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Autore: Luana89    17/03/2019    0 recensioni
Non fu la sua bellezza a colpirmi: bensì l’assenza d’espressione sul suo viso. Il mio occhio fissava attraverso l’obiettivo, poco prima di scattare la prima foto del mio anno scolastico. Lo sconosciuto sembrò quasi sentire il lavorio dei miei pensieri, sollevò di scattò il capo guardando tra la folla, e i suoi occhi si poggiarono su di me per una manciata di secondi che valsero un’intera vita. C’era qualcosa in lui, qualcosa di assolutamente inspiegabile. Lo capii poco prima che sparisse all’interno della struttura: le persone attorno a quel ragazzo sembravano scostarsi al suo passaggio, come se quel singolo essere umano fosse in grado di domare la forza di gravità e il baricentro spostandoli a suo piacimento. Mi persi per un istante.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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IV.



Tutto ciò che ho posseduto nella mia breve esistenza è stato sempre parecchio fittizio. Il nome, l'età, persino la mia primissima infanzia. Ricordo solo il momento in cui entrai in quella bella casa in legno, sapeva di dolce e cera d'api. Ricordo che il signor padre mi osservò con un sorriso severo e mesto al contempo, portando una delle sue grandi mani sul mio capo: «Benvenuto in famiglia, Joshua.» aveva deciso lui che Joshua fosse un nome adatto a me, senza chiedere il mio consenso come sempre del resto, avrei dovuto capire in quel momento che la gabbia si era chiusa su di me.
Il pastore Thomas era una specie di icona nel paesino di sole 700 anime nella quale vivevamo, tutti andavano a chiedere consiglio a lui, tutti anelavano ad istruire i loro figli proprio come lui. Vivevamo in una bolla artefatta, i dieci comandamenti erano i nostri precetti, le nostre guide, erano ciò alla quale dovevamo fare affidamento sempre e comunque. Vivevo in un costante stato d'ansia, perché tutto ciò che noi giovani facevamo veniva passato ai raggi X dallo sguardo severo del pastore, e di sua moglie Mary – la signora madre - , se andavi troppo bene a scuola loro ti scrutavano, se andavi male ti punivano, se un giorno eri troppo stanco venivi tenuto sotto controllo, controllavano persino il mio modo di respirare. Fino ai 14 anni vissi nell'ignoranza più assoluta, seguivo docilmente il signor padre in tutto ciò che ordinava, non era obbedienza la mia ma terrore puro; terrore puro per la paura delle punizioni corporali. Mio fratello Tj, le aveva assaggiate spesso. Quando questo succedeva mi rannicchiavo vicino la porta dello studio, sentivo la cinghia sibilare e abbattersi sulla sua pelle. Non capivo perché. Tj era un figlio modello, imparava versetti della bibbia a memoria, modulava sempre il suono della propria voce, aveva occhi caldi e gentili che però nascondevano un bagliore che all'epoca non coglievo.
Tutto cambiò quando una notte, dopo l'ennesima punizione, entrò nella mia camera intrufolandosi nel mio letto.
«Fammi dormire con te, ho troppo dolore.»
«Tj se il signor padre ti scopre qui ..» la mia voce terrorizzata supponevo potesse essere abbastanza convincente.
«Lo sai che va a dormire sempre alle 11, non succederà, fidati di me.» fiducia, l’avevo e fu questo il mio errore peggiore.
«Ti fa male..?»
«Molto.. e succederà anche a te.» mi sembrò come una sentenza, sentii persino le campane suonare.
«N-non è vero. Non dire così, sai che paura ho del dolore.»
«Non averne Joshua, ci sono io con te. Ora e sempre.» Capii solo mesi dopo cosa intendesse dire mio fratello con quelle parole minacciose. Il signor padre mi chiamò nel suo studio, disse di vedermi stanco, disse che i miei stessi sintomi li aveva avuti un bambino di un’altra città che alla fine era morto cieco tra atroci sofferenze e mostruosità fisiche.
Il signor padre pensava avessi provato le gioie della masturbazione.
Mi terrorizzò talmente tanto che non dormii quella notte, un po' a causa della storia e un po' per la punizione che mi aspettava il giorno seguente.
Tj tornò nel mio letto.
«Sei così bello Joshua, sembri quasi un angelo.» nelle nostre vene non scorreva nemmeno una goccia di sangue fraterno.
«Domani sarò un angelo distrutto.»
«Devi essere coraggioso, succede a tutti.» quel ‘’tutti’’ lì per lì non mi confortò, e non lo fece nemmeno dopo. «Piuttosto che essere puniti per qualcosa che non hai mai fatto, fai in modo che la tua punizione sia reale almeno, non credere alle sue storie.. nessun ragazzino è morto; ha raccontato anche a me questa stronzata. E tu sei troppo bello per sprecare così la tua vita.» Riflettei su quelle parole tutta la notte. Non sapevo nulla del sesso, né della corruzione in generale. Ma Tj era furbo, me ne resi conto solo in seguito, lui era come il diavolo tentatore che lento instillò in me il seme del dubbio.
Ricevetti la mia prima punizione corporale, fece male come fuoco vivo, piansi e urlai ma nessuno accorse in mio aiuto. Tranne Tj, lui era una costante nella mia vita, il nostro rapporto divenne quasi morboso un legame che trascendeva il semplice affetto fraterno. Il fatto di non essere fratelli  probabilmente fu la miccia scatenante che ci condusse a guardare il proibito. Fu lui la prima persona che pensai di amare, non era qualcosa di carnale non per me almeno, e fu sempre grazie a lui che trovai il coraggio di fuggire.
Lasciai quella casa una notte, ogni anno si celebrava la festa del grano, canti balli e risa tenevano la gente occupata e io approfittai di quel momento per nascondermi dentro il carro dei Brown. Sentii le voci disperate dei miei tutori e di mio fratello, lui sapeva sarei fuggito ma mi resse il gioco. Quando le catene si ruppero qualcosa dentro di me si frantumò liberando il mio vero io. Il mio io ribelle, affamato di vita, il mio io peccatore.
 
