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Autore: Pachiderma Anarchico    04/02/2019    1 recensioni
Yuriy si guardò allo specchio, e ciò che vide non gli piacque affatto.
La bianca pelle del volto era porcellana purissima, intatta e liscia come la prima neve.
Non un graffio, non un livido a testimoniare l'aggressione subita la notte precedente.
Un normale ventiduenne sarebbe caduto sotto a quei colpi, un normale ventiduenne sarebbe morto.
Ma non lui.
Non lui con quegli occhi azzurri e l'anima in tempesta.
Per sei anni non aveva alzato un dito, per sei anni non aveva più parlato quella lingua, familiare e inconfondibile, ed era bastata una miserabile, stramaledettissima notte perché il suo corpo si ricordasse com'è che si uccide un uomo.
. . .
-E poi c'è Mosca.- esordì la voce limpida e gelida di Serjei, che si sedette sul divano e prese la Vodka che Yuriy gli aveva stancamente allungato.
-Già..- Yuriy si massaggiò le tempie, abbandonandosi contro lo schienale. -Cosa volete scatenare, una ribellione?- proruppe, sarcastico.
I due ricambiarono il suo sguardo, immobili e seri come il russo non li aveva mai visti.
-…Non starete dicendo sul serio.-
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boris, Julia Fernandez, Kei Hiwatari, Un po' tutti, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Eccomi con il quarto capitolo!
Momento di passaggio, decisamente più rilassato di quello precedente, ma iniziamo ad entrare nel vivo della storia.
Perdonate eventuali errori e grazie a tutti, come sempre.



 


This is my kingdome come.



 

4. 

Ecco dov'era sotterrato il cane.





 
 
Kai sentiva di potersi rilassare, finalmente dopo giorni di tormentose voci concitate e persone invadenti nel suo raggio d'azione solitamente silenzioso, completamente incuranti della privacy altrui e del lieve bisogno di alcune persone di arrivare ad un certo punto della giornata con la propria sanità mentale intatta.
Era disteso su un lettino candido in una stanza ombreggiata da tende color miele, le quali donavano ai raggi del sole un confortevole bagliore dorato, l'aria profumava di sandalo e resina e un rilassante motivetto orientale contribuiva a rendere quella visitina alle terme Nature Daikanyama la scelta migliore che avesse compiuto da parecchio tempo.
Il fuoco continuava ad ustionargli la pelle come a chiunque altro sulla faccia della terra, quella pazza bislacca di una Memore li aveva quasi consegnati dritti nelle mani di Vorkov e nessuno gli aveva ancora spiegato perché dovessero stare tutti a casa sua come nei peggiori film horror.
Ma andava tutto bene, in fin dei conti era ancora in possesso delle sue lucide falcoltá intellettive, le azioni dell'azienda Hiwatari andavano a gonfie e vele e lui poteva permettersi tutti i vizi a cui la sua esistenza agiata l'aveva ormai abituato.
'Va tutto bene' si ripeté, mentre il melodioso flauto del motivetto andava inabissandosi sotto la voce della creatura di cui in quel momento avrebbe volentieri fatto a meno.
"Non dovevate andare da soli e per giunta impreparati. Potevate morire, o peggio."
"Ce ne siamo accorti Rei, grazie tante."
"Dovete capire che non tutti sanno lottare a mani nude o impugnare un'arma o uscirsene dalla finestra dopo averla fatta saltare in aria."
"Quella è stata un'idea di Daichi."
Rei si sedette su una panca in legno, prendendosi la testa tra le mani.
"Non potete coinvolgere gente che non ha idea di come ci si comporti nel peggiore dei casi Kai."
Kai cercò di concentrarsi sul torpore dei fumi aromatici che fuoriuscivano da congegni appositi.
Poi rispose, in tutta calma: "Non sono la balia di nessuno."
Rei sospirò.
"Allora dobbiamo perlomeno imparare le tecniche di base per difenderci e... spiegare a Takao che potrebbe capitare ancora di vedere le persone farsi del male davanti ai nostri occhi."
"Potrebbe? Capiterà certamente. Glielo spieghi tu? Cosa dice Daitenji?"
"Che ha già allertato le autorità della questione e sullo stato dall'allarme. Vorkov è un terrorista ricercato in non so quanti stati, ma adesso è chiuso lì dentro e quel Monastero è come un bunker inaccessibile, e con il regime di terrore che ha instaurato non si può certo andare a bussare alla sua porta e chiedergli di-"
"Rei, io ti ringrazio per questo riassunto breve e conciso, ma non potresti andartene a pascolare in qualche altro prato per un'ora?"
Il cinese si alzò di scatto, iniziando a misurare il perimetro della stanza con la testa bassa e le mani giunte dietro la schiena.
"Come fai ad essere così calmo sapendo che qualcuno potrebbe venire ad ucciderci in questo preciso momento?" Lo guardò per un secondo. "E sul tuo corpo ci sarebbe solo un'asciugamano in spugna a coprirlo."
"Esiste modo migliore di andarsene?"
"Per non parlare di Max che si ritrova un taglio dietro la testa lungo quanto la Muraglia Cinese e la voglia di prendere a pugni qualcuno, non si è ben capito chi."
"É perfettamente normale il risentimento dopo essere stati stesi come un defic-"
"Non dirlo." Rei scosse la testa, sollevó un una pietra profumata e la annusó. "Sai, credo di aver frequentato troppo Takao, sto diventando vagamente logorroico."
"Ah lo stai diventando giusto ora?"
Kai poggió il mento sulle mani intrecciate, schiudendo una palpebra soltanto per lanciare un'occhiata alla porta e accertarsi che la massaggiatrice non si fosse persa, lasciandolo in balia di Rei.
