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Autore: Luana89    15/03/2019    0 recensioni
Non fu la sua bellezza a colpirmi: bensì l’assenza d’espressione sul suo viso. Il mio occhio fissava attraverso l’obiettivo, poco prima di scattare la prima foto del mio anno scolastico. Lo sconosciuto sembrò quasi sentire il lavorio dei miei pensieri, sollevò di scattò il capo guardando tra la folla, e i suoi occhi si poggiarono su di me per una manciata di secondi che valsero un’intera vita. C’era qualcosa in lui, qualcosa di assolutamente inspiegabile. Lo capii poco prima che sparisse all’interno della struttura: le persone attorno a quel ragazzo sembravano scostarsi al suo passaggio, come se quel singolo essere umano fosse in grado di domare la forza di gravità e il baricentro spostandoli a suo piacimento. Mi persi per un istante.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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II.



Rigirai il mio tesserino tra le dita, non riuscivo ancora a realizzare di essere uno studente universitario, di essere parte di ‘’qualcosa’’ per la prima volta nella mia vita. Volevo fare bene, volevo riuscire, i miei buoni propositi sembravano martellare dentro il mio cervello. Potevo lasciarmi tutto alle spalle? Fingere che non fosse mai successo nulla, fingere di non avere un passato magari. Il cellulare non interruppe semplicemente i miei pensieri, li distrusse come una bolla di sapone arrogante.
 
— Detective, che piacere..
— Mi dispiace disturbarla così, ma pensavo fosse interessato alle novità sul /suo/ caso.
— Certo, mi dica pure.
— Thomas è stato visto a Las Vegas una settimana fa.
— ….
— Nei pressi della sua abitazione. Probabilmente cercava lei, non sa del trasferimento.
— Capisco..
— Non abbia timori, lo prenderemo.
— Lo so, mi fido di lei.
 
Mi fidavo di lui, e lui si fidava di me. La maggior parte dei rapporti iniziano così, con quella parvenza di fiducia che costruisci su basi non certe. Cercava Thomas per il mio rapimento, per il mio tentato omicidio e per l’omicidio di quell’uomo.. un omicidio che TJ non aveva mai commesso però. Improvvisamente le pareti della caffetteria sembrarono stringersi attorno a me, respirai profondamente afferrando il bicchiere di latte macchiato al cacao. Mi scottai sobbalzando.
«Sei distratto.» Una voce femminile catturò la mia attenzione, sollevai lo sguardo osservando una ragazza non molto alta, ma che sembrava parecchio consapevole di avere ogni forma al posto giusto. Scostò i lunghi capelli castani dalla spalla sedendosi di fronte a me.
«Non sono ancora iniziate le lezioni e sono già distratto.. fantastico.» racimolai un sorrisino blando che non convinse nemmeno me.
«Sono Sophia, piacere.» Ricambiò il mio con un sorriso ben più raggiante.
«Oh.. mi chiamo Joshua, scusami. Sei anche tu del primo anno?»
«Si, facoltà di management, tu?» Reclinò appena il capo come se mi stesse squadrando con attenzione.
«Arte e fotografia, sono entrato tramite la borsa di studio..» non ero ben sicuro del perché dovessi ogni volta far sapere al mondo quanto la mia soglia di povertà facesse a gara con quella dei barboni agli angoli delle strade. Scoprii che Sophia era la figlia adottiva di un uomo molto facoltoso, e che lavorava come aiuto manager in un pub.
«Vorresti lavorare lì? Il manager ha una palese cotta per me.. c’è qualcosa che sai fare?» Il suo tono ironico piuttosto che indispettirmi mi divertì, le concessi la prima vera risatina della giornata e sembrò compiaciuta.
«Ho lavorato come barman a Las Vegas, se può servire.. Perché vuoi aiutarmi? Non mi conosci nemmeno.»
«Mi stai simpatico, e inoltre ho un debole per quelli in difficoltà. Un’ultima domanda..» restammo sospesi e in silenzio pochi istanti. «Sei gay?»
«Cosa te lo ha fatto intuire..?» Disse il ragazzo palesemente gay.
«Maledizione, lo sapevo. Tutti i più belli sono gay, dovrò lasciar perdere.» Sbuffò in maniera capricciosa, e in quel momento seppi di aver trovato la mia prima amica in quel posto pieno di sconosciuti, una persona con la quale sembravo avere più di una cosa in comune.. partendo dall’essere due ragazzi adottati e finendo con la spiccata sensibilità.
 
