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Autore: mattmary15    20/01/2019    4 recensioni
Sequel de 'Il destino di una vita intera'. Un uomo crede fermamente nel destino, un altro non ci crede affatto. Qualcuno ha detto che sono due facce della stessa medaglia ma il tempo pare non avere dato ragione a nessuno di loro. La ruota del destino si è rimessa in moto e la domanda che si pongono tutti è sempre la stessa: Gli dei possono davvero giocare con la vita degli uomini? Il destino si può cambiare oppure una nuova guerra santa legherà i cavalieri al ciclo infinito di vita, morte e rinascita?
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Pegasus Seiya, Saori Kido, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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- Questa storia fa parte della serie 'Il destino di una vita intera'
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Piccole note dell’autrice:
Questo capitolo è leggermente più corto dei precedenti.
Io però l’ho amato dalla prima all’ultima riga.
Spero che vi piaccia.


Dall’Etna al Vesuvio


Tersicore ed Urania avevano assunto nuovamente la forma di lupi da quando avevano lasciato Delo.

Camminavano dietro a Cora. Nonostante Saga ora conoscesse il suo vero nome, non riusciva a chiamarla diversamente. Si stava lasciando condurre verso la loro nuova destinazione. Il traghetto per l’Italia ci aveva messo due giorni a lasciare l’arcipelago nell’Egeo e a seguire la costa meridionale a forma di stivale da Brindisi fino a Napoli.

Appena scesi dal traghetto avevano rischiato di perdersi. La confusione del porto Beverello era molto diversa da quella del Pireo. Gente che strillava di comprare questo o quello e persone che in diverse lingue offrivano un mezzo di trasporto per il centro o la stazione dei treni.

Saga prese per un polso Cora e la trascinò fuori dalla confusione. I due lupi li seguirono.

“Dove andiamo adesso?” Chiese. 

“C’è un posto all’Avvocata, si chiama Baccanale. E lì che dobbiamo andare.”

“E ci fanno entrare i lupi?” Chiese ironizzando sull’aspetto delle due sorelle di Cora. Tersicore, che aveva assunto l’aspetto di un lupo dal pelo fulvo e brillante, guaì. 

“Credimi, in quel posto entra di tutto.” La donna lo precedette di qualche passo e Saga la raggiunse mentre lei riprendeva a parlare. “Reggi bene il vino?”

“Perché me lo chiedi?”

“Perché il prossimo dio con cui potresti parlare potrebbe chiederti di fare conversazione davanti a più di un bicchiere di vino.”

Saga non le rispose. Si limitò a seguirla in silenzio fino a quando arrivarono ai quartieri spagnoli.

Nonostante la loro fama, si dimostrarono luoghi tranquilli e affascinanti da attraversare. Saga aveva letto moltissime cose sull’Italia e la sua storia e, soprattutto quella del regno delle due Sicilie, lo affascinava moltissimo.

Raggiunsero il Baccanale verso le sette di sera. Entrarono da una porta di legno dipinta di blu e si ritrovarono in un locale caldo e accogliente fatto per lo più di legno scuro. Le sedie intorno a tavoli rotondi erano tutte intarsiate con immagini grappoli d’uva e capre mentre lungo la parete c’erano panche rivestite di tappezzeria bordeaux. 

In fondo alla stanza c’era un lungo bancone e la maggior parte degli avventori erano seduti là. Qualcuno rideva e qualcun altro imprecava. Tutti guardavano l’uomo che serviva le bevande.

“Avanti!” Diceva quello con una certa indolenza “Nessuno vuole provare? Chi indovina beve gratis.” L’uomo poggiò la caraffa piena di vino fino all’orlo e guardò i nuovi arrivati. Sorrise maliziosamente a Cora e poi guardò i lupi che si erano accucciati sotto ad un tavolo vicino alla porta.

“Siete i benvenuti! Uomini, donne e lupi!” Esclamò prendendo uno straccio e mettendosi a lucidare alcuni bicchieri.

“Sicuro che possono restare anche loro?” Chiese Saga indicando i lupi.

“Certamente. Io non giudico mai le creature che passano per quella porta dal loro aspetto!” Disse indicando l’ingresso. “Se lo facessi, diventerei povero!”  Cora fece un cenno del capo per ringraziare. “Piuttosto, volete tentare la sorte col mio indovinello? Chi da la risposta corretta, non paga.”

“E chi sbaglia?” Chiese Saga assottigliando lo sguardo.

“Mamma mia quanta diffidenza!” 

“Se non mi preoccupassi più di quanto le persone non dicono rispetto a quanto dicono, sarei morto da tempo.” Rispose Saga e l’uomo dietro al bancone rise. I suoi riccioli scuri come il vino che stava servendo poco prima si mossero.

