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Autore: PiscesNoAphrodite    05/02/2019    3 recensioni
[...] Mi sovvennero quei piccoli sauri che sovente sorprendevo ritemprarsi al sole, immobili sulle pietre roventi, i cui battiti del cuore si scorgevano susseguirsi rapidamente attraverso l'esile strato di pelle squamosa. Creature subdole e indifese, al tempo stesso. Lucertole...
***
Ipotetico Post-Ade narrato dal pov dei personaggi di Lizard Misty e Pisces Aphrodite... I Saint sono stati riportati in vita da Athena ed emergono antichi rancori.
(I personaggi descritti in questa storia non mi appartengono ma sono proprietà di M. Kurumada.)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hound Asterion, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Gli Eletti, capitolo II

 

 

 

IV

 

 

Il messaggio

 

 

Le parole di Aphrodite mi sono state di conforto, dovrebbero esserlo state semplicemente perché è stato lui a pronunciarle... eppure, l'inquietudine non mi aveva dato tregua.

L'episodio di quel giorno ha portato un cambiamento significativo alle mie abitudini. Non ho più ricevuto ragguagli in merito al mio status, non so se questa condizione si protrarrà a lungo, ma temo di non attribuirgli la dovuta importanza. Ho perso ogni interesse per il futuro e ciò mi atterrisce, mi sconvolge.

Queste giornate inoperose e inconcludenti, sono terribilmente lunghe, e le attività alle quali ho scelto di dedicarmi spero che riusciranno a colmare il vuoto. Catalogare i libri alla biblioteca del Santuario è una scusa per trascorrere buona parte del tempo in solitudine, senza l'assillo dei parigrado che continuano a domandarmi, con insistenza, quando e come sarò riabilitato.

Ricordo bene la disposizione interna dell'edificio, l'avevo visitato in varie occasioni per consultare dei testi quando ero un semplice apprendista. Non sembra molto diverso da allora: la sala principale è ampia e luminosa, grazie alla luce che viene filtrata dai lucernari disposti nella volta a cupola, l'aula è ancora adorna di eleganti statue e - esattamente come ricordavo - cinta da colonne ioniche che si trovano adiacenti ad altre sale dove sono custodite un numero spropositato di opere, che spaziano dalle più recenti alle più antiche. Sono uscito un attimo fuori, curioso di vedere se vi fossero state apportate modifiche: sul retro si affaccia il solito giardino, dove avevo l'abitudine di appartarmi a leggere, il cui perimetro rettangolare è circoscritto da colonne rosate e, al centro del quale, è situata una vasca di pietra destinata alla raccolta dell'acqua piovana. Non è cambiato niente, soprattutto il fatto che si tratti di un posto tranquillo, e la tranquillità è ciò che più desidero in questo momento.


Era concentrato su lettere e numeri da assegnare ai vari testi, un lavoro noioso all'apparenza, ma che aveva il pregio di esorcizzare molti pensieri negativi. Al termine del quale avrebbe provveduto a reperire un qualsiasi libro per sé, da leggere la sera prima di addormentarsi, purché non trattasse il tema della mitologia classica e affini. Stava affrontando un periodo in cui provava un'avversione naturale per argomenti e luoghi che l'avevano sempre affascinato, ma non poteva lasciare la valle sacra di sua iniziativa allo scopo d'intraprendere un viaggio, sebbene lo desiderasse ardentemente.

Quella parvenza di quiete fu interrotta da una richiesta che suonò pretenziosa alle orecchie di chi non era incline a dispensare favori e chiacchiere, in un momento cruciale della giornata e, tanto più, se formulata dall'algido Camus.

Se posso trovare un testo in breve tempo? Come no! Il Santo d'Argento si voltò, levandosi dalla scrivania e dalle carte su cui era chino, incrociando lo sguardo di Aquarius che sostava al di là del bancone. Non potevano dirsi amici, non vi era nulla ad accomunarli se non, forse, un'egoistica propensione a salvaguardare i propri interessi personali. Malgrado ciò avevano l'abitudine di conversare in madrelingua quelle rare volte che s'incontravano. Je prendrai le temps nécessaire, pas moins, gli aveva risposto indispettito, dopo aver preso visione del tagliando sul quale era specificato il titolo dell'opera prescelta.


Camus non ricordava di essersi imbattuto in una persona più indisponente – forse, non lo era stato nemmeno Milo, nei suoi momenti peggiori. Misty non aveva smussato il tratto della personalità che lo caratterizzava da quando era un bambino, dall'epoca in cui gli aveva impartito lezioni di Greco. Riconobbe che una tale sfacciataggine sarebbe giovata a quel sentimentale di Hyoga... E, tutto sommato, stentava a tollerarla rivolta verso se stesso, concluse Camus scrutando in quello sguardo gelido quasi quanto il proprio, penetrandolo come con l'apice acuminato di una lancia. Misty scomparve dalla sua vista e fece ritorno dopo un lasso di tempo che non poteva definirsi breve: cosa che aveva già dato a intendere con la scortese premessa iniziale. Aveva con sé il volume richiesto, lo depose sul bancone e non pronunciò una sillaba.

“Ti vedo adatto a questo ruolo" lo schernì Camus, "molto meglio che nelle vesti di Santo di Athena” continuò, per provocarlo, in risposta ai suoi modi sgarbati.

Sortez Camus, sei stato servito. Adesso puoi togliere il disturbo” rispose l'altro di rimando, assottigliando lo sguardo per volgerlo al soffitto dorato con malcelato fastidio.

Era troppo, troppo sfrontata quella replica per lasciarla passare sotto silenzio. Camus avrebbe voluto reagire e fare rapporto ma, in quel momento, prese il libro senza spiccicare una parola, il buon senso lo aveva dissuaso dall'intraprendere una contesa per futili motivi – per quanto si potessero considerare banali. Lui, no, non era affatto privo di difetti per ergersi a giudice...


Misty l'osservò allontanarsi, in silenzio, assorto nei propri pensieri. E, dal canto suo, riconobbe di essersi rivolto in modo brusco nei confronti dell'unico connazionale presente al Santuario, ma non si era pentito più di tanto. Un'ondata di rancore verso quel luogo, incluse le persone che vi risiedevano, sembrava investirlo ripensando al proprio vissuto. Abbassò lo sguardo sul registro dove annotava le cessioni e i caratteri svolazzanti sulla carta parvero animarsi fluttuandogli davanti agli occhi azzurri.

Si era attardato oltre il necessario, senza accorgersi dell'orario segnato dalla meridiana, e non poteva continuare a disertare il luogo dove si pranzava in comunione con i parigrado e i membri delle altre caste. Prese con sé il libro che aveva già adocchiato e si diresse all'esterno della biblioteca. Nella sala adiacente, i servitori, le ancelle e pochi altri, non lo degnarono di uno sguardo. Era stato così facile perdere la fiducia e il rispetto delle persone, quanto sarebbe stato arduo riconquistarli. Andare contro il sistema per una buona causa, nella quale valorizzare il proprio ruolo e quello dei suoi pari, a suo avviso sottovalutati, non lo aveva innalzato né nobilitato bensì messo in cattiva luce. Dunque cos'erano bene e male, giustizia e iniquità, se si riducevano a meri concetti distinti da un confine così labile? Egli ripensò, lungo il tragitto, alle parole confortanti che Aphrodite aveva avuto per lui: lo faceva ogni qualvolta gli balenassero cattivi pensieri. Sebbene ciò non bastasse a fugare tutti i dubbi, perlomeno riusciva ad attenuare un poco quel velo di malinconia che incupiva il suo sguardo e gli ottenebrava la mente, come le nubi che, diradandosi, svelano il cielo terso.