 
Lasciai Sophia con la promessa di rivederla in serata, mi avrebbe portato al pub per un breve colloquio. Non dovevo aspettarmi molto dalla paga, ma con le mance a detta sua avrei comunque arrotondato bene nei fine settimana, e in questo modo avrei ripagato i miei debiti con Shou e Joel.. Joel il mio gemello. Identici fisicamente, con un solo neo a differenziarci e distinguerci e qualche centimetro d’altezza in meno da parte sua. Se io mi facevo vanto del mio metro e settantanove, lui si lagnava del suo metro e settantaquattro. Scoprii di avere un gemello grazie alle ricerche di Shou, la mia famiglia biologica era andata al creatore soltanto due anni prima della mia venuta a Las Vegas, ma giusto in tempo per disfarsi anche del loro secondo figlio che ritrovammo in Francia a studiare teatro e godersi la bella vita. Joel era diverso da me, più sicuro di se, diceva più parolacce, meno amante dello shopping compulsivo, meno (per niente) gay e meno buono. O almeno questo è ciò che diceva. Perché in tutta franchezza io di buono sentivo di non avere più nulla, ogni notte lo stesso sogno sembrava perseguitarmi.. mi sentivo in trappola. Immerso in quei pensieri non vidi il muro di fronte a me, andandoci a sbattere di forza.
«Cavolo..» mi massaggiai la fronte cercando di non frignare come mio solito. Perché si, alla lista dei miei pregi potevamo aggiungere la lacrima facile. Mi guardai attorno fissando poi la cartina tra le mie mani, quella non era di certo l’ala di arte e fotografia.
«Mi ostruisci il passaggio.» Una voce bassa e fredda mi fece sobbalzare, mi voltai e per poco la cartina non mi cadde dalle mani. Fissai quelle pozze blu riconoscendole immediatamente, sentendo la lingua seccarsi dentro la mia bocca.
«Oh io.. mi dispiace.. mi sono.. cioè no non mi dispiace, intendevo dire che—» cosa intendevo dire? Lo avevo francamente scordato.
«Intendevi dire che ti sei perso come un bambino di tre anni?» Inarcai un sopracciglio a quelle parole lievemente sprezzanti. Okay, il tipo bello e figo che avevo fotografato soltanto il giorno prima era anche uno stronzo.
«Non mi sono perso.»
«Ah no? Quindi frequenti la facoltà di farmacia?» Mi fissò attentamente.
«No.. volevo solo vederla, problemi?» Sorrisi sarcasticamente e mi sembrò come se fosse stato distratto da qualcosa sul mio viso. Alla fine sorrise e io dimenticai nuovamente dove mi trovavo.
«Peccato che questa sia la facoltà di CHIMICA..» Si poggiò al muro incrociando le braccia al petto, mi aveva appena fregato? «Secondariamente tu hai più la faccia da facoltà di ..lettere.»
«Ti sbagli, mago merlino.» Finalmente aveva sbagliato qualcosa. Il suo viso sembrò schiarirsi improvvisamente, schioccò le dita come se fosse arrivato alla conclusione sul senso della vita e io mi distrassi nuovamente fissando quegli strani tatuaggi.
«Rettifico, sei della facoltà di arte e fotografia.» La mascella per poco non mi cadde, mossi qualche passo indietro inciampando sui miei stessi piedi e se la sua mano non mi avesse afferrato prontamente sarei caduto come un imbecille col sedere a terra. Mi lasciò andare subito, la sua espressione tornò fredda e quasi distante come se fosse arrabbiato con se stesso per non avermi fatto morire di trauma cranico pochi secondi prima.
«Beh..» non mi diede il tempo di rispondere, scrollò le spalle con indolenza superandomi senza più darmi corda. Mi voltai pronto a lanciargli la mia scarpa e urlare ‘’ehi parlo con te, stronzo’’ ma una voce alle mie spalle mi bloccò.
«ENOCH.» Mi voltai osservando una ragazza slanciata e a mio parere slavata accodarsi allo sconosciuto. Vicina, troppo vicina. Quindi il suo nome era ‘’Enoch’’? Fissai le sue spalle larghe finché non svoltò il corridoio restando nuovamente solo coi miei pensieri. Lo avrei rivisto ancora? Ma soprattutto mi importava rivederlo? La risposta che mi diedi mi piacque molto poco.
 
