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Autore: Stella cadente    08/02/2019    2 recensioni
Hogwarts, 2048: dopo la Seconda Guerra Magica e una lunga ricostruzione, la Scuola di Magia e Stregoneria è di nuovo un luogo sicuro, dove gli studenti sono alle prese con incantesimi, duelli con compagni particolarmente odiosi, le loro amicizie e i loro amori – come qualunque giovane mago o strega.
Ma Hogwarts cova ancora dei segreti tra le sue mura; qualcosa di nascosto incombe di nuovo sul mondo magico e sulla scuola, per far tornare un conto in sospeso rimasto sepolto da anni...
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«Che cosa gli è successo?»
Il Preside sospirò.
«Anni fa, Black era Preside, ma... ben presto fu chiaro a tutti quale fosse la sua reale intenzione. Non voleva fortificare Hogwarts, bensì renderla più intollerante. Tutti noi insegnanti abbiamo temuto, finora, che tornasse. Io l’ho sconfitto ed esiliato, ed io l’ho privato di quello che era il suo posto. Un posto ambito, e soprattutto influente.»
[...]
«Ascoltami, Elsa» riprese, con tono cupo. «Fa’ attenzione, soprattutto al tuo potere. C’è bellezza in esso, ma anche un grande pericolo.»
Pausa.
«Ricorda», aggiunse, «la paura sarà tua nemica.»
Genere: Dark, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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29.
 
 
Megara si sentì ribollire di rabbia, mentre camminava nel bosco a passo deciso, facendo un gran baccano con le foglie cadute, marroni e maleodoranti.
In putrefazione.
Come probabilmente sarò io da qui a poco.
Mentre questo pensiero le attraversava la mente, represse un brivido, stringendosi in un gesto involontario nel suo mantello con lo stemma di Serpeverde ricamato sopra. Che cosa voleva dire Hans? Era mai possibile che avesse deciso di stare dalla parte del nemico?
In preda alla rabbia, si voltò e urlò a pieni polmoni, nel silenzio della foresta: «Westergard!»
L’eco le rimbombò a lungo nelle orecchie, seguito dal cupo ululare del vento e dall’ondeggiare secco di rami senza foglie, spogli e rinsecchiti come dita magre.
Attese, qualche secondo, ma in cambio ricevette solo il silenzio. Un sordo, frustrante silenzio che le fece venire la pelle d’oca e le provocò una fitta di terrore che le incendiò il cervello.
Fu allora che si concesse, per la prima volta in tutti quei mesi, di essere vulnerabile; si lasciò cadere sulla terra, accasciandosi piano e tuffando la testa in mezzo alle braccia, in posizione ostinatamente raccolta, come se fosse un bozzolo destinato a non diventare mai farfalla. Pianse ancora di più quando vide che della brina scura si sollevava dal suo corpo, quando sentì il dolore pulsante di quelle venature che aveva sulle braccia; si tirò su le maniche velocemente, sperando che il gelo di quel pomeriggio scacciasse il dolore... ma restava lì, a marchiarle il corpo. La brina ora spuntava formando come degli aculei, mentre lei sentiva la pelle bruciare.
 
 
 
«Per favore, Adam, non farlo» supplicò, mentre il ragazzo la guardava divertito, perfido, compiaciuto con i suoi occhi color miele.
«Oh sì che lo farò. Hai dimenticato a cosa mi servi?»
«No» mi servi perché sei dolce e perché mi capisci, mi servi perché sei tu, mi servi perché...
Le mille frasi che le aveva detto, una più distorta, insensata, malsana dell’altra, le rimbombarono in testa ripetutamente, sembrando ogni volta sempre più brutali e sempre più... giuste.
Lei si meritava tutto quello. D’altronde, lo aveva scelto. Aveva scelto lei di vivere così, aveva scelto lei di fidarsi di lui sebbene non avesse una buona fama – sebbene tutti lo temessero, con quel viso affilato e i denti da squalo. Ma a lei, il suo sorriso simile ad una tagliola, piaceva; il modo in cui le faceva del male le piaceva; il modo in cui lui sembrava compiaciuto, quando soffriva e le restavano le cicatrici, le piaceva. Non per piacere masochistico... sapeva che lui era così, e che non poteva essere altrimenti. Adam aveva un grande carisma, e a lei questo era bastato per trovarlo sinceramente intrigante.
Fino a quando la cosa non le era sfuggita di mano, e adesso si ritrovava così, vittima innamorata di un probabile futuro Mago Oscuro.
Non le importava.
 