"Ma poi cosa significa che Lai mi dica: 'Caro Rei, tu sei come un fratello per me, ci conosciamo da quando eravamo così piccoli da non ricordarlo'", si mise a pavoneggiarsi in giro imitando la voce seriosa di Lai e il suo cipiglio severo. "Ti voglio così bene da non riuscire a esprimerlo a parole, non c'è persona al mondo di cui mi fidi di più ed è per questo che te lo confesso, da fratello a fratello: spero che mia sorella si fidanzi ufficialmente con Michelle, le fa la corte da mesi ed è un bravo ragazzo, con la testa apposto, nessun grillo per la mente, lavoratore..' capisci? Me lo dice perché mi vuole bene!" e irruppe in una risatina nervosa.
Kai annuì, non per l'entusiasmo di partecipare a quella conversazione, ma perché almeno iniziava a scorgere all'orizzonte il vero problema.
"E sai chi è la sorella di Lai? Mao."
Il nippo-russo fece un cenno sarcastico con gli occhi chiusi. "Davvero?"
"Sì, sì. E sai Mao con chi sta? Eh? Lo sai?"
Kai lasciò che i secondi scorressero nel silenzio, prima di alzare le spalle.
"Non ne ho idea."
"Con me! 'Le fa la corte'... ma in che cazzo di epoca pensa di trovarsi Lai?!"
Kai a quel punto dovette scollarle per forza le ciglia le une dalle altre, giusto per non perdersi l'opportunità di vedere Rei in balia di una crisi di nervi.
L'amico non parlava mai a quel modo, padrone di una tranquillità zen quasi insopportabile, ma evidentemente gli affari di cuore (e la maionese di Max) mandavano a farsi benedire anche i monaci thaoisti dentro di lui.
"Ma voi due avete già pensato al modo di dirlo a Lai, vero?"
Il cinese si specchió negli occhi ametista del compagno, improvvisamente perso, con il chiaro atteggiamento di chi non aveva preso neanche in considerazione l'opzione.
Annuì velocemente.
"Certo. Che domande? Ne parliamo tutte le sere."
"Immagino."
"Ci abbiamo già pensato. Certo."
"Bene."
E per Kai la conversazione poteva anche finire lì, su quella tacita concordanza di intenti, su quel fingere pigramente che Rei non andasse nel panico al solo pensiero che la sera facessero ben altro che parlare di Lai.
Chiuse gli occhi e i passi del cinese si avvicinarono alla porta.
'Sí... vai... vai...'
La porta si aprì.
'Vai così... un altro po'...'
"Mi ucciderà."
“Anche io Rei, anche io.”
"Come dovrei fare secondo te? Chiamarlo con Skype e dirglielo attraverso una webcam? O chiamarlo al telefono? O meglio: scrivergli una lettera e poi sparire."
'Ti farei sparire io.' pensò sfinito Kai.
"Mi darò alla macchia."
'Ti darò un pugno."
"Potrei semplicemente-"
"Farla finita."
"Ma-"
"Rei, giuro sul mio onore di marmotta che stasera, dopo che avrò ristabilito un contatto pacifico con il mondo e tutti i suoi fastidiosi abitanti, troveremo una soluzione. Stasera. Riesci a resistere fino a stasera?"
Il cinese schiuse le labbra, inspirò, fece per parlare e...
"Non è una domanda. Resisti. Altrimenti chiedi aiuto a Mao. Di' a Mao che te la fai sotto al solo pensiero di dire al fratello che vuoi stare con lei."
Rei questa volta non proferì parola. Ma fece qualcosa che nessuno, in anni di esistenza, avrebbe mai pensato di poter vedere.
Non da lui.
Sollevó una mano, lentamente, come se neanche lui ci credesse. Chiuse le dita, ne rimase solo uno alzato, e proprio quello decandava un gesto inconfondibile.
Il medio.
Rei Kon gli fece il medio.
Poi scomparve dalla stanza.
Kai si passò due dita sulla fronte, un sorriso tirato a increspargli le labbra piene.
Era ancora l’inizio e ne aveva già abbastanza.
 
 
***
 
 
-Sei impazzito?-
-In che altro modo dovremmo fare?-
-Ma ti pare che io vada a dirgli una cosa del genere!?-
-Come dovremmo fare?-
-Oh andiamo, sembra che tu debba giocare a palla con un porcospino.-
-Non è questo il punto, non so cosa dirgli.-
-Qualsiasi cosa per scollarlo dalla finestra?-
-Da quando lo conosco non è mai stato fermo per così tanto tempo.-
-Anche per noi che lo conosciamo da prima di te è uno shock, credimi.-
-Come dovremmo fare?-
-Daichi! Ci stiamo arrivando!-
-Non mi pare.-
-Max no, Daichi no...- il ragazzino pestò un piede per terra e colpì in pieno quello di Kappa.
-Perché no?!-
-Per questo motivo- rispose Hilary, indicando con un eloquente gesto Kappa, il quale saltellava dal dolore sul posto reggendosi il piede con le mani. -Per la tua innata delicatezza.-
-Che palle.-
-Vado io. Sono la sua ragazza dopotutto… no?-
Hilary li guardò tutti, quasi augurandosi che qualcuno protestasse platealmente con un "ma io l'ho sempre amato!" per salvarla dai doveri della fidanzata leale.
Con quale faccia avrebbe detto al suo ragazzo che la morte di una donna non avrebbe dovuto tenerlo sveglio la notte se quella aveva ripetutamente tentato di ucciderlo, quando lei non era stata neanche presente all'accaduto?
Non aveva visto il corpo cadere, la vita spegnersi come il sole al tramonto, il sangue scorrere, gli occhi chiudersi per sempre.
Scosse la testa.