“Un uomo con tanta razionalità è quello che fa al caso. Si tratta di uno stupido indovinello. Se sbagli dovrai pagare il conto. Un problema solo se sei entrato senza denaro. In quel caso, questo non è il posto che fa per te. Qui dentro ogni cosa ha un prezzo.”

Saga sentì alcuni uomini borbottare. 

“Parla allora, qual è l’enigma?”

“E’ semplice: più ne hai, meno te ne resta.” Saga ci pensò su un attimo poi, mentre gli uomini al bancone continuavano a dare ogni genere di risposta, parlò con decisione.

“Il tempo.” Tutti tacquero. L’uomo prese la brocca e due bicchieri e fece il giro del bancone. Raggiunse il tavolo all’angolo destro della sala e si accomodò.

“Ben fatto, signore, vieni a riscuotere il tuo premio.” Saga non se lo fece ripetere due volte. Si sedette di fronte al suo interlocutore e fece cenno a Cora di fare altrettanto. L’uomo versò loro da bere ma Cora fece cenno di no col capo. L’uomo parve infastidito e Saga si affrettò a spiegare.

“La sua religione glielo impedisce.” L’uomo lo guardò e fece spallucce.

“E la tua? Ti consente di brindare alla mia salute?”

“La mia sì. Alla tua salute. Come devo chiamarti?” L’uomo bevve un bicchiere tutto d’un fiato.

“Come vuoi, qui però mi chiamano Lisio.” Saga bevve tutto il suo bicchiere.

“E’ un vino strepitoso, Lisio.”

“Tu sai lusingare.” Disse Lisio versando altro vino nei loro bicchieri.

“So farlo ma non sono qui per questo.”

“Va bene! Puoi parlare di ogni cosa qui dentro, purché non sia seria. Le cose serie mi tolgono il sorriso.” Lisio posò il bicchiere e stavolta non era vuoto. Cora comprese che si era innervosito.

“Ci manda il mio padrone.” Disse e gli occhi di Lisio parvero farsi pece nera.

“Un padrone che impedisce di bere alle sue ancelle è un cattivo padrone.” Il lupo dal pelo nero, Urania, digrignò i denti.

“Lisio,” disse Saga, “più ne ho, meno me ne resta.” Stavolta Lisio finì il bicchiere.

“Tu sei un uomo senza padrone, vero?” Chiese versandosi ancora da bere.

“Sono schiavo della mia battaglia.” 

“Allora mi fai pena. Dovresti bere fino a dimenticare la tua guerra. Ogni uomo ne combatte una. E’ molto tempo che riempio coppe su coppe. I desideri degli uomini non finiscono mai. Scegliete sempre sfide che non potete superare prima o poi. Per quante vittorie ottenete, sfidate la sorte fino a che non andate incontro alla sconfitta. Stammi a sentire, mi sembri un tipo sveglio, uno di quelli che sanno quando è meglio defilarsi. Il mondo sta andando incontro a grandi sconvolgimenti. Uno con le tue capacità potrebbe trovare un ruolo nella trama di fitti eventi che si sta delineando. Oppure, se proprio sei saggio, puoi fare come me e rintanarti in una bettola per non farti trovare.”

“Nascondermi non è un’opzione. L’ho già fatto ma, a quanto pare, non è il mio destino. Gli dei mi hanno trovato lo stesso.” Disse guardando Cora.

“Oh! E’ così, dunque! E’ sempre una donna. Lo sai che fu una donna a scoperchiare il vaso in cui il padre degli dei aveva rinchiuso tutti i mali del mondo?”

“Ho conosciuto quella donna, non è tanto male.” Rispose Saga e Lisio trangugiò ancora vino, batté il bicchiere sul tavolo e scoppiò a ridere fragorosamente.”

“Sei ammanicato bene, saputello. La sai lunga, vero? Ad ogni modo io non voglio seguire il tuo esempio. Me ne resterò sotterrato nella mia bettola, circondato dai miei vizi, impedendo che sfruttino le mie virtù ad ogni costo. Per cui dite a quello schifoso astro di fuoco e alla mia sorellina integerrima che non voglio entrarci.” Disse agitando una mano di fronte al viso come fosse ubriaco. Cora fece come per dire qualcosa ma Saga le mise una mano sul braccio per fermarla.

“Lisio, sei stato tu a dire che ogni cosa qui dentro ha un prezzo. Scommetto pure il tuo aiuto. Ti assicuro che noi terremo la bocca chiusa se per una volta verrai meno alla tua determinazione di restare fuori dalle vicende divine che stanno succedendosi.” Lo disse tirando fuori l’ampolla di Ambrosia e spingendola con due dita sul tavolo. Gli occhi di Lisio si sciolsero e furono attraversati da un lampo. Per qualche istante non sembrò in grado di distogliere lo sguardo da quell’oggetto poi, fissò quegli occhi stravolti in quelli di Saga.

