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Autore: TaliaAckerman    20/03/2019    1 recensioni
L'ultimo atto della saga dedicata a Fheriea.
Dubhne e Jel si sono finalmente incontrati, ma presto saranno costretti a separarsi di nuovo. Mentre la minaccia dal Nord si fa sempre più insistente, un nemico che sembrava battuto torna sul campo di battaglia per esigere la sua vendetta. Il destino delle Cinque Terre non è mai stato così incerto.
Dal trentaquattresimo capitolo:
"Dubhne si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e ricordò quando, al suo arrivo a Città dei Re, l'avevano quasi rasata a zero.
- Quando ero nell'Arena... - mormorò - dovevo contare solo su me stessa. Un Combattente deve imparare a tenere a bada la paura, a fidarsi solo del proprio talento e del proprio istinto. Non c'è spazio per altro.
Jel alzò gli occhi e li posò su di lei - E che cosa ti dice ora il tuo istinto?
- Sopravvivi. "
Se volete sapere come si conclude il II ciclo di Fheriea, leggete!
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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Note: come avrete notato, ho deciso di scindere questo capitolo in due parti. Da un lato perchè per intero sarà un capitolo decisamente corposo, dall'altro perchè la cosa mi dà modo di restringere il mostruoso ritardo che affliggerebbe la pubblicazione dello stesso (e già mi sono fatta spettare due mesi). Non è detto che una volta pubblicate entrambe io non possa procedere a ricondensarle in una sola. Lo so che questa prima parte è corta e presumibilmente meno interessante della successiva, però chiederei gentilmente ai lettori di recensire lo stesso. Non l'avete mai fatto? È l'occasione perfetta.
Ci vediamo prossimamente per la seconda parte del capitolo!! Buona lettura.









38








Dicevano che i Terkil si fossero estinti da secoli. Eppure, nel momento in cui il profilo di Amaria aveva cominciato a delinearsi all'orizzonte, a Jel era sembrato di scorgerne un esemplare librarsi in volo in lontananza, il manto di piume fiammeggianti.
L'idea - alquanto suggestiva - che potesse trattarsi di Sephirt trasformatasi in uccello di fuoco per assistere dall'alto all'arrivo dell'Esercito delle Cinque Terre gli aveva attraversato la mente.
Come il Re delle Cinque gli aveva preannunciato, il compito di comandante delle truppe sul fronte orientale aveva comportato una mole di impegni in ambito diplomatico e organizzativo. Per la prima volta in vita sua Jel aveva partecipato a fior di riunioni a tema esclusivamente militare, circondato da gerarchi delle Cinque Terre e un largo numero di Lord ariadoriani. Il giovane si era mantenuto in silenzio e in disparte per la maggior parte di esse, ascoltando attentamente ogi dettaglio che potesse aiutarlo a capire che cosa avrebbe dovuto realmente fare una volta iniziata la battaglia. Non molto, ad essere sinceri. Gli avevano comunicato che il suo ruolo si sarebbe pressapoco esaurito una volta che le truppe si fossero mosse sulla città; avrebbe semplicemente dovuto coordinare i movimenti delle varie compagnie.
La sera prima dell'attacco uno stuolo di tende si estendeva già fuori dalle nuove mura di Amaria. Bandiere e vessilli di ogni colore sventolavano sospinti dal vento gelido.
Al caldo nel padiglione riservato a lui personalmente, Jel stava terminando di fissare la catena d'oro zecchino che chiudeva il mantello blu notte che avrebbe indossato quella sera. Sotto di esso indossava un farsetto color ocra, impreziosito da ricami in raso dorato. Gli era stato fatto dono di quegli abiti per ordine del Re delle Cinque Terre in persona; un paggetto si era presentato all'ingresso della sua tenda il giorno del loro arrivo ad Amaria, reggendo un involucro grosso quasi quanto lui.
Non avrebbe indossato la spilla quella sera: non si sarebbe presentato in veste di Consigliere, ma di generale dell'Esercito delle Cinque Terre. Insieme ai generali Fánersan e Marat si sarebbe recato davanti alle porte della città per incontrare i vertici del Consiglio dei Ribelli rimasti in città e proporre loro, per l'ultima volta, una resa pacifica.
