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Autore: NyxTNeko    05/01/2019    1 recensioni
Roma, 37 d.C.
Una giovanissima schiava proveniente dalla Gallia, abile conoscitrice di ogni tipo di erba, approda nella Città Eterna. Divenuta libera, la sua vita sembra essere destinata a svolgersi nell'ombra della Capitale del Mondo...fino a quando il potere non entrerà dalla porta della sua piccola bottega di filtri e veleni e le stravolgerà l'esistenza risucchiandola inevitabilmente nel suo vorticoso buco nero.
Locusta, la prima serial killer della storia, fu un personaggio enigmatico, quasi leggendario, di cui si sapeva davvero poco anche ai suoi tempi, una cosa, però, era assolutamente certa: la strega di Nerone non sarebbe sopravvissuta a lungo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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"Quamdiu stabit Colyseus stabit et Roma;
cum cadet Colyseus cadet et Roma;
cum cadet Roma cadet et mundus"
Profezia di Beda il Venerabile, VIII secolo.

Gaudenzio piangeva silenziosamente sul corpo di Locusta.

Rimaneva attaccato quasi non volesse allontanarsi da lei. Tigellino disgustato da quella scena stava per prendere per il bavero della tunica il pover uomo, ma venne fermato da Vespasiano che si intromise con gran forza e rabbia dicendogli - Abbiate almeno pietà per il dolore...lasciatelo almeno stare per un po’

- Nessuno ha avuto pietà per me quando soffrivo - ringhiò Tigellino.

- E questo vi consente di abbassarsi al livello di chi vi ha fatto soffrire?! Siete come gli assassini che ve le hanno fatto provare lo stesso dolore, dovreste solo vergognarvi!

- Avete finito di farmi la predica da bravo padre? Cosa ne sapete voi! - continuò il prefetto - Voi che siete ricco e rispettabile! Io il rispetto me lo sono guadagnato con la paura, perché è l'unico sentimento che accomuna tutti gli uomini deboli

- Ve l’ho già detto! Vi state comportando come gli assassini e i violenti che vi hanno causato dolore! E adesso fuori dai piedi! - concluse con rabbia e determinazione.

- Me ne vado, ma solo perché non voglio sentire più la vostra voce gracchiante da corvo - emise Tigellino fermando i suoi istinti omicidi e dirigendosi verso l'uscita - Ma guai a voi se lo liberate! - lo minacciò alla fine, prima di scomparire nel buio.

Dopo essersi assicurato che il prefetto fosse uscito, Tito Flavio girò la testa verso Gaudenzio e gli mise una mano sulla spalla e mostrò comprensione per la perdita - Mi dispiace...sono profondamente addolorato per l’accaduto…

Per un momento Gaudenzio rimase fermo e immobile, poi gli rispose prima con voce strozzata dal pianto per crescere poi rabbiosamente - Addolorato...Addolorato?! Voi siete un bugiardo traditore! Anche voi l'avete ammazzata... Mi avevate detto che si sarebbe salvata...voi siete a contatto con quegli infami..avreste dovuto saperlo! - continuò sempre furioso - E provare a fermare quegli infami...a voi importa solo del mio progetto! Avete guardato solo al vostro ritorno di sporco e vile denaro...non perché eravate mio amico.. andatevene! - Concluse con sguardo straziato e gli occhi inondati di lacrime. Per poi riavvicinare il volto al corpo di Locusta.

Lui avrebbe voluto spiegare tutto, ma comprese che il dolore era troppo grande e indescrivibile, lo lasciò sfogare. Dopo aver visto quella scena straziante, il generale prese la parola - Ha ingannato anche me, Gaudenzio - ammise con profonda amarezza per poi concludere - Quel progetto morirà con voi se è ciò che volete, ve li farò portare in carcere

- Fate quello che volete a me non importa niente - esclamò rabbioso.

Vespasiano sospirò lungamente e lo guardò in viso, si augurò che cambiasse idea, una volta che la ragione tornasse a prevalere sul dolore. - Perdonatemi, se potete - sussurrò infine, avviandosi anch'egli verso l'uscita.

Vespasiano sospirò lungamente e lo guardò in viso, si augurò che cambiasse idea, una volta che la ragione tornasse a prevalere sul dolore. - Perdonatemi, se potete - sussurrò infine, avviandosi anch'egli verso l'uscita.