 ~

Il refettorio era gremito di gente e la maggior parte non notò la sua presenza. Tranne qualcuno che l'aveva adocchiato puntandogli il dito contro con aria di scherno. Si approssimò al tavolo principale per servirsi, selezionando le vivande desiderate e riponendole nel vassoio fingendo di non vedere nessuno, con somma delusione di chi si stava divertendo alle sue spalle. Si premurò di guadagnare la solita posizione appartata e, guardandosi intorno, scorse i propri commilitoni sopraggiungere. Finalmente, si disse sospirando. Poteva dirsi al sicuro e al riparo dagli attaccabrighe. Aveva qualcuno dalla sua parte su cui poter contare.

“Questa situazione si sta protraendo troppo a lungo, e deve finire.”

“A cosa ti riferisci, Babel?” Misty distolse l'attenzione dal cibo nelle terraglie. Non era del tutto ignaro del positivo ascendente che esercitava sui parigrado. Era una dote innata, grazie alla quale alcuni – molti – pendevano letteralmente dalle sue labbra.

“A Shaina, quella donna è incapace di stare al comando.”

A quelle parole il Santo si voltò, anche se perplesso, appositamente per incrociare lo sguardo di alcuni presenti, tentando di scandagliare i loro animi. Ancorché si sentisse lusingato dall'idea di essere insostituibile: “La verità è che vi dà fastidio stare agli ordini di una donna. Ma Shaina è molto efficiente, lo è molto più di me.”

“Efficiente quanto insopportabile!”

“Asterion, per favore... La realtà è che io vi ho trattato, sempre, in modo troppo amichevole” soggiunse, dopo aver notato la presenza dell'amazzone con la quale si scambiò un cenno furtivo a distanza. Lei sedeva al fondo della sala, accanto a Marin, ed entrambi non avrebbero potuto udire quei discorsi – tantomeno leggere sulle labbra, dalla posizione in cui si trovavano. Ciò lo rasserenò, sebbene intuisse che Shaina fosse a conoscenza delle dicerie che la riguardavano. Chiuse gli occhi e reclinò il capo in avanti, per un breve istante, cingendosi le tempie doloranti.

“È un incapace. Con lei al comando regnano il caos e la discordia.”

“Dovrete farci l'abitudine, perché il futuro è un'incognita. E adesso, abbiate la compiacenza di lasciarmi mangiare in pace, senza costringermi ad ascoltare le vostre chiacchiere oziose” concluse, temporeggiando prima di portare alle labbra un boccone, temendo che gli andasse di traverso a causa di quei discorsi farneticanti. Era quasi al limite della sopportazione. Aveva sperimentato la mentalità misogina del Santuario, in passato, ed essa aveva turbato la sua infanzia; ricordava di essere stato un bambino sensibile ed era convinto che la leggerezza delle persone con cui aveva dovuto imbattersi l'avesse indotto a perdere quella sensibilità. Di conseguenza provava una sincera ammirazione verso le poche amazzoni del Santuario, costrette a celare il volto dietro una maschera d'argento: spesso dotate di uno strenuo coraggio, superiori rispetto ad alcuni uomini, ma tenute in scarsa considerazione.

Shaina sarà presto la vostra unica guida perché io ho deciso così, sentenziò Misty tra sé e sé. Quella non era una situazione provvisoria ma una scelta che aveva meditato a lungo, ancor prima di essere destituito dal suo incarico.

Fu l'ultimo ad alzarsi da tavola, in compagnia di Asterion.

“Verrai ad assistere alle esercitazioni, quest'oggi?”

“No, non metterò piede nell'Arena, non prima di aver riguadagnato il mio status" sospirò, ravviandosi la chioma fulva. Una scusa, e un gesto superficiale con i quali celava malumore e insofferenza dinanzi alla prospettiva dell'ennesima giornata vuota. Si sentiva del tutto privo d'interessi e spirito d'iniziativa, ma confidava nell'onestà di Asterion, che per abitudine evitava di avvalersi del proprio dono e non si azzardava a sondare nella sua mente.

“Ti capisco. Trovo tutto questo... surreale.”

“Eppure...” il pensiero che stava per formulare rimase in sospeso, incompleto, non espresso a causa della comparsa di una terza persona. Un messo gli consegnò un plico sigillato, porgendoglielo con deferenza. Soppesò l'involucro senza dargli troppa importanza, inserendolo tra le pagine del libro che aveva davanti.

“Saranno buone nuove?”

“Non posso saperlo, Asterion. Almeno finché non deciderò di aprirlo. E ti confesso che ciò non suscita la mia curiosità.”

“Come puoi dire che non t'interessa, soprattutto nella situazione in cui ti trovi... ?”

“Gli darò un'occhiata più tardi, e poi ti farò sapere” concluse Misty per accontentarlo, manifestando un blando sorriso sulle labbra. “A dopo.”

Era impaziente di uscire da quel luogo troppo affollato nel quale rischiava di fare spiacevoli incontri. Le maldicenze sul conto altrui, che aveva dovuto ascoltare suo malgrado, lo avevano infastidito a sufficienza.

 ~

Tutto a un tratto perse l'equilibrio, barcollando, ma riuscì a sostenersi per tempo aggrappandosi al bordo della vasca; scorgendo il proprio riflesso – congiunto al bagliore abbacinante del sole – sulla superficie cristallina increspata da cerchi concentrici. Indugiò, prendendo un respiro, serrando le palpebre, per poi risollevare lo sguardo: i contorni delle forme circostanti gli parvero indefiniti, tremolanti, come avviluppati da una vaga foschia. Si accostò al rubinetto della fontana per bere un sorso d'acqua e inumidirsi i polsi, dopodiché recuperò il libro che aveva deposto su un gradino. A volte non si capacitava di essere redivivo, in quella dimensione reale, ma aveva l'impressione di non aver abbandonato del tutto il regno delle ombre – come se persistesse a vegetare in una parvenza di sogno...

Dopo una breve sosta s'incamminò giungendo sul versante antistante la piazza principale, all'imbocco del vicolo silenzioso, che l'avrebbe condotto nei pressi della sua abitazione. Al riparo dai raggi diretti del sole, trovò qualche attimo di tregua dalle proprie incalzanti riflessioni. Fino a quando non percepì un cosmo ben noto: e una figura di donna, aggraziata, flessuosa e agile come una gazzella, lo raggiunse accorrendo al suo fianco con fare circospetto. Shaina...

“Posso accompagnarti?” esordì lei, e lui annuì. “Volevo solo ringraziarti per la considerazione che dimostri di avere nei miei confronti” riprese a dire Shaina.

“Non mi devi nulla" le rispose il ragazzo, procedendo con lentezza e continuando a fissare il percorso innanzi a sé.

“Ma vorrei darti un consiglio, se posso” soggiunse lui. Così rallentò l'andatura e, sospirando in silenzio, si fermò per sedersi su un basso muretto di pietra e, cominciando a massaggiarsi le tempie, disse: “Distogli la mente da ciò che ti causa sofferenza.”

Shaina era sorpresa, non ricordava che il compagno d'arme fosse dotato di empatia o, perlomeno – se lo era – aveva celato molto bene le sue qualità negli anni passati. E lei, in effetti, continuava a soffrire. Ma era un dolore composto che non credeva riuscisse a trapelare dal proprio essere, almeno, non così tanto al punto che Misty, o altri, lo notassero. E come aveva fatto lui a rendersene conto, così preso dalle proprie vicissitudini? Forse, perché quello che stava passando lo rendeva suscettibile ai problemi altrui?

“Dimentica chi ti ha trattato con sussiego, perché non merita il tuo interesse” Il Santo d'Argento la riscosse bruscamente da quel rimuginare.

“Tu sai, chi?!”

“Lo sappiamo tutti, mia cara.”

“Ci siamo riconciliati tempo fa" gli confidò lei sviando prontamente il discorso, dissuasa da una sorta di pentimento per essere incappata nel rischio di lasciarsi andare a confidenze private. “Anche se, immagino tu abbia delle buone ragioni per odiarlo. Ti tratta sempre con sufficienza, persino l'ultima volta ti ha insultato. Come se lui potesse vantare attributi da vero uomo” insinuò Shaina, alludendo alla stessa persona.