Jel da parte sua aveva provato ad obiettare che, se vi fosse stata anche solo una possibilità che i Ribelli accettassero la resa, si sarebbero fatti avanti nel momento stesso in cui avevano visto approssimarsi le truppe dell'alleanza.
Ma il consiglio dei generali delle Cinque Terre non aveva voluto saperne: la posizione delle Cinque Terre era già abbastanza precaria; se non avessero dato dimostrazione di tutta la diplomazia e la tolleranza possibile i Ribelli avrebbero potuto trasformarlo in un pretesto per avvicinare ulteriori persone alla propria causa. E l'ultima cosa di cui Fheriea aveva bisogno era che il fronte interno venisse ulteriormente indebolito.
Jel si adagiò sulle spalle una pelliccia di lupo dal manto grigio striato di nero in più punti, poi si fermò davanti allo specchio alto quasi due metri che torreggiava al centro del padiglione.
La propria immagine riflessa restituì il suo sguardo.
I capelli ricci erano rimasti gli stessi, indomabili come quando era piccolo. Ma erano l'unica cosa in quella figura ad essere rimasta immutata.
Io stesso mi riconosco a stento. Che cosa era rimasto del ragazzo Jel Cambrest? Che ne era stato del bambino che dopo la morte di suo padre era rimasto per giorni chiuso in camera a piangere? Che ne era stato del giovane che poco meno di un anno prima si era imbarcato senza saperlo nell'impresa che avrebbe cambiato tutto?
Morto, probabilmente, trapassato dalle lame dei Ribelli. - Mio signore?
Una voce giovane interruppe il corso dei suoi pensieri. Era lo stesso paggio che gli aveva consegnato i vestiti nuovi.
- Mio, signore, il generale Fánersan mi ha comandato di venirvi a chiamare. É ora.
- Arriverò entro un paio di minuti - rispose assorto. I suoi occhi parevano non essere intenzionati a staccarsi da quel riflesso.
Vide attraverso la superficie dello specchio il giovane esibirsi in un distinto inchino e girare i tacchi. Ancora una volta si chiese se davvero i gerarchi dell'esercito continentale si aspettassero che quell'incontro servisse realmente a qualcosa.
Scostatosi dallo specchio si avvicinò al tavolo su cui aveva appoggiato la spada - una striscia* di stupefacente fattura, atta più alle cerimonie che a vere battaglie - e se la assicurò alla cintura. Era pronto.
Il gelo della notte lo accolse non appena mise il naso all'esterno della tenda. Fiocchi di nevischio erano portati in ogni dove dalla bufera.
Chinando un poco il capo per proteggersi dalle raffiche di vento taglienti come rasoi il giovane si mise alla ricerca del padiglione centrale, dove sapeva avrebbe trovato ad aspettarlo Fánersan e Marat.
Fatta eccezione per alcune sentinelle e qualche guaritrice, non incontrò quasi nessuno, e quando alla fine giunse in vista dei due generali notò che i rispettivi scudieri assomigliavano più a ghiaccioli che ad esseri umani.
Forse un comandante di grado più basso avrebbe ironizzato sul fatto che nessuno doveva aver avvisato i Nordici che l'inverno era ormai finito, ma non Fánersan. Jel gliene fu grato. Aveva lo stomaco chiuso e fingere di trovare la cosa divertente gli sarebbe costato non poca fatica.
- Consigliere Cambrest - lo accolse l'uomo con la solita voce profonda. - La delegazione di Amaria si presenterà alle porte della città fra qualche minuto. Se siete pronto possiamo avviarci.
- Secondo i vostri desideri, generale.
Arrancarono nella neve, con gli scudieri al seguito e sei guardie a far loro da scorta.
Secondo le consuetudini di guerra l'accampamento distava circa mezzo miglio dalle mura della città. Una volta giunti alla scuderia ove riposavano le cavalcature dell'alto comando, Jel si avvicinò a Ehme e l'accarezzò affettuosamente sul muso.
- Sei pronta per un'altro incarico?
Il vapore che scaturì dalle sue narici ebbe il potere di scaldare la sua mano che, benché protetta dal guanto di pelle, si stava rapidamente congelando.