Mentre camminava per i corridoi del Palatino, l’uomo stringeva i pugni e con uno scatto rabbioso tornò da Tigellino. Quando lo ebbe di fronte gli disse - Voglio parlare immediatamente con l’imperatore in persona!

- L'imperatore è impegnato, Tito Flavio - rispose il prefetto per toglierselo dai piedi.

- Non me ne importa niente... - sfidò il prefetto dei pretoriani, nonostante la differenza d'altezza - Devo parlargli farò di tutto per farlo!

- Se piombate nella sua stanza, sono costretto ad arrestarvi - gli fece notare il prefetto beffardo - Non che la cosa mi dispiaccia...

- E allora, fate in modo che vi possa parlare appena terminato il suo impegno... perché vi starò col fiato sul collo fino ad allora!

- Se è per salvare il vostro amichetto, temo che allora sprecate il vostro tempo, Vespasiano - ghignò Tigellino guardandolo dall'alto.

- Riuscirò quanto meno a salvare il suo talento ed il suo estro, inoltre vorrei ricordarvi che sia io sia Gaudenzio, persone che desiderano veramente rendere grande il nome di Romo, saremo certamente ricordati per l’eternità...il nome di viscidi come voi, sarà, invece, avvolto dall'oblio o coperto di fango…

Lui scoppiò a ridere fragorosamente - Questa sarebbe una minaccia?! - si fermò per poi riprendere a parlare con spavalderia - Sto tremando di paura - aggiunse infine - A me non importa essere ricordato in eterno, Tito Flavio, ma solamente di vivere nella ricchezza e nel lusso fino a crepare

- Portatemi nella sala dell'imperatore, voglio parlarci lo stesso - emise il generale con convinzione. Tigellino avrebbe voluto spaccargli la faccia, ma chiamò alcuni emissari e gli disse tutto quello che doveva fare. Una volta ottenuto il permesso Tito Flavio raggiunse la stanza dell'imperatore ed entrò educatamente - Altezza imperiale, esigo dei chiarimenti - riferì l'uomo inchinandosi al suo cospetto.

- Mi auguro che non mi abbiate fatto raggiungere a vuoto, Vespasiano - fece Galba, guardandolo con aria di superiorità.

- Mi avevate promesso di salvarla, invece era solo un inganno…

- Era solo una minaccia per l'Impero - rispose con assoluta calma l'imperatore - 
Oltre ad essere una donna insulsa, mi aspettavo qualcosa di meglio

- Era la sposa di un amico al quale tengo, il quale non desiderava altro che vivere in pace con lui e vedere realizzato il sogno di suo marito, che avrebbe contribuito a rendere ancora più grande attraverso questo progetto! - espose Vespasiano mentre aveva preso i progetti dell'anfiteatro e li scuoteva con la mano in alto verso Galba.

- Tanto è morta - rispose lui con aria soddisfatta - Fate vedere questi meravigliosi progetti - gli fece segno di seguirlo in una zona dove potessero guardarli con attenzione.

Il generale esaudì la richiesta dell’imperatore e quando furono soli, srotolò le pergamene davanti ai suoi occhi, per poi mettervi con forza degli oggetti sui lati per evitare che si richiudessero. - Devo ammettere che non sono niente male! - esclamò Galba.

- Lasciatelo in vita... e fategli completare questa meraviglia

L'imperatore sospirò, stufo di quella storia - E va bene, verrà liberato, ma sarà sotto la vostra custodia, e ne risponderete voi

- Vi ringrazio Cesare...vedrete che non se ne pentirà…- mentre Galba si allontanava, gli fece un’ultima richiesta - Vi prego un'ultimo favore, altezza, lasciate che sia io a disporre della sepoltura di Locusta

- Questo non posso accordarlo, Vespasiano - lo frenò l'imperatore.

- Per quale motivo?

- Perché è stato stabilito che dopo la morte per strangolamento sarebbe stata data in pasto alle belve - gli rispose come se fosse una cosa normale.

