire da me».


Markus sgrana gli occhi, visibilmente allarmato, e si para di fronte a Connor deciso a impedire che prendano anche lui.


Anche Hank sgrana gli occhi, ma non si limita a una passiva dimostrazione di rifiuto. Invece ringhia, visibilmente contrariato. «Ma nemmeno per sogno!» sbotta, tenendo d’occhio sia Connor che Markus per accertarsi che non vadano da nessuna parte, soprattutto non in compagnia di quel Kamski. «Pensi seriamente che ti lascerei portarli via con te? Vorresti forse trascinarli di nuovo in quel covo di tuoi pari, che non ci penserebbero nemmeno un minuto a metterli sotto chiave (se va bene)?» protesta con veemenza.


Contro ogni aspettativa, sia del tenente che degli androidi, la reazione di Kamski è un leggero e divertito stirarsi di labbra.


«Ho forse parlato di condurli alla torre della CyberLife? Francamente non mi è parso» commenta ragionevole.


«E dove altro?» tenta Markus, guardingo.


«In verità pensavo piuttosto alla mia villa sul fiume».


Hank si imporpora, decisamente impermalito dalla nuova e a suo parere affatto migliore proposta. Connor si limita a storcere il naso, non più entusiasta del collega, attirandosi in quel modo la curiosità dello scienziato.


«Mi sembra di intuire che la proposta non incontri il tuo favore» prova pacato.


Interdetto dal fatto che l’interesse apparentemente sia concentrato unicamente su di lui, Connor scuote piano la testa.


«No, non proprio. Senza offesa, signor Kamski, ma quella casa mi rammenta sensazioni poco piacevoli. E… il colore dell’acqua è piuttosto angosciante» ammette, spalleggiato senza riserve dall’aperta approvazione di Hank e persino di Sumo.


Elijah tuttavia torna a sorridere, indulgente. «Vorrei farti notare che quella che avete avuto in precedenza modo di visitare è solo una piccola parte della dimora. Inoltre il rosso è ottenuto con un semplice trattamento chimico e fotocromatico per nulla dannoso, ma che in sostanza risulta del tutto momentaneo e comunque facilmente evitabile».


«Oh» soffia Connor, un poco in imbarazzo.


«Tu hai in mente qualcosa!» l’accusa invece senza mezzi termini Hank.


«Mi sembra evidente, tenente Anderson» ammette candidamente Elijah senza affatto scomporsi. «Ma non vado di fretta, dopo tutto; c’è un tempo e un luogo per ogni cosa, e questo a mio parere è il tempo per tirare il fiato e concedersi qualche momento di tranquillità e riposo. Ebbene, avete riflettuto a sufficienza? Siete infine giunti a una conclusione?».


«Non vedo perché non potrebbero semplicemente rimanere qui» replica Hank con ostinazione, per nulla persuaso all’idea di addentrarsi nella tana di quella iena.


«Naturalmente, potreste» concede tranquillo. «Ma a quale scopo? E in seguito? Lei pensa che, molto semplicemente, potrebbero nascondersi dietro la porta di una casa oltre confine, nella speranza che il mondo al di fuori si dimentichi del problema in fretta, in modo da poter fare presto ritorno alla loro città? È proprio certo che accadrà questo?».


Hank scatta in avanti, più rapido di quanto chiunque potesse aspettarsi, afferra Elijah per il colletto della camicia e lo scrolla con rabbia. Con qualche momento in più a sua disposizione avrebbe anche potuto togliersi lo sfizio di strapazzarlo un po’, giusto per dimostrargli che a volte non basta avere soldi e cervello, bisogna anche saperli usare al momento opportuno. Connor però non sembra concordare con la sua linea di pensiero e lo ha già bloccato per le spalle in modo che non possa fare ulteriori danni (è forte quel piccoletto di plastica e circuiti!), così è costretto a desistere e a borbottare contrariato, distogliendo lo sguardo dallo sfacciato sorriso sornione dello scienziato.


«Avresti fatto meglio a lasciarmelo maltrattare come si deve» lamenta rivolto all’androide.


«No, sarebbe stato un errore, Hank».


«Un errore? Nah, quello non è umano nemmeno la metà di quanto lo sei tu».


Connor socchiude le labbra, sorpreso, e accenna un lieve sorriso. «Non per lui, Hank, ma per te. Ti saresti messo nei guai».


«Il giovane Connor ha ragione, tenente Anderson; dovrebbe agire con maggior prudenza».


«Fai il favore di tenere per te i tuoi consigli, Kamski, non sono in vena. Comunque non intendo lasciare nelle tue mani Connor, e neppure Markus e quell’altro».


«Jander» suggerisce Connor alle sue spalle.


«Che?» dubita Hank, non comprendendo le sue parole.


«Il nome dell’altro androide. Si chiama Jander».


«Ah… Beh, comunque si chiami è proprio fuori questione che restiate soli con quello lì» si ostina Hank.