Anche il generale Fánersan avrebbe cavalcato uno Stallone Nordico, mentre Jel riconobbe il destriero del generale Marat come un Siglavy dell'Haryar.
Si lasciarono lentamente alle spalle l'accampamento delle Cinque Terre, procedendo nella bufera in direzione delle mura della capitale.
Jel osservava con disappunto i giganteschi blocchi di pietra chirurgicamente adagiati l'uno sull'altro e tenuti insieme dalla malta più resistente. Chiunque si sarebbe reso conto che una simile opera non poteva essere stata completata in così poco tempo da semplici operai; erano passati nove mesi appena dal viaggio che lui e Gala avevano condotto ad Amaria, e allora non avevano scorto traccia di alcun lavoro in corso a tale scopo. In cuor loro, tutti sapevano chi dovesse essere responsabile di un'opera così ineccepibile. Ancora una volta lei. Sephirt.
Quando giunsero in vista dei portoni dell'ingresso principale - e unico - della città, il generale Fánersan alzò una mano per ordinare alla delegazione di fermarsi.
Jel aguzzò la vista. Ferme ad aspettarli davanti ai battenti c'erano solamente tre persone, ma da quella distanza il Consigliere non riuscì a distinguerne i particolari.
Ripresero ad avanzare. Attorno alle mura era persino stato scavato un fossato di notevole profondità, intorno ai cinque metri ad occhio. Lo oltrepassarono servendosi di uno stretto ponte levatoio.
Come avevano previsto, Theor non era fra gli uomini che li avrebbero ricevuti. E nemmeno Sephirt.
La prima sulla destra era una Donna del Nord all'incirca sulla sessantina, dalla mascella squadrata e l'aspetto nobile. Jel aveva già incontrato il vecchio mago magro e nervoso sulla sinistra. La barbetta ispida e i capelli grigi erano rimasti gli stessi: Wesh, maestro delle Terre del Nord prima di Theor.
L'uomo che stava al centro era uno sconosciuto, più giovane di quanto Jel si sarebbe aspettato. Non doveva avere troppi anni più di lui. Parte della sua guancia sinistra appariva stranamente lucida e la pelle accartocciata, come fosse stato ustionato.
Quando parlò, lo fece con la voce ferma e misurata di un capo. Non rivolse loro espressioni di cortesia, né procedette a presentare se stesso e i propri accompagnatori come sarebbe stato d'usanza.
- Se abbiamo accettato di incontrarvi - dichiarò - è solamente per discutere delle misure che i vincitori dovranno rispettare nei confronti dei vinti, quale che sia l'esito di questa battaglia. Non aspettatevi in alcun modo una resa preventiva da parte nostra.
- Era ciò che ci aspettavamo - rispose il generale Fánersan, calmo. - Siamo pronti ad ascoltare le vostre proposte. Tuttavia vi rinnoviamo ancora una volta l'invito a firmare un armistizio qui e ora, senza altri spargimenti di sangue.
- Non dispongo di una penna d'oca in questo momento, ahimè - ribatté il giovane aspro. - E mi vedo costretto a rinnovare a mia volta il rifiuto.
- Le vostre condizioni, allora.
- Drews - intervenne il generale Marat richiamando all'attenzione il proprio scudiero. - Prendi nota di quanto asserisce il Consigliere.
- Non sono un Consigliere, generale - rimarcò l'Uomo del Nord. - Non nel senso in cui potete intenderlo voi.
Lo scudiero aveva estratto dalla sacca che portava in spalla un rotolo intonso di pergamena, una penna d'oca e una tavoletta di legno per appoggiarsi, mentre aveva affidato un piccolo calamaio a una delle guardie.
- Potete cominciare.
- Sarò breve - premise questi, e dopo aver inspirato profondamente proseguì - In caso di una nostra sconfitta chiediamo che la nostra capitale non subisca danni maggiori rispetto a quelli riportati durante l'assedio. In particolare che vengano risparmiati i monumenti rappresentativi delle Terre del Nord sparsi per la città, e che il palazzo reale venga lasciato intatto. Chiediamo anche solo un frangente dell'Esercito delle Cinque Terre si stanzi in città, onde evitare il dilagare di abusi e violenze aggiuntivi ai danni della nostra popolazione civile.
