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Autore: AlsoSprachVelociraptor    14/03/2019    0 recensioni
Lloyd Richmond, giovane film-maker dal fisico fragile, la mente contorta, il cappello della Planet Hollywood calato sui suoi cinici occhi azzurro ghiaccio e il fidato coltellaccio appeso alla cinta, è pronto a tutto per diventare il regista che ha sempre sognato di essere.
Anche essere mandato dalla BBC a Ronansay, un'isola sperduta a nord delle fredde coste della Scozia e bagnata del tremendo mare del Nord a indagare su un misterioso hotel che si dice essere infestato dai fantasmi.
All'albergo, tuttavia, Lloyd troverà segreti ben peggiori di uno spirito; scheletri nell'armadio, doppiogiochisti pericolosi, destini segnati nel sangue, porte chiuse a chiave, il mare del Nord affamato che chiederà sempre più sacrifici umani.
E sì, anche un fantasma.
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[Storia liberamente tratta alla serie tv "Two Thousand Acres of Sky" della BBC, anche se NON c'è bisogno di conoscere la serie per leggere la storia, dato che ne è solo ispirata. Anzi, se non la conoscete è molto meglio]
Genere: Comico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Era come una sensazione di dolore fisico, mentale,  spirituale. Come se qualcuno avesse deciso di pugnalarlo con un coltello, ma non un vero coltello. Uno finto, uno fantasma.

Non sanguinava, eppure sentiva la ferita.

Cosa l’aveva lacerato così?

Si trascinò a fatica nell’hotel, nella sua stanza, ma non raggiunse il letto. Non ne aveva le forze. Come ormai era consuetudine in quel maledetto hotel, si lasciò scivolare contro la porta, crollando sul pavimento gelido.

-Com’è morire?- chiese a voce alta, come se ci fosse qualcuno ad ascoltarlo.

C’era.

Kenneth si palesò davanti a lui, flebile come un miraggio nel deserto. -Com’è morire?- ripeté.

-Triste- rispose a voce bassa il fantasma.

-Raccontamelo.-

La mania che Lloyd aveva sempre avuto con la morte era malata, lontana e cinica. A sei anni aveva catturato una ranocchia dallo stagno vicino alla baracca in cui viveva fuori Londra e, dopo averla mostrata a sua sorella maggiore, l'aveva strizzata tra le mani senza pietà.

A sette tagliò il polpaccio a uno degli amanti di sua madre per curiosità e anche perchè odiava tutti quegli uomini che entravano in casa loro. A dieci fece trovare ciò che rimaneva del gatto dei vicini davanti alla loro porta. Odiava i suoi vicini. Li odiava.

A sedici, quando sua madre era poco più che un vegetale per l'overdose che aveva avuto, non pianse. Non provò davvero nulla. Fay, sua sorella, sembrava un fiume in piena. La colpì in viso perché sentirla fare così tanto rumore coi suoi singhiozzi gli dava fastidio e se ne andò con la sua vecchia valigia rubata dalla spazzatura dei vicini.  Lo meritava. Fay era scappata appena compiuti i sedici anni e l’aveva lasciato da solo con sua madre, gli ultimi anni di lucidità di quella donna consumata dalla droga.

A consegnare pizze e giornali e depredare i corpi immobili dei drogati nei vicoletti aveva raccolto un gruzzoletto per potersi prendere una telecamera e riprendere la vita. O la morte.

Aveva fatto successo e continuava a sentire l'impulso della morte dentro di sé. Aveva picchiato sua sorella incinta l’ultima volta che l'aveva vista. Si era fatto strada fino alla BBC insanguinandosi le mani, e così Dennis l’aveva trovato: sporco di sangue. Si era scopato la sua bella e gentile manager e poi l’aveva buttata giù dal balcone.

Lei era innamorata… lui voleva vedere le sue ossa.

Ricordava la paura negli occhi del gatto dei vicini ma non ricordava di aver provato qualcosa. Negli occhi di Kenneth non c'era paura ma c'era la morte come negli occhi di quel gatto.