- Cosa vi cambia fra l’essere data in pasto o sepolta da qualche altra parte? Ormai è morta, non è più una minaccia per voi

- E con che cosa farò divertire il pubblico? - lo sbeffeggiò ridacchiando - Le belve non sono sufficienti

L’uomo sembrava ormai rassegnato, niente gli avrebbe fatto cambiare idea. Si consolò con il fatto di aver salvato almeno temporaneamente la vita di Gaudenzio. Vespasiano uscì soddisfatto, soprattutto quando passò affianco a Tigellino.

Tito Flavio si recò nelle prigioni dove c'era ancora Gaudenzio, ma non sembrava contento di vederlo.

- Che siete venuto a fare qui...cosa volete dirmi ancora?

- Che siete di nuovo un uomo libero Gaudenzio

- Ahahah ed io sarei libero?! Non sarò mai più un uomo libero, avrei potuto esserlo con Locusta, ora questa vita mi tiene prigioniero...come posso sentirmi libero? - ridacchiò.

- Dovete andare avanti nella vita! - sbottò Vespasiano - Lei lo avrebbe fatto! -

- Cosa ne sapete di quello che avrebbe fatto Locusta...voi non sapete niente di lei! - rispose furente - Anche lei sarebbe stata attanagliata dalla morsa del dolore e della rabbia!

- Ah sì? Io non so niente, cosa credete, che non sapevo della stima che provava per l'imperatore? - continuò - Lo ha aiutato a morire e lo ha fatto con un onore che io non ho mai visto!

- E quindi? cosa c’entra?

Il generale sospirò - Niente, Gaudenzio...

- E allora andatevene, siete rimasto anche troppo per i miei gusti…

Vespasiano sospirò e prima di andarsene chiese - Quindi volete morire?

- E’ ciò che mi aspetta. Che sia ora o fra qualche anno... accadrà…- concluse arrendevole.

Tigellino aveva ascoltato tutto e gioiva di ciò, un rompiscatole in meno.

- Ed io che avevo fatto di tutto per liberarvi - sospirò Tito Flavio sconsolato - Addio, allora

Gaudenzio si sentiva perso, troppo attanagliato dal dolore per andare avanti. Si sentiva sempre più in colpa per non essersi imposto con la sua amata a scappare pur di stare insieme a lei.

Vespasiano uscì e ritornò nelle stanze dell'imperatore per informarlo della cosa, anche se era più che deciso nel voler far costruire quel monumento. Ma ricevette il rifiuto di quest'ultimo - Non siete riuscito a garantire la vostra parola, quindi ne pagherete le conseguenze, perciò quel progetto non si farà, a meno che voi non diventiate imperatore, cosa che dubito fortemente, perché ho intenzione di governare per molti anni ancora, e non credo che vivrete per molto tempo 

Il generale era pieno di rabbia e decise di tornare nella sua casa per riposarsi, era l’unico modo per far scemare la rabbia. Mentre passeggiava per i corridoi si incontrò con il suo primogenito Tito che in una maniera o nell’altra era sempre al corrente di ciò che accadeva - Cosa avete padre...possibile che questa opera vi tormenti così tanto? Altre sono le cose alle quali dovreste pensare…

- Perché per salire sullo scranno più alto, è necessario dover conquistare il popolo e per farlo non sono sufficienti le battaglie che ho condotto fino a adesso per espandere i confini di Roma. Ma regalando loro anche importanti opere che ne manifestino la grandezza, specie se rivolte al loro divertimento!! - fece un attimo di pausa. - E poi...anche per Gaudenzio al quale sento di essermi legato veramente

- Nostro padre ha ragione Tito - s'intromise secondogenito, Domiziano, che aveva pressappoco 18 anni, avendo ascoltato la conversazione - Dobbiamo conquistare la fiducia con le opere e con la gratitudine, altrimenti il popolo dubiterà, hai visto meglio di me cosa è successo a Nerone, la dinastia Giulio Claudia ha mostrato le sue debolezze di fondo, che noi dobbiamo superare, è finita l'era delle grandi famiglie nobiliari, di vecchio stampo, Roma e di conseguenza il mondo hanno bisogno di cambiamento - disse infine, guardando sia il padre che il fratello.

‎Entrambi rimasero colpiti da quelle parole, nonostante la giovane età, Domiziano dimostrò grande volontà ed ambizione, seppur non fosse amato in famiglia per via del suo carattere sfuggente, arrogante, diffidente e l'inclinazione solitaria.

