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Autore: Carme93    02/03/2019    2 recensioni
Conoscete il gioco "Fantastic Beasts. Cases from the wizarding world" (WB games, Media tonic)?
L'ho trovato abbastanza piacevole in generale, ma ciò che mi ha colpito maggiormente sono le trame dei vari casi: sono belle, articolate e dall'enorme potenziale narrativo. Da tale riflessione è nata questa fanfiction.
Siete pronti a seguire le avventure dell'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche?
Sì? Bene, allora iniziamo!
Non vi pentirete di aver voluto conoscere il capo ufficio, Robert Jackson, e i suoi compagni di squadra!
Genere: Avventura, Fluff, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo terzo


 
Dal fondo del bosco
 


«Buongiorno! Come va stamattina?».
«Buongiorno» replicò Robert senza alzare gli occhi su Annabelle. «Sono sommerso da scartoffie».
«Ancore per la storia del troll?».
«Già» sbuffò l’uomo. «Spero che il Wizengamot condanni Roecepton a qualche mese di carcere, così, la prossima volta, ci penserà prima di andare a caccia di creature magiche e di sguinzagliarle nel cuore di Londra».
Annabelle non commentò, sapendo quando l’amico si fosse infuriato per quella storia. E non tanto per Roecepton, quanto per i problemi avuti con la Babbana e la poca collaborazione da parte dell’ufficio Relazioni con i Babbani. «Allora, poi, sei riuscito a parlare con Samuel?» gli domandò per cambiare argomento.
«No» sbuffò Robert, abbandonando finalmente la pergamena che stava leggendo. «Sono quasi due settimane che mi evita. Non ho proprio idea di che cosa gli sia preso».
La donna si accigliò e cercò le parole adatte per consigliare l’amico: avrebbe voluto dirgli di star tranquillo, ma ella per prima si sarebbe inquietata parecchio se una delle sue figlie si fosse comportata in quel modo.
Improvvisamente bussarono alla porta ed entrambi fissarono il nuovo venuto.
«’Giorno» bofonchiò Fagan. «È arrivato questo, capo».
«Perché non l’hanno mandato direttamente a me?» ribatté Robert prendendo il promemoria viola.
«Perché viene dall’Ufficio Relazioni con i Babbani e immagino che non abbiano ancora dimenticato la tua sfuriata» ridacchiò Fagan.
Robert sbuffò e lesse il foglietto, prima di tornare a guardare i suoi colleghi. «L’hai letto?».
«Oh, sì. E mi ricordo anche il bosco in questione» replicò Fagan. «Si trova nel Kent».
«Non è lì che si trova l’Accademia Auror?» chiese Annabelle dopo aver visionato il promemoria a sua volta.
«Già. È un bosco infestato per giunta. Ma non è solo questo, in una parte si è insediata una comunità di centauri e vi sono anche altre creature magiche».
«E non dovrebbe essere protetto dal Ministero?» ribatté perplessa Annabelle. «Com’è possibile che i Babbani abbiano potuto abbatterne gli alberi!».
«Oh, invece, è possibile» borbottò Fagan. «La pratica di protezione si dev’essere arenata. E indovina un po’ dove?».
«Porco Merlino» sbottò Robert, alzandosi. «Stavolta mi lamenterò con la Ministra in persona! Quelli dell’Ufficio Relazioni con i Babbani sono degli incompetenti!».
«Aspetta» lo trattenne Annabelle.
«No, lascialo andare» intervenne Fagan. «Anzi vengono con te. Voglio dirgliene un paio a quelli lì».
«Sì, ditegliene quante ne volete, ma il bosco non aspetta voi e sono stati aggrediti anche dei Babbani» sbottò Annabelle.
«Vacci tu con Ishwar» replicò Robert.
«Agli ordini» sbuffò Annabelle sarcasticamente. I due uomini, però, si erano già catapultati fuori dalla stanza e non l’avevano neanche ascoltata. Ella sospirò e andò a dare la bella notizia al collega.
Annabelle trovò Ishwar seduto alla sua scrivania intento a rileggere con la consueta scrupolosità una relazione. «Ehi, Ish» lo chiamò. «C’è del lavoro per noi».