-Max tu hai visto cos'è successo, va' la dentro e fai l'uomo.-
-Io sono ferito. E poi Rei è più uomo di me. Vero Rei?-
-Io non c'ero nemmeno, a malapena ho capito com'è successo dalle parole di Gianni. Vi lascio immaginare.-
Il nippo-americano fece per replicare, ma Rei alzò una mano, proseguendo.
-Il racconto è andato più o meno così- si schiarí la voce, allargò le gambe, inspirò profondamente e... -"Botti, vetri rotti, schianti, urla, soprammobili e pallottole vaganti, quadri spezzati e BOOM!"- si spalmò due mani sulle guance, le labbra articolate in una "O" perfetta.
Max, Hilary, Kappa e Daichi lo fissarono per cinque secondi buoni prima che uno dei quattro si decidesse a risvegliarlo dalla catalessi.
-Eh?- lo spronò Kappa.
-E... niente, questo è stato tutto ciò che mi ha detto.-
-Ho sempre sospettato che in quelle università da ricconi si fanno di qualcosa di veramente ma veramente forte.- commentò Max, accarezzandosi il mento glabro con aria pensierosa.
-Concentrazione ragazzi!- sbottò la brunetta.
-Sembra facile a dirsi Hil.- Kappa si aggiustò gli occhiali sulla fronte.
La frangetta del colore delle foglie autunnali era tagliata più corta e, finalmente, il volto rotondo rivelava un paio di brillanti occhi castani incastonati nel suo incarnato olivastro.
Più maturi dell'ultima volta.
Meno propensi all'ottimismo, alle sfide infinite e alle scommesse sui campi di battaglia.
Più adulti, più sfuggenti, più logorati.
Volevano chiuderli i conti, una volta per tutte.
-Okay, facciamo così.-
-Fate cosa?-
Un affascinante viso a forma di cuore dai tratti felini si affacciò nel lungo corridoio sul quale si era riunito il piccolo gruppo.
Gli occhi di denso miele scintillavano come monete d'oro colpite dai raggi del sole.
Hilary si puntò le mani sui fianchi.
-Decidiamo se in questa casa CI SONO leoni o conigli.-
-Io tecnicamente sarei una tigre.- puntualizzò Rei con il tono di chi la sa lunga e il solito cipiglio superbo che sfoggiava quando qualcuno metteva in dubbio il suo coraggio.
-Ehi! Fino a prova contraria nessuno è niente, non sappiamo ancora se in tutta questa storia c'è qualcosa di vero.-
Daichi puntò l'indice contro Max.
-Dici così solo perché tu sei una tartaruga!-
-Io non sono una tartaruga... e poi che ca- tutti si voltarono -..volo c'entra.-
Mao sospirò.
-Credevo che stessi per dire la parola con la "C". Temo che dopo non sarei stata più la stessa.-
-Credo che abbiamo ancora molto da temere.- Rei la prese per mano, sfiorandole il dorso con le labbra.
-Ma noi saremo insieme ad affrontarlo, vero?- La ragazza lo guardò negli occhi dorati, splendidi come sempre.
-Non sarai mai sola.-
Hilary si prese la fronte tra le mani, Kappa si guardò intorno con aria imbarazzata, Max li osservò estasiato, Daichi urlò, in barba a imbarazzo e buona educazione: –Prendetevi una stanza!-
Rei sorrise sfiorando la fronte della ragazza con la propria, poi si allontanò.
-Davvero ragazzi, che state combinando?- riprese Mao.
-Takao ha fatto fuori una tipa invasata che ha tentato di far fuori lui prima che lui la... facesse fuori.-
Mao si strinse la mano libera sulla bocca, inorridita.
-Non l'avrà...-
-Sí- annuì Daichi, allegro che avesse afferrato subito.
-No, no, no, non è come pensi!- cercò di rimediare Hilary. -...Ha cercato di farlo fuori!-
-Questo l'avevo capito. Ma com’è successo? Rei,- Mao inarcò un sopracciglio sottile e affilato come gli artigli di un gatto, -cos'è successo?-
Il cinese questa volta alzò entrambe le mani, mostrando i palmi in assoluto segno di resa, mentre la ragazza gli pesava addosso con il suo sguardo acuto. -Per l'ennesima volta: io non c'ero.- 
-Okay- proruppe Kappa, e strinse il nodo del cravattino che indossava ventiquattr'ore su ventiquattro, sette giorni su sette, trecentosessantacinque giorni l'anno con una convinzione che stonava con il suo amichevole viso da Golden Retriever.
Max giurava da anni di avergli visto addosso un pigiama con lo stesso cravattino disegnato sopra, ma la leggenda narrava che Kappa non lo mostrasse neanche a sua madre e che nessuno era realmente certo della sua esistenza. Tranne Max.
-Facciamogli una premessa...-
-Qui non si fanno promesse. Sperate di non aver distrutto qualcos'altro in casa mia perché vi incollo un francobollo in fronte e vi rispedisco da dove siete venuti. Qual è il problema stavolta?-
-Il problema- ridacchiò Max, passandosi una mano tra i capelli d’oro zecchino, -qual è il problema chiede lui.-
-Il problema, Kai- rispose Hilary, -é che Takao è diventato la rappresentazione vivente di Tutankhamon. Gli manca solo il sarcofago e poi potrebbe venire esposto in un museo e nessuno si accorgerebbe della differenza.-
-Non è stato un incidente, se ho capito bene.-  Mao guardó Hilary, notando la preoccupazione nei suoi occhi scuri, e le sfioró un braccio con affetto.
La sua amica non riusciva a nascondere mai niente con quello sguardo da cerbiatta, da quando la conosceva le emozioni le schizzavano da pupilla a pupilla come un freesbe incontrollabile.
-No, non lo è stato... Beh, veramente sì, quella ci ha quasi fatti ammazzare, tutte quelle parole per tenerci lì fino all'arrivo di Brooklyn e Garland.- Max incrociò le braccia.
