Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: Luana89    16/03/2019    0 recensioni
Non fu la sua bellezza a colpirmi: bensì l’assenza d’espressione sul suo viso. Il mio occhio fissava attraverso l’obiettivo, poco prima di scattare la prima foto del mio anno scolastico. Lo sconosciuto sembrò quasi sentire il lavorio dei miei pensieri, sollevò di scattò il capo guardando tra la folla, e i suoi occhi si poggiarono su di me per una manciata di secondi che valsero un’intera vita. C’era qualcosa in lui, qualcosa di assolutamente inspiegabile. Lo capii poco prima che sparisse all’interno della struttura: le persone attorno a quel ragazzo sembravano scostarsi al suo passaggio, come se quel singolo essere umano fosse in grado di domare la forza di gravità e il baricentro spostandoli a suo piacimento. Mi persi per un istante.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

III.



Ormai dormire tediava le mie notti, quando i miei occhi si chiudevano e il respiro diveniva regolare la mia mente e i miei pensieri si frammentavano. Erano parti piccolissime e aguzze, le schiacciavo con i piedi ferendoli, sentendone lo scricchiolio ad ogni passo.
Siamo in auto, io e TJ, mi rendo conto di essere ferito perché sento la consistenza del sangue inzuppare la mia carne aperta. E' come un lento scivolare nell'oblio, le mie forze si perdono lentamente, i miei occhi si chiudono quasi a forza, vorrei parlare e dirgli tantissime cose:
                                    
— Perché mi hai tradito?
— Ricordi la corsa a perdifiato in campagna?
— E il bagno in quella cascata?
— Ricordi quando dicevi ch'ero fatto della stessa consistenza del peccato?

                                    
Provo con tutte le mie forze a resistere, ma lenta la deriva mi trascina, e io mi accascio sul suo grembo fissando quegli occhi verdi e quella cicatrice che io stesso gli ho procurato la notte al capannone. Mi fissa muto e stoico, le sue iridi luccicano di lacrime e quando iniziano a scendere macchiano la mia pelle, la corrodono e io muoio urlando nel dolore.
La scena cambia ancora, il capannone dove venni rinchiuso è più cupo di come lo ricordassi, sento il respiro affannato di mio fratello Joel, anche nel sogni lui non capisce perché sia lì. ‘’Perché pago io per i tuoi peccati?’’, non disse mai quella frase eppure nel mio sogno ricorre come una nenia che mi strugge. Mi avvizzisco dentro, vorrei dirgli che sbaglia che non è colpa mia, che come lui sono stato una vittima. ‘’Hai idea di quanto abbia sofferto dentro quella casa? Tu non lo sai..’’, ringhio quelle parole ma dalla mia bocca non esce nulla. Poi arrivano i passi, sembrano il rintocco di un orologio e allora lo vedo: ha le spalle ingobbite, come se queste non riuscissero a sorreggere il peso di così tanto male. Il suo volto è per metà sfregiato dalle fiamme, è orribile. La sua decadenza è iniziata quando fuggii quella notte, la mia iniziò proprio in quel luogo.
Mi sputa addosso, mi dice anche in sogno che è il momento d’essere purificato ed è in quell’istante che vedo apparire TJ, il mio mondo perde consistenza. La scena cambia, sono in ginocchio e il signor padre è morto, osservo le mie mani pregne di sangue e tremo. Assassino, assassino, ASSASSINO. Come lui.
Mi svegliai urlando, madido di sudore strisciai fuori dalle coperte cercando di non vomitare lì. Caddi rovinosamente sul pavimento annaspando, non riuscivo a respirare. Strisciai verso la finestra poco distante, aprendola affinché l’aria fresca della notte potesse entrare nei miei polmoni compressi; mi strappai quasi di dosso la maglia graffiando la gola con le unghie: respira Joshua, respira. Come sempre mi accasciai a terra, aspettando l’alba. O la redenzione. Non ero più sicuro di cosa aspettassi realmente.
 
