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Autore: Yanez76    25/01/2019    1 recensioni
In questa storia ho immaginato alcuni flash della vita di Elsa Schneider sia prima che dopo gli eventi narrati in "Indiana Jones e l'ultima crociata". La storia si ricollega alla mia precedente "L'ultima impresa del cavaliere del Graal" e ne costituisce un'espansione ma è di fatto una storia indipendente.
Genere: Avventura, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elsa Schneider, Henry Jones, Sr., Henry Walton Jones Jr.
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Vienna, gennaio 1938
 
Mentre camminava nervosamente lungo un vialetto del Prater, Elsa si tirò su il colletto di pelliccia, rabbrividendo per il freddo pungente.
Erano ormai passati quasi sei anni, ma le ricerche sembravano essere arrivate ad un punto morto. Avevano praticamente passato al setaccio tutto l’Adriatico orientale per cercare l’ubicazione di quella dannata Regina di Dalmazia dove avrebbe dovuto trovarsi la tomba del cavaliere, senza riuscire a cavare un ragno dal buco. L’antica Ragusa, Zara, Sebenico e Spalato si erano rivelate altrettante false piste; avevano allora pensato a Salona, l’antica città romana che custodiva la tomba di Elena di Zara, regina di Croazia, ma anche lì avevano fatto un fiasco completo ed erano rimasti con un pugno di mosche.
Maledizione! Che destino beffardo! Proprio quando la meta pareva vicina, a portata di mano, tutto sfumava, pensava Elsa sconsolata facendo volare un ciottolo con un calcio.
Ad un tratto, la sua attenzione fu attratta da un manifesto che annunciava la programmazione della Volksoper.
“Ma guarda, danno Eine Nacht in Venedig di Strauss… anche a Isaac piace l’operetta, potrei proporgli di andare a vederla assieme, ho proprio bisogno di distrarmi e rilassarmi un poco.”
Elsa iniziò a canticchiare frutti di mare quando all’improvviso si bloccò, dandosi una manata sulla fronte.
“Ma certo, è ovvio! Come ho fatto a non capirlo prima?!”
La giovane donna fece di corsa tutta la strada fino all’Università, fermandosi solo per riprendere fiato ed entrò ansimando nell’ufficio del professor Stein.
“Questa volta sono sicura, Isaac, è Venezia! La Dalmazia è stata per secoli un dominio della Repubblica Serenissima e la capitale veniva indicata come la dominante per cui la Regina della Dalmazia non può essere altro che Venezia! Del resto anche il mare Adriatico anticamente veniva chiamato Golfo di Venezia!”
Isaac annuì, senza staccare gli occhi dal giornale che stava leggendo.
“Ma… Isaac, mi stai ascoltando?! Non hai sentito quello che ti ho appena detto? Ce l’abbiamo fatta…” fece Elsa interdetta dall’atteggiamento strano del professore, che si era aspettata vedere far salti gioia nell’apprendere la notizia.
“Sì, si, Venezia dici? Può essere…”, bofonchiò Isaac distrattamente, sempre senza degnarla di uno sguardo.
“Isaac, ma si può sapere cosa ti prende? Vuoi finirla di leggere quel dannato giornale e dirmi cosa succede? È…è forse per Ester? Tua moglie ha forse scoperto di noi?”
“Dannazione Elsa!”, sbottò infine l’uomo, “Sei tale e quale ad Henry Jones! Sapete pensare solo a voi stessi ed ai vostri studi, per voi il mondo esterno non esiste! Beh, vi sbagliate: ecco cosa succede, maledizione!”, fece Isaac alzandosi e sbattendo con rabbia sulla scrivania il quotidiano che riportava in prima pagina la fotografia di Adolf Hitler, intento ad arringare una folla oceanica di nazisti.
“Mio Dio”, continuò l’uomo con un profondo sospiro, portandosi le mani alla fronte, “cosa è mai diventato il mondo? Mi sembra di vivere un incubo: sono tutti impazziti, fascisti, comunisti, nazisti, franchisti… Io non posso più rimanere qui, Elsa, è troppo rischioso: il povero Codirolli è stato ammazzato di botte a Roma dalle camicie nere di Mussolini e in Germania i nazisti non hanno pietà di nessuno, donne, vecchi, bambini...”
“Sono d’accordo con te, Isaac, ma qui siamo in Austria non in Germania.”
“Ma non ti rendi conto che Hitler vuole annettersi anche l’Austria? Ormai è questione di giorni: presto i nazisti saranno qui e lo sai cosa fanno agli ebrei come me… Maledetto imbianchino pazzo!” disse Isaac, imprecando contro l’immagine del dittatore tedesco.