 
Il dolore era familiare; era lo stesso delle fatture che le lanciava, troppo preso dalla sete di quel sadico piacere per comprendere che non era così che doveva funzionare una relazione. Troppo preso dai suoi esperimenti, inebriato dal fatto che lei avesse scelto spontaneamente di essere la sua cavia.
Si odiava così tanto per non essere riuscita a scrollarselo di dosso, per non essere mai riuscita a dimenticarlo nonostante le avesse sempre e solo fatto del male. C’erano state altre persone, dopo, c’era stato Ercole – l’unico che sapeva di Adam – e c’erano stati amici che poi erano spariti, perché lei ormai non era più in grado di relazionarsi con nessuno.
Lui aveva lasciato una traccia troppo forte dentro di lei. E lei ormai era cambiata, per sempre.
Ingenuamente, da perfetta, stupida innamorata qual era, si ritrovò a pensare a lui.
 
«Piuttosto, dovresti pensare al tuo, di tempo.»
 
Se quello di Hans era un avvertimento – se Hans voleva ucciderla – non le importava. Non diede peso a quella consapevolezza in sé... riusciva solo a pensare ad Adam.
«Meg! Che ti è successo?»
Una voce familiare – quella voce, quella che l’aveva sempre sollevata, quella che era come un abbraccio caldo e rassicurante ogni santissima volta – la riscosse.
Lo riconobbe all’istante, quando lo sentì avvicinarsi con i suoi passi pesanti, e sollevò di scatto la testa. Lui era lì, guardandola apprensivo, i capelli fulvi scompigliati e le sopracciglia chiare aggrottate.
«Ercole» riuscì a sussurrare. «Che ci fai qui?»
Il suo amico si era già fiondato su di lei, stringendola nelle sue possenti braccia. La ragazza si sentì subito come se fosse guarita da tutto il male che quelle ferite e quei pensieri avevano risvegliato, rilassandosi immediatamente. Il dolore si era placato.
Per un po’.
«Tu che cosa ci fai qui. Che hai? Sei ferita?» chiese lui.
«Ti ho ferito io, in realtà. Sono stata orribile. Sempre.»
Il Grifondoro rimase zitto per qualche istante. «Per la storia del bacio?» fece, con la sua voce morbida. «Lascia perdere. Anzi, scusami tu. Io...» la voce gli si incrinò appena. Si ammutolì di botto, e Meg sorrise, intenerita; Ercole era sensibile, anche se non voleva farlo vedere. «Ecco, non avrei dovuto rifiutarmi di parlarti per tutto questo tempo. Sono stato un vero idiota.»
Come sempre si colpevolizzava solo per farla sentire più leggera, per non dirle che aveva ragione, per non ammettere che era lei la peggiore.
«Mi dispiace solo di non essere la ragazza che vorresti avere come amica – o qualunque altra cosa. Mi dispiace. Mi dispiace» ripeté la Serpeverde, appoggiando la testa sulla sua spalla e stringendolo forte.
«Non ti scusare. Vieni, torniamo a scuola. Non è sicuro stare qui» e la prese per mano, conducendola dolcemente, come aveva fatto quando gli aveva raccontato di Adam e si era irrigidita, diventando all’improvviso la fragile ragazza che era davvero.
Poi tacque, e Meg si sentì morire.
«Meg...» sollevò il suo braccio pallido e magro, fissandolo in un primo momento, per poi posare gli occhi azzurri su di lei. «Che cosa sono questi?» chiese, poi, preoccupato, guardando le macchie sulla sua pelle.
Tacque, mantenendo gli occhi viola in quelli dell’amico e sentendo già il cuore spaccarsi in due per quello che aveva da rivelargli.
Avrebbe voluto solo scherzare con lui, andare nella Stanza delle Necessità per fare due chiacchiere come facevano sempre, fare finta per un momento che Hogwarts non fosse sull’orlo di una catastrofe – perché sapeva che solo con Ercole avrebbe potuto.
Non voglio dirtelo.
Non voglio rovinare tutto.
Sospirò; lo aveva già ferito abbastanza.
Doveva sapere.
 