“Invece io non lo odio. Non mi è simpatico, tutto qui... ormai non faccio più caso a certe sciocchezze. Una volta, Asterion mi ha consigliato di riservare le mie attenzioni a chi mi attribuisce la dovuta importanza” mentì, fingendo di non dare troppo peso ad affermazioni che ne ledevano l'autostima, e che concorrevano ad alimentare un rancore mai sopito.

“E con questo, cosa vorresti dire?”

“Nulla, Shaina. È che hai sprecato le energie dietro alla persona sbagliata, sminuendo le tue doti di amazzone agli occhi degli altri, quando invece potevi dedicarti a chi ne era davvero degno” replicò lui, distratto da altri pensieri che balenarono all'improvviso nella sua mente.

Chissà com'è il suo viso? Qualcosa mi dice che dev'essere molto bella... Le sue iridi azzurre erano come polle d'acqua limpida: la fissò con intensità, col proposito di catturarne anima e sguardo sebbene fosse celato. E, nonostante ciò, aveva la sensazione che lei stesse piangendo. Intuì di averla messa in imbarazzo, e chinò il capo di riflesso verso le proprie le mani che giacevano in grembo – concentrandosi su qualcos'altro. Lei lo osservava attraverso la maschera, che in alcuni momenti era come una benedizione, un salvifico ausilio atto a celare le proprie emozioni. E non gli era mai sembrato così bello – un emissario degli dèi tra gli uomini, oppure lo stesso dio Apollo che si celava dietro una falsa identità. A dire il vero non aveva mai contemplato il mondo che la circondava, con attenzione, perché fuorviata dall'unico pensiero e obiettivo che le stava avvelenando l'esistenza: Seiya di Pegasus...

Protese una mano verso di lui con un movimento del tutto involontario, come a voler saggiare la morbidezza di quei boccoli biondi, ma la ritrasse d'istinto, non vista. E, in quel mentre, Misty materializzò una rosa gialla, screziata d'arancio, per poi rivolgersi di nuovo alla Sacerdotessa dell'Ofiuco porgendole il fiore profumato che cingeva con delicatezza tra le dita affusolate.

“Prendila. Deponila sulla tomba del nobile Cassios.” Detto questo si alzò in piedi e fece per allontanarsi.

Misty! Lo richiamò lei, attraverso il cosmo, ma lui proseguì imperterrito col chiaro intento di sfuggirle. Strinse il libro contro al petto, e camminando dimenticò del piego inserito tra quelle pagine, smarrendo lo sguardo oltre il sentiero di pietra e ciottoli bianchi: forse, noi Santi d'Argento, siamo nati sotto il segno di una cattiva stella.

 ~

Misty percorse quei pochi gradini in salita, che conducevano al piano rialzato sul quale si affacciava il piccolo giardino fiorito. Giunse a varcare la soglia di casa e si sedette allo scrittoio: lontano da occhi indiscreti spezzò il sigillo e dispiegò l'involto per leggere il messaggio, rasserenandosi nel momento in cui apprese il nome del mittente.

 

Ciao, Misty. Sarò breve e conciso in questa missiva. Ho avuto modo di discutere col Gran Sacerdote e con la nostra divina Athena e posso rivelarti, con piacere, che dalla conversazione è emerso il rammarico di Saori Kido in merito ai pregiudizi espressi nei tuoi confronti.

Ti ha riconosciuto, non solo il pieno diritto di essere reintegrato nelle tue mansioni di Santo d'Argento, bensì quello di concorrere per il possesso delle Sacre Vestigia di Libra. Come tu ben sai, la Settima Casa è vacante così come lo è la rispettiva armatura. Presumo che riceverai in breve tempo una convocazione ufficiale da parte di entrambi o da uno di loro.

 

Un caro saluto,

 

Søren.

 

Quel tono confidenziale, usato dal Santo di Pisces, gli strappò un sorriso. Aphrodite non era il tipo da convenevoli e lusinghe, ma con lui non era stato sempre così freddo e scostante come voleva sembrare. Misty rilesse alcune volte il testo del messaggio per sincerarsi di non essersi sbagliato, senza celare stupore per quel passo indietro che sapeva tanto della stessa falsità che aborriva. Sfilò una rosa dal solito vaso di vetro, accostandone poi i petali vellutati tra il naso e le labbra per saggiarne il dolce profumo e la rigirò tra le dita, dondolandosi mentre sulla sedia, sopraffatto da pensieri malevoli. Era titubante ma, al contempo, la consapevolezza di vedere riconosciute le proprie ragioni lo inorgogliva. In passato non avrebbe esitato a cogliere una simile opportunità, quale veicolo per assurgere alla tanto bramata gloria. Si figurò per un istante bardato nelle vestigia d'oro: l'armatura di Libra, la più potente tra tutte, l'emblema dell'equilibrio... Ma fu una sorta di volo pindarico – un po' come il volo di Icaro, il quale precipitò per aver avuto l'ardire di essersi avvicinato troppo al sole. Un fugace entusiasmo che si spense all'istante, ancor prima ch'egli avesse il tempo di trastullarsi in vagheggiamenti più audaci. Non erano le stesse circostanze di allora e, in un certo senso, anche lui non era più lo stesso. Nascose il volto tra le mani. Avrei bisogno di quella sicurezza, proprio adesso che non so più chi sono. Non riuscirei a sopportare una nuova sconfitta per mano di un Santo di Bronzo. No, non sarei in grado di affrontare e superare la prova, e diventerei lo zimbello di tutto il Grande Tempio, più di quanto non lo sia ora.

Lasciò la lettera sullo scrittoio e si rivolse verso la finestra, distratto dallo sbattere dei battenti sospinti da un'improvvisa folata di vento. Udì il cinguettio degli uccelli, ricordandosi di recuperare del pane secco che aveva conservato sul fondo di un cassetto per sbriciolarlo sul davanzale. I piccoli pennuti gradivano quelle attenzioni quotidiane. Si soffermò poi davanti allo specchio dopo avervi scorto di sfuggita il proprio riflesso. S'inumidì le labbra asciutte, scostando una ciocca di capelli per asciugarsi il sudore dalla fronte col dorso della mano... un viaggio, si disse, mi piacerebbe intraprendere un viaggio e lasciare questo posto per qualche tempo.

Indugiò un momento, poi sorrise e convenne che l'unica fuga consentita – lungi da quel microcosmo avulso dal mondo – poteva essere una sortita fino al villaggio di Rodorio. Non restava che attendere una missione o un permesso speciale. Quindi si voltò indietro e, senza ripensamenti, prese la lettera accostandola alla fiamma di una candela. La carta bruciò lentamente fino a ridursi in cenere. Era di pessimo umore. Uscì di casa sbattendo la porta e s'incamminò lungo il sentiero che conduceva al mare; nubi cariche di pioggia si stavano addensando all'orizzonte trasportate dal vento, che stormiva tra le foglie e gli arbusti delle piante aromatiche spargendone l'odore caratteristico. Pioveva in rare occasioni durante l'Estate e, quando arrivava, la pioggia era provvidenziale: dava sollievo dalla calura e sembrava lavare via la tristezza.

Egli contemplò la distesa marina, perdendosi nel moto ipnotico delle onde, beandosi della quiete che precedeva l'impeto del temporale che a breve avrebbe infuriato, incurante del pericolo che si celava nel baluginare dei fulmini che guizzavano nel cielo plumbeo carico di elettricità. Stava iniziando finalmente a piovere, prima il rovescio crebbe d'intensità per poi protrarsi, scemare nuovamente, e cessare. Gli indumenti e i capelli erano fradici, e rivoli d'acqua scorrevano a confondersi con le lacrime. Continuava a guardare il mare, ancora inquieto, le cui acque scuotevano i miseri natanti dei pescatori attraccati al molo. Dal giorno in cui aveva riaperto gli occhi non vi si era più avventurato per nuotare, quasi il contatto con l'acqua rievocasse un passato che rifuggiva con tutto se stesso, - ma era assai improbabile che gli antichi trascorsi si dissolvessero come una bolla di sapone...