 
L’insegna al neon del pub si accendeva di un rosso vivo a intermittenza, lessi il nome con attenzione: Quo Vadis. Decisamente appropriato per il momento che stavo vivendo, non so se sarei stato in grado però di rispondere a quella domanda.
Sophia mi trascinò dentro, l’ambiente era illuminato come se il 50% delle lampadine si fossero fulminate, e quando lo feci notare mi arrivò una gomitata sul costato.
«Si dice ‘’luci soffuse’’.» Ah certo, ma questo non cambiava il fatto che le zone d’ombra mi mettessero ansia e stress. Dopo essermi risvegliato dal coma avevo sviluppato questa sorta di ‘’fobia’’ particolare per le ombre, non era il buio a spaventarmi bensì la luce parziale. Quelle forme mostruose che si allungavano nei muri e per terra con la penombra mi rendevano impossibile respirare normalmente.
Al bancone una ragazza bionda e dai lineamenti severi stava pulendo dei bicchieri con svogliatezza.
«Lei è Anastasia, ma tu puoi chiamarla Nastya.» Le tesi la mano con un sorriso e ricevetti un’occhiata scettica.
«Se può chiamarmi così dovrei essere io a deciderlo.» Okay, Nastya sembrava poco amichevole e anche russa a giudicare dall’accento.
«Io sono Joshua, ma tu puoi chiamarmi Joshua.» La mia espressione imperturbabile confuse Sophia ma stranamente fece ridere la russa che posò il bicchiere ormai asciutto stringendomi la mano.
«Puoi chiamarmi Nastya simpaticone, Sophia mi ha parlato di te. Il manager non ha tempo per i colloqui, vieni dietro al bancone sarò io a esaminarti.» La tensione che sentivo allo stomaco sembrò sciogliersi improvvisamente. Conoscevo tutti gli alcolici presenti, lavorare a Las Vegas per una volta mi aveva salvato le chiappe e forse non sarei morto di fame nell’attesa di un lavoro. Preparai un analcolico per Sophia (scoprii che non reggeva l’alcool per niente) che annuì soddisfatta alla prima sorsata.
«Nastya, non è adorabile Joshua?» Arrossii schiarendomi la voce, perché parlava di me come se non ci fossi? La bionda mi circondò le spalle con un braccio stringendo la presa.
«Molto, è come un bambino, hai visto che lineamenti perfetti?» Mi prendevano in giro? «E ha un culo da donna, e di culi ne ho visti parecchi io.»
«Okay, ora piantatela..» mi scostai fulminandole con un’occhiataccia ricavandoci solo delle risate divertite.
«Sei davvero bello Joshua, non scherzo.. quando ti ho visto al bar volevo rimorchiarti.» Sophia mise un broncio adorabile, immaginavo avesse parecchio successo con gli uomini, era un misto tra una bambina infantile e una sensazionale seduttrice.
«Sophia, tu vuoi rimorchiare ogni fottuto palo che incontri.» La voce più rude di Nastya si intromise facendomi ridere, la fissai meglio. Aveva dei lineamenti severi ma belli, non era vistosa come la capricciosetta seduta di fronte a noi, ma supponevo avesse il suo perché. Lo supponevo perché appunto le donne non mi facevano granché effetto.
«Scusatemi se interrompo..» la mia voce esitante le distrasse abbastanza dal piccolo battibecco. «Ma quindi sono assunto o no?» La mia faccia per qualche motivo fece scoppiare a ridere entrambe. Lo presi come un si.
 