 
 
Le prime volte hanno quel non so cosa di piacevole, la scoperta di qualcosa che sai già diverrà poi routine perdendo la magia. Così è stato per la mia prima lezione. Sedetti composto, la schiena dritta, la matita ben appuntita pronto a carpire ogni minima cosa detta dal professore; mi sentivo emozionato, era come se quello per me fosse un nuovo inizio, sfamava la mia indole curiosa sempre all’erta ma iper-eccitata quando si trattava di nuove avventure.
«Joshua!» Sophia mi spintonò divertita osservandomi attentamente. «Che occhiaie.. stai male?»
«Ho dormito poco, credo sia colpa dei cuscini..» mi massaggiai il collo enfatizzando la mia teoria e sembrò crederci.
«Stasera hai il turno al local—» non riuscì a finire la domanda, una sagoma si stagliò accanto a noi interrompendo il dibattito. Osservai il ragazzo sorridente, aveva dei capelli color cenere e gli occhi chiari (iniziavo a domandarmi se non fossi l’unico con gli occhi castani), scoprii che si chiamava Friedl e che Sophia non sembrava provare una così gran simpatia per lui, nonostante l’altro sorridesse sempre trattandola con familiarità.
Ero sempre stato parecchio bravo a carpire le personalità altrui, mi bastarono poche ore in compagnia di Friedl per dedurre quando fosse insicuro e furbo. Per motivi a me sconosciuti decise che io gli piacevo, mi seguì in camera gettandosi senza cura sul mio letto, sul mio piumino con gli unicorni, sfogliando la MIA rivista di fotografia. Respirai profondamente sistemando i vestiti in disordine sulla sedia.
«Vieni sul serio da Las Vegas? Cavolo.. ed è come la descrivono?»
«Dipende.. come la descrivono?» Il mio essere evasivo sembrò divertirlo, la realtà era che non volevo fare la figura dell’imbecille, non con lui. Quando arrivai a Las Vegas non sapevo nulla, non avevo idea delle perversioni presenti nel mondo, del gioco d’azzardo, dei rapporti a tre. Persino la parola ‘’orgia’’ per me fu scandalosa da scoprire, e mi fece rendere conto con profonda vergogna di quanto avessi passato sedici anni della mia vita chiuso in una gabbia. Chi me li avrebbe restituiti? Chi? Strinsi i vestiti tra le dita ma la voce del mio ospite mi riportò alla realtà.
«Io vengo dall’Austria.. qui è tutto così diverso, ma Yale era una possibilità che non sarebbe più ricapitata.» si rotolò tra le coperte fissando il soffitto. «Studio lettere e filosofia, tu?»
«Arte e fotografia..» restai affascinato dal suo indirizzo di studi, probabilmente sarebbe stata la mia seconda scelta se non avessi amato così tanto la fotografia.
«Conosci Enoch?» Quel nome mi spiazzò, restai con la bottiglietta di tè tra le mani, senza aprirla.
«L’ho intravisto…» respira Joshua, respira. E’ una domanda stupida, non essere nervoso.
«Siamo amici da un anno. Amici intimi.» Alla parola intimi il tè che avevo malauguratamente bevuto mi uscì dal naso. Tossii battendomi una mano sul petto e la sua risata mi infastidì.
«Intimi in che senso?»
«Sei diventato tutto rosso.. sei vergine?» Che domanda del cazzo era? Okay, non avevo molta esperienza, per non dire nulla, ma era legale rivolgersi così alla gente?
«Perché mi rispondi con un’altra domanda?»
«Non siamo ‘’intimi’’ in quel senso.. ma lo diventeremo. A lui piaccio, deve solo rendersene conto. La storia della sua eterosessualità non regge, io lo so.» Forse, e dico forse, ai suoi aggettivi avrei dovuto aggiungere ‘’ossessivo psicotico’’? «Vi ho visti parlare, l’altra notte in corridoio dico.» avrei voluto chiedergli perché non lo avesse detto subito.
«L’ho incontrato per caso..»
«Shua, posso chiamarti Shua?» No mi fa ampiamente cagare. La mia faccia parlò per me, avevo quello strano dono di non riuscire a contenere le mie espressioni mentre Friedl aveva quello strano dono di fottersene e farlo ugualmente. «Mi sei così simpatico.. Io e te adesso siamo amici, dovrai aiutarmi con Enoch, lo farai vero?» Perché avevo come l’impressione che mi avesse chiuso?
 