Passò qualche giorno, mentre Gaudenzio era in catene si aprì improvvisamente la porta della cella e venne portato dentro una persona che l’architetto conosceva bene - Canius? Che...che ci fai qui?

- Stai commettendo una follia, Gaudenzio - lo rimproverò con aria benevola.

- Ma quale follia? - girò lo sguardo da un’altra parte

- Quella di farti ammazzare come il peggior criminale - rispose lui - E guardami negli occhi se sei davvero coraggioso

- Che io muoia adesso o più avanti cosa vuoi che cambi?! Mi hanno tolto Locusta…l'hanno data in pasto alle belve e mi hanno strappato la felicità di voler realizzare il mio sogno! - abbassò lo sguardo - Che senso ha vivere ancora? Sarebbe solo una tortura…

- Locusta è solo morta fisicamente, la sua anima continua a vivere dentro di te, perché tu continui ad amarla - disse con un tono più pacato per farlo ragionare. - Ricorda cosa ci ha insegnato nostro Signore...o hai già rinnegato il tuo credo? - Gaudenzio sconsolato chiuse gli occhi e vide nitida l’immagine di Locusta.

- Lei voleva che tu vivessi, Gaudenzio, perché il tuo compito è di glorificare Roma, se ti vedesse ora ti rimproverebbe

Le lacrime cominciarono a scendere dagli occhi.

- Realizza il tuo sogno! - i suoi occhi brillarono - Fa sì che quell’arena possa prendere vita, lei ci credeva quanto te...e se permetterai a Galba e a Tigellino di ostacolarti, significherebbe farli vincere definitivamente! - gli si avvicinò e gli infuse coraggio mettendogli una mano sulla spalla - Tu hai ancora qualcuno che ti sostiene e non sono io un umile  cittadino di Roma, ma un grande uomo, che potrebbe cambiare il destino dell'Impero, io ne sono certo

L’uomo continuò a piangere silenziosamente, si sentiva toccato nel più profondo del suo animo, non riusciva a rispondere, neanche a guardarlo. Quel dolore che tentava di placare in tutte le maniere possibili e immaginabili, pulsava ancora forte.

- Allora? Vuoi permettere tutto questo, Vespasiano non ti ha abbandonato e sicuramente ti starà aspettando, è un uomo d'onore, e vuole a tutti costi ripagare ai suoi errori, ma devi sbrigarti, Gaudenzio o anche lui alla fine, non potrà più aiutarti

- Lasciami solo….per favore…- sospirò a testa bassa.

Canius fece quanto detto dall’amico, pregando il Signore e augurandosi di prendere la decisione giusta.

L’architetto rimase sveglio tutta la notte a riflettere, fino ad arrivare alla mattina del giorno successivo.

Mentre si preparava ad una riunione, un servo della famiglia di Vespasiano accorse immediatamente da lui - Generale...Generale - strepitò affaticato.

- Cosa succede? - domandò leggendo l’agitazione negli occhi di quel servo fedele.

- Un prigioniero rinchiuso nelle carceri chiede un incontro immediato con voi

- Gaudenzio - sussurrò il generale - Scusate l'interruzione, ma devo andare - poi guardò il figlio maggiore - Tito, continua tu, non mi ci vorrà molto...

Preparato il suo cavallo, Vespasiano andò il più velocemente possibile verso il carcere. Si fece accompagnare alla cella in cui era rinchiuso l’architetto per interloquire con lui. Non appena entrò in cella, venne colpito dalla sua espressione determinata, ma ancora macchiata dal dolore e dalla rabbia. Esordì chiedendo

- Sono qui Gaudenzio, cosa vi ha spinto a volermi vedere con così tanta fretta?

Dopo qualche attimo di silenzio rispose - Ho deciso di portare a termine il mio progetto, vederlo realizzato. Rendere ancor più grande il nome di Roma. Ma soprattutto - lo guardò dritto negli occhi scuri - Far si che anche Locusta possa veder realizzato il mio desiderio e di conseguenza continuare a vivere

Tito Flavio, stupito da quelle parole e soprattutto dal suo atteggiamento, sentì finalmente che la sua scalata verso il potere era ancora possibile - Non sapete quando mi renda felice questo discorso, Gaudenzio - gli sorrise con orgoglio, era quasi come un componente della famiglia. Diede ordine alle guardie di liberarlo, avvalendosi del permesso imperiale.