 
 
*
 
 
Kristoff uscì dal suo dormitorio prima del necessario, la mattina dopo; il freddo umido dei corridoi di Hogwarts gli si insinuò nelle ossa, mentre saliva le scale che portavano alla Sala Comune di Grifondoro, e il ragazzo si strinse di più nel maglione blu che indossava sopra la divisa.
Sentiva che nell’aria era cambiato qualcosa; probabilmente tutta la scuola aveva compreso la gravità della situazione.
Sperava solo che anche i Serpeverde fossero collaborativi; non erano molto famosi per essere dei buoni giocatori di squadra, in effetti.
Si distolse dai suoi pensieri quando sentì dei passi ticchettare sui gradini, veloci e rumorosi, al contrario dei suoi. Aveva la sensazione di sapere di chi fossero, ma alzò gli occhi solo quando sentì pronunciare il suo nome da Anna, che gli stava venendo incontro ancora in pigiama.
«Ciao» ricambiò lui. «Stavo venendo a parlarti per rivolgermi anche ai tuoi compagni. Tu stai bene?»
«Devo dirti una cosa» fece l’amica senza rispondere alla domanda, trascinandolo accanto a lei su un gradino. Il Tassorosso cominciò a preoccuparsi; che cosa era successo per spingere Anna a parlargli con così tanta urgenza?
Restò in silenzio, in attesa che proseguisse. La ragazza serrò le labbra, poi rivelò: «è stata Elsa ad uccidere Eris.»
Gli occhi nocciola di Kristoff si spalancarono. «Cosa?» mormorò. «E perché Merman non lo ha detto? Non è certo una cosa di poca importanza» obiettò, guardandola.
«Lo so» disse la Grifondoro. «Ma evidentemente c’è un motivo per cui non lo ha fatto. Ho pensato che tu dovessi saperlo.» Gli occhi le si gonfiarono d’un tratto di lacrime e il ragazzo capì quanto la situazione gravasse sulle spalle di Anna.
In quel momento, gli sembrò così indifesa, nonostante avesse una schiera di amici pronti ad aiutarla, che non poté fare a meno di circondarla con un braccio, permettendole di poggiare la testa sulla sua spalla e sentire il calore del suo corpo e del suo affetto.
«Con Hans come va?» le chiese, giusto per distrarla un pochino.
Anna si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «È sempre più distante. Non mi parla neanche più, a dire il vero. Io non... non ce la faccio a portare avanti una relazione in cui devo elemosinare affetto. Eppure ne ho così bisogno
Pausa.
«Forse non era vero amore» concluse, con tono incolore.
Kristoff si trovò ad essere in empatia con lei. Era impossibile restare indifferenti al dolore di Anna, così intensa e trasparente da non sembrare nemmeno reale certe volte. Per un momento, il ragazzo provò un’enorme rabbia nei confronti di Westergård, perché ignorava quanto fosse perfetta nel suo essere maldestra e chiacchierona.
«Forse no» si limitò a dirle. «Tu... beh, hai bisogno di una persona che sappia quanto sei unica e speciale a modo tuo» fece, spontaneamente.
Gli occhi della Grifondoro si allargarono in un’espressione sinceramente sorpresa, eppure al tempo stesso così consapevole in uno strano modo. Quel mix di emozioni fece zittire Kristoff di colpo.
Aspetta, che cosa ho appena detto?
Non era mai stato tipo da complimenti, e adesso gliene aveva appena fatto uno. Aveva appena detto ad alta voce quello che realmente pensava di lei.
Il silenzio che li avvolgeva diventò d’un tratto più pesante. C’erano solo loro, a guardarsi con occhi diversi, come se qualcosa di nascosto da sempre stesse tornando in superficie tutto insieme.