«Di che si tratta?» le domandò, mettendo da parte la pergamena.
«Dobbiamo andare nel Kent, dei Babbani hanno tentato di fare dei lavori vicino al bosco e sono stati attaccati».
«E l’Ufficio Relazione con i Babbani pensa che sia stata una creatura magica?».
«Esattamente».
«Andiamo subito?».
«Non abbiamo altra scelta».
Annabelle e Ishwar lasciarono l’ufficio e, appena furono fuori dal Ministero, si smaterializzarono ai bordi del bosco.
«Quello dev’essere il cantore babbano» disse Annabelle.
«Credo sia cantiere» la corresse Ishwar. «È un’area di lavoro temporanea nella quale si costruisce qualcosa, di solito un edificio o una strada».
«Beh, si intendevo quello» replicò la donna. «Diamo un’occhiata cercando di non attirare l’attenzione».
Uscirono dal bosco, ma ebbero notevole difficoltà a muoversi tra i grossi macchinari di cui, almeno Annabelle, non conoscevano il nome e, contemporaneamente, tentare di non incrociare gli operai. Dopo poco raggiunsero una specie di capannone.
«Guarda» esclamò Ishwar attirando l’attenzione della collega. «Ci sono dei pezzi di plastica».
Annabelle si avvicinò e li esaminò. «Dobbiamo aggiustarli e scoprire di che cosa si tratta».
«Quello è un disegno invece» soggiunse l’uomo. Recuperò un foglio da terra e lo osservò. «È arte contemporanea?» chiese perplesso.
Annabelle fece per parlare, ma fu preceduta da una voce maschile parecchio infastidita.
«Voi chi siete? Chi vi ha detto il permesso di gironzolare nel cantiere? Non avete neanche il casco, siete veramente incoscienti!».
«Buongiorno» si limitò a replicare Annabelle, voltandosi a guardare un signore che dimostrava più di quarantacinque anni e indossava un casco giallo, ma, a differenza degli operai, aveva una giacca e dei pantaloni eleganti sotto un gilet arancione. «Siamo qui per l’aggressione».
«Oh». L’uomo s’illuminò. «Io sono Alfred Harris, l’ingegnere a capo del progetto. Siete della polizia?».
«No, siamo della protezione animali» intervenne Ishwar cogliendo l’incertezza della collega. «Abbiamo saputo dell’aggressione e riteniamo sia stato un animale del bosco».
«Capisco» commentò Harris aggrottando la fronte. «Siete un po’ come Ace Ventura?».
«Mi scusi, come chi?» domandò Ishwar.
«Un film famoso, non lo conoscete?» ribatté l’ingegnere. «No, eh?» soggiunse vedendo le loro facce stranite. «Vabbè non è importante. Comunque io penso che il bosco sia maledetto. Sembra che gli alberi ti guardino male. Gli operai sono stati attaccati da creature invisibili. Ora hanno tutti paura. Sei si sono addirittura licenziati. Di questo passo non potrò continuare, quindi vi pregherei di risolvere la questione in breve tempo».
«Siamo qui per questo» lo rassicurò Annabelle.
«Ah, in più c’è anche mia figlia oggi. Non poteva rimanere con mia moglie e non aveva scuola, perciò sono molto preoccupato» aggiunse Harris.
«Non si preoccupi, ci mettiamo subito a lavoro».
«Bene, indossate i caschi, però» ingiunse l’ingegnere indicandone alcuni su un tavolo lì vicino.
I due annuirono e si affrettarono ad assecondarlo, ma Annabelle sbuffò appena rimasero soli. «Bosco maledetto? Ma per favore! Sono loro che stanno invadendo il territorio delle creature magiche!».
Ishwar si strinse nelle spalle e, dopo aver verificato che nessuno lo stesse guardando, aggiustò l’oggetto di plastica con un rapido movimento della bacchetta.
«Sono degli occhiali protettivi» commentò sorpresa Annabelle.
«Già. E guarda i graffi».
«La creatura deve avere delle lunghe dita appuntite».