“Ma Isaac, tu non sei veramente ebreo… voglio dire, quando l’altra sera siamo stati in quella heuriger a Grinzing ti sei fatto fuori un piatto intero di salsicce e poi non sei neppure… ehm, neppure circonciso…”, fece Elsa con un sorrisetto malizioso.
“E credi che a quelli importi qualcosa se non sono religioso? Se i miei erano laici? Per loro è una questione di sangue, di razza. No, Elsa, non posso lasciare che Ester e i bambini corrano pericoli: ho già dato le dimissioni dall’Università, la prossima settimana ce ne andiamo, partiamo per la Svizzera. Ho parlato con il Rettore, avrai tu il mio posto; nessuno lo merita più di te: sei la migliore allieva che abbia mai avuto.”
“Ma…e noi due? Che ne sarà di noi? Io non …non voglio lasciarti Isaac…portami con te, verrò ovunque andrai.”
“Mi dispiace Elsa, lo sai che non è possibile... Non posso lasciare Ester e i bambini, mi capisci vero?”
“Sì, certo, capisco…”, fece Elsa, distogliendo lo sguardo.
L’uomo le afferrò una mano, portandosela alle labbra.
“Elsa, senti, mi dispiace… Però, prima di lasciarci, abbiamo ancora un po’ di tempo e se… se vuoi possiamo ancora…”
“No, Isaac, credo che sia meglio di no.”, disse lei ritirando la mano, “Addio Isaac e buona fortuna.”, concluse Elsa uscendo precipitosamente dall’ufficio del professore. Non voleva che la vedesse piangere.
Elsa respirò profondamente la fredda aria invernale, mentre i suoi piedi la portavano a vagare senza meta per la città. Non ce l’aveva con Isaac, non riusciva a fargli una colpa se, in quel frangente, non se l’era sentita di abbandonare moglie e figli; anzi, se l’avesse fatto, Elsa sentiva che lo avrebbe disprezzato per la sua viltà. Tuttavia, la giovane donna sentiva che qualcosa dentro di lei si era spezzato.
Non sapeva neppure lei perché, qualche giorno dopo, avesse puntato la sveglia alle quattro del mattino e fosse uscita prima dell’alba per nascondersi in un androne, presso la casa del professor Stein, per guardarlo mentre usciva, al fianco della moglie e seguito da due bellissimi bambini. Elsa vide i loro occhi volgersi sconsolati per l’ultima volta verso la casa che erano costretti a lasciare, vide lo sguardo triste, spaventato e al contempo infinitamente tenero che l’uomo scambiò con la moglie e non ebbe più dubbi che Ester fosse l’unica donna che il prof. Stein amasse veramente. Rimase immobile a guardare la famiglia caricare le valige, salire in macchina e partire, poi rimase ancora per un po’ in quell’androne prima di uscire senza sapere dove andare, cosa fare o pensare.
Elsa riandò con la memoria a quell’estate di sei anni prima, a quel viaggio entusiasmante dalla California al New Jersey. Le sembrava di sentire ancora il vento che scompigliava i suoi lunghi capelli biondi, mentre la decapottabile attraversava rombando il torrido e spettacolare deserto americano; ripensò con un fremito ai loro corpi nudi e sudati che si avvinghiavano tra le lenzuola delle camere dei motel della Route 66, ricordò come lui avesse giurato di amarla e come tutto sembrasse perfetto: era giovane allora, innamorata, con davanti una carriera brillante. Come, in quei giorni, il futuro le pareva dischiudersi roseo e come adesso capiva che non si era trattato che di una bella illusione.
Come aveva potuto essere tanto stupida? Lei era bella, Isaac l’aveva desiderata come aveva desiderato le altre, ecco tutto. Cosa pretendeva in fondo? Si erano divertiti, lui era bravo a fare l’amore, come aveva potuto credere che ci fosse altro?
Elsa scosse la testa con decisione, cacciando a forza dalla sua mente quei ricordi struggenti.
“Basta con le sciocchezze romantiche!”, si disse, “L’amore non è altro che un’illusione, buona al più per i romanzetti sentimentali da quattro soldi.”, concluse con un sorriso amaro.
Aveva ben altro a cui pensare. Lei aveva un obiettivo nella vita: il Graal.