I ricordi sono parte di noi stessi, sono parte della nostra storia ancorché tristi e ingloriosi, con tutto il loro carico di amarezza e rimpianti.

“Che cosa fai?” Il rumore di alcuni passi sulle tavole sconnesse della banchina spezzò l'incantesimo.

“Niente, avevo caldo e ho deciso di rinfrescarmi sotto la pioggia. Mi hai seguito?”

“No, ormai credo di conoscere le tue abitudini, sei abbastanza prevedibile. Cosa c'è scritto nel messaggio? Se posso saperlo.”

“L'ho distrutto.”

“Sei uscito di senno!? Stai scherzando, vero?” Asterion si preoccupava sempre per lui, molto più di quanto non desse a vedere. “Ariele, rispondi.”

Udendo quel nome, il ragazzo biondo si voltò di scatto, sbigottito, fissando l'altro in quegli occhi scuri e penetranti, soffermandosi a contemplare il bel volto, ingentilito dalla tiara che gli cingeva il capo con eleganza.

“Sì, Ariele. Non fingere d'ignorare il tuo vero nome. Ho sentito il tuo maestro chiamarti così, qualche volta.”

Ariele... Quel nome: che lo costringeva a compiere un viaggio a ritroso nei recessi della memoria... passato e presente. Si smarrì nel dedalo dei propri pensieri contorti e incoerenti e si lasciò trasportare da questi, quasi vaneggiando, fino al momento in cui qualcosa non lo destò bruscamente, suo malgrado. Si toccò il viso, il lato sinistro bruciava come il fuoco. Il suo pari aveva osato colpirlo, per la prima volta da quando si conoscevano. Lo fissò con gli occhi vitrei, con uno sguardo vacuo privo di qualsiasi espressività:

“Non farlo mai più.” Poche parole, dure, eloquenti.

“Perdonami se ho letto nei tuoi pensieri ed essi hanno provocato la mia reazione, sono stato impulsivo. Ma la rinuncia è la più grande sconfitta. E tu sai a cosa mi riferisco" Il Santo di Canes Venatici voleva porre rimedio al proprio gesto sconsiderato, provò ad avvicinarsi, ma l'altro respinse il tentativo di approccio con indignazione, in risposta a quello che riteneva essere un grave affronto.

“Mi hanno trattato come spazzatura e adesso pretendono di rimediare. Che cosa dovrei fare, strisciare ai loro piedi e ringraziarli? Non darò loro la soddisfazione" Misty fremette dall'ira, che tuttavia non sortì l'effetto di trasfigurare i tratti del suo volto angelico, poiché latente dietro la maschera di presunta superiorità morale. Ma serrò i pugni, con tale foga da ferirsi il palmo delle mani con le unghie. Asterion lo scrollò per le spalle con l'intento d'indurlo a ragionare e a non commettere un altro grossolano errore dettato dall'orgoglio: dall'amor proprio, che l'aveva già trascinato in un guaio. Fu in quel momento che la tensione tra loro si sciolse.

“Non è questo il motivo principale del tuo rifiuto, c'è qualcos'altro. Perché ti ostini a negare?”

“Smettila, Asterion! Non leggere nella mia mente, abbi rispetto.”

“Se è questo che vuoi... ma poi non dovrai rimpiangere scelte che si riveleranno sbagliate.”

 

***

 

È curioso vedere come questi Santi di Bronzo si siano evoluti, come siano maturati. Ricordo ancora quando mi trovai faccia a faccia con i Santi di Pegasus e di Andromeda, e saggiai il potere e la motivazione di quest'ultimo che si batté con spirito di abnegazione per la causa giusta. Ed eccoli, adesso, sotto i nostri sguardi.

“Sei troppo pensieroso negli ultimi tempi, mi preoccupi" proruppe Death Mask, in tono quasi canzonatorio. Aphrodite esitò per qualche istante prima di rispondere. Era ancora intento a seguire l'andamento delle esercitazioni che si svolgevano nell'Arena, che la pioggia torrenziale aveva ridotto a una poltiglia fangosa. Si destò in un secondo tempo dalle proprie elucubrazioni mentali per rivolgersi al Custode del Quarto Tempio che stazionava a braccia conserte accanto a lui.

“Niente d'importante. Anzi, no...” affermò, staccando con i denti un petalo della rosa stretta tra le dita, per poi soffiarlo via guardando con la coda dell'occhio il Santo di Cancer. “Cosa ne pensi del fatto che avremo un inquilino alla Settima Casa?”

“Me ne sbatto.”

Lo svedese sorrise osservando l'altro grattarsi il mento. Le esternazioni colorite del compagno d'arme lo divertivano, solitamente. “Non ti è proprio andato giù lo scontro con Shiryu, vero? E nemmeno che il maestro dei Cinque Picchi ti abbia dato dello stolto, quella volta...”

“Non voglio ritrovarmelo ancora tra i piedi. È già troppo doverli sopportare così, quei mocciosi di bronzo.”

“Non sono più, tanto mocciosi.”

“Sta' zitto, non ricordarmelo.”

Aphrodite gli prese il mento senza troppa delicatezza, quasi conficcandogli le unghie nella carne, e bisbigliò qualcosa al suo orecchio.

“Ma sei serio o mi stai prendendo in giro!?” replicò l'altro, senza trattenere il proprio stupore dopo aver udito una sorta di pettegolezzo.

“Sono serissimo. E tu sei pregato di non tenere la bocca chiusa", affermò Pisces.

...

 

Death Mask deve aver già spifferato tutto, a giudicare dalle espressioni interrogative stampate su quei volti; sembra divertirsi, e magari molto compiaciuto per aver creato scompiglio. Sono curioso, è giunto il momento di andare a sincerarmi con le mie orecchie di come abbiano preso la notizia. Direi che di primo acchito, sembrerebbe non molto bene.

Aphrodite si alzò in piedi stiracchiandosi, assaporando la brezza frizzante che spirava ad alleviare l'afa opprimente e che gli scompigliava i lunghi capelli. Quindi scese, fino a giungere a poche gradinate dalla spianata di sabbia su cui erano radunati gli altri. E, come supponeva, osservò concitazione e malcontento dilagare tra gli astanti. Come? Queste anime pie non accettano che la possibilità di ottenere una promozione sia estesa anche ad altri Santi? Dov'è finita la tanto decantata umiltà? Il timore di vedere sminuiti alcuni privilegi, a volte, fa emergere la nostra reale natura non tanto candida come vorremo far credere... Quando ci pestano i piedi siamo più propensi a dare il peggio di noi stessi!

La discussione stava assumendo una connotazione pesante e Aphrodite non sapeva fino a che punto avrebbe potuto resistere senza prendervi parte. Il Santo d'Oro si era appartato a distanza ravvicinata dal gruppetto di persone che stavano discutendo, e, talvolta, sfoggiava uno sguardo complice che vagava fino a incontrare quello del Santo di Cancer. Si era posto con riservatezza e con la compostezza che gli era usuale, ma con l'orecchio ben teso ad ascoltare la conversazione alla quale avevano preso parte i Santi di Bronzo, compresi coloro che erano stati sempre all'ombra di chi primeggiava, quasi a pavoneggiarsi per meriti non propri – un po' come quel tale: il maggiordomo di milady. Persone che dovrebbero avere il buon senso di tacere... Ma l'argomento trattato sembrava coinvolgerli, quasi avessero loro stessi qualcosa da perdere. Pochi altri, tra i Santi d'Oro, se ne stavano defilati come se la cosa non li riguardasse direttamente, ma ascoltavano incuriositi, senza proferire verbo.

“E con quale criterio, il Sommo e Athena avrebbero preso questa decisione?”