«E il disegno? È pieno di terra» borbottò Ishwar.
Annabelle lo prese in mano e lo pulì con il suo fazzoletto. Ishwar sapeva essere incredibilmente schizzinoso.
«Potevi usare la magia» mugugnò prevedibilmente.
«Era solo un po’ di terra! Ma non ti capita mai di sporcarti giocando con i tuoi figli?».
Ishwar assunse un’espressione indignata. «Non permetto ai miei figli di sporcarsi».
«Sono dei bambini piccoli, certo che devono sporcarsi».
«Non dire assurdità, piuttosto concentriamoci sul caso. Allora quest’opera d’arte contemporanea… anche se io preferisco quell’antica… perché ridi?» sbottò Ishwar sempre più indignato.
«Non è un’opera d’arte!».
«No? E che cos’è?».
«Il disegno di un bambino! Anzi, direi una bambina visto che l’ingequalcosa ha detto di aver portato qui la figlia oggi».
«È orribile».
«È una bambina!» sbuffò Annabelle. «Insomma Ishwar sei ancora giovane!».
«E che cosa rappresenterebbe?» sbuffò Ishwar ignorando il commento della collega.
«Mmm questa sembra una freccia… e poi qui c’è una specie di mostro spaventoso con le zanne… o almeno è quello che sembra…».
«Comunque non c’interessa, cerchiamo qualche indizio. Non abbiamo tempo da perdere».
«Ma che dici? Piuttosto cerchiamo la bambina. Questo mostro spaventoso potrebbe avere a che fare con il nostro caso».
«È solo una bambina, che cosa vuoi che capisca?».
Annabelle scosse la testa e sospirò. «Non è così che funziona con i bambini. Non dimenticare che possono essere più svegli e intelligenti di noi».
Fecero un giro per il cantiere e trovarono una bambina ai margini del bosco.
«È lei?» domandò nervosamente Iswar.
«Non credo che molti bambini girino da queste parti» replicò Annabelle, poi si avvicinò alla bimba. «Ciao, io sono Annabelle. Tu come ti chiami?».
La piccola smise di saltellare e si voltò verso di loro. «Buongiorno» sorrise. «Mi chiamo Caroline».
«Caroline, è proprio un bel nome».
«È più bello Annabelle» la contradisse la bambina.
«Indisponente» borbottò Ishwar e la collega gli tirò una gomitata.
«Il brontolone è un mio amico. Si chiama Ishwar» disse Annabelle, avendo notato lo sguardo della bambina sull’altro adulto.
«Senti, abbiamo trovato questo disegno, è tuo?» le domandò Annabelle.
Gli occhi di Caroline si illuminarono. «Sì! Ti piace?».
«È bello» rispose Annabelle, ignorando lo sbuffo di Ishwar. «Ma non ho capito bene che cosa rappresenta. È un mostro che hai visto tu? Magari nel bosco?».
Caroline si avvicinò di più a lei e, a bassa voce, le sussurrò: «Nel bosco ci sono un sacco di cose bellissime, ma c’è anche una bruttissima megera».
«Una megera?» sobbalzò Ishwar. «Impossibile!».
«Ed è lei nel disegno? Ti ricordi dove l’hai vista con precisione?» le chiese, invece, Annabelle lanciando un’occhiataccia al collega.
«In una casetta nel bosco. Lì in quella direzione. È facile trovarla».
«Grazie mille, ci sei stata molto utile, sai noi stiamo indagando sulle aggressioni che ci sono state» disse Annabelle.
Caroline sorrise e li salutò, allontanandosi sempre saltellando.
«Andiamo» sbottò Ishwar muovendosi nella direzione indicata dalla bambina.
«Si può sapere che hai?» ribatté Annabelle seguendolo.
«I bambini mi innervosiscono con i loro modi. Hai visto come ci guardava?».
Annabelle alzò gli occhi al cielo e sospirò. «Senti, non vorrei dire ovvietà, ma hai un figlio e tua moglie ne aspetta un altro… i bambini non dovrebbero innervosirti!».
«Stiamo perdendo tempo. Sono sicuro che quella ha mentito e ci sta facendo girare a vuoto nel bosco».