Da quando era diventata l’assistente del professor Stein, Elsa aveva dovuto ingoiarne parecchie di occhiate maliziose, battute e frecciatine da parte dei “baroni” universitari, quei professoroni paludati che non riuscivano in alcun modo a prendere sul serio una studiosa di sesso femminile. Per loro, lei era sempre rimasta solo l’amichetta che il professor Stein si era preso come assistente per portarsela a letto. Beh, tutti quei vecchi barbogi tronfi e pieni di pregiudizi avrebbero dovuto ricredersi quando sarebbe giunto finalmente il momento in cui lei, Elsa Schneider, una donna, avrebbe trionfato dove tanti uomini avevano fallito: lei avrebbe sollevato la sacra coppa tra le sue mani e sarebbe stata sempre ricordata come colei che aveva ritrovato il Graal.
Elsa si esaltava sempre di più a quel pensiero; sì, era così, andava dicendo a se stessa, era quella l’unica cosa ad avere davvero importanza, solo il Graal contava e lei ormai avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di averlo.
Alcuni mesi più tardi, Elsa era seduta davanti ad una cioccolata calda fumante al tavolino di un caffè del centro; finalmente la fortuna aveva iniziato a girare nel verso giusto: il professor Henry Jones si era mostrato subito entusiasta quando lei gli aveva comunicato la sua ipotesi che il cavaliere fosse sepolto a Venezia. Jones le aveva anche detto di essere stato contattato da un facoltoso mecenate, un certo Donovan, un miliardario americano proprietario di una miniera in Turchia dove era stato ritrovato il frammento di una stele di pietra che indicava il luogo in cui era custodito il Graal. Purtroppo il frammento non era sufficiente ad individuare il luogo esatto; ma quel ritrovamento confermava che la leggenda diceva il vero e che erano sulla strada giusta. Jones era certo che nella tomba a Venezia fosse stata posta una seconda stele con le indicazioni dettagliate su dove trovare la coppa e aveva invitato Elsa ad unirsi a lui per una spedizione sul posto che Donovan si era generosamente offerto di finanziare. Le cose sembravano finalmente mettersi bene; era certa che quella sarebbe stata la volta buona.
“Dottoressa Schneider?”, risuonò una voce fredda dal marcato accento prussiano.
Assorta nei suoi pensieri, la donna non si era accorta dei due uomini che si erano avvicinati al suo tavolo. Portavano entrambi l’uniforme tedesca, uno delle Schutzstaffel l’altro della Gestapo.
“Non perdono certo tempo questi, sono entrati in Austria solo da un paio di giorni…”, pensò Elsa, reprimendo il suo disgusto. Non sopportava quei fanatici che, tra l’altro, le avevano fatto perdere Isaac.
“Cosa volete? Non mi pare di conoscervi…”
“Colonnello Ernst Vogel”, si presentò l’ufficiale delle SS, “desideriamo porgerle gli omaggi di un suo grande ammiratore.”
“Ditegli che, se desidera parlarmi, all’Università gli daranno il mio orario di ricevimento.”, fece freddamente Elsa
“Temo non sia possibile… Vede, si tratta del nostro amato Führer, Adolf Hitler. Il Führer è molto interessato alle sue ricerche sul Graal e, adesso che lei è diventata tedesca, dopo che l’Austria è stata accolta in seno al glorioso Reich millenario, vorrebbe darle un posto al nostro Istituto di Cultura Ariana.”
“Mi dispiace, non mi occupo di politica…”, fece Elsa evasiva.
“Suvvia, dottoressa Schneider, in fondo lei è la figlia di un eroe di guerra, dovrebbe essere contenta di vedere come il nostro Führer stia guidando i popoli germanici verso la vendetta per la sconfitta del 1918.”
Punta sul vivo, Elsa scattò: “Non si permetta mai più di nominare mio padre! Lui non era un militarista, credeva nella convivenza pacifica di tutti i popoli dell’Impero non nel vostro Terzo Reich. Lui aveva giurato fedeltà alla dinastia degli Asburgo non certo al vostro dannato Führer!”
“Non le conviene fare la furba con noi!”, sbottò l’uomo della Gestapo che finora era rimasto in silenzio, “sappiamo molte cose su di lei fräulein, sappiamo come ha avuto il suo posto all’Università e dei suoi rapporti con Isaac Stein.”, sbraitò il nazista buttando sul tavolo alcune fotografie che la ritraevano in pose compromettenti assieme ad Isaac.
Elsa digrignò i denti per la rabbia: era stata spiata! Come avevano osato quei maledetti?
“Cosa significa questo? Un ricatto? Mi spiace per voi, ma io non ho un marito a cui dover render conto delle mie azioni. La mia vita privata sono affari miei; non ho fatto nulla di illegale.”