“Col criterio che si conviene ad autorità superiori... ma se non sei d'accordo puoi andare a protestare al Tredicesimo Tempio.” Death Mask rise sarcastico, con la tipica espressione malevola dipinta sul volto a conferirgli un fascino perverso. “Sempre se avranno voglia di ascoltarti.” E si divertì a pungolare i Santi di Bronzo, gustandosi la loro reazione stizzita.

“E cosa avrebbe fatto lui per arrivare così in alto, in breve tempo, e conseguire un tale diritto? Non è buono a nulla se non a compiacersi di se stesso, lo sanno tutti.”

Quell'affermazione infervorò gli animi di alcuni presenti. Aphrodite si destò dal torpore in cui languiva: quelle parole lo avevano scosso come il tocco di un ferro arroventato dritto al costato, così si fece avanti, sebbene non fosse nelle sue corde prendere le parti di qualcuno per quanto quella persona gli stesse a cuore.

“Tu, non saresti quello riflessivo? Colui che stai tacciando d'inettitudine, si è pentito per gli errori passati e vanta gli stessi vostri diritti, incluso quello di assurgere a una Casta superiore.”

Il Santo d'Oro aveva calamitato l'attenzione su di sé, e scese il silenzio; Shiryu, al quale erano state rivolte quelle parole, tacque realizzando di aver esagerato. A disagio per il commento sfuggitogli in un accesso di rara incredulità e disappunto – che sembrava smentire il suo proverbiale discernimento – per ciò che considerava una mancanza di rispetto intollerabile. Come se si volesse premiare chi non aveva mai fatto niente, a scapito di chi aveva dovuto affrontare inenarrabili sacrifici, orrori e traversie. Inconcepibile.

Aveva agito d'impulso, ispirato da quel senso di giustizia per il quale aveva lottato strenuamente, ed erano state, sì, parole pesanti che contraddicevano la sua pacatezza, ma erano state scaturite dal profondo del cuore. Aphrodite, a suo modo, gli era solidale ma, dalla sua, adduceva delle ragioni.

I soliti, investiti da una sorta di dignità – quasi fossero al di sopra delle parti – erano Hyoga e Shun. Questi alzò timidamente la testa rivolgendosi all'antico rivale, incontrando quegli occhi turchesi che rilucevano come gemme d'inusitata bellezza.

Pisces si era voltato verso il Santo di Andromeda, poiché Shun aveva pronunciato il suo nome, imbarazzato per la mancanza di tatto dei suoi compagni. Sembrava aver rimosso che il Santo della Dodicesima Casa si fosse reso responsabile della morte del suo mentore. A giudicare dai tratti distesi del volto non emergeva alcun risentimento. Ed era così, quel che era stato era dovuto alle circostanze: all'ironia della sorte che aveva voluto i Santi devoti alla stessa dèa schierati in fazioni contrapposte. Era il passato, un'altra vita...

“Shun, spero tu non abbia in serbo altre sciocchezze che mi farebbero ricredere anche sul tuo conto.”

Il ragazzo scosse il capo, e dai suoi modi pacati si evinceva l'imbarazzo provato a causa delle esternazioni poco gentili proferite da alcuni. Aphrodite seppe coglierne la sincerità e lo rassicurò con una carezza tra i capelli.

Seiya strinse i pugni, e Shiryu si precipitò a trattenerlo affinché non si lasciasse andare a gesti inconsulti: “Aspetta. È stato il mio maestro a decidere di accordare la fiducia a quel Santo, e non può essere un errore!”

Nonostante Shiryu lo stesse inducendo a riflettere, Seiya non riusciva a comprendere quella scelta e la presa di posizione per ciò che lui considerava: difendere l'indifendibile. Non nutriva alcuna simpatia per Misty e, ancor meno, stima, sebbene avesse provato un sentito dispiacere per la sua morte. Ancorché fosse stata una sensazione fugace, svanita in fretta all'avvicendarsi di altri nemici e di altre battaglie. Come se la vita umana si riducesse a una questione di scarso valore... Non capiva, pur riconoscendo che il Santo d'Argento doveva essersi, in qualche modo, ravveduto in punto di morte – che potesse cambiare – e che il cambiamento sarebbe potuto avvenire anche grazie alla possibilità concessagli. Continuava a incaponirsi sulle proprie convinzioni: sembrava che, in virtù d'indiscusse prodezze, si sentisse in diritto d'innalzarsi al di sopra di tutto e di tutti. Era una fiera e insana cocciutaggine che gl'impediva di vedere e valutare il mondo attorno a sé per come realmente appariva, senza preconcetti. Accusava gli altri di arroganza senza rendersi conto di esserlo lui stesso, e forse in misura superiore.

“È assurdo, con tutto quello che abbiamo passato, accettare una simile burla! Shiryu è l'unico degno successore di Dohko.”

“Non sarai tu a deciderlo né io. Fosti tu a dirmi che di rose avrei dovuto addobbarmi la casa... Sei ancora pieno di te, Seiya di Pegasus. Faresti meglio a calmarti, e indirizzare le energie verso fini più utili, invece di digrignare i denti invano. Ti dirò di più: sarebbe un bene se tu e Misty provaste a riconciliarvi tralasciando gli antichi dissapori.” Il Santo d'Oro aveva colto del rancore dietro parole e azioni che sembravano mosse da buoni sentimenti. Rilasciò la rosa che cingeva tra le dita, lasciandola cadere al suolo – campeggiando sulla sabbia come una sinistra macchia di sangue. Quindi ripiegò, sottintendendo con il gesto il proprio disappunto.

“Misty è...”

Quelle parole lo indussero a voltarsi.

“È... un codardo” ammise uno dei bronzi minori, al quale stava sfuggendo il turpiloquio.

“Le persone cambiano. Nessuno rimane uguale a se stesso, prendetene atto e non ve ne pentirete.” Aphrodite non perse le staffe, benché certo che dietro quell'appellativo se ne celassero altri, di gran lunga più offensivi e volgari.

 

***

 

V

 

 

Conflitto interiore

 

 

I cardini del portale d'ingresso stridettero a una leggera pressione sui battenti decorati, era già aperto, come se vi fosse qualcuno ad attenderlo. Misty avanzò, avvolto dalla semioscurità serale che permeava l'interno del Tempio, inframezzata dal tenue bagliore di lampade e bracieri. Si spinse verso il centro, ma volgendo lo sguardo innanzi a sé non vide nessuno occupare il seggio più eminente, né rilevò alcuna presenza in quel luogo a prima vista deserto. La sua attenzione fu catturata dagli specchi incorniciati di cui era adorna la sala: la disposizione era la stessa di un tempo non molto distante. Non resistette alla tentazione di darsi uno sguardo: e scorse il riflesso di una sagoma evanescente – da lontano – ammaliante, in antitesi alle brutture di questo mondo. Ma fu un futile trastullarsi dal quale si riscosse in fretta.

Sostava a metà distanza tra l'ingresso e lo scranno del Gran Sacerdote e, in quel mentre, gli sovvennero alcuni ricordi. In particolare le parole sprezzanti che gli erano state rivolte in quel luogo; quelle insinuazioni degradanti risuonavano nella sua mente come un mantra, ma non lo avrebbero distolto dalle priorità in programma per quel giorno.

“Prego, vieni pure avanti" disse una voce. Misty trasalì, udendo l'esortazione inattesa del Sommo, il quale comparve da un accesso secondario occultato dai drappi cremisi e le colonne. Si augurava che l'uomo non l'avesse sorpreso a specchiarsi, nel frangente in cui credeva di non essere visto. Dohko era privo della maschera in quell'occasione, tuttavia il suo giovane volto era ben noto a tutti. Questi lo invitò cortesemente a genuflettersi in sua presenza, dato che il Santo sembrava aver ignorato il protocollo e quella mancanza, infatti, non era che l'effetto di un fluire incessante di pensieri.