 
 
 Nonostante il Quo vadis fosse un piccolo pub vicino l’università, l’affluenza era spaventosa in alcuni giorni settimanali. Avevo scoperto comunque che se sorridevi al cliente giusto la mancia aumentava esponenzialmente, ed era proprio ciò che mi stavo accingendo a fare quando un gruppetto di studenti attirò la mia attenzione. Anzi, solo uno: Enoch. Ero sicuro mi avesse visto ma non mi degnò di uno sguardo sedendosi a uno dei tavoli, accanto a lui c’era Friedl. Uno studente che non avevo mai visto venne al bancone ordinando per tutti, in mezzo a tutti i superalcolici richiesti vi era una birra media.
«Si può sapere che diavolo guardi?» La voce di Nastya mi spaventò, la fissai scioccato per qualche secondo.
«Niente.. alcuni miei colleghi di università.» avevo scoperto quanto alla russa piacesse trattenersi dopo l’orario di lavoro, bevendo. E bevendo. E bevendo. Non avevo il coraggio di chiederle perché bevesse così tanto, non pensavo fossimo ancora così in confidenza. Sophia apparve subito dopo sedendosi elegantemente accanto all’amica.
«Hai visto? C’è Enoch, e senza guardare posso dire con certezza che ci sta anche il parassita.» Le preparai un analcolico sorridendo divertito per il tono da piccola dotta.
«Sono molto amici…» la buttai lì casualmente.
«Amici? Friedl è lo stalker personale di Enoch, tu non sai ciò che dici.» Guardai il gruppetto e vidi Enoch fissare nella nostra direzione qualche secondo per poi tornare con gli occhi fissi sulla propria birra.
«Mi sembra un po’ eccessivo dai.. insomma, okay ha una cotta palese però—» non mi diede l’agio di finire.
«Ascoltami, io sono le orecchie di questo campus e so tutto.» Un’altra? Poteva stringere la mano di Enoch, lei sapeva tutto e lui poteva tutto.
«Sophia. ‘’Arte e fotografia’’.» La voce di colui che stavamo ampiamente sparlando si palesò facendoci venire un colpo, Enoch ci fissò in maniera strana mentre poggiava il boccale ormai vuoto, come se sapesse d’essere l’oggetto delle nostre ciarle.
«Enoch Weizsäcker tra noi comuni mortali.» Cercai di memorizzare quel cognome, ma sembrava uno scioglilingua, era .. tedesco? O magari no. Non ero molto ferrato in materia di nomi e cognomi.
«A volte capita anche a me.» Il suo tono asciutto indispettì Sophia nonostante lo fissasse con simpatia.
«Questo è il motivo per il quale ciò che hai sotto i pantaloni non mi è mai interessato.» Tossii fingendomi presissimo a preparare qualcosa, mentre Nastya si godeva lo spettacolo.
«Ah è per questo? Pensavo fosse perché non ho cinquant’anni e una badante al seguito che mi cambi il catetere.» Colpita e affondata. A quanto pare il vizietto di Sophia per i famosi ‘’daddy’’ era cosa risaputa.
«Super simpatico come sempre, che vuoi?»
«Domani sera ci riuniremo—» Friedl sbucò dal nulla mettendosi accanto a lui.
«Shua!» Cercai di frenare il tic nervoso al suono di quel nome, mentre Enoch come se non avesse sentito o visto nulla continuò a parlare.
«Ci riuniremo, dicevo, nella stanza di William al secondo piano, verrete?» Sophia non sembrò colpita da quell’invito, io invece si. Aveva pensato a noi?
«Ho proposto io a Enoch la cosa!» Come non detto, la voce di quel maledetto parassita distrusse le mie patetiche speranze. Vidi Enoch voltarsi e fissarlo, non era uno sguardo normale, avevo come l’impressione che tra loro stesse passando una tacita conversazione e per nulla piacevole.
«Verremo.» La risposta arrivò così veloce che per un secondo pensai di essere stato io a darla.
«Perfetto.» Enoch si voltò senza nemmeno salutare tornando ai suoi affari con Friedl al seguito.
«Interessante..» Nastya bevve d’un fiato la vodka. «Quindi ricapitoliamo, a questo Friedl piace Enoch, a Enoch non piace nessuno .. quindi la domanda è: a chi tra voi due piace Enoch?»
«A NESSUNO.» Risposi con troppa enfasi beccandomi quattro occhi intenti a scrutarmi, Sophia finì il suo cocktail.
«Al piccolo Joshua probabilmente.»
«Non dire sciocchezze, potrebbe mai piacermi uno come lui?» Il mio atteggiamento sbruffone sperai fosse abbastanza convincente. A giudicare da come rise Nastya avrei detto di no.
 