-Brok... merda.-
-Esatto. E ora Taka..-
-Aaah! Spostatevi.- Kai si fece largo con stizza. -Facciamola finita con questa riunione di condominio. Gli parlo io.-
I sei ragazzi si scambiarono un'occhiata più allarmante di una sirena rossa, lampeggiante e nel bel mezzo di un incendio, ma fu Rei a parlare.
Come sempre quando si doveva trattare con un Kai al limite della sopportazione ed evitare un'imminente catastrofe.
-Ne sei sicuro? Voglio dire, non ho dubbi sulle tue capacità oratorie,- (-come fa a non avere dubbi se l'abbiamo sentito parlare sì e no due volte?- bisbigliò Daichi), -ma non credi che il tuo essere avvezzo a... tutto quello, possa risultare un tantino troppo.. sincero?-
Kai aggrottò le sorpacciglia. -Vuoi addolcire la pillola, fammi capire.-
-Tu non brilli per delicatezza- Hilary si fece avanti. -E in ogni caso, dovrei farlo io- alzò il mento, -devo farlo io.-
-Sì? E cosa gli dirai Hilary –se non sono indiscreto- una volta che ti troverai davanti lo sguardo di un diciannovenne che ama il lavoro di squadra, crede nell'amicizia incondizionata più di qualsiasi altra persona al mondo, ha un debole per le abbuffate, ha sempre lottato per la giustizia e e ha appena pugnalato a more un essere umano?-
Hilary si sentì sommersa di ogni singola parola che si riversò dalla bocca del nippo-russo, come una cascata di acqua bollente, come un labirinto senza uscite.
-Voi conoscete Takao, ma lo conosco anch’io. Inoltre, so cosa si prova e non gli mentirò. Non fingerò che sia una cosa da niente, fingerò che si possa andare avanti.-
Max scambiò uno sguardo carico d'intesa con Rei.
Era fin troppo chiaro. Fin troppo spaventoso.
Da certe cose non ti riprendi.
Da certe cose non ti riprendi mai più.
Lasciano solchi profondi nella pelle, graffiano il cuore, deturpandolo per sempre.
Afferrano l'anima e la lacerano come branchi di bestie affamate, fino a quando non è rimasto più niente, niente di umano a cui aggrapparsi.
Niente che valga la pena.
-Takao andrà avanti perché si è leggittimatamente difeso, e noi dovremo fare lo stesso. Se ci blocchiamo per questo non ci muoveremo più.-
-Per questo? Ti sembra roba da poco??- sbottò Mao, incrociando le braccia.
-Questo è niente.- Rei scorse negli occhi di Kai ciò che aveva visto innumerevoli volte nel corso degli anni: fuoco e fiamme.
Non sarebbe stato facile.
La strada era ancora lunga, il cammino incerto, la certezza della fine vana.
Annuì, prima che chiunque altro potesse intervenire, annuì.
-Conosci Takao tanto quanto lo conosciamo noi, se non di più. Ci fidiamo di te, lo sai.- guardò Kappa. -Noi nel frattempo cercheremo di imparare qualcosa sulle tecniche di difesa personale, vero Professore?-
-Eh? Sì sì…- Kappa annuì meccanicamente, senza avere la benché minima intenzione di farsi prendere a pugni dai russi, divertiti dai suoi ridicoli tentativi di lottare con l’aria.
Forse Sergej non avrebbe riso di lui, ma la sua stazza era quella di una piccola montagna e lui, con la punta dei suoi capelli, gli arrivava a metà coscia.
Kai entrò nel soggiorno e chiuse la porta dietro di sé.
Il più piccolo era piegato sul tavolino tra il camino e le poltrone, scrivendo qualcosa su un quaderno.
Le ametiste negli occhi di Kai vennero immancabilmente catturate dal camino spento, e resistette all’impulso di appiccare il fuoco a quei tocchi di legno che se ne stavano freddi e muti.
Il nippo-russo si sedette sul divano, prendendo il tabacco e gettando un paio di cartine sulle gambe, iniziando a rollarsi una sigaretta, un passatempo in cui aveva lanciato se stesso dopo aver visto Boris farlo un minimo di dieci volte al giorno nelle ultime tre settimane.
Preferiva da sempre le sigarette, più comode e veloci, nonché più belle esteticamente, ma ultimamente qualsiasi cosa potesse occupare cinque minuti del suo tempo, distraendolo dai pensieri in cui si rintanava la sua mente e dai flashback che minacciavano di divorarselo vivo, aveva tutto il suo supporto.
Takao stava riassumendo un paragrafo di un libro universitario con velocità frenetica; Kai sapeva bene che il fumo lo faceva diventare matto (più del solito).
Lo avrebbe guardato.
Due boccate di fumo, due espirazioni e l’avrebbe guardato per intimargli di spegnere “quel coso”.
Continuò a fumare in silenzio, osservando svogliatamente come la luce del lampadario giocava sui contorni del suo anello blasonato, godendosi la libertà di poter fumare in casa senza che suo nonno gli piovesse addosso come un’arpia inferocita.
-Kai.-
Come non detto.
Il più grande si stiracchiò indolente, spalmandosi sul bracciolo e allungando una mano per far penzolare la cartina fumante tra un tiro e un altro.
Spirali di fumo si librarono nell’aria, angeli dalle ali d’argento.
Kai li osservò perdersi nell’aria, inghiottiti nell’invisibile, prima che il suo nome venne pronunciato per la seconda volta, con più stizza.
-Kai.-
Il più grande inspirò un’altra volta.
-Mmh.-
-Spegni quel coso.-
-Che stai facendo di così importante?-
-Non importa. Sai che mi da fastidio.-
-Mmh.-
Takao posò lentamente la penna sul tavolino.