“Sei autorizzato a riprendere possesso dello scrigno contenente le Sacre Vestigia d'Argento” affermò l'uomo, trafiggendolo con un'occhiata poco conciliante, per poi dargli le spalle. “Ma c'è dell'altro. Una questione riguardo alla quale sei già stato informato” soggiunse, con algida indifferenza, continuando a passeggiare avanti e indietro nella sala, con le mani infilate nelle ampie maniche dei paramenti e lo sguardo rivolto in direzione opposta al proprio interlocutore.

“Sì, so a cosa vi riferite, ma io non posso...”

“Non spetta a te decidere, il tuo compito è solo quello di adempiere a ciò che ti viene richiesto. E ogni direttiva proveniente dall'alto, è da considerarsi un ordine. Dovresti saperlo" rettificò poi il Sommo, con la solita aria di rimprovero.

“Ne sono al corrente. Ma non credo di essere all'altezza...” sospirò Misty, e poi prese coraggio. “Siete stato voi a screditarmi. A ricordarmi qual è il mio effettivo valore.” Aveva concluso la frase con un velato risentimento. Come posso concorrere per le Sacre Vestigia di Libra se sono così inetto? Non vedete l'ora di vedermi sprofondare ancora più in basso?! Sì, è così: sempre più in basso, per compiacere il desiderio di una divinità vendicativa che si fregia di falsa misericordia al fine di celare il suo reale intento. Si morse il labbro, al fine di stroncare quel pensiero molto prossimo a concretizzarsi in parole.

“Sì, è vero, l'ho pensato e lo penso tuttora. Sarei un ipocrita se non lo confermassi in queste circostanze. Ma una persona più magnanima di me, alla quale mancasti di rispetto, sostiene che in questo m'inganno. E... anche qualcun altro ritiene tu abbia delle qualità. Ho lasciato credere a entrambi che concordassi in parte con la loro idea e, invece, a modo mio, dissento.”

Il Santo d'Argento sgranò gli occhi e poi abbassò lo sguardo per rivolgerlo al tappeto scarlatto sul quale era inginocchiato. Era consapevole di non brillare per simpatia, ma aveva sperato di non udire una tale conferma a considerazioni espresse sul proprio conto, che s'illudeva fossero smentite proprio dall'autorità stessa che le aveva pronunciate. Si aspettava un altro tipo di accoglienza. Invece, il Sommo non aveva fatto che avvalorare quella tesi con malcelata ostilità e con parole intrise di brutale schiettezza, le quali bruciavano come il sale sulle ferite aperte.

“Tuttavia, Saori Kido non pretende le tue scuse. Non ritiene necessario che tu debba scusarti, nonostante l'abbia tacciata d'iniquità, in pubblico. È un nobile gesto, non ti pare?”

Il silenzio fu un chiaro segnale di assenso da parte di Misty, che approfittò del momento in cui l'uomo era voltato di spalle per ricomporsi. Smarrì lo sguardo vacuo oltre le lunghe ombre proiettate dalle colonne nella vastità della sala, in quell'occasione, scarsamente illuminata.

“Sei in grado di riconoscere gli errori, malgrado il tuo orgoglio?”

“Non sono all'altezza di contendere per l'armatura di Libra” tergiversò lui di proposito, perché non aveva nessuna intenzione di sminuirsi più di quanto già non fosse.

“Questa non è un'ammissione di colpa. Credi di avere a che fare con uno sprovveduto?”

“Ebbene sì, ho sbagliato", cedette infine, dal momento che non aveva altra scelta. Se è questo che vi aggrada sentire. Non era quello che pensava, non era stato sincero, ma aveva risposto nonostante un nodo gli stringesse la gola; convinto che di peggio non sarebbe potuto accadere dopo quell'esperienza. Sapeva di essere ritratto come un vanesio: superficiale, vuoto e insensibile; forse immedesimandosi e rafforzando, a livello inconscio, quelle caratteristiche. Tuttavia, quella disistima palesemente ostentata, priva di un qualsivoglia – edulcorato – velo d'ipocrisia, era stato il colpo più duro mai ricevuto. Una pugnalata al cuore, una ferita profonda che forse non avrebbe mai smesso di sanguinare... Tu non sei nessuno, non vali niente.

“So bene che... se fosse stato per voi non avrei avuto questa possibilità.”

“Forse no. Molto probabilmente, no” replicò Dohko con fermezza, voltandosi determinato a sondare – finalmente – in quegli occhi languidi dai quali riuscì a estrapolare qualcosa di più profondo oltre alla consueta e irritante alterigia. Non te l'avrei concessa quest'opportunità, benché non scorga alcun male in fondo al tuo cuore, e i piatti della bilancia siano in perfetto equilibrio senza propendere né da un lato né dall'altro, si disse.

“Per questa ragione è giusto che l'armatura di Libra vada al vostro allievo Shiryu" insisté Misty. Il suo volto avvampò d'ira e delusione, sebbene dal tono contenuto della voce non trapelassero tali sentimenti.

“Ti stai attribuendo troppa importanza, Ariele.” Dohko lo zittì ancora una volta, ma da quelle parole trasparì una certa tolleranza, e forse compassione mai provata prima d'ora nei suoi confronti. Come se dall'alto della propria indiscussa saggezza, avesse scorto qualcosa dapprima sfuggitogli. “Ti chiami Ariele, non è vero?”

“Sì, è il mio vero nome. Misty è un soprannome acquisito, correlato ai poteri sulle correnti atmosferiche.”

Il Sommo annuì. “Lasciamo che siano le Sacre Vestigia a stabilire chi sia degno d'indossarle” concluse infine.

 

Misty si ritrovò al di fuori dal Tempio quasi senza connettere dove fosse, poggiando le spalle contro al portale ormai chiuso, anzi no, vi si era letteralmente addossato come se fosse incapace di sorreggersi con le proprie gambe. Si portò una mano alla gola, dilatando lo scollo rettangolare della veste come se qualcosa l'opprimesse impedendogli di respirare. Purtroppo era obbligato a passare dalla Dodicesima Casa, e s'interrogava sul modo in cui nascondere il proprio stato d'animo. Non era così abile a fingere con Aphrodite. Sto pagando il fio per la mia crudeltà, in questa nuova vita...

Da quell'altura si poteva ammirare lo splendido scorcio sul Mare Egeo. Si smarrì in quella visione – in quei colori saturi – quasi anelando di possedere un paio d'ali per librarsi in volo e fuggire, per unirsi alle bianche sagome dei gabbiani che punteggiavano lo sfondo in lontananza. Un fugace sguardo corse, poi, alle volute di fumo che si levavano dai bracieri fino a velare il luccichio delle prime stelle, e verso la ripida scalinata cosparsa di rose scarlatte che conduceva al livello sottostante.

Aphrodite... no, non doveva sapere cosa si erano detti lui e il Sommo: e in quel frangente non si preoccupava di dargli una delusione bensì di veder sminuito il proprio ego. Ebbe l'impressione di compiere uno sforzo immane ma riuscì a ricomporsi, ingoiando lacrime che sgorgavano a dispetto della volontà. E tuttavia sarebbe stato saggio – da parte sua – accettare che, prima o poi, si è costretti a piangere per tutte le volte che non lo si è fatto.

Sospirò, prima di giungere nei pressi dell'atrio a colonne del Dodicesimo. Il maestro era lì ad attenderlo, sorridente, e quell'aura di tranquillità valorizzava la sua delicata bellezza, lo abbracciò: “A quando il torneo e la cerimonia d'investitura?”

“A data da destinarsi.”

La stretta con cui Aphrodite lo aveva avvinto a sé ebbe l'effetto di trarlo in imbarazzo: era in disordine, forse come non lo era mai stato. Temeva che potesse subodorare qualcosa, ma il custode della Dodicesima Casa era di buon umore, e la serenità è un balsamo in grado di fuorviare le menti più argute.

“Non ti fermi? Nemmeno per un po'?”