Una volta giunto al palazzo di Vespasiano fu accolto con grande piacere dai due figli, Tito lo conosceva già, poiché aveva avuto modo di incontrarlo un paio di volte, mentre Domiziano si fece spiegare da lui l'intero progetto, era completamente diverso dal padre e dal fratello: era imponente, sovrastava il maggiore e non di poco, il corpo era ben proporzionato, il viso ben definito, dai lineamenti mascolini ma dolci, non sembrava per nulla imparentato con quei due.

Vespasiano e Tito, di fatto erano energici, abituati a lavorare, ma mostravano sempre pacatezza ed erano rassicuranti, sempre gentili, anche con la loro corporatura e il loro lineamenti un po' tozzi e rotondi, che risaltavano la loro origine popolana.

Domiziano, invece, era molto più irriquieto, quasi vulcanico, impaziente, come se fosse tormentato da un conflitto interiore, che non voleva mettere in mostra, nonostante emergesse in particolare nel volto, le guance rosse, gli occhi grandi, lo sguardo inquietante, in cui si rifletteva il desiderio di rivalsa, l'ambizione e un pizzico di invidia, nella voce, molto profonda e bassa.

Gaudenzio potè così dedicarsi alla realizzazione di esso e di tanti altri lavori che aveva lasciato in sospeso.

Durante quei mesi molti avvenimenti si susseguirono e quell'anno il 69 d.C. passò alla storia come l'anno dei quattro imperatori, Galba, infatti, non poté sedere sul trono ancora per molto tempo, il 15 gennaio dello stesso anno, fu assassinato.

Al suo posto salì Otone, l'ex amico di Nerone, che aveva dovuto cedere Poppea all'ultimo esponente della dinastia Giulio Claudia. Uno dei primi ordini che diede fu quello di invitare al suicidio Tigellino, cosa che l'ex prefetto preferì fare “Ho solo nemici attorno, non c'è più posto per uno come me” si disse mentre quella lama con la quale aveva ucciso tante vittime, trafisse il suo collo nerboruto.

Però nel giugno dello stesso anno anche Otone fu ucciso. Stessa sorte che capitò al successivo, Vitellio, il quale sedette sul trono fino al 22 dicembre. Fu un anno pieno di instabilità e malcontento; serviva un uomo forte ma giusto, una nuova dinastia che potesse garantire un lungo periodo di pace. 

Alla scomparsa del terzo imperatore, anche per il senato era giunta l’ora che un uomo carismatico che  potesse salire al trono per garantire stabilità. Figura che venne trovata in Vespasiano. Forte del consenso popolare ed anche di quello militare, per le sue conquiste e anche del progetto che stava sostenendo per il popolo. Così la dinastia Flavia prese il potere.

Il Colosseo, conosciuto per tutta l'età imperiale come Anfiteatro Flavio, in onore di quella famiglia, potè cominciare a nascere sopra il letto del lago che si trovava di fronte la Domus Aurea.

Ci vollero anni e quando nel 79 d.C. morì, gli succedette il primogenito Tito, il quale riuscì a portare a termine i lavori dell’anfiteatro prima della sua prematura scomparsa a causa di febbre malariche nel 81 d.C.

A quel punto subentrò Domiziano, il quale era stato per molti anni escluso dalla vita politica e nel frattempo aveva covato risentimento nei confronti del padre e del fratello; il suo lato inquieto, rabbioso, crudele e sospettoso  si era acuito molto in quegli anni, generando un clima di terrore, che sarebbe stata la sua rovina. Il suo regno sarebbe durato 15 anni, fino al 96 d.C.

Tuttavia, non poté non congratularsi ancora con Gaudenzio, il quale ricevette molto onori.

Affaticato per l’età, l’uomo saliva i gradini della sua creatura, mentre il boato del popolo rimbombava all’interno dell’arena, passo dopo passo pensando "Ora che finalmente il progetto è realizzato, posso finalmente ricongiungermi con te Locusta, sperando che mi abbia aspettato" pensò infine, mentre si era accomodato per guardare lo spettacolo.

Subito dopo essersi seduto, sentì che era arrivata la sua fine e tra le urla spirò silenziosamente. 

   
 
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