-Non puoi fumare da qualche altra parte?-
-Questo era il mio soggiorno una volta.-
Uno scatto del busto.
Takao scattò come una molla.
-Allora me ne vado io!- Si alzò bruscamente. –Basta dirlo!-
Kai lo guardò in silenzio (continuando a fumare) mentre chiudeva il libro, prendeva il quaderno, andava a passo di marcia verso la porta, la aprì, la chiuse e tornò esattamente dov’era prima, rigido in piedi, con una mano sul fianco e una sulla fronte.
Kai gli indicò con un cenno del capo di sedersi accanto a lui e spense la cartina, gettandola nel posacenere.
Takao si sedette, più spossato di quanto fosse mai stato, più provato di quanto Kai l’avesse mai visto. E Kai l’aveva visto nei suoi momenti peggiori.
Questa volta sembrava semplicemente senza via d’uscita: mancava la classica, salvifica porta d’emergenza di Takao Kinomiya, che conduceva in qualche discorso positivo, in qualche sua battuta alleggerisci-tensione, in un sorriso coraggioso, nella certezza che a tutto c’è una soluzione.
Questa volta Kai avrebbe dovuto fare del suo meglio, perché Takao non aveva mai avuto bisogno di consolazione, né di discorsi a tu per tu sotto un cielo stellato, ma di battaglie a cielo aperto e discorsi sfrontati.
Perché questa sera non faceva freddo, ma Takao tremava.
Guardava fisso davanti a sé, le mani strette sulle ginocchia, gli occhi immobili sullo specchio dorato sopra il camino, che non vedeva davvero.
Avrebbe mai avuto il coraggio di guardare il suo riflesso?
-Non avrei mai creduto di dover affrontare questo discorso con te- sospirò Kai. –E’ irreale, come se Max si fosse messo a sparare a cuccioli di Panda.-
Takao si limitò a guardarlo.
-Non una risata, né l’accenno di un sorriso… E’ più grave del previsto.-
-Tu che dici? Ti sembra una cosa da berci una birra sopra Kai? Quante persone hai visto morire in vita tua?- Takao scosse la testa. -Non rispondere.-
Kai notò la schiena dritta dell’altro fino allo spasimo, le vertebre che rischiavano di sbriciolarsi su loro stesse tanta era la foga di restare dritti sotto al peso dei ricordi.
Conosceva questa sensazione.
Si fece schioccare le dita. –So cosa si prova Takao, e so anche che non servirà a niente dirti che ti sei difeso, e che quella donna altrimenti ti avrebbe ucciso. Ti avrebbe ucciso, Takao.-
I riflessi blu sui capelli del ragazzo catturarono la luce quando scosse la testa, desiderando più di ogni altra cosa dimenticare quella parla: “uccidere”.
-E se avessi avuto l’occasione l’avrei uccisa prima io.-
Il compagno avvertì tante piccole fitte nei palmi delle mani, tanto stava stringendo le dita.
Che forma hanno le unghie quando incidono la pelle?
-Come puoi dire una cosa del genere così?- sbottò Takao.
-Perché è la verità, ed è la vita. O lei o te, o io o Garland, o Boris o MingMing, o Rei o Mystel, o noi o Brooklyn, o Yuriy o Vorkov. E’ stato così ieri e sarà così domani. Queste sono persone che vogliono renderci tutti schiavi, credi che mi rammaricherò della loro morte? No. Credi che dormirò la notte? Nemmeno. Non ho più dormito davvero dalla prima volta che qualcuno è morto sotto le mie mani. Vuoi sapere cos’ha fatto Yuriy dopo la prima volta? Non riusciva a frenare le lacrime.- Kai annuì, mentre Takao non credeva alle proprie orecchie. –Ha pianto una notte intera. All’alba del giorno dopo tutte le lacrime si erano diseccate, e non ha pianto mai più.-
Kai abbassò lo sguardo sulle mani contratte dell’altro.
-Rilassa quei pugni, si sopravvive. Anche se sei Takao Kinomiya si sopravvive.-
Takao inspirò profondamente, ma i respiri non avevano lo stesso sapore.
La stessa leggerezza.
Era diventato improvvisamente difficoltoso mettere un piede davanti all’altro, voltare la testa, parlare.
-Questo non ti ha reso un essere umano peggiore, Takao. Ti ha reso un essere umano, con i suoi incubi e i suoi rimpianti.-
Il più piccolo si prese la testa tra le mani.
Kai rivide se stesso, in quella notte di un po’ di anni fa, quando il mondo sembrò implodere.
E’ sempre la stessa voragine alla bocca dello stomaco, sempre lo stesso urlo in gola, pronto a varcare la soglia delle labbra e manifestare l’orrore ma che, alla fine, se ne rimane in silenzio.
-Non credo di potercela fare.-
Kai giocò con il secondo buco sul lobo dell’orecchio destro, dov’era incastonato un piccolo rubino. Vero, ovviamente.
In fondo, se l’aspettava.
Se l’aspettava davvero, che Takao si arrendesse?
Avrebbe mai potuto prevedere un avvenimento del genere?
Annuì. –D’accordo. Se non vuoi continuare Takao, se non vuoi farne parte lo capirò. Tutti noi lo capiremo.- Kai si sollevò dal divano e si piegò sulle gambe dinnanzi a lui, in modo da guardarlo in faccia.
-Ma se vuoi andare avanti dovrai accettare il cambiamento. Dovrai mettere in conto che non sarai mai più lo stesso, che nessuno di noi dopo tutto questo sarà più lo stesso, e che ricapiterà di vedere sangue, efferatezza, e persone cadere davanti ai nostri occhi. Se non sei pronto a dire addio alla persona che eri, quella che dormiva sonni tranquilli, aveva sempre una parola di conforto e separava bene e male con una linea netta e invalicabile, fermati qui.-
Kai aveva parlato senza distogliere neanche per un attimo gli occhi di porpora scura da quelli blu notte dell’altro, cercando di leggervi la risposta all’interno.