“Non posso, Aphrodite. Non volermene, laggiù mi stanno aspettando, ma se proprio insisti resterò giusto il tempo di bere un bicchiere d'acqua, ho una gran sete.” Gli rispose, ricambiando quel sorriso radioso, sebbene il suo fosse mesto. Aphrodite non seppe scorgere il disagio celato dietro una pacata condiscendenza, era consapevole che Misty non avesse l'abitudine di condividere le proprie emozioni a prescindere che si trattasse di gioia o dolore.

“Come desideri” concluse senza vessarlo con la propria insistenza.

 ~

Il diadema gli cingeva la fronte come un'alta corona, impreziosito dalle pietre incastonate ai lati e al centro. L'armatura d'argento constava di pochi elementi preposti alla protezione del corpo, e sembrava più un vezzoso ornamento atto a valorizzare la sua esile figura piuttosto che proteggerla; il mantello ricadeva lungo le spalle volteggiando per effetto del movimento. Catalizzava ogni sguardo e ne era compiaciuto ma non amava frequentare quel luogo e tale avversione era nota presso alcuni. Tutto sommato gli risultò più semplice degnare i presenti della sua presenza nuovamente insignito del proprio titolo.

Quel giorno vi erano rappresentanti di quasi tutte le caste a prendere parte agli allenamenti, eccetto alcuni Santi d'Oro, incluso Aphrodite. Aggirò l'Arena dove individuò i pupilli di Saori confabulare. Non gli fu difficile immaginare chi fosse oggetto delle loro chiacchiere e si mosse, opportunamente, in direzione degli spalti. La notizia era trapelata, non si parlava d'altro al Santuario, ed era un continuo mormorare che si quietava solo al suo passaggio. Riservò uno svogliato cenno di saluto in ottemperanza all'etichetta, anziché indotto da un sentimento spontaneo o a titolo d'amicizia. Non aveva mai avuto amici che potessero definirsi tali in quella cerchia, tranne un paio di eccezioni.

Raggiunse la solita posizione in un punto elevato della struttura. Non si sarebbe mescolato alla feccia che lo aveva maltrattato, per principio. Sedette, scostando il mantello da una parte. Era consapevole di brillare come una stella, la cui luce era così intensa da porre in ombra gli altri astri. Desiderava riabilitare la sua immagine, mondarla dal fango che gli avevano gettato addosso.

Rifletteva, accompagnando con lo sguardo le movenze dei Santi che si destreggiavano nell'Arena: rifuggendo un confronto con loro, seppur amichevole. Preferiva mantenere le distanze beandosi del silenzio, poiché nella sua mente inquieta si agitavano già una moltitudine di pensieri.

“Ciao, Misty. Non puoi pensare di superare la prova stando con le mani in mano.”

“Algol?!” Il Santo di Perseus lo aveva sorpreso alle spalle e sedette accanto a lui catturando una ciocca di capelli dorati tra le dita, malgrado sapesse quanto quell'atteggiamento, confidenziale e non autorizzato, lo infastidisse. “Ancora con questa storia? Saprò cosa devo fare... E toglimi le mani di dosso, non sopporto quest'adulazione ai limiti del patetico.” Si limitò ad aggiungere Misty, scoccandogli un'occhiata torva.

“Sei uno stupido. Lo sai bene che sarebbe un'occasione di riscatto, daresti lustro a tutta la Casta. Non essere sempre così egoista.” Alle parole sfrontate di Algol, Misty arrossì dal nervoso ma seppe dominare le proprie emozioni e sondò, determinato , in quegli occhi grigi, magnetici. Ciò non intimidì l'insolente che si portò la ciocca di capelli del suo pari vicino alle narici per inalare il profumo.

“Se io sono un egoista, voi siete degli opportunisti" sbottò Misty.

“Non fare sempre di testa tua.”

“Basta. Non mi va di ascoltare le tue chiacchiere.” Si schermì con palese insofferenza. “A meno che tu non voglia raccontarmi qualcosa di più riguardo al mito di Perseo e Medusa. La nostra dèa non sembrerebbe un modello di virtù: l'aver trasformato una delle tre Gorgoni più belle in una creatura mostruosa, per vendetta, non le fa onore. Una richiesta subdola che Algol avrebbe potuto assimilare a malizia, ma che – in realtà – non corrispondeva a nulla di tutto ciò, se non a semplice curiosità con cui Misty desiderava distrarsi dalle proprie preoccupazioni.

“Gli dèi sono iracondi e non disdegnano di rivalersi sulla pelle dei mortali. Sono detentori dei peggiori difetti, dei quali accusano essere affetta la progenie umana" replicò il Santo di Perseus con uno sguardo obliquo e un ironico – strafottente – sorriso di circostanza. Dopodiché si alzò invitando il più giovane a seguirlo.

Entrambi si levarono dalle gradinate, scendendo verso il settore inferiore, e rimasero in silenzio per alcuni brevi istanti. Misty procedeva alle spalle di Algol osservando lo scudo agganciato al dorso dell'armatura e celato dietro alla folta chioma del Santo. Il simulacro della Gorgone era quieto e dormiente, il suo sguardo letale e demoniaco languiva sotto le palpebre.

“Non doveva finire così" sviò l'attenzione dall'oggetto e volse un'occhiata di rammarico alle persone che occupavano l'Arena, nel momento in cui vi si stavano approssimando, inducendo l'altro a voltarsi.

“Così, come?”

“Con questo astio.”

“Non è colpa tua né nostra. Te lo ripeto: la responsabilità è degli dèi che si sollazzano a piacimento con il fato degli uomini" rispose Algol, senza dissimulare risentimento. Parole che indussero Misty a riflettere.

“Tu hai un buon motivo perché io raccolga questa sfida. Degli interessi, quali una vendetta. E pretenderesti che io risolva le tue dispute personali? Sei un illuso se lo credi.”

“Più che rivalsa è una questione d'onore. Non ha senso parlare di nemesi, di questi tempi.” Lo mise a tacere Algol, smontando le sue illazioni.

“Shiryu?”

“Avevo la vittoria in pugno.”

“Ma Athena è stata la sua luce nelle tenebre... la dèa, che avrebbe dovuto essere di tutti, è stata parziale.” Misty chinò il capo dopo aver infierito con parole che sembravano confermare come non riuscisse a trovare pace dal proprio rancore – a prescindere dalla volontà. “La tua è stata una disfatta onorevole, e non come la mia.”

“Non è stata l'inettitudine a causare la tua sconfitta. Ma... questo.” Perseus afferrò un lembo del mantello che Misty indossava, per strapparlo via con decisione. “Vanità" esordì con aria di scherno impressa sul volto spavaldo e, in quel frangente, avvertì l'energia del compagno d'arme, congiunta all'aura argentea che l'avvolse all'istante.

“Non userai il tuo cosmo contro di me, lo so. Perché sai benissimo che ho ragione.” Si tutelò, senza tuttavia mostrarsi troppo allarmato.

“Io sono me stesso, non posso cambiare!”

“Sì che puoi, se vuoi.” Algol gettò il mantello di Misty a terra come se fosse uno straccio liso. “Questa volta ti batterai con la benedizione della dèa, e sarà diverso.”

Il ragazzo biondo si chinò per raccogliere il mantello, scrollandolo dalla polvere e riposizionandolo intorno alle spalle. Allungò il passo, precedendo l'altro, intenzionato a porre fine a quella sterile conversazione.

“Ho ragione di pensare che sei un idiota. Sei consapevole di non poterti sottrarre al destino che ti attende, e snobbi l'aiuto che potrei darti con le mie conoscenze.”

“A cosa alludi?” domandò Misty, voltandosi, dopo aver udito le parole, infarcite con un insulto, alle sue spalle – non tanto perché detestava sentirsi dare dello stupido da chi reputava inferiore a lui, ma perché confuso da un'esternazione di cui al momento non riusciva a cogliere il nesso...

~

 

La barriera d'aria si era rivelata un mezzo sempre molto efficace ma lui non si era più preoccupato di perfezionarla – quasi come a volerne accettare i limiti.