 
Riflettei la mia immagine allo specchio, un broncio si formò istantaneamente. Quella notte avevo sognato Tj, continuava a dirmi quanto fossi bello e perfetto; a causa di quelle parole avevo spesso desiderato sfregiare il mio viso, deturparlo e porre fine una volta per sempre a tutto quel caos. Fissai i miei capelli castani, erano talmente lisci che quando provavo ad acconciarli diversamente dopo poche ore tornavano esattamente come prima; gli occhi avevano uno strano taglio orientale di un castano simile al caramello fuso che tempo fa qualcuno aveva paragonato alla crème brulée. Avevo un’altezza che consideravo normale, il corpo flessuoso che non riusciva mai a prendere peso se non sui fianchi quando esageravo. Mi toccai le fossette scavandole e disegnandole col dito, non apparivano da giorni perché da giorni non avevo alcun motivo di sorridere. Non avevo più parlato a Enoch, probabilmente era questa la matrice della mia tristezza e del mio malumore; afferrai il mio zaino in pelle nera consunto dal tempo, dirigendomi spedito fuori dalla camera. Mi bloccai proprio sulla porta, perché il soggetto dei miei pensieri si era praticamente materializzato di fronte a me, aprii la bocca per parlare ma non uscì nulla. Dovetti reclinare indietro la testa per fissarlo negli occhi, arrivava al metro e novanta praticamente.
«Che ci fai qui?» Lo fissai con circospezione, mentre la sua mano rovistava dentro la tasca dei jeans.
«Tieni.» Mi allungò la mano, riuscii solo a fissare i tatuaggi sulle dita finché queste non si schiusero e apparve un lecca-lecca dalla forma strana. Sembrava un coniglietto. Lo guardai imbambolato sbattendo le palpebre, era per me? Come se mi avesse letto nel pensiero sospirò roteando gli occhi, muovendo eloquentemente la mano come a dirmi ‘’lo prendi o no?’’. Afferrai il dolce rigirandolo senza però aprirlo.
«Grazie..?»
«Prego?» Mi fece il verso strappandomi una risatina che sembrò stemperare la tensione, mi sentii autorizzato a scartare il lecca-lecca iniziando a gustarlo.
«Ti piacciono i dolci?» Annuì col capo poggiandosi al muro.
«Molto, mangerei solo quelli.. e tu?» Avrei potuto mentire, ma non ero molto bravo nelle menzogne e poi non mi andava.
«Mh, preferisco il salato..» mi stoppai un secondo per poi sobbalzare sollevando il dolce appena regalatomi. «Ma questo mi piace, lo giuro.» la mia irruenza sembrò divertirlo.
«Stavi andando a lezione?» stavo?
«Si, giusto adesso..» indicai le scale senza sapere bene che altro dire.
«Se salti una lezione non cade il mondo, vieni con me?» Soffiai fuori una risatina impertinente.
«Mio caro Enoch, per chi mi hai preso? Sono un ragazzo diligente io, hai presente?» Incrociò le braccia squadrandomi divertito. «Non salterò una lezione vitale per bighellonare in giro, né oggi né mai. Joshua ha una sola parola, ricordalo.»
 