«Lo pensi davvero?» la voce della ragazza interruppe quello strano attimo – quell’attimo in cui tutto pareva essersi fermato in quella grigia alba di gennaio, in cui si poteva sentire il freddo che pungeva la pelle e l’odore della pietra che raggiungeva le narici.
Il Tassorosso abbassò lo sguardo, sentendo le guance bruciare violentemente.
«Io, sì, beh... sì. Lo penso davvero. Vorrei il meglio per te e... andiamo» sdrammatizzò, per togliersi dall’imbarazzo. «Quel tizio è un idiota.»
Sul volto da bambina di Anna si disegnò un sorriso dolce; il ragazzo la guardò come se la vedesse per la prima volta e la trovò adorabile, bella. Bella e pura come il cielo d’estate, caldo e soleggiato. Bella come l’arcobaleno dopo la pioggia.
Bella e basta. Era attratto da lei come non gli era mai successo prima. «Insomma, è solo che...» tentennò timidamente.
La Grifondoro sorrise. «Non è necessario che tu dica nulla» sussurrò solo.
Gli si avvicinò lentamente e gli posò un lieve bacio sulle labbra; quel gesto mandò Kristoff fuori di testa, e d’istinto la circondò, racchiudendo il corpo minuto della ragazza in un abbraccio. Anna reagì stringendosi di più a lui, e in quel momento il Tassorosso dimenticò completamente la situazione che la scuola si trovava ad affrontare. Improvvisamente Pitch Black, l’omicidio di Eris, Elsa, i dubbi su che gioco avrebbero fatto i Serpeverde, non ebbero più importanza. In quell’attimo in cui tutto era svanito, riusciva a pensare solo ad Anna e alla sua bocca morbida che si muoveva piano sulla sua.
Non sapeva con quale fine Hans si fosse messo con lei, visto che non le dava la considerazione che meritava. Se lo chiese in un lampo di lucidità, mentre le accarezzava dolcemente una spalla.
La ragazza si staccò da lui e lo guardò come se non sapesse neanche cosa fosse successo. Nei suoi occhi azzurri c’era sorpresa, c’erano tutte le emozioni che aveva provato in quell’ ultimo periodo che si attorcigliavano l’una sull’altra.
«Wow» riuscì solo a dire, e Kristoff non poté fare a meno di ridacchiare.
«Di’ ai tuoi compagni di Casa di trovarci in cortile dopo le lezioni. Dovremmo organizzarci per trovare un modo di combattere, come ha detto Merman» fece lui, per salvarsi dall’imbarazzo. «Una nostra compagna cercherà altri appoggi tra i Corvonero. Tu stai bene?» le chiese, come per rassicurarla.
«Ehm...» tentennò lei. «Sì, credo di sì. Cioè, sì. Sto benissimo.»
Aveva corso con le parole come al solito, e sul volto del ragazzo comparve un sorriso appena accennato.
«Sarà meglio andare allora. Tra un’ora abbiamo lezione.»
Anna, a quelle parole, sembrò riscuotersi. «Oh, sì, giusto! Le lezioni. Allora vado, insomma so già che arriverò in ritardo come sempre, ma non voglio entrare mentre sono tutti seduti e...» si zittì di colpo, poi lo guardò negli occhi, sospirò e disse. «Cioè, devo andare. Allora...» fece, balbettando un pochino. «A dopo.»
«A dopo» ricambiò lui.
Quando la vide correre verso la torre di Grifondoro e si avviò alla sua Sala Comune, Kristoff non poté fare a meno di sentirsi stranamente, stupidamente felice per quel bacio che sarebbe stato sempre imprigionato lì, tra le mura di pietra e le nuvole di quell’alba grigia di gennaio.
Non sapeva fino in fondo che cosa stava succedendo ad Hogwarts, e forse era meglio così.
 