“Tu sei un demone nascosto sotto al viso di un angelo.” Saga sentì quelle parole lacerargli l’anima ma non ne diede alcun segno. “E quello schifoso dio luminoso sa cosa bramo di più. Se quella è Ambrosia, sono disposto a fare uno scambio. Dite quello che volete mentre mi ubriaco, da sobrio non vi darei ascolto.”

“Una creatura di cui ignoriamo l’identità ha assunto l’identità della mia amica,” disse indicando Cora con un cenno, “e ha portato un pò di scompiglio nel santuario di Atena. Come posso smascherarla?” Lisio bevve un altro bicchiere e si alzò. Tornò dietro al bancone e cercò qualcosa dietro a delle bottiglie di liquore.

Tornò con una bottiglia che aveva una forma arrotondata alla base. La poggiò sul tavolo accanto all’ampolla che conteneva l’ambrosia.

“Ecco qua.” Disse soltanto.

“Che cos’è?” Saga guardò il contenitore di vetro con diffidenza. Conteneva un liquido trasparente che sembrava essere acqua.

“Leggo nei tuoi occhi che non ti fidi. Sbagli. In vino veritas. Non si dice per caso. Io non mento. Mai. Questa è la soluzione al tuo problema.” Concluse indicando con un dito l’oggetto. “E posso aggiungere che se questo fosse il tuo unico problema, pretenderei un prezzo più alto per avertelo risolto. Purtroppo non è così.”

“Che intendi dire?”

“Che non fermerai il tempo. Nessuno può. Il più forte di noi non ci è riuscito. L’immortalità è una condizione. Privilegiata certo, ma non impedisce al tempo di scorrere. E agli eventi di accadere. Ora Lisio ti dirà una cosa che in pochi sanno. Forse solo quello schifoso che vede tutto prima degli altri. Lui bada bene di tenersela per sé. Forse neppure la sua lunatica sorellina lo sa. Io sì però. Io sì perché ho la saggezza di chi tutto lascia andare. La porta per il labirinto del tempo è la medesima per lo scranno più alto dell’Olimpo.” Saga si sporse in avanti.

“Che significa?”

“Quel che ho detto, ho detto. Ora prendi il tuo intruglio e va. Dovrai gettarglielo addosso e qualunque sia la maschera che indossa la tua creatura misteriosa, cadrà rivelando le sue vere spoglie.”

“Non otterrò altro da te, vero Lisio?” Disse facendo tintinnare il suo bicchiere con quello dell’ospite.

“Chi vuole tutta l’uva non ha buon vino.” Saga sorrise e bevve l’ultimo bicchiere. Si alzò e mentre Cora raggiungeva l’uscita, salutò il suo interlocutore.

“Tra tante divinità che ho incontrato, sei quella che mi va più a genio. Grazie.”

“Dicono che l’amicizia stretta dal vino non duri da sera al mattino. A dirlo sono gli astemi. Gli ubriaconi, tra loro, sono ottimi amici. Non dire a nessuno che mi hai trovato.”

“Se non vuoi essere trovato, cambia nome al locale.” Lisio rise di gusto.

“Il bello di voi uomini è che volete avere l’ultima parola anche quando non sapete che dire.”

“Addio.” Saga raggiunse Cora all’esterno.

“E’ giunto il tempo di tornare ad Atene.” Disse lei. Saga alzò gli occhi al cielo.

“E’ così. Speriamo che non sia già troppo tardi.”

“Cosa avrà voluto dire Lisio con quelle parole sulla porta del labirinto del tempo?” Saga le prese una mano e se la infilò sotto al braccio.

“Sei tu, mia cara, quella che interpreta le parole degli dei.” Cora rise ma non ritirò la mano. Si perse nel sorriso che Saga le aveva rivolto pronunciando quelle parole. Era notte ormai ma le stelle su Napoli brillavano per lei più del sole stesso.

 

――――――――――――-

 

Clio camminava nervosamente da un lato all’altro della sta stanza. Anche se aveva ripetuto mille volte a se stessa che non aveva fatto nulla di sbagliato, la sensazione di avere messo in moto una serie di eventi di cui non riusciva a prevedere l’esito e, di conseguenza, di cui non aveva il controllo, la innervosiva. Uscì all’aria aperta e camminò fino alla statua di Atena poi, dandole le spalle, tornò indietro. La voce del grande sacerdote la spaventò.

“Ha bisogno di qualche cosa, dama Clio?”

“Grande sacerdote! Sono inquieta. Ho bisogno di un luogo dove pregare. Non posso farlo qui, nel santuario di Atena.” Mur la guardò mentre si stringeva una mano nell’altra come fosse in pena. Nonostante non ci fosse nulla di strano in quello che diceva, qualcosa in quelle parole non lo convincevano del tutto. Cercò di sembrare comunque accomodante.