 
«Dove andiamo?» Disse quell’imbecille di Joshua-ha-una-parola-sola. Mi piaceva parlare di me in terza persona, soprattutto quando la mia coscienza si dissociava dalla logica.
«Un po’ qui, un po’ lì..» le lezioni erano iniziate da nemmeno un mese e io già le saltavo, mi chiesi se il motivo non fosse seduto accanto a me in auto. Ovvio che lo era, non dovetti pensarci nemmeno un secondo di più, se chiunque altro al mondo mi avesse chiesto di saltare le lezioni gli avrei riso in faccia. Non è che mi stavo accollando un po’ troppo a lui? Partì una nuova puntata di: le seghe mentali di Joshua Walker. Mi piaceva Enoch? Non ne ero sicuro, mi piaceva la sua compagnia si, ne ero attirato perché lo vedevo diverso.. ma piacermi? Poteva piacermi sul serio qualcuno così? Era imprevedibile come un orologio impazzito, un giorno mi terrorizzava con una storia, l’altro mi regalava un lecca-lecca portandomi in giro. Pensai a Friedl e sentii i peli sulla nuca rizzarsi, mi aveva visto? Oddio, mi avrebbe ucciso.. mi voltai istintivamente a controllare che non ci stesse inseguendo correndo.
«Cerchi qualcuno?»
«Non proprio.. pensavo a Friedl.» La sua espressione scioccata mi fece capire che forse le mie parole erano risultate un poco ambigue, risi nervosamente masticando con forza il lecca-lecca.
«Siete amici intimi a quanto vedo.» Distrussi un pezzo di caramella tra i denti alla parola ‘’intimi’’.
«Non quanto te e lui.» Non ebbi bisogno di voltarmi per sentire quelle pietre blu scavarmi un buco nel cervello, temevo di aver detto una cosa sbagliata.
«Io e Friedl non siamo ‘’intimi’’, siamo due conoscenti.» quindi quel bugiardo mi aveva mentito, ottimo, e io gli avevo creduto senza colpo ferire.
«Oh, mi dispiace.. lui aveva detto che—» non mi lasciò nemmeno finire.
«Quello che dice Friedl ho smesso da un pezzo di ascoltarlo, il mio udito è sensibile alle stronzate quindi tendo a isolarle.» Cercai di non sorridere soddisfatto mordicchiando il bastoncino ormai vuoto, era stato il dolce più dolce della mia vita.
 