«Quella ha un nome, ed è Caroline. E dubito che ci abbia preso in giro, il disegno era chiaro».
«Era solo uno stupido disegno».
Annabelle sbuffò, ma lasciò perdere.
Poco dopo, proprio come aveva detto Caroline, apparve in mezzo agli alberi una piccola casetta di legno, tutta coperta di verde e dall’aria rustica ma accogliente.
«Visto!» disse la donna in tono vittorioso, superando il collega.
«Aspetta, dove corri?!».
La donna bussò alla porticina proprio mentre Ishwar sopraggiungeva, ma non ebbe risposta. «Entriamo lo stesso».
«Ne sei sicura?».
«Certo, ti ricordo che sono stati aggrediti dei Babbani» ribatté Annabelle estraendo la bacchetta e aprendo la porta con un incantesimo.
All’interno l’impressione che fosse una casetta confortevole fu confermata.
«Questo sembra un piccolo ingresso» commentò Ishwar dopo aver dato un’occhiata veloce.
«Scendiamo giù allora» decise Annabelle dirigendosi verso le scale.
«Babbani o meno, per me questa è un’effrazione».
«Perché è la casa di un mago o di una strega e non di un babbano?».
Ishwar s’irrigidì. «Un non mago non se ne accorgerebbe, noi stiamo entrando nella casa di un nostro simile».
«Non mi piace come ragioni, te l’ho sempre detto» replicò Annabelle, chiedendosi esasperata perché Robert non le avesse affiancato Nerissa: si sarebbero capite al volo.
Al piano di sotto c’era un bel salottino, semplice, ma caldo, grazie a un fuocherello che scoppiettava nel caminetto, ma alquanto caotico.
«Chiunque sia il proprietario tornerà presto» intuì Ishwar.
Annabelle lo fulminò: non era il caso che le mettesse ansia! Sperando di essere entrata nella casa di un mago per bene e non di un potenziale omicida – colpa delle sue figlie che leggevano quei romanzi horror assurdi-, sollecitò il collega a cercare qualcosa che potesse essere utile all’indagine. Magari era stata proprio la ‘megera’ di cui parlava la bambina ad attaccare gli operai e non per forza una creatura magica.
«C’è un diario chiuso con il lucchetto» notò Ishwar. Annabelle gli si accostò, mentre lo apriva. «Giorno 3298. Le fatine sono irrequiete, quegli stupidi operai Babbani stanno rovinando tutto. G. B.» lesse. «Che significa?».
«Non lo so. Uno di noi deve tornare al Ministero per scoprire chi è questa G.B.».
«Comunque ha un buon motivo per attaccare i Babbani».
Annabelle annuì conscia che avesse ragione. «In caso fosse così, ci limiteremo ad avvertire la Squadra Speciale Magica».
«E voi chi siete?».
I due colleghi si voltarono di scatto verso una donna di mezz’età che reggeva un fascio di erbe tra le mani e li fissava spaventata.
«Oh, non si preoccupi» esclamò immediatamente Annabelle. «Siamo del Ministero. Più precisamente dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche».
La signora s’illuminò. «Siete venuti finalmente! Ho cercato di contattarvi un’infinità di volte!».
«A che cosa si riferisce, signora?».
«Oh! A cosa mi riferisco?! Allora non siete venuti per la mia denuncia! Non so proprio che cosa facciate voi del Ministero! Vi ho ripetutamente informato della violazione dell’habitat delle fatine!» sbottò la donna appoggiando le erbe su un tavolo.
«Ma quali fatine! Siamo qui per un’aggressione avvenuta ai danni di un gruppo di Babbani!» sbottò Ishwar.
«Oh, quelli!» sbuffò la donna storcendo il naso. «Se lo sono meritati! Hanno tentato di distruggere il bosco, ma il bosco sa difendersi e anche con ferocia se necessario! E ora andatevene!».
«Non ci può cacciare! Siamo del Ministero!» s’inalberò Ishwar.
«E siete entrati in casa mia senza alcun permesso! Credete che io sia una stupida!? Andatevene!».
Annabelle e Ishwar scelsero di accontentarla e se ne andarono.