 
 
William era inglese di nascita, trapiantato negli Stati Uniti ormai da anni. Provai immediata antipatia per lui, era la classica persona tracotante e con idee fintamente anticonvenzionali; secondo lui per conoscere bene una persona dovevi litigarci e a quanto pare voleva conoscere bene me.
In quella camera eravamo un decina, alcuni bevevano mentre altri (compreso me) stavano riuniti a terra inventando giochi e raccontando storie. Friedl rise a una battuta poggiando la mano sul ginocchio di Enoch, forse dovevo smettere di fissarli?
«Joshua, sei credente?» La domanda di William mi colse di sorpresa, annuii ugualmente senza indugi.
«Si, lo sono.» La sua risatina non mi piacque, si voltò verso Enoch indicandolo.
«E tu?»
«No. Dio è semplicemente la creazione degli uomini per avere speranza, una specie di baluardo orchestrato bene affinché tutti possano rintanarsi nelle loro convinzioni e sperare in qualcosa dopo la morte.» si mostrarono quasi tutti d’accordo, tranne io.
«Suppongo che nessuno di noi potrà mai avere la certezza, non in questa vita almeno.» Enoch mi fissò interessato, annuendo.
«Suppongo di no.. eppure tu ne sembri certo.»
«Anche tu.» Inarcai un sopracciglio quasi a volerlo sfidare ricavandone un sorrisino divertito da parte sua.
«Il segreto è avere rispetto, il mondo è abbastanza pieno di merda senza che ci si faccia la guerra anche per ciò in cui si crede. O non si crede in questo caso.» Attorno a noi si levarono all’unisono parecchie voci, tutti volevano dare la loro opinione ma Enoch non sembrava d’accordo. «Volete che vi racconti una storia?» Aveva usato il plurale ma fissava me, la cosa mi preoccupò. Nonostante ciò tutti diedero il loro assenso, mentre io cercavo di non fissare Friedl che a momenti gli si sarebbe seduto in braccio.
«Avete sentito parlare della studentessa morta e murata viva qui dentro? Hanno scoperto il suo cadavere qualche anno fa..» un brivido mi corse lungo la spina dorsale.
«Perché dobbiamo parlare—» non diede nemmeno segno di avermi sentito, continuava a fissarmi e raccontare con quella voce bassa e graffiante che se di solito mi affascinava adesso sembrava raggelarmi.
«Dicono l’abbia uccisa un’inserviente venticinquenne, ma non è questa la cosa più agghiacciante..» il silenzio che regnava era inumano. «Il suo fantasma dicono giri qui dentro, proprio in questi corridoi, al quarto piano soprattutto.» Le mie difficoltà respiratorie sembrarono aggravarsi a quella notizia, mi guardai intorno osservando i volti tranquilli di tutti, alcuni un po’ turbati ma non terrorizzati. «Dovreste fare attenzione la notte, quando tornate dopo il coprifuoco.. dicono si sia palesata a una ragazza intorno alle tre, e adesso quella ragazza indossa un pannolone perenne.»
«Basta Enoch.» Sophia interruppe quel momento, probabilmente seduta accanto a me aveva sentito il mio terrore spandersi come tentacoli viscidi. Eppure io sapevo che quella storia non era stata casuale, l’aveva raccontata per spaventare me di proposito. Quella consapevolezza mi ferì più di quanto volessi ammettere mentre lo fissavo alzarsi e andare verso la finestra. Fiedl lo seguì, fumavano e parlavano o meglio Enoch fingeva di ascoltare finché non vidi un cambio nella sua espressione. Fissò il ragazzo freddamente dando un’ultima aspirata alla sigaretta che gettò via contrariato. Mi alzai salutando tutti, dovevo uscire da lì o per la prima volta nella mia vita avrei fracassato una bottiglia in testa a qualcuno. Qualcuno con gli occhi blu intenso.
 