In un breve intermezzo di tempo alcuni pensieri si frapposero tra l'azione e la concentrazione... Quel Santo di Bronzo che ha affrontato Algol era così devoto ai propri ideali, al punto di accecarsi con le sue stesse mani pur di conseguirli. E io? Lo avrei fatto per salvare i miei parigrado?

Si lambiccò la mente, seguendo con lo sguardo la mossa del compagno d'arme, che lo sovrastò con un balzo, ma fu incapace di prevederne gli effetti in rapida successione. Fu avvolto dalle spire di numerosi serpenti: una selva di rettili, li udì sibilare e ne avvertì la stretta al punto di essere sopraffatto da orrore e ribrezzo. Era un'illusione terribile e concreta come solo la realtà poteva esserlo. Un dolore sordo, il buio, il nulla. L'offensiva inattesa di Algol, celata dietro uno stratagemma illusorio, lo aveva schiantato contro la parete della falesia ai piedi della quale cadde in deliquio.

Il Santo di Perseus realizzò l'errore di valutazione commesso da Misty, non aveva preso in considerazione l'ipotesi di un incidente durante lo svolgersi di un'ordinaria sessione di allenamento. Accorse in suo aiuto.

Morto!? Algol ebbe un sussulto al pensiero di doversi imbattere nell'eventualità più infausta, constatando lo stato d'incoscienza del suo pari. I capelli sparsi sulla sabbia incorniciavano l'incarnato dal pallore innaturale, solcato da un sinistro rigagnolo di sangue che sgorgava da un lato della bocca. Un volto la cui espressione serena era la stessa di chi è immerso in un sonno profondo senza essere afflitto da alcun pensiero, sia esso cagione di allegria o di tristezza. E tuttavia il sonno è quella condizione della coscienza che viaggia pari passo con la morte, ed è alla morte così affine grazie alla pace inconsapevole che infonde. Sonno e morte.

Ma un'impercettibile fremito delle palpebre avrebbe preceduto il battito di ciglia; così come il respiro flebile e un lieve movimento delle dita suggeriva che in realtà Misty fosse vivo.

Algol fu restio a toccarlo, come persuaso dal timore di profanare una reliquia o d'infrangere un raro suppellettile di cristallo... Lo trattenne per qualche secondo tra le braccia, fino al momento in cui non riprese conoscenza dischiudendo gli occhi e tossendo un fiotto di sangue. Quella sofferenza riportò Misty a una realtà dai contorni ben definiti e lo esortò al silenzio per un arco di tempo che parve dilatarsi all'infinito; durante il quale si alienò fissando il vuoto – come se col pensiero peregrinasse verso lidi sconosciuti.

“Tutto bene?” Il Santo di Perseus rimosse il sangue, che gli imbrattava la pelle candida, con un brandello di stoffa strappato dalla casacca indossata.

“Credo di sì, nonostante abbia avuto la sensazione di sputare le viscere.” Misty si era riscosso da quella sorta di straniamento, evitando di far trasparire la propria perplessità. “Forse, qualche costola incrinata, nient'altro.”

Era turbato dallo scoprirsi così vulnerabile a causa di una semplice distrazione. Non si era mai sentito così inadeguato ma non lo avrebbe confidato ad Algol, e si limitò a languire col capo adagiato tra le braccia dell'amico poiché aveva l’impressione che le forze lo stessero abbandonando.

Chiuse gli occhi, il bagliore del sole lo infastidiva sebbene fossero le prime luci dell'alba e l'astro diurno non sovrastava ancora il punto più alto del cielo. Gli recava comunque conforto dal gelo che sembrava pervaderlo: ho freddo e siamo in piena Estate... Il freddo della morte. Quella percezione lo atterriva come se stesse rivivendo tutto ciò che l'aveva condotto sull'orlo del baratro, a varcare la lugubre soglia che delimita il passaggio tra questa e l'altra dimensione e, infine, era precipitato nell'abisso. Benché fosse consapevole che non sarebbe morto, non per così poco. Si lasciò cullare dal suono della risacca, delle onde che s'infrangevano sulla battigia, dal garrire stridulo dei gabbiani che sembrava riprodurre una parvenza di malinconica melodia.

“Non fingere compassione, non ne abbiamo mai avuta per nessuno ed è per questo che sulle nostre azioni ricade la legge del contrappasso" disse.

“Sei così arrogante da avere la presunzione di sentenziare anche per gli altri” replicò il Santo di Perseus, che non aveva colto il significato racchiuso in quelle parole.

“E tu sei sempre stato crudele, hai levato lo scudo contro ignari apprendisti, incurante persino del disprezzo di Aiolia. L'ho saputo, sai?” Gli ricordò Misty con sfrontata franchezza. Quantunque parlare gli costasse fatica. Il semplice atto di respirare era doloroso e si portò una mano all'altezza del cuore per contrastare quella sensazione sgradevole.

“Disertori, vorrai dire! Non farmi ridere, sono gli stessi dèi che veneriamo a dimostrarsi malvagi, per cosa avrei dovuto farmi degli scrupoli? Aiolia era dipinto come un traditore a quell'epoca, non aveva voce in capitolo... E nei tuoi confronti nutro stima.” Si giustificò Algol, con un tentativo maldestro di sviare il discorso. Anch'egli dava l'impressione di non essersi del tutto redento e, se di redenzione si potesse parlare, un pentimento non aveva comunque facoltà di cancellare i ricordi. Le esperienze della vita precedente avevano lasciato non pochi strascichi in quegli animi.

“I Santi d'Argento hanno combattuto per vendicare la tua morte.”

“Mi hanno riferito anche questo" confermò Misty, destatosi in virtù del soffio della brezza salata e schiudendo gli occhi velati. Ero l'orgoglio del Santuario... Stima...

“Va meglio, adesso?” Aveva udito la domanda di Algol, ma indugiò un poco prima di rispondere. Nemmeno lui era sicuro di cosa stesse provando in realtà: un fastidio, un dolore puntorio che si intensificava nell'atto della respirazione. Aveva saggiato di nuovo quell'esperienza della quale - secondo Seiya - bisognava andare fieri. Lo scudo d'aria si era dimostrato inefficace e ciò era inaccettabile, oltre che preoccupante.

“Sì, mi ero distratto. Non avevo realizzato ti fossi avvalso dello Ra's Al Ghul Gorgonio" annuì minimizzando il problema.

“Non dovresti abbassare la guardia, le distrazioni sono spesso fatali. Dovresti sforzarti di bruciare il cosmo con determinazione ed essere più motivato. Shiryu è un avversario temibile, il suo colpo ha sfondato il mio scudo e il pettorale dell'armatura giungendo fino al cuore" affermò Algol, con un tono brusco e assai poco conciliante. Soppesò nuovamente quel volto nobile e delicato... ma, questa volta, non ebbe il coraggio di sfiorarlo per detergere le gocce di sudore gelido, come dissuaso da una sorta di rispetto reverenziale. Gli indumenti erano sporchi di sabbia e di sangue, ma non avrebbe scommesso che Misty – realizzando di trovarsi in quelle condizioni – sarebbe corso a lavarsi nell'acqua del mare, pur conoscendo i suoi vezzi.

Era sconcertato dalla mancanza di entusiasmo e passione che traspariva dalle sue azioni, da ogni singola parola proferita; senza comprendere che, forse, il compagno d'armi stesse vivendo un conflitto interiore. Non riusciva a nascondere la propria preoccupazione.

Lo prese in braccio con l'impressione di accollarsi un leggero fardello, quasi fosse senza peso: lo trasportò deponendolo poi su un anfratto di spiaggia, all'ombra della scogliera, affinché riposasse. Poi si allontanò, guadagnando la posizione più elevata sulle rocce, e sedette a contemplare il mare lasciandosi trasportare dai propri pensieri. Ne abbiamo avuto abbastanza per oggi...

 

 

 

   
 
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