Jel si chiese se quell'uomo dall'aspetto così nobile, ma anche così giovane, avesse steso personalmente quelle condizioni.
- In ultima stanza, chiediamo che nessun prigioniero di guerra venga giustiziato senza un equo processo - s'interruppe un istante perché Drews terminasse di stendere le sue parole sulla pergamena. - Da parte nostra, le Terre del Nord si impegnano a rispettare gli stessi presupposti per quanto riguarda i vostri prigionieri e feriti. Ci sono punti su cui vi trovate in disaccordo?
- Nient'affatto - asserì Fánersan. - Mi sembrano condizioni più che accettabili.
- Mi pare d'obbligo ricordare - intervenne Marat severamente - Che il massacro dei vostri civili o la distruzione delle vostre città non è mai stata una prerogativa dell'Esercito delle Cinque Terre.
- Vi siete mai trovato nel mezzo di una città appena conquistata? Immagino di sì - ribatté il giovane con ammirevole senso di superiorità nella voce. - Io ci sono stato. E posso assicurarvi che non è un bello spettacolo, indipendentemente dalla volontà dei comandanti.
Jel taceva. Credeva di aver riconosciuto il giovane emissario di Theor. Lo aveva scorto durante i combattimenti per la presa di Hiexil. Gli parve terribilmente simile a lui: leggeva nei suoi occhi la stessa determinazione che aveva avvertito scorrere nelle proprie vene, ma anche la stessa celata paura di sbagliare, di non adempiere pienamente ai propri compiti. Il peso del destino di un'intera città iconicamente sulle proprie spalle. Sembrava convinto della giustezza della propria posizione, e nel suo sguardo non c'era traccia di crudeltà. Una sorta di fredda furia, di rancore e rabbia verso di loro, questo sì. Ma non crudeltà.
- Dunque direi che siamo d'accordo - concluse Fánersan asciutto. - Drews, hai terminato?
- Sì mio signore - rispose questi immediatamente.
. Mosse alcuni passi in avanti e la penna al giovane, reggendo per lui la tavoletta. Questi la prese con delicatezza e firmò il documento. Poi fu la volta di Wesh e della donna corpulenta come testimoni, e poi di Fánersan e Marat.
Quando infine la pergamena giunse nelle mani di Jel, il mago riuscì a astrarre un nome dalla firma tracciata con calligrafia sottile: Hareis Von Hilsen.
Unì la propria alle altre firme in calce, dopodiché restituì la pergamena allo scudiero. Scoccò un'occhiata al generale attendendo un cenno di assenso; nel riceverlo, volse nuovamente lo sguardo sul documento e con la magia ne impresse un calco sul secondo rotolo che lo scudiero aveva estratto.
Questi lo consegnò ad Hareis.
Era fatta. Non c'era più niente che potessero fare per evitare la battaglia che si sarebbe tenuta di lì a poco. Non che ci fossero mai state speranze.
Le due esigue delegazioni rimasero a squadrarsi l'un l'altra ancora per qualche istante, prima che Fánersan parlasse.
- Attaccheremo domani alle prime luci dell'alba. Spero vivamente di non dover incappare in sortite da parte dei vostri uomini prima di quel momento.
- La stessa cosa vale per noi - rispose il giovane con vaga irritazione nella voce. - Se questo è tutto, possiamo congedarci. Presumo abbiate del lavoro da fare.
Si esibì in un elegante inchino appena abbozzato. Anche Jel e i due generali chinarono il capo in segno di congedo.
Le porte di Amaria si spalancarono per accoglierli mentre i tre uomini voltavano loro le spalle.
Jel continuò ad osservarli finché non furono spariti dietro gli spessi battenti di ferro.

                                                                                                   ***

L'avanguardia mosse sulla città l'indomani all'alba come stabilito. Guidata dalla sapiente e agguerrita mano di Lord Gerard Axtriel, dilagò attorno alle mura come alta marea. I Ribelli rimasti a difesa della città non erano sufficienti a coprire l'intero perimetro con il presidio di schiere di arcieri che contassero più di una fila. Torri e scale d'assedio furono in breve tempo accostate agli alti muraglioni eretti da Sephirt prima del loro arrivo e, nonostante la strenua resistenza dei difensori, ben presto la guerriglia si spostò sulla loro sommità. Nel mentre, una compagnia munita di ariete premeva sulle porte della città per sfondarne definitivamente le difese esterne.