 
*
 
 
Elsa si trovava nella Sezione Proibita della biblioteca, in quello stesso momento. Era mattina presto, non c’era nessuno in giro, ed aveva forzato la maniglia della porta in breve tempo semplicemente congelandola. Era stato facile, e anche se non era giusto, sapeva di non trovarsi nelle condizioni di pensare alle regole. Aveva bisogno di un libro che le dicesse qualcosa sul periodo in cui Pitch Black era stato Preside, come era arrivato ad avere la cattedra di Hogwarts, che incantesimo c’era dietro.
Perché doveva esserci un incantesimo di qualche tipo. Qualcosa che i professori preferivano tenere nascosto.
Qualcosa che adesso si sta ripercuotendo qui.
Chiuse per un attimo gli occhi e inspirò. Aveva il respiro ansante, e fino a quel momento il suo fiato aveva formato piccole nuvolette di condensa mentre passava velocemente da uno scaffale all’altro.
Pitch Black era Preside di Hogwarts, prima di Merman. Lo è diventato in concomitanza di... di determinati eventi, ecco.
Afferrò qualche giornale della sezione di storia più recente, sfogliando febbrilmente le pagine, le mani pallide che tremavano. Che senso aveva tutta quella paura? Quel malessere, il peso di aver ucciso una sua compagna senza nemmeno averlo voluto – che senso aveva, se non poteva avere le risposte che cercava?
Quella consapevolezza sembrava schiacciarla giorno dopo giorno. Che cosa vuoi da me?, avrebbe voluto urlare. Ma sapeva che non avrebbe ricevuto risposta; e in un certo senso, temeva di riceverla.
Si sentiva spaesata, sperduta. Ed era stanca di sentirsi così, stanca di galleggiare in quella marea di punti interrogativi.
Attendeva la prima sessione di Legilimanzia con Merman con ansia; le mani le si fecero d’un tratto gelide. Avrebbe voluto tanto arrabbiarsi e dirgli quello che pensava; avrebbe voluto così tanto che quel ghiaccio si scatenasse in tutta la sua potenza. E avrebbe voluto... avrebbe voluto...
Scosse la testa.
No.
Non è così, Elsa.
Non vuoi usare il tuo potere per...
 
Uccidere.
 
La parola le balenò in testa per poi essere scacciata subito. Elsa pianse; gli occhi traboccanti lacrime, una mano a coprire la bocca. Tutte quelle emozioni contrastanti si rigonfiavano dentro di lei come un’onda anomala, una risacca di paura e angoscia.
Si era precipitata in biblioteca per trovare qualcosa, qualunque cosa; ma cosa credeva? Di trovare qualcosa nel Reparto Proibito su Black? Era impossibile.
Se neanche il Preside di Hogwarts era intenzionato a parlarne, non c’era motivo che ci fosse del materiale in biblioteca.
Avrebbe dato qualunque cosa per avere tra le mani un articolo di giornale che parlasse di lui.
Si mise a cercare febbrilmente nell’archivio storico, le mani che tremavano, il viso ancora umido. Aveva voglia di mettere a soqquadro tutta la biblioteca; la rabbia sembrava divorarla.
Non c’è niente. Rassegnati.
Sfogliò gli articoli in fretta, con ansia, tenendoli a malapena tra le mani bianche. I titoli si mescolavano nella sua testa come dei ritornelli odiosi, mentre l’unico nome che avrebbe voluto vedere si ostinava a non comparire.
Appoggiò la fronte allo scaffale e lasciò andare singhiozzi di frustrazione.
Non c’è niente.
«Non piangere, mia cara» una voce melliflua interruppe le sue riflessioni. La Corvonero sobbalzò, emettendo un singhiozzo di sorpresa.
Vicino alla sezione di storia, improvvisamente, c’era un uomo alto e spigoloso che la guardava divertito, con un braccio posato distrattamente su uno scaffale vuoto.
Elsa si guardò intorno, presa dal panico. Anche se non lo aveva mai visto prima, un nome corse veloce alla sua mente.
Pitch Black.
«Anche se non fossimo soli non mi vedrebbe nessuno; è inutile che cerchi aiuto» fece il mago, riscuotendola. La guardò beffardo con i suoi occhi gialli: sembrava vagamente un gatto, possedeva un fascino elegante e minaccioso insieme. «Siamo solo tu ed io, adesso» ghignò. Con un gesto della mano, fece in modo che una cappa di fumo nero li avvolgesse. In un attimo, era vicino a lei; la ragazza poteva quasi sentire il suo respiro addosso.
I suoi occhi felini erano come fuoco sul suo corpo. Si sentiva in dovere di guardarli, anche se non capiva perché.
«Che cosa vuoi da me?» riuscì ad articolare, stringendo istintivamente il giornale che aveva tra le mani.
«Hai dei poteri straordinari, Elsa» disse solo l’altro, senza risponderle. «C’è così tanto potenziale in te...» la guardò quasi con affetto, con ammirazione. «Se tu fossi appartenuta alla sua stessa Casa, probabilmente avresti saputo già da sola come sfruttarli. Invece hai preferito reprimerli, completamente dominata dalla paura di poter fare del male a qualcuno...» Erano così amorevoli quegli occhi. Come se la stesse accarezzando, come se stessero guardando una bambina che non sa ancora niente del mondo. Come se lui la trovasse tenera, indifesa.
«Serpeverde è una Casa davvero nobile» continuò. «Ma tu questo lo sai. Giusto, Elsa?»
Si sentiva paralizzata. Quegli occhi la inchiodavano.
«Ricordati solo una cosa» le sussurrò. «Tu sei mia. Presto te ne renderai conto. E non farò l’errore di sbagliare anche stavolta.»
Per cosa?, voleva chiedere disperatamente la ragazza.
Ma poi il buio la avvolse.
 