“E’ naturale. Ditemi come posso aiutarvi.” La donna parve pensarci su un attimo, poi rispose.

“Un luogo che abbia una sorgente, una fonte, uno specchio d’acqua qualsiasi.” Mur piegò appena la testa di lato poi sorrise.

“Venite con me.” Disse indicandole una specie di scala laterale che scendeva giù a valle. La donna lo seguì senza parlare fino a che giunsero in uno splendido giardino. Clio sorrise inalando il meraviglioso profumo di fiori che si alzava dal terreno. Sollevò lo sguardo e vide due splendidi alberi che troneggiavano nel centro del giardino. Si voltò a guardare Mur come a chiedere spiegazioni su quel piccolo paradiso in terra quando lo vide sollevare un braccio ed indicare un punto più in là. C’era un piccolo lago di acqua pulita e trasparente.

“Potete pregare qui, se lo desiderate.”

“Che luogo è questo?” Chiese ma un’altra voce rispose al posto di quella del grande sacerdote.

“Sono i giardini della mia casa. Il mio luogo di preghiera. Tuttavia se il grande sacerdote lo chiede, voi siete la benvenuta, dama Clio.” L’uomo che aveva parlato lo aveva incontrato solo una volta ma, riconosciutolo, tutto il suo buonumore svanì. Si voltò a guardare Mur ma il grande sacerdote si stava già allontanando. Era stata leggera a fidarsi in quel modo. Il sacerdote di Atena l’aveva portata da Shaka, il cavaliere d’oro che, si diceva, era più spiritualmente vicino alla dea.

“Vorrei restare sola.” Disse solo.

“Vi lascio dunque.” Shaka si voltò e fece per rientrare quando dama Clio lo richiamò.

“Perché non mi guardi cavaliere?” 

“Io vi sto guardando, invero. Con gli occhi della mente.”

“Non vi pare offensivo, cavaliere, non guardare dritto negli occhi il vostro interlocutore e per di più una donna?”

“Atena non si è mai offesa. Ella percepisce i miei pensieri e i miei intenti.”

“Se non si offende Atena, allora non lo farò neppure io.” Concluse lei e Shaka la lasciò. Clio raggiunse il bordo del lago e si sedette sul bordo. Passò una mano sul pelo dell’acqua e la superficie tremò appena.

Il volto di una fanciulla comparve.

“Ti comando.” Disse solo.

“Mia signora, ordinate.” Rispose quella.

“Notizie?”

“Solo una, mia signora. Un messaggio di Apollo. Non vuole una nuova guerra sacra.”

“Questo lo so, sciocca!” Stava per aggiungere altro quando l’immagine sulla superficie del lago prima tremò e poi cambiò. Clio sussultò.

“Cosa c’è mia signora? Ti auguravi di non vedermi più dopo che mi hai costretto ad eliminare due cavalieri d’oro?”

“Zitto! Come fai ad essere lì?” Esclamò la donna riconoscendo l’immagine di Hyperion.

“Sono ovunque tu sei. Porti ancora il frammento dello specchio con te, mia signora.”

“Allora lo getterò!” La figura nel lago rise.

“Fallo! Darai al cavaliere di Virgo un’ottimo pretesto per scatenare i suoi poteri contro di te.”

“Cosa vuoi ora?”

“Quello che vuoi tu, mia signora. La guerra che annienterà Atena.”

“Io voglio la testa dell’uccisore di dei!”

“E l’avrai. Ogni tuo desiderio sarà esaudito. Dovrai fare alcuni sforzi però.”

“Ancora?” La figura nel lago annuì.

“C’è un altro oggetto che devo avere e si dia il caso che è a pochi passi da te, nella casa del Leone.”

“Quando finirò questa stupida caccia al tesoro? Di che diavolo si tratta stavolta?”

“Un dente del leone Nemeo. E’ custodito nella casa del Leone.”

“E come ti aspetti che possa prenderlo? La casa del cavaliere di Phisces era vuota ma di certo non lo sarà quella del Leone e io sono controllata a vista anche se il cavaliere che lo fa, tiene gli occhi chiusi!”

“Farai quello che ci si aspetta da te, mia signora. Farai una profezia. Dirai al cavaliere di Virgo che Apollo ti ha parlato e che devi tornare a Delo. Che il dio richiede un dono.”

“Il dente del leone Nemeo.”

“Appunto.”

“Quindi poi dovrò lasciare il santuario.”

“Credimi, mia signora, quando avrò quell’oggetto, avranno altro a cui pensare.”

“E’ una promessa?”

“Lo è, mia signora.” La donna mosse la mano sul pelo dell’acqua e la superficie tornò trasparente. Lei si alzò e s’incamminò verso la casa di Virgo.

 

  
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