-Raccontami come.- chiese ancora Lloyd, anche se più che una domanda era un ordine.

Kenny si sedette davanti a lui, gambe incrociate e mento alto.

-Non c'è molto da raccontare. Il Mare ha preso la mia nave, ma mi ha voluto riportare alla spiaggia un'ultima volta.

Non c'era nessuno. Non potevo muovermi, avevo freddo e le braccia sembravano quelle di qualcun altro. Ogni respiro sembravano spilli in gola e nel petto e anche solo rimanere lucido era doloroso. Ho provato a gridare ma nessuno mi ha sentito. Non so quanto tempo sia passato dalla marea che mi ha portato alla spiaggia fino alla mia morte, forse ore, forse mezza giornata. Ero triste, ero.. triste e basta. Stavo morendo in modo solo e patetico. E poi hanno perso la mia bara in mare. Ho vissuto in modo patetico, sono morto in modo patetico, e anche dopo la morte sono rimasto solo un patetico ricordo.-

Lloyd non aveva mai pensato che gli altri potessero provare qualcosa. Non era nemmeno sicuro di provare qualcosa lui stesso. Era palese, le emozioni esistevano e lo sapeva, ma l'idea di esse non l'aveva mai scalfito. Era come un pensiero estraneo, che qualcuno, Kenny probabilmente, gli stava incuneando nel cervello.

Kenneth era morto da solo, lentamente e dolorosamente, senza nessuno al fianco, consapevole di non essere amato. Anche Lloyd sarebbe morto da solo, alla ricerca di aria e aiuto, una mano puntata verso nessuno perché nessuno lo amava e lui non si era mai fatto amare da nessuno. Immaginava la sua morte spesso, ma mai così.

Più che un'immaginazione, ora, sembrava una visione dal futuro.

Lloyd si sentì tutto ad un tratto mancare l'aria nei polmoni.

Ricordò gli occhi di Lucy mentre premeva sulle sue spalle per buttarla giù dal balconcino del condominio. Cos'aveva pensato lei, in quel momento? Forse “perché mi fai questo? Credevo tu mi amassi!”, forse pensava alla famiglia che si lasciava alle spalle. Forse al fatto che la sua vita sarebbe finita presto, senza aver mai fatto niente, tanti anni di studio e fatica solo per diventare carne sfracellata al suolo. Era sopravvissuta o si era sfracellata davvero?

L'aria non voleva saperne di entrare nei polmoni di Lloyd, e per quanto aprisse la bocca non passava niente.

Ken strinse le sue spalle, lo chiamò e lo scosse, gli tirò qualche schiaffo al centro della schiena e finalmente il tappo che si era creato nella gola di Lloyd se ne andò. Kenneth lo strinse in un abbraccio preoccupato e Lloyd lo lasciò fare.

Avrebbe voluto vedere Kenny morire.

Doveva essere bellissimo. Fradicio, pallido sotto la luna bianca mentre pian piano il suo battito si faceva più lento, i suoi occhi più spenti, il suo respiro lieve.

Quanta bellezza era andata persa.

Kenny adagiò Lloyd con cura sul letto, sedendosi al suo fianco mentre dolcemente gli accarezzava i capelli sudaticci sulla fronte madida e bollente. -Scusami, io non… tu… Hai la febbre. Devi riposare…- sussurrò, come se la sua melodiosa voce potesse dargli fastidio.

Lloyd rimase a osservare lo spirito di quell'uomo meraviglioso e perso e patetico, come se nella sua testa non ci fosse altro oltre a lui. -Rimani con me...- riuscì solo a dire.

Quella sera? Per sempre?

Kenny scostò le coperte dal corpo febbricitante di Lloyd e lo cinse in un abbraccio protettivo, stretto al suo petto come un tesoro delicato da proteggere.

Che Lloyd ricordasse, nessun altro l'aveva mai abbracciato.

Quante nuove emozioni tutte assieme…

 
   
 
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