Takao era troppo buono per tollerare tutto questo.
Ma in fondo, non lo erano stati tutti?
-Devo… devo capire- mormorò Takao.
Cosa, ancora non lo sapeva.
Ma sentiva di dover restare solo per un po’, per capire se avrebbe mai trovato la forza di perdonare se stesso.
Kai si raddrizzò. Lo osservò per un attimo, prima di andare verso la porta.
-Con che cosa hai acceso la sigaretta?-
Kai si fermò, voltandosi.
-Con l’accendino.-
-Ne sei sicuro?-
Il nippo-russo si frugò nelle tasche, sfiorando l’accendino con le dita.
-Sì, è qui, mi sembra di averlo usato per accendere.-
-Ti sembra?-
-Takao, eri tutto assorto dai tuoi mulini mentali, come cazzo hai fatto a vedere se ho usato o meno l’accendino? E poi, chi se ne frega?-
-Kai- Takao si voltò verso di lui, restando saldo sul divano come se il minimo movimento potesse fargli dimenticare ciò che stava per dire. –Tu non hai usato l’accendino per accendere quella dannata sigaretta. Ne sono convinto, non l’hai usato. Non l’hai proprio tirato fuori dalla tasca.-
 
 
***
 
 
-Pravilno, fai così. Porti le mani davanti al viso, una più in alto e una più in basso, perché se ti colpiscono alla gola hai… quanta probabilità hai di morire, Borja?-
Boris riemerse con la testa dal pacco gigante di patatine che era andato a comprare al supermarket più vicino (Hiwatari era un salutista di merda) e bonfonchiò: -90%!-, poi si mise seduto godendosi la scena.
-Esatto, hai il 90% di probabilità di morire, quindi tieni la guardia sempre alta.-
Kappa deglutì, mentre il suo cervello iniziava a calcolare addizioni ed equazioni complesse per aggrapparsi a quel cruciale 10%. Ma non era una questione di calcoli.
Il suo erudito sapere non avrebbe potuto far molto, e non aveva i riflessi abbastanza pronti da utilizzarlo per elaborare strategie.
Non aveva niente di abbastanza pronto al momento, avvertiva solo i battiti del cuore nelle orecchie e le guance accaldate.
E non era nemmeno un vero combattimento.
Serjei era enorme in confronto a lui (beh, in confronto a chiunque altro, Rick lo eguagliava e soltanto Moses lo superava) e le spalle erano immense, piazzate e dure come roccia.
No, Kappa non aveva nessuna intenzione di toccarle, o essere toccato da loro, o da qualsiasi altra parte del corpo di quel russo dai capelli biondo platino e la mascella squadrata.
-Pronto?-
Kappa annui, saltando da una parte all’altra come gli aveva mostrato almeno quindici volte.
Secondo il parere di Serjei lui avrebbe dovuto puntare tutto sull’agilità e sulla velocità, essendo minuto e leggero.
Avrebbe preferito essere grosso e pesante, con qualche muscolo definito come i suoi: uno dei suoi polpacci conteneva più massa muscolare di quanta ne avesse Kappa in tutto il corpo.
Serjei venne avanti e il diciannovenne indietreggiò di scatto.
-Aspettaaspettaaspetta!-
Sospirò, richiamando alla mente il corso di Yoga.
Estraniarsi dall’ambiente circostante, respirare a fondo, trovare il proprio baricentro…
-Ehi moccioso!- lo chiamò Boris. –Dovremo aspettare ancora molto per vederti con qualcosa di rotto? Sto finendo le patatine!-
Kappa espirò profondamente: poteva svenire da un momento all’altro.
Sarebbe svenuto da un momento all’altro.
Non era colpa sua se il contatto fisico lo terrorizzava!
-Ehi cazzone!- Rei guardò Boris. –Stai zitto o vai a comprare un altro pacco di patatine, e questa volta non dimenticare la confezione intelligenza in omaggio.-
Boris lo guardò in cagnesco, il mite verde foglia dei suoi occhi si trasformò in due accette affilate, assordanti come motoseghe in funzione.
-Cinesino… attento, non spingerti dove non puoi arrivare.-
-Ci sono arrivato una volta- sorrise Rei, mentre Max cercava di zittirlo, –e ho vinto.-
Il volto nordico di Boris si accartocciò su se stesso, poi rischiò di esplodere come una bomba a orologeria.
-Ti ricordi bene Kon. E ricordi anche come sei finito in ospedale o vuoi che te lo faccia provare di nuovo?- ringhiò.
Il pericolo lampeggiava nei suoi occhi come un faro in mezzo a una tormenta di vento.
Ma Rei non sembrò notarlo, o fece finta di non vederlo.
-Quando vuoi, Boris- rispose con quel tono ragionevole che mandava puntualmente il russo fuori di testa. -Non ho avuto paura allora, non vedo come tu possa farmene ora.-
Boris faceva paura, eccome.
Con muscoli vistosamente in rilievo, le sopracciglia arcuate come unghie di falco, negli occhi fredde distese di erba gelida e un paio di labbra che diventavano sottili come il vento che sguscia sotto ad una porta chiusa, faceva tremare le viscere alla sola illusione di essere sfiorati da una delle sue nocche consumate da anni di pugni.
Ma Rai se ne stette lì, perfettamente fermo, stabile sulle gambe fasciate da un pantalone di tuta bianco, insolito nell'abbigliamento sportivo, con gli occhi felini che riflettevano le costose auto di Kai, lì nel vasto deposito-auto in cui era stato allestito quel mini ring.
Perfettamente padrone di se stesso.