«Magnifico, non abbiamo risolto nulla» sibilò Ishwar irritato.
«Beh, la signora ha detto che il bosco sa difendersi. Credo sia importante» ribatté Annabelle. «Magari ci sono dei clabbert».
«Li avrebbero visti! Anche il Babbano più tonto avrebbe notato il bagliore!».
Rimasero chiusi nei loro silenzi finché non uscirono dal bosco e furono intercettati dal un agitatissimo ingegnere Harris.
«Mia figlia è scomparsa! Non la trovo da nessuna parte! Dev’essere entrata nel bosco!».
«Noi l’abbiamo vista prima di entrare nel bosco» rispose Annabelle.
Harris si passò una mano tra i capelli e corse via, probabilmente a cercare la bambina.
«Proprio un bel padre se si perde la figlia».
«Sarà andata a giocare nel bosco» sospirò Annabelle. «È normale che Harris sia preoccupato dopo l’aggressione degli operai. Diamoci una mossa, magari ci è sfuggito qualcosa».
Rifecero il giro del cantiere, ma quando giunsero al capannone videro che Harris stava parlando agli operai e tentava di convincerli ad entrare nel bosco per cercare sua figlia.
«Dobbiamo fermarli» sussurrò Annabelle a Ishwar.
«È come?».
Annabelle si mordicchiò il labbro riflettendo, poi decise: «Non è ortodosso, ma se li facciamo dormire per un po’ sarà per il loro bene».
Ishwar s’accigliò. «Vuoi dire che dobbiamo farli bere la Pozione Soporifera?».
«Esattamente. La metteremo nel thermos del the. Non vedi che bevono tutti da lì? Allora, sbrigati: vai al Ministero cerca informazioni sulla nostra G.B. e recupera una potente Pozione Soporifera».
«Agli ordini».
Ishwar non era apparso più contento di lei, quando aveva rivolto le stesse parole a Robert quella mattina.
In attesa che il collega tornasse riprese a perquisire il cantiere, non perdendo d’occhio l’ingegnere e gli operai.
Non lontano dal capannone, trovò una scatola di legno colorato per i giocattoli, probabilmente di Caroline. Lo aprì tanto per non lasciare nulla di intentato, ma dubitando fortemente che dei giocattoli potessero aiutarla. Si dovette ricredere: non vi era alcun gioco, ma solo un mazzo di campanule selvatiche, sicuramente raccolte nel bosco, con un bigliettino recitante Per papà. Quel tipo di fiori cresceva soltanto alla base di alberi antichi di almeno un centinaio di anni. E ciò significava che la bambina doveva essersi già inoltrata nel folto del bosco. E non era un bene, perché oltre le creature, nel cuore del bosco vi era anche l’Accademia Auror.
Accolse con sollievo il ritorno di Ishwar, poiché non poter far nulla la stava innervosendo molto di più della situazione in sé.
Annabelle aiutò il collega a versare la pozione nel thermos, distraendo i Babbani.
Fortunatamente il piano funzionò e, a poco a poco, tutti si addormentarono.
«È una pozione molto forte» disse Ishwar orgogliosamente. «Abbiamo due ore per risolvere il caso senza che si mettano in mezzo».
«Ottimo» replicò Annabelle, informandolo sui fiori che aveva trovato.
«E io ho scoperto che G.B. sta per Giselda Baxter. E sai chi me l’ha detto?».
«Fabricio?» sorrise leggermente Annabelle, conoscendo i modi da latin lover del collega.
«No. Fagan».
Annabelle rise. «Scherzi? E come la conoscerebbe?».
«Non ci crederai mai, ma questa donna ha fondato il PUFF – Presidio Universale per il Futuro delle Fatine - e lei e Fagan sono gli unici iscritti».
La risata di Annabelle divenne incontrollabile: proprio non ce lo vedeva il burbero amico a battersi per delle fatine.
«Ah, mi ha anche detto che Fabricio, al quale è stata affidata la denuncia della signora, ha vergognosamente dimenticato la pratica! Li ho lasciati che litigavano».