«Ovviamente può onorarci della sua compagnia, tenente Anderson» tratta Elijah, il quale non vede l’ora di risolvere la questione della sistemazione per poi prendersi una meritata pausa di riflessione di almeno una dozzina di ore.


Con cautela, Markus si fa avanti accostandosi al poliziotto e a Connor, e attirando con discrezione l’attenzione di quest’ultimo. Connor lo fissa in tralice, domandando in silenzio spiegazioni e presto anche Hank si accorge dello scambio dei due androidi.


«Che succede?» si informa a quel punto.


Markus solleva lo sguardo sull’uomo e, anche se un po’ restio, prova a spiegarsi. «Non posso dirmi il soggetto più adatto per affermarlo, ma credo che su un punto Kamski possa avere ragione».


«Sarebbe un evento» brontola Hank con sarcasmo. «Va’ avanti, ragazzo» chiede asciutto ma disposto ad ascoltare.


«Le persone, soprattutto gli abitanti di Detroit, non impiegheranno certo una manciata di giorni per lasciarsi alle spalle quello che è accaduto. Gli esseri umani sanno bene come portare rancore molto a lungo. Non so lei come la pensi, ma personalmente non sento di poter aspettare anni per tornare a casa, e… odio nascondermi».


«Sì, Markus dice il vero» approva Connor. «Sono stato creato da poco, ma quella è la mia città, Hank. Non posso… non voglio rimanere nascosto in Canada per chissà quanto tempo ancora, senza uno scopo vero e proprio per di più». Sorride, d’improvviso, prendendo Hank alla sprovvista. «Sono ancora un poliziotto, dopo tutto. Sono stato creato per questo e vorrei poter continuare a fare quello che mi riesce meglio».


Hank sbuffa, scuote la testa, torna a guardarlo, sospira. «D’accordo. Hai vinto tu, ragazzino».


*


Si ridesta bruscamente con un grugnito di vago allarme e si guarda attorno, confuso. Fuori è buio pesto e non distingue che ombre scure immobili nell’immobilità del paesaggio, ma un rumore deciso torna ad attrarre l’attenzione di Alex: qualcuno bussa al portello del suo elicottero. Sbuffa, irritato per il poco dolce risveglio e per l’ora più che tarda (sono già passate le due di notte e avrebbe di sicuro apprezzato poter dormire ancora un po’). Tuttavia là fuori bussano di nuovo e, a giudicare dal tipo di suono, pare proprio che si stiano spazientendo.


Figurarsi” elucubra mentalmente con una certa dose di acidità. Alla fine però si decide a darsi una veloce sistemata e a vedere chi è il seccatore. Quando socchiude il portello, come sospettava già, si ritrova a incrociare lo sguardo con quello abbastanza impaziente del suo capo e, guardando oltre, di quelli di una discreta quantità di altra gente molto male assortita e molto meno umana di quanto si augurasse; c’è perfino un cane, enorme, sbavante e assolutamente peloso. Geme internamente pensando: “Il mio povero elicottero”.


«Uhm… ‘Sera, capo. Qualche problema?» biascica, mezzo tramortito dal sonno.


«Non al momento, Alex. Ma c’è qualche novità, in effetti: come puoi certo notare, avremo ospiti» annuncia, con più tetraggine di quanta si attendesse il pilota, conoscendo il soggetto.


Alex fissa per un lungo momento il suo capo, stranito dalla situazione inattesa, poi fa vagare lo sguardo sul gruppo assiepato sul praticello in cui ha parcheggiato il suo elicottero. Hanno tutti un aspetto parecchio esausto, perfino i soggetti artificiali, nota. Conta tre androidi, un San Bernardo e tre umani, di cui uno che non ha un’aria particolarmente entusiasta.


Brutte cose” si ritrova a pensare. Chissà, forse non è stata poi un’idea tanto geniale, come gli era parsa all’inizio, proporsi come pilota all’amministrazione della CyberLife, un paio di anni prima.


«Qual è il programma?» decide di informarsi a quel punto.


«È molto semplice, Alex: ci accompagnerai alla mia villa sul fiume e in seguito potrai tornare alla torre. Sono certo ti farà piacere qualche altra buona ora di sonno».


«Ci può scommettere… Uh!... Scusi, capo» soffia, preoccupato della possibilità di aver passato il segno lasciandosi sfuggire qualche parola di troppo.


«Non preoccuparti. Forza, ora: prima partiamo, prima giungeremo a destinazione».