Boris arricciò la bocca in una smorfia gelida, come una crepa sull'asfalto.
-Le cose cambiano.-
Rei scosse pacatamente la testa.
-Certe cose non cambiano mai.-
Si sentí tirare dalla manica e si voltò, incontrando i limpidi occhi di Max.
-Vogliamo ripescare i ricordi del passato proprio oggi? Eddai.- mormorò, guardando Boris di sottecchi.
-No, infatti. Io e Boris stavamo solo discutendo di vecchi rancori. Ora siamo tutti dalla stessa parte,- Rei lanciò un'occhiata obliqua al russo, -o sbaglio?-
-Cosa stai insinuando?!-
Questa volta la ruggine gli graffiò sonoramente in gola.
Boris era a tanto così dal perdere le staffe.
E Boris non perdeva le staffe.
Era un freddo calcolatore, uno stratega dall'autocontrollo inviolabile.
Provocava, sbuffava, faceva stronzate, giurava amore eterno a un minimo di tre ragazze ogni sera e si sbronzava alla grande, pagandone le conseguenze il giorno dopo in mal di testa e conati di vomito, ma non perdeva la testa.
Ma niente, niente lo mandava in escandescenza come quel cinese.
Yuriy li osservò da lontano, con il fondoschiena poggiato al cofano di una delle Porsche di Kai.
Boris era abituato a incutere timore, con la sua natura aggressiva e il carattere forgiato da anni di torture fisiche e psicologiche; Boris era abituato a vedere i suoi nemici stramazzare al suolo o farsi sotto nelle mutande non appena roteava il collo per farselo schioccare, ma Rei era resistente, troppo resistente per i suoi gusti.
E coraggioso.
E reggeva al dolore in modo innato, un'abilità che Boris era stato costretto ad acquisire.
Yuriy ricordava ancora come la lama di un coltello gli facesse dolere lo stomaco dalla paura, come i tagli sanguinavano e sanguinavano e sembrava non dovesse finire mai, che mai si sarebbe abituato al dolore.
Ma la goccia che cade sempre sullo stesso punto consuma la roccia, la lama che taglia sempre lo stesso punto tempra la pelle.
Fino a non provare più niente.
Fino a salutare il dolore come un vecchio amico.
Fino a volerlo come una madre, a desiderarlo come si desidera il corpo di una donna, perché ti mostra che non ci sono limiti che possano trattenerti, nessun steccato che tu non possa fare a pezzi con la forza di un calcio.
-Non insinuo nulla, ma questo atteggiamento ostile mi fa pensare. Temo che dovremo collaborare se vogliamo avere anche solo una possibilità di vincere.-
Boris avrebbe senz'altro trovato altro da dire nonostante la diplomazia di Rei e la granitica logica delle sue osservazioni se Kappa non fosse caduto di botto, con la schiena spalmata a terra come marmellata su un toast.
-Sì! Vai Professore! Una caduta da maestro!- sbraitò Daichi comparendo accanto a Max.
-But.. che stai dicendo?- gli domandò quest'ultimo.
-Sostengo gli amici, nei buoni momenti e in quelli sfigati. Questo mi sembra uno di quelli sfigati... Forza Professore! Ma... é morto?-
Boris scoppiò a ridere.
Kai si materializzò dall'altro lato del garage.
-Serjei! Ti avevo avvertito di andarci piano.-
-Ma se ho fatto pianissimo...- Si piegò sul corpo steso del Professor Kappa. -Ehi, mi senti?-
Kappa sbatté le palpebre un paio di volte.
E questa fu tutta la sua reazione.
Kai si avvicinò, saltò agilmente sul ring e gli tastò il polso.
-Beh, è vivo.-
Si alzò scuotendo le spalle.
-Forse dovreste sollevarlo da terra Kai?- suggerì Max, grattandosi una tempia.
Il nippo-russo guardò a terra, verso il corpo in via d'estinzione di Kappa, poi di nuovo Max. -Dici?-
Serjei lo sollevó il più delicatamente possibile.
-Tu non partecipi alle missioni fisiche, tu stai davanti al computer e dirigi le operazioni, O K A Y ?- gli disse Serjei, articolando ogni sillaba come se fosse sordo. -Se qualcuno ti attacca, tu lanciagli contro il computer, O K A Y ?-
Kappa sbatté di nuovo le palpebre, ma per una volta sola, segno che stava per morire.
-Io lo porto di la prima che collassi.-
Max e Daichi se lo presero a braccetto. -Professore adesso ci facciamo una bella tazza di the caldo con i biscotti che prepara la cuoca di Kai, io sopra ci metto la maionese, tu una bella bustina per il mal di testa e passa tutto eh? Magari anche un po' di ghiaccio.- constatò, toccandogli la nuca in cerca di ferite.
-WOW,- Boris gettò il pacco vuoto di patatine in un porta rifiuti -la salvezza del mondo è in una botte di ferro.-
Yuriy soffiò una risata sul collo della bottiglia di Vodka che reggeva in mano.
-Non è un po' troppo presto per bere? No, dico, sono giusto le..- controllò l'orologio -le dieci del mattino.-
-Allora è tardi.-
Julia si sistemò sul cofano dell'auto accanto alla Porche dove stava poggiato Yuriy, osservando Kai, Boris e Serjei che discutevano di qualcosa al centro del ring.
-Fanno sempre così?- Non ricevette risposta, perciò continuò. -Rei e Boris.-
-È una storia lunga.-
-Takao me l'ha accennata.-
-Allora ripassala, che poi t'interrogo.-
-Sei sempre così acido?-
Il rosso fece schioccare la lingua al sapore di pesca.
-Aspro como un limón.- riprese lei, quasi rammentandolo a se stessa.