Sapevo che quella storia era una palla enorme, lo sapevo eppure mentre salivo le scale al buio ogni scricchiolio sembrava fatto per spaventarmi. Mi guardavo attorno rimproverandomi mentalmente per non aver colto l’invito di Sophia ad accompagnarmi, ma che uomo ero se mi facevo scortare da una donna? Mi avrebbero riso tutti dietro, come sempre. A Mississipi c’era Tj a difendermi, a Las Vegas Shou, ma qui ero solo e dovevo cavarmela come meglio potevo. Il corridoio era buio ma non abbastanza, avrei preferito la cecità assoluta ma non quelle ombre che si allargavano sui muri e sul pavimento lucido a causa della grande finestra in fondo. Camminai con cautela sentendo un respiro farsi sempre più pesante, e fu solo dopo qualche secondo che mi resi conto di essere io. Non riuscivo a respirare, mi allentai il colletto della maglia accucciandomi a terra con gli occhi chiusi, dovevo respirare e concentrarmi. Respirare e concentrarmi. Dio, avrei voluto un sacchettino lì a portata di mano, la mia stanza era solo a pochi metri, potevo farcela ma le mie gambe si rifiutavano di muoversi.
«Alzati, sembri un pezzo del mobilio..» la sua voce mi costrinse a sollevare il viso, lo fissai continuando a respirare affannosamente.
«Non ci riesco.» Mi guardò stranito, e riuscii a percepire l’esatto momento in cui probabilmente si pentì di quello scherzo ai miei danni.
«Qual è il numero della tua camera?»
«515..» mi allargai ancora il colletto della maglia e sentii la presa delle sue mani sulle mie braccia, mi sollevò in piedi come se non avessi peso addosso.
«Andiamo.» Mi stizzii per il suo tono freddo e sbrigativo, era colpa sua se stavo prossimo alla morte e si permetteva anche di mostrarsi scocciato? Avrei voluto dirglielo, litigarci ma non ne avevo la forza. Volevo solo arrivare alla mia camera, e dormire con tutte le luci accese.
«E’ questa..» mi bloccai afferrando le chiavi dalla tasca, ma al secondo tentativo fallito me le sfilò dalle mani per aprirla lui.
«Joshua..» mi bloccò proprio sulla soglia fissandomi col capo lievemente reclinato. «Sei proprio un fifone.» Rise di gusto mollandomi lì in piedi, pensavo si sarebbe scusato e invece rideva di me? Uscii fuori piazzandomi al centro del corridoio.
«E TU SEI UNO STRONZO.» Non gli diedi il tempo di rispondere, per una volta fui io a voltarmi e sbattere la porta della mia camera con un boato che supponevo avrebbe spaventato anche quel fottuto fantasma che viveva tra quelle mura di merda.

 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Luana89