“Nulla di illegale?”, fece il nazista con un risolino isterico, “Una donna di stirpe germanica che si accoppia spudoratamente con un membro di una razza inferiore commette un crimine contro la razza ariana! Noi sappiamo tutto, fräulein Schneider, sappiamo che per avere il suo posto all’Università lei ha aperto le cosce a quello sporco giudeo!”
SCHWEIN!!!”, urlò Elsa, balzando in piedi ed assestandogli un furioso manrovescio che fece risuonare tutto il locale.
L’uomo della Gestapo fece per reagire, ma un cenno di Vogel lo fermò.
“Calma, calma”, fece Vogel mellifluo, “il mio aiutante ha usato forse parole forti, ma noi non possiamo più tollerare che nelle Università del glorioso Terzo Reich insegnino esponenti delle razze inferiori né quanti si sono fatti contaminare dal contatto con elementi ebraici. Sappiamo che gli Ebrei vogliono corrompere la purezza della razza ariana e per far ciò sono molto abili ad insinuarsi e a conquistare la fiducia della gente. Lei si è lasciata insozzare da quel giudeo che, dopo averla usata per i suoi scopi nefandi, è fuggito per sottrarsi alla giusta punizione per i suoi crimini.”
Elsa avvertì un conato di vomito nel sentire le ripugnanti parole del nazista, chiuse gli occhi e rivide Isaac con la moglie e i bambini e, in cuor suo, ringraziò il cielo che fossero in salvo. Avrebbe voluto alzarsi e sputare in faccia a quei due nazisti; ma rimase immobile. Sapeva bene che ora erano loro ad avere il coltello dalla parte del manico.
Vogel sorrise e continuò con tono condiscendente: “Tuttavia, il nostro Führer nella sua immensa bontà e generosità, è disposto a perdonarla, dottoressa Schneider. Se lei dimostrerà di redimersi, accettando la nostra generosa offerta, non avrà nulla da temere, diventerà una figura di spicco del nostro prestigioso Istituto di Cultura Ariana.”
“Cosa…cosa dovrei fare?”
“Oh, ma quello che aveva già programmato: lei andrà a Venezia con il professor Jones e dovrà ricavare da lui tutte le informazioni utili per i recupero della coppa che poi naturalmente riferirà a noi.”
“Come fate a sapere del progetto del professor Jones?”
“Come ha già visto, noi sappiamo molte cose, dottoressa Schneider”, rispose Vogel, con un ghigno sinistro, “Walter Donovan ci ha informato su tutti i particolari ed ha già organizzato il suo incontro con Henry Jones a Berlino. ”
“Donovan? Anche lui lavora per voi?!”
“È un uomo intelligente che ha capito chi saranno i prossimi dominatori del mondo. Lei verrà con noi a Berlino dove le verranno date le istruzioni necessarie, poi incontrerà Jones. Dovrebbe ringraziarci, fräulein, noi le stiamo dando la possibilità di realizzare il suo sogno, lei avrà l’incommensurabile onore di trovare la coppa per consegnarla al nostro Führer.
Elsa rimase a lungo in silenzio, tentando di riordinare i pensieri che le tumultuavano nel cervello. Una spia nazista, ecco quello che le proponevano di diventare, pensava con raccapriccio. Certo, avrebbe potuto fuggire all’estero, come aveva fatto Isaac, ma avrebbe perso il suo posto all’Università e, senza i finanziamenti di Donovan, la ricerca del Graal non sarebbe potuta proseguire. No, non poteva rinunciare a tutto ciò per cui aveva lottato tutta la vita, non adesso che era così vicina.
Non credeva ad una sola parola dei deliri razzisti di Vogel, tuttavia non era neanche più una ragazzina ingenua per credere ancora alla bontà, ai sentimenti e simili illusioni romantiche. Ormai aveva imparato a sue spese come andava il mondo: chi voleva ottenere qualcosa doveva prenderselo, usando tutti i mezzi necessari. In fin dei conti, anche il professor Stein l’aveva ingannata facendole credere di amarla per avere da lei quello che voleva, adesso sarebbe venuto il suo turno e anche lei si sarebbe presa ciò che voleva.
Il suo viso assunse un’espressione dura e determinata. Il Graal sarebbe stato suo, avrebbe fatto qualsiasi cosa per averlo, qualsiasi cosa…
Ovviamente, una volta trovata la coppa non aveva la minima intenzione di consegnarla a quel pazzo di Hitler, avrebbe trovato un modo per tenersela. In fondo, per una intelligente come lei non sarebbe stato poi troppo difficile farla in barba a quella banda di fanatici idioti, pensò tra sé per calmare gli ultimi sussulti della coscienza.
Pochi giorni dopo, la dottoressa Elsa Schneider partiva per Berlino.
   
 
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