Annabelle rise più forte ed ebbe bisogno di diversi minuti per calmarsi. «Bene, andiamo a cercare la bambina nel bosco innanzitutto» sospirò asciugandosi le lacrime.
«Comunque se scappa così, vuol dire che non è stata ben educata» sentenziò dopo un po’ Ishwar.
«Lo credi davvero? Sinceramente non penso si possa giudicare soltanto da questo».
«Ah, no? I miei figli non si permetteranno mai di fare una cosa del genere!».
«Beato te che ne sei così convinto» borbottò Annabelle. «I bambini sono così imprevedibili. Un cantiere poi non è posto per loro, si sarà annoiata e si sarà inoltrata nel bosco per gioco senza cattiveria o volontà di far dispetto a qualcuno. Probabilmente in questo momento si starà divertente incurante della preoccupazione suscitata».
«Suo padre le avrà sicuramente detto di non allontanarsi» insisté Ishwar.
«È una bella giornata autunnale e c’è un bosco dai colori bellissimi e dove crescono fiori come le campanule selvatiche, tu da bambino non avresti avuto voglia di farci un giro anche disubbidendo agli ordini dei tuoi genitori?».
«Certo che no» dichiarò con sicumera Ishwar.
«Fortunati i tuoi genitori allora» commentò Annabelle.
«I miei non erano fortunati, esigevano il rispetto e lo ottenevano tutto qui. È così che funziona».
«Non sono d’accordo» replicò Annabelle. «Il rispetto non si può ‘esigere’, ma…».
«Che c’è?» le chiese Ishwar.
Annabelle aveva smesso di parlare e si era fermata. «Ho pestato qualcosa» rispose chinandosi e rovistando nell’erba giallognola. «E questa che roba è? Sembra un manufatto in legno ben lavorato e ci sono anche dei disegni… Reparo!».
«È un arco» mormorò Ishwar chinandosi accanto a lei e passando un dito sulle costellazioni incise sul legno. «Questo genere di artefatti di solito viene fabbricato dai centauri. C’è una comunità da queste parti?».
«Sì, ma molto piccola» rispose Annabelle.
«Diamo un’occhiata qua intorno» decise Ishwar.
Era una piccola radura, poco lontana dal cantiere, per cui non si sorpresero quando trovarono un’ascia ai piedi di un imponente albero.
«Ci sono gli stessi graffi presenti sugli occhiali protettivi» notò Annabelle.
«Perciò dev’essere di uno degli operai aggrediti» soggiunse Ishwar.
«Stavano tentando di tagliare quest’albero» disse Annabelle passando la mano su un profondo taglio nella corteccia.
«Ehi, voi! Chi vi ha dato il permesso di stare nel nostro territorio?».
«Veniamo in pace» sospirò Annabelle voltandosi verso il centauro.
«E abbiamo trovato e aggiustato quest’arco. È uno dei vostri, vero?» aggiunse Ishwar sperando di suscitare la benevolenza della creatura.
«Sì, grazie» disse il centauro, riprendendosi l’arma. «Ora, andate via, però».
«Stiamo cercando di capire che cosa ha aggredito gli uomini che sono entrati nel bosco» tentò Annabelle.
«Noi centauri non aiutiamo gli umani» replicò rigidamente il centauro.
Né Annabelle né Ishwar ebbero il tempo di replicare che delle urla infantili squarciarono il bosco. Entrambi corsero verso la casetta di Giselda, da cui sembrava che provenissero. Rischiarono di perdersi un paio di volte, ma alla fine Ishwar riuscì a orientarsi e i due raggiunsero la casetta. Lì intorno, però, era tutto tranquillo e non c’era alcuna traccia della bambina.
«Accidenti, e ora che le sarà successo?» sbuffò Ishwar.
«Magari è entrata nella casa di Giselda, la porta è socchiusa».
«Effrazione, parte seconda» sbottò Ishwar.
«Il tuo sarcasmo è fuori luogo».
«Non è sarcasmo, sono perfettamente serio».
Annabelle lo ignorò e scese nuovamente le scale fino al salottino, nel quale erano già stati quella mattina. Iniziarono a perquisirlo nuovamente, ma il ritorno di Giselda li interruppe.