 
Girovagammo senza meta per ore ed ebbi modo di conoscerlo un po’ meglio, scoprii che frequentava la facoltà di Chimica e che era assistente del professore da inizio anno. Non lo disse apertamente ma avevo come l’impressione che fosse una sottospecie di genio, e per giunta nelle materie scientifiche che io odiavo come si odiano i broccoli da bambini. Scoprii anche che era un anno più grande di me, che stava al terzo anno e che mangiava quantitativi esponenziali di dolciumi; questo lo capii guardandolo mangiare un intero pacco di caramelle da solo.
«Sei tedesco? Me lo domando da quando Sophia ti ha chiamato usando il cognome..» sedevamo su un muretto a fissare i passanti, desideravo tirar fuori la mia macchina fotografica.
«Per metà, mio padre lo è mentre mia madre è americana..» notai un impercettibile cambio nel tono.  «E tu?»
«Io sono americano, i miei genitori biologici lo erano.» Mi scrutò con insistenza come a volermi scavare dentro la mente.
«La scorsa sera.. sei stato male per colpa mia?»
«Si.» Mi pentii subito di averlo detto, mi grattai la tempia in difficoltà. «Cioè non proprio, soffro di attacchi di panico.. ho sviluppato una strana fobia per le ombre, ne sono terrorizzato già di mio e la tua storia non mi ha aiutato, ecco tutto..»
«Mi dispiace.» Sgranai gli occhi sollevando di scatto il capo, ma l’unica cosa che riuscii a vedere fu il suo profilo severo stagliato in controluce. Si era sul serio scusato?
«Mi hai regalato il lecca-lecca per questo?» risi divertito e sembrò in difficoltà.
«Non so.. pensavo fosse una buona idea, tipo calumet della pace hai presente no?»
«Non pensavo fossi un tipo da ‘’pace’’.» virgolettai con le dita.
«In realtà lo sono, litigare con la gente è un dispendio di energia che non sono propenso a spendere; inoltre credo che ci voglia un investimento sentimentale per prendersela davvero con qualcuno, non sono propenso nemmeno a quello.» Scrollò le spalle con indolenza fissando freddamente un uomo sulla cinquantina passare.
«Quindi non hai una ragazza..» la buttai casualmente fingendomi presissimo a rovistare nel mio zaino.
«Figuriamoci.» Il suo tono scocciato mi fece ridere, ma a ripensarci era meglio piangere forse? Estrassi la mia macchina fotografica e ne sembrò interessato. «Che tipo di foto ti piace fare?»
«Questa sarebbe la mia location preferita, un posto gremito di gente alla quale rubare emozioni.» Fissai la folla attraverso l’obiettivo, ma nulla catturò la mia attenzione; ero più tentato nel rivolgerla contro la persona che mi stava accanto e farle una seconda foto.
«Ecco perché quel giorno stavi lì seduto a scattare foto.» mi bloccai.
«Mi hai visto davvero allora..» il mio tono lo divertì per un motivo a me sconosciuto.
«Sei un tipo da ‘’arte e fotografia’’.» Scimmiottò le sue stesse parole quel famoso giorno, e capii come aveva fatto a indovinare il mio indirizzo: barando, semplicemente. Si alzò facendomi cenno di seguirlo e mi resi conto di come fosse passato velocemente il tempo. «Ti chiederò ancora di marinare le lezioni.»
«Sembra una minaccia..» eppure non riuscivo a prenderla come tale.
«Magari lo è.» Ci fissammo così intensamente che dovetti distogliere lo sguardo per primo. «Mi stai simpatico, penso potremmo essere davvero amici noi due.» Non so perché provai quella sensazione dilagante di felicità, forse molti si sarebbero depressi a quelle parole in fondo mi aveva appena friendzonato senza pietà. Eppure in quel momento mi sentivo soddisfatto, ero riuscito a farmi notare dall’unica persona che sembrava non notare nessuno a Yale, l’unico dalla quale avrei voluto sul serio essere notato. Che male c’era a essere amici? Ero ancora in tempo per esserlo, potevo semplicemente lasciar perdere quella strana attrazione e godermi quel rapporto appena nato.
 
 
Enoch non mantenne la sua parola, non lo vidi più dopo quell’uscita. Non sapevo dove fosse, né cosa facesse, non si presentava più neppure alle piccole riunioni in camera di William. Smaniavo di sapere perché non avvertissi la sua presenza, stava male? Era impegnato? C’era solo un modo per scoprirlo.
«Friedl!» Mi accodai al ragazzo con un sorrisone che andava da un orecchio all’altro, dovevo sacrificarmi.
«Shua!» Ecco già mi stavo pentendo nel profondo.
«Come stai?» Dovevo essere subdolo, se lo conoscevo bene come pensavo avrebbe parlato lui senza che dovessi chiederlo io. Era avvilente pensare che potesse saperne più di me.
«Mah, così..» la sua voce un po’ abbattuta mi fece sentire in colpa. «Senti Shua.. per caso hai visto Enoch?»
«Io? Perché?» Forse avevo risposto troppo prevenuto? «Non vedo Enoch da una settimana, pensavo che tu..»
«Nemmeno io, a volte gli capita.» gli capita cosa? Perché non finiva le frasi?
«Capita cosa?»
«Di fare così. Non risponde e si isola, è chiuso in camera probabilmente a mangiare cibo spazzatura, vedere programmi e giocare ai videogiochi.» qualcosa non mi tornava.
«Oh capisco..»
«Ma se non ha cercato neanche te è tutto a posto allora.» Il suo tono allegro mi parve fuori luogo, era a posto secondo quale punto di vista? Lasciai perdere quella discussione inutile avviandomi a lezione.
 