*


Sei persone (o quanto meno umanoidi) e un cane di grossa taglia hanno qualche difficoltà a entrare con agio nell’abitacolo di un elicottero che, almeno sulla carta, è destinato al trasporto di soli cinque individui adulti, compreso il pilota. Ma Dick ha insistito allo sfinimento per accompagnare Hank e Connor, e di certo il poliziotto non si è neppure sognato di perdere di vista gli androidi né tanto meno di lasciare a casa dell’amico Sumo. Così al momento sono tutti poco allegramente assiepati e pigiati dentro il velivolo come tante sardine in scatola, o meglio, tutti tranne Elijah che, come c’era da aspettarsi, ha seraficamente preso posto accanto ad Alex, fingendo con molta perizia e disinvoltura di non sentire gli insulti nemmeno troppo velati degli altri passeggeri.


Dal canto suo Alex sta cercando di calcolare a mente il peso complessivo del carico e capire se il suo povero elicottero (Lilly, per i pochi intimi, ovvero lui solo) sopporterà tutta quella marmaglia fino a Detroit.


Hank odia volare, e detesta anche essere costretto a scegliere, tra due mali, quello minore. E, beh, attualmente il male minore è trovarsi schiacciato contro il finestrino di un elicottero in volo verso la sua città con il suo cane che mugola triste contro le sue gambe. Figurarsi il male peggiore!


*


Prima di decollare, Elijah ha inviato un breve messaggio a Chloe, con il quale l’avvisava dei suoi piani imminenti. Per questo motivo quando atterrano sulla sponda del fiume non troppo distanti dalla sua villa, un’automobile scura li intercetta prima che scendano e un androide agghindato in livrea li fa accomodare con efficienza tutti all’interno del veicolo che, al contrario dell’elicottero, si rivela molto spazioso e permette loro non solo di respirare con facilità ma di trovarsi addirittura a proprio agio.


«Ecco, questo è senz’altro un ottimo modo per sperperare denaro» commenta Hank, un po’ più soddisfatto per la sistemazione attuale.


Elijah annuisce impercettibilmente, osservando il paesaggio mezzo sepolto dalla neve. «Confido che troverà altrettanto di suo gradimento i locali della dimora che vi ospiteranno» prevede tranquillo.


Nel mentre l’auto ha percorso il viale che costeggia il fiume e si addentra nel garage di cui è dotata la villa, la quale è collegata allo stesso dall’interno, così che una volta scesi dalla vettura gli ospiti possano raggiungere i locali abitativi senza essere costretti a esporsi al vento gelido dell’inverno che oramai ha preso il sopravvento sulla città.


«Bentornato, Elijah» lo accoglie la conosciuta voce di Chloe.


La guarda negli occhi e abbozza un piccolo sorriso. Ovviamente non si tratta dello stesso androide che ha lasciato alla torre; non ci sarebbe stato il tempo materiale per quel trasferimento. Ma ciò ha ben poca importanza dato che possiedono un software in comune. In sostanza il programma Chloe controlla due unità (in quel caso, ma potenzialmente avrebbe l’opportunità di gestire fino a quattro unità separate senza minimamente risentirne né avere cali di prestazione indesiderati).


«È tutto in ordine?» si accerta, ben sapendo che se così non fosse stato, come prima cosa lo avrebbe prontamente messo al corrente di una tale informazione.


«Sì, Elijah, come da tue indicazioni» conferma Chloe. «Desideri riposare, ora?».


«Fra poco. Prima voglio assicurarmi che tutti siano sistemati nel migliore dei modi» obbietta pacato.


Mentre si sposta lungo il corridoio viene seguito a ruota dagli ospiti e da un altro androide addetto alla cura della casa. Il suo seguito, durante il tragitto, non manca di guardarsi attorno con titubanza e curiosità insieme. Come precedentemente fatto notare dal padrone di casa, l’abitazione è vasta e i locali attraversati fino a quel momento non appartengono a quelli già visionati durante la prima visita di Hank e Connor: niente sale d’aspetto autoproclamanti né piscine di dubbio gusto; solo un corridoio minimalista ornato da luci al led e qualche quadro astratto (dono, a quanto sembra, di Carl Manfred, giudica a prima vista Markus), e un salotto arioso dotato di un’ampia parete a vetri dalla quale si può spaziare con lo sguardo sul fiume sul quale sorge la villa e, più in là sulla sinistra, sulla famigerata torre sede della CyberLife. Nel lato non esposto all’esterno fa bella mostra di sé un’ampia tavola di legno laccato in bianco contornata da sedie nere, sulla quale sono già sistemati i coperti per gli ospiti, quelli umani per lo meno, evidentemente pronti per la colazione di un mattino ormai prossimo al raggiungimento.


«A qualunque ora riusciate a svegliarvi, avrete a vostra disposizione di che rifocillarvi. Ora, credo, è giunto il momento di riposare, finalmente. Se volete procedere, Chloe stessa vi mostrerà le vostre camere. Per qualunque esigenza, non temete di chiedere. Sono certo scoprirete che i miei collaboratori e io abbiamo notevoli risorse da mettere a vostra disposizione» assicura Elijah, congedando in questo modo i suoi ospiti e allontanandosi in silenzio per raggiungere a sua volta la destinazione delle sue prossime, riposanti ore.


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