«Oh, ma è un vizio! Vi denuncerò sul serio al vostro capo! Al Ministro in persona se necessario!».
«Si calmi. Cercavamo una bambina e le sue urla ci hanno condotto fino a qui. Ho pensato che si fosse intrufolata in casa, visto che la porta era socchiusa».
«La bambina è scappata appena mi ha visto. Ho cercato di fermarla e si è spaventata ancora di più. Ha perso questa».
Annabelle prese la collanina che l’altra le porse: il ciondolo era a forma di fatina. «Grazie. Gliela restituiremo» disse. «E, per quanto riguarda le fatine, non si preoccupi i nostri colleghi accelereranno la pratica».
«Oh, bene» commentò Giselda piacevolmente spiazzata. «Allora, piacere di avervi conosciuto».
«Piacere nostro» replicò Annabelle. «Adesso andiamo a recuperare la bambina».
«Dobbiamo sbrigarci» le disse Ishwar. «È trascorsa già un’ora e poi presto farà buio e non sarebbe saggio neanche per noi vagare per il bosco. Lo sai che questa zona è infestata?».
«Non è proprio questa zona, ma più a nord, comunque sì dobbiamo risolvere il caso prima che cali il buio».
«Seguiamo gli alberi più antichi, se quella bambina è attratta dai fiori magari tornerà dove ha raccolto le campanule».
Annabelle annuì conscia che il collega avesse ragione.
Camminarono in silenzio finché non giunsero in una radura più grande di quella nella quale avevano incontrato il centauro.
«Ci sono tracce di scarponi» disse Ishwar chinandosi e toccando la terra. «Sicuramente gli operai sono arrivati fin qui».
La donna fece una smorfia infastidita. «Questi sono alberi molto antichi, sarebbe un vero peccato tagliarli».
«Forse più antichi di quanto sembri» borbottò Ishwar avvicinandosi a una pietra coperta di muschio. La pulì con la magia proprio mentre Annabelle lo affiancava. «È una statua di foggia celtica» commentò colpito.
«E presenta gli stessi graffi degli occhiali protettivi e dell’ascia» notò Annabelle. «C’è qualcosa nella bocca».
«È una campanula… oh, oh queste sono uova di fatina…» disse Ishwar dopo aver svuotato la bocca di pietra.
«E sono mezze mangiate…» continuò Annabelle.
«Qui c’è un pezzo di stoffa» soggiunse Ishwar spostandosi rapidamente di lato.
«Sembra proprio un pezzo della maglia che indossava la bambina e c’è un’impronta di zoccolo sopra» sospirò.
«I centauri non fanno male ai bambini di solito. Cerchiamoli».
«La bambina si sarà sicuramente spaventata un sacco» sospirò Annabelle.
«Peggio per lei» bofonchiò Ishwar, ma la collega lo ignorò.
Trovarono sia il centauro sia la bambina nella radura più piccola nella quale era passati poche ore prima.
«Che cos’ha?» domandò angosciata Annabelle, vedendo la bambina priva di sensi ai piedi del centauro.
«È caduta, ha sbattuto la testa e ha perso i sensi. Noi non facciamo male ai cuccioli d’uomo» rispose freddamente la creatura.
«La mia collega è solo preoccupata» intervenne diplomatico Ishwar.
«Promettete di far stare tutti lontani dalla nostra foresta e vi lasceremo andare» dichiarò il centauro.
Solo in quel momento i due colleghi videro dei volti minacciosi apparire tra gli alberi, si scambiarono un’occhiata e annuirono all’unisono. «Lo promettiamo» disse Annabelle.
«Molto bene» commentò il centauro e si ritirò insieme ai suoi compagni.
«Uhm, certo, molto bene…» borbottò Ishwar seccato.
Annabelle s’inginocchiò accanto a Caroline e pronunciò «Reinnerva», avendo cura di far sparire la bacchetta prima che la bambina fosse del tutto vigile. «Come stai?».
«Mi fa un po’ male la testa» borbottò Caroline.
«Sei caduta e hai sbattuto la testa, è normale. Che cosa ti è successo?» disse gentilmente Annabelle.