 
Presi un bel respiro stringendo i pugni delle mani, preparandomi a entrare nei corridoi del dormitorio adesso deserti e in penombra. Mancava poco allo sforare del coprifuoco e se non mi davo una mossa sarei rimasto lì a dormire con i cespugli e gli insetti, cosa che mi allettava tanto quanto i muri imbrattati dall’oscurità. Socchiusi gli occhi prendendo coraggio, salendo le scale con occhi attenti a captare ogni movimento. Misi piede nell’ultimo gradino provando a fare il minimo rumore possibile camminando in punta di piedi con la tensione che mi avvolgeva manco fosse un sudario di morte (così drammatico..).
«Ma che cazzo—» l’imprecazione servì solo a rompere quella fragile parvenza di coraggio strappandomi un urlo che soffocai con entrambe le mani schiantandomi contro il muro. Fissai con gli occhi fuori dalle orbite l’ambiente attorno a me, di chi era quella voce? C’erano i fantasmi lì? Una sagoma poco distante servì a non farmela fare sotto del tutto. Rilassai le spalle mandando giù il bolo di saliva.
«Ti sembra il modo di—» mi stoppai non appena riconobbi la figura alta, la postura rilassata di chi sembrava fregarsene di qualsiasi cosa gli accadesse intorno. «Enoch?» L’averlo chiamato per nome sembrò coglierlo di sorpresa, mi fissò con gli occhi socchiusi avvicinandosi.
«E tu saresti?» Questo tipo aveva la memoria a breve termine, per forza.
«Dimentichi così in fretta le persone?» Mi scoprii alquanto piccato dalla cosa.
«Solo quelle inutili.» Aprii la bocca per ribattere ma non uscì alcun suono. «Sei ‘’arte e fotografia’’
«Joshua.. mi chiamo Joshua.» Mi toccai nervosamente il ciuffo che copriva la mia fronte, quasi volessi allungarlo per magia fin dentro i miei occhi. Allora si ricordava di me. Dovevo darmi un contegno, che problemi avevo esattamente? Il coma mi aveva devastato la psiche ormonale?
«Non lo sai che il coprifuoco non può essere sforato?» Lo guardai stranito, notando solo in quel momento l’abbigliamento sportivo e il pallone da basket tra le sue mani. Misi una mano sul fianco dandomi un tono.
«Non mi sembra che tu sia da meno, stai tornando adesso.»
«In realtà no.» Sorrise tirando in alto la palla, riprendendola subito dopo.
«Mi prendi in giro?»
«No, non sto tornando adesso, sto andando adesso. Ed è diverso.» Okay mi prendeva per il culo. Lo indicai con una mano ma come al solito mi voltò le spalle mollandomi lì come uno stronzo. Ma era un vizio il suo?
«Ehi, tu! Stai sforando il coprifuoco lo sai??» Lo rimbeccai imitando in falsetto la sua voce, ne ricevetti una risata bassa che fece da eco tra le mura.
«Io posso tutto, Joshua. Tutto.»
Mi lasciò così, solo in quel corridoio spettrale, con due consapevolezze, la prima: di averlo come compagno di piano in quel dormitorio. La seconda: sembrava avvolto da un mare di segreti, anche lui.
 


( * per la fluidità del racconto alcune norme, regole e altro relativi al campus e al dormitorio verranno modificate. )

 
  
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