Quando il Cappello Parlante le fu posato sulla piccola testa bionda, Elsa ebbe un sussulto.
«Oh!» sentì la voce del Cappello nella sua mente molto nitida. Sembrava sorpresa. «Ma che gran bella testa abbiamo qui!» esordì, entusiasta. La ragazzina sorrise timida, felice della constatazione che aveva appena sentito. «Vedo molta riflessività in te, Elsa Arendelle. Di certo non ti troveresti bene tra i Grifondoro; coraggiosi e puri di cuore, certo, ma troppo impulsivi. Una caratteristica che non ti appartiene.»
Elsa respirò, in attesa che proseguisse.
«Ti porti dietro, già da adesso, un dolore molto profondo. Ti senti diversa, emarginata, per via di un dono che vedo molto chiaramente. Giusto?»
Lei annuì.
«Sei abituata a reprimere le emozioni, sei educata ed elegante. Vedo anche grande intelligenza. Potresti fare grandi cose, Elsa. Hai un carisma enorme, sebbene tu non te ne accorga.»
D’un tratto, si sentiva un fascio di nervi.
«Secondo il mio giudizio, finiresti sicuramente tra i Serpeverde, Casa di prestigio e nobiltà estrema. È la Casa di quelli come te, che impediscono alle emozioni di intralciarli – almeno apparentemente – ma che hanno un grande fuoco dentro. Eppure... per la tua tutela dovrò metterti tra i Corvonero, augurandomi che questo serva.»
Per la tua tutela... che cosa voleva dire?
«Lo capirai tra qualche anno» le disse il Cappello. «Le mie decisioni sono irrevocabili per qualunque mago o strega vivente. Perciò, come ho detto, sperando che ciò sia utile a tenerti al sicuro... Corvonero!»
Elsa scese dallo scranno e si recò al tavolo dei suoi nuovi compagni che l’applaudivano, sapendo già che quelle parole l’avrebbero tormentata per tutta la sera.
 
Quando la visione svanì, Pitch Black non c’era più e lei si trovava sulla soglia dell’ingresso di Hogwarts.
Ai suoi piedi, i corpi di Megara Greek ed Ercole Thunder giacevano esanimi, freddi e immobili.




 
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Ciao a tutti, e bentornati ad Hogwarts!
Allora, io questo capitolo lo definirei molto oscuro e deprimente, anche; nessuno dei protagonisti del capitolo se la passa bene, e fatta eccezione per la scena di Kristoff e Anna – con la quale ho voluto aprire una parentesi romantica che alleggerisse un po’ il tutto – i contenuti sono impegnativi e cupi. Elsa è in preda al panico, le appare Pitch Black e... non si rende conto di quello che fa; Meg, invece, si trova a fare i conti con il suo passato e si trova alle strette con Ercole. In partcolare vorrei spendere due parole in più su di lei, anche perché tra questo capitolo e il prossimo capiremo più cose su questo personaggio. Meg mi ha colpita molto, è una ragazza che ha sofferto e che pian piano mi è entrata sempre più nel cuore prendendosene un pezzetto. Non sembra ma è vulnerabile, emotiva, e volevo che si capisse sia descrivendo il suo malsano e tormentato passato con Adam, sia descrivendo la scena con Ercole. Mi commuove vedere come ha cercato di dare forza a tutti finora, il modo in cui si è sempre mostrata ironica e dura, quando invece era la prima a crollare dentro tutti i giorni.
Insomma, spero vi sia piaciuto, ecco.
Alla prossima!
Stella cadente




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Lo riconobbe all’istante, quando lo sentì avvicinarsi con i suoi passi pesanti, e sollevò di scatto la testa. Lui era lì, guardandola apprensivo, i capelli fulvi scompigliati e le sopracciglia chiare aggrottate.
 
  
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