«Ho visto la megera e sono scappata via finché non ho raggiunto una radura. Ho visto una statua e ho pensato di giocarci, ma sono inciampata e qualcosa mi ha attaccato e quindi sono scappata via».
«Hai visto che cosa ti ha attaccato?» domandò Annabelle, sebbene ormai fosse certa di conoscere la risposta: i graffi sul volto della bimba erano gli stessi che avevano già visto sulla statua.
«Erano delle creature… non alte più di quindici centimetri… più o meno… ed erano furibonde… mi hanno graffiato come fanno i gatti… ma non erano gatti…».
Annabelle e Ishwar si scambiarono un’occhiata d’intesa.
«Credo di averne ferita una» confessò Caroline torcendosi le mani angosciata. «Non volevo».
«Stai tranquilla, ti sei solo difesa» sussurrò con voce bassa e tranquillizzante Annabelle, facendo un cenno al collega. Ishwar estrasse la bacchetta e la puntò verso la bambina i cui occhi divennero improvvisamente vacui.
«Io… dove sono?» chiese perplessa. «E voi chi siete?».
«Noi lavoriamo per la protezione animali, siamo qui per indagare sulle aggressioni agli operai, tu ti sei allontanata nel bosco e noi ti abbiamo trovata. Ora ti riaccompagniamo da tuo padre».
La bambina annuì palesemente confusa. «Grazie».
Quando finalmente ritornarono al cantiere gli operai si stavano svegliando. Il primo a correre verso di loro fu l’ingegnere che abbracciò la figlia. Annabelle e Ishwar si scostarono per lasciarli un po’ di privacy, ma rimasero abbastanza vicini da far capire a Harris di volergli parlare al più presto.
«Vi ringrazio per aver trovato la mia bambina».
«Dovere» rispose rigidamente Ishwar.
«Signor Harris deve fermare i lavori» dichiarò Annabelle con fermezza.
«Sì, sì, l’avevo già pensato. Modificherò il progetto e farò in modo di evitare il bosco» ribatté l’ingegnere. «Né io né gli operai vogliamo più avere nulla a che fare con quel bosco, ve lo assicuro. Ma c’è un problema».
«Quale?» chiese Ishwar.
«Gli operai mi hanno detto che è sparita una fiamma ossidrica e dobbiamo assolutamente ritrovarla, ma nessuno vuole andare a cercarla nel bosco».
«Non si preoccupi, ve la riporteremo noi».
«E come facciamo?» borbottò seccata Annabelle. «Sta per fare buio e dobbiamo trovare l’asticello ferito o non hai capito quello che ha detto Caroline?».
«Ho capito benissimo. D’altronde ci sono molti alberi da bacchetta nel bosco e gli asticelli sono ghiotti delle uova delle fatine… so fare due più due… senza contare tutti quei graffi… Comunque credo di sapere dov’è quella cosa che cercano i Babbani».
«Sul serio?».
«Già, credo che Giselda se ne sia impossessata. Vai tu e io cerco l’asticello».
«Va bene» acconsentì Annabelle.
Ishwar impiegò almeno una decina di minuti a ritrovare la radura più grande e s’inginocchiò, cercando l’asticello nei pressi dell’antica statua.
«Ahio!». L’uomo balzò all’indietro e si mise in bocca il dito insanguinato. «Accidenti!». Ebbe il suo bel daffare a calmare la creatura che, nonostante fosse ferita, tentava ancora di proteggersi. Alla fine, stanco e graffiato, gli somministrò qualche goccia di Pozione Soporifera e la ripose dormiente nella tasca del suo mantello.
Ad Annabelle era andata decisamente meglio, la donna lo attendeva sul limitare del bosco.
«Ho restituito quella fiammaqualcosa all’ingegnere, tu hai trovato l’asticello?».
«Sì, è qui al sicuro» rispose Ishwar sfiorando la tasca.
«Ottimo, siamo stati bravi, giusto in tempo: il sole sta per tramontare».
«Robert ci pagherà gli straordinari?».
Annabelle rise. «Può darsi».
   
 
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