 
Sophia faceva aerobica, o almeno così la chiamava, stesa sul mio letto mentre digitava compulsivamente al cellulare.
«Potresti concentrarti un secondo?» Schioccai le dita per attirare la sua attenzione.
«Enoch non si fa vedere, e tu sei preoccupato.. perché non vai da lui?» Mi fissò con quegli occhi da bambina cresciuta, e io non seppi trovare delle ottime ragioni per non seguire il suo consiglio.
«Non posso, e non insistere.. solo che insomma è strano. Quando ci siamo visti era non so, di buonumore ecco..»
«Enoch è come un robot, quello a cui ricarichi le pile hai presente? Un ‘’senza-sentimenti’’ tipo i mangiamorte.» la fissai allargando le narici e scuotendo il capo.
«Mi spieghi che cavolo di paragone sarebbe? Fai la seria, per favore.» Aprii un pacco di patatine mangiandole con stizza.
«Ma sono seria! William mi ha detto che durante una discussione è uscito l’argomento ‘’sessualità’’ ed Enoch si è professato ‘’asessuale’’. Mi fido di quella serpe, capirai stava con la bava alla bocca per quella notizia.» Mi bloccai a quelle parole, avevo sentito bene?
«Quindi non..?» non riuscii a finire la frase, mi sembrava un invasione della privacy disgustosa.
«Non scopa? Non proprio, a quanto so le sue avventure le ha avute, figuriamoci poi se mancano a lui.» Fece spallucce tornando a concentrarsi sui messaggi al cellulare lasciandomi più confuso di quando avevo iniziato quella conversazione.  Non sapevo bene da dove iniziare a mettere insieme i pezzi di quel puzzle, sembrava divenire complicato ogni giorno di più; Enoch un giorno era crudele, un giorno quasi dolce, poi spariva, poi era freddo. Lo squillo insistente del mio cellulare servì a distrarmi, fissai il numero aggrottando la fronte, conoscevo quel prefisso sin troppo bene..
 
— Pronto?
— Signor Walker?
— Si, sono io.
— Sono l’avvocato Suarez, si ricorda di me?
— Certo, l’avvocato della famiglia Walker, mi dica.
— Si tratta di sua madre.
— La mia tutrice? Cosa vuole?
— Si trova al centro d’igiene mentale in città, l’abbiamo dovuta ricoverare dopo un episodio increscioso..
— …
— Dovrebbe venire qui, è l’unico parente ancora in vita e Ruth è troppo piccola al momento per prendere le redini della situazione.
— Come sta Ruth?
— Al momento è ospite in casa di amici, ma non potrà starci molto.
— Verrò lì il prima possibile.
 

 
Fissai la porta chiusa con il pugno sospeso, feci un passo indietro con il chiaro intento di andarmene. Cosa che feci per ben quattro volte, alla fine stanco bussai una sola volta. Una soltanto, e se non avesse risposto sarei andato via. La porta si aprì pochi istanti dopo, vidi il suo viso teso, aveva le occhiaie pronunciate e la camera era totalmente in penombra. Non aveva la faccia di qualcuno che se la stava spassando coi giochi e il cibo spazzatura.
«Io..» non sapevo da dove iniziare, deglutii nervosamente e gli occhi corsero alla mia valigia. Enoch seguì la traiettoria.
«Parti?» La sua voce era ancora la stessa, graffiante pure se fiacca.
«Solo per poco.. due settimane al massimo, volevo dirtelo.» Mi sfregai le mani contro i jeans, sentivo i palmi appiccicosi ma sorrisi ugualmente.
«Dammi il tuo cellulare.» La richiesta mi colse di sorpresa ma obbedii, lo vidi trafficare per qualche minuto e ridarmelo. «Ti ho memorizzato il mio numero, quando torni avvisami e andremo di nuovo a bighellonare in giro.»
«Stai male?» non riuscii a trattenermi.
«No.» La risposta monocorde non mi tranquillizzò, annuii ugualmente afferrando la mia valigia. Non sapevo bene perché mi sentissi così triste nel lasciarlo, la mia mente era affollata da troppi pensieri. C’era Friedl e William, e la bionda slavata e un altro casino di persone tra me e lui. E poi c’ero io, insignificante davvero al momento.
«Riguardati mentre non ci sono, non mangiare solo dolci.» Lo ammonii con una risatina che però non ricambiò nonostante le iridi blu per un secondo sembrarono riempirsi di malinconia. Me ne andai così, non sapendo cosa avrei trovato a Mississipi, ma soprattutto cosa stavo esattamente lasciando. Una volta tornato, sarebbe rimasto tutto uguale? Per la prima volta nella mia vita mi scoprii davvero insicuro di me stesso, più di quanto non lo fossi mai stato prima.

 
  
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