Yuriy bevve un sorso. -Cosa vuoi Julia?-
-Non la sai la regola di non bere prima delle dodici? E soprattutto, di non bere a stomaco vuoto? Tu hai fatto colazione... vero?-
-Ushi vyanut...- bofonchiò lui.
-Eh??-
-Mi si stanno avvizzendo le orecchie.-
-Ah.-
Cinque secondi di perplesso silenzio e...
-Eh??-
-È un modo di dire, porca miseria. Come a dire "mi stai annoiando". Non si usa da te?-
-Qué va, hombre, para nada.-
-...Eh?-
Julia scoppiò a ridere.
La sua risata era una musica leggera e contagiosa, come i campanellini che suonano quando si entra in un negozio, come le strade di Cuba.
Incrociò le gambe avvolte nei jeans attillati, con un motivo floreale sulla coscia destra.
Anche così chiunque poteva facilmente scorgere la sinuosità delle gambe.
Chiunque tranne Yuriy, che da quando era comparsa non l'aveva guardata neanche per sbaglio.
-D'accordo hombre, che ne dici allora di rendere la conversione più interessante? Insegnami a combattere.-
-Sto facendo i salti di gioia.- commentò il russo, portandosi la bottiglia alle labbra.
-Oh, vamo..- Julia si bloccó quando dal trio al centro del ring qualcuno esclamò: -Ecco dov'è sotterrato il cane!-
La madrilena spalancó gli occhi.
-Altro modo di dire.- puntualizzò Yuriy, sollevando la Vodka nella loro direzione.
Boris gli fece "OK" con i pollici.
-Ma che razza di modi di dire avete?! Cosa vorrebbe significare?-
-Significa che sono arrivati a capire dove sta il problema.-
-Que problema?-
-Il nodo cruciale della questione.-
-Que questione?-
-Diamine, come faccio a sapere di che stanno parlando se sono qui con te?-
-Aiaiaiaia... non hanno avvisato il capobranco?-
-Non devono dare conto a me. Non sono Vorkov.-
-Lupi una volta, lupi para siempre.-
Questa volta Yuriy la guardó, e con irruenza.
-Ma che dici? Tu non sai niente di noi, non c'eri al primo campionato mondiale e non c'eri al monastero, quindi che t'interessa a fare?-
-Mi interessa perché non mi piace lottare contro i fantasmi, e Andrew mi ha raccontato muchas cosas, e lui non ha questa grande stima di te. Però me dijo todos quello che sa.-
-Esci con lui ora?-
-Che t'interessa a fare?- rispose lei con lo stesso tono del russo.
-Non m’interessa, voglio solo conoscere i punti deboli degli individui con cui mi alleo. Se Andrew McGregor sarebbe ben contento di spiattellare il segreto dell'immortalità al primo paio di belle gambe che gli passano davanti, voglio saperlo.-
Julia alzò gli occhi al cielo. -Pensi sempre al peggio, vero?-
Yuriy si passò un sorso di Vodka tra le guance, prima di guardarla di nuovo negli occhi. -E non sbaglio mai.-
-Peró hai anche ammesso che ho delle belle gambe.-
-Non mi sembra.-
-È così.-
-No.
-Sí.-
-No.
-Claro.-
-Net.-
-Claro que sì.-
-Claro que net.-
-Mi insegni a combattere?- ripeté la madrilena, passando una mano tra i lunghi capelli ondulati.
-Perché dovrei?-
-Perchè sono tua alleata.-
-Chiedi a Boris, è più bravo.-
-Ma io ho visto combattere te.-
-Hai visto anche Boris.-
-Embè?-
-Chiedi a Kai allora.-
-Tz! Kai mi manda fuori di testa peggio di te! Due minuti con lui che mi dice che sono una frana in qualcosa e lo mando al Paraíso! No, gracias.-
-Serjei.-
-Troppo differenza di stazza per una principiante.-
-Ivan- suggerì Yuriy, osservando il sedicenne unirsi al gruppo dei connazionali al centro. -Ivan è
scattante, agile, veloce e terribilmente astuto,- le gettó un'occhiata quasi sdegnata, -e penso proprio che tu dovrai puntare sulla velocità se vorrai imparare qualcosa.-
Julia ebbe il fremente impulso di spaccargli la bottiglia di Vodka in testa.
-Voglio che m'insegni tu.-
Una dichiarazione. Netta e precisa.
Senza preamboli, né giochi di ruolo, né mezze frasi sussurrate al vento, con la speranza che l'altro non senta.
Voleva lui perché, nonostante la luce sadica negli occhi e nonostante il "crack" delle ossa di quell'uomo gli rimbombasse ancora tra le pareti della mente come un'eco infinito, era esattamente quello il modo in cui voleva imparare a difendersi: senza temere il contatto, senza temere di esser toccata.
Senza temere il peggio.
Quando Yuriy combatteva si estraniava completamente dalla realtà circostante, come perdersi tra i tasti di un pianoforte: solo che lui lo faceva con il sangue dei nemici.
Non pensava minimamente che qualcuno potesse colpirlo, era una possibilità che non considerava mai, troppo esperto e troppo sveglio.
Chi lotta per sopravvivere ha la stessa brama di rispetto negli occhi, la stessa fame di vita.
In questo non erano diversi.
Julia lo ammise allora, stravaccata sulla carrozzeria di una macchina di lusso, a guardare il profilo tagliente del rosso.
Yuriy non l'avrebbe ammesso a se stesso, figuriamoci dirlo ad alta voce a lei.
E rispose, come chi non ha nulla da perdere.
-L'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re, querida.-
La spagnola scese con un saltello dall'auto.
-Fortuna che io soy una regina.-
-Però qui non ci sono sudditi.-
Lei arricciò il naso come una bambina e si allontanò, ma non prima di aver pronunciato con astio: 
-Quanto sei antipatico Ivanov.-
 

 
  
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