A meno di un miglio di distanza dalla zona di battaglia, il grosso dell'esercito attendeva nuovi ordini. Ordinatamente suddivisi su tre fronti, a loro volta composti di altri battaglioni - alcuni ariadoriani, altri appartenenti all'Esercito delle Cinque Terre - i soldati rimanevano al loro posto, magari parlottando concitatamente fra loro, ma senza osare rompere le righe nemmeno per un momento. Vessilli di ogni colore sventolavano nel mezzo della marea di uomini, fra i quali dominava quello recante i colori delle Cinque Terre: un Letjak, un Terkil, un Siglavy e un fiore di Lyes, color della ceralacca su sfondo bianco, sormontati da una corona d'oro.
I tre comandanti in capo - Fánersan, Marat e Jel - si erano separati dopo un ultimo colloquio e si ergevano immobili, ritti sulle loro cavalcature, alla testa delle loro armate.
Un rumore di zoccoli sul terreno gelato annunciò che Kreer, il secondo di Fánersan, comandante di uno dei maggiori battaglioni dell'Esercito delle Cinque Terre, gli si era avvicinato.
- Il generale ha dato ordine affinché le nostre forze muovano sulla città da ogni direzione - dichiarò in tono pratico. - Una volta che l'avanguardia si sarà appropriata stabilmente del perimetro delle mura darà l'ordine circa a un terzo delle sue forze di avanzare. Voi farete altrettanto.
Jel si limitò a fare un cenno di assenso. Non lo disturbava che gli venisse detto cosa fare, anzi, ne era grato. Aveva odiato il ruolo che il Re gli aveva assegnato fin dal primo momento. Se pensava che in quell'istante, al Santuario, Gala e Dubhne erano impegnate nella battaglia contro Theor e Sephirt...
- Colpiremo subito duramente. Se le nostre previsioni sono esatte, dovremmo riuscire a guadagnare una notevole porzione di campo in una sola giornata.
Era evidente che Fánersan sperasse di riuscire a chiudere quella battaglia in fretta.
- Farò ciò che il generale ha ordinato - proferì il Consigliere mantenendo il tono più diplomatico che gli riuscì. - Vorrei solamente sapere se infine il permesso di partecipare in prima persona all'azione mi sia stato accordato.
Aveva affrontato il discorso più volte con il generale Fánersan, il quale evidentemente non l'aveva ritenuta una questione sufficientemente degna di nota, dal momento che non si era premurato di fornirgli una risposta definitiva. In ogni caso era certo che il protocollo non lo prevedesse.
Kreer aveva alzato le spalle. - Vi ho riferito tutto quanto mi era stato ordinato. Fánersan non ha detto nulla a riguardo.
Si portò una mano alla fronte per esibire un saluto militare. Jel fece altrettanto.
Tornò a volgere lo sguardo verso le mura di Amaria, lo stomaco stretto in una morsa per quanto stava per succedere.
I minuti trascorsero con una lentezza esasperante. Le nuvole che andavano addensandosi in cielo avevano assunto una tonalità molto vicina al nero. Le sporadiche gocce di pioggia che avevano cominciato a cadere presto si sarebbero trasformate in un diluvio.
Quando infine alle sue orecchie giunse il suono delle trombe che, dal contingente centrale, annunciavano il momento di dare inizio all'attacco vero e proprio, Jel trasse un profondo respiro.
Soltanto una volta aveva sentito dal vivo un comandante rivolgersi ai suoi uomini per galvanizzarli prima di una battaglia. Era accaduto quasi un anno prima, nel campo ariadoriano poco distante da Hiexil, e a pronunciare quelle parole era stato Jack Cox.
Conscio di non possedere nemmeno uno grammo del carisma del comandante ariadoriano, il giovane estrasse la spada dalla cintura e passò in rassegna le sue truppe, a cavallo. I soldati in prima fila protesero in avanti le lance al suo passaggio e Jel, toccandole una ad una con la propria lama mentre cavalcava al trotto, lo considerò un buon segno.
Sapeva che ognuno di loro si aspettava da parte sua un qualche discorso. Ma come poteva soddisfare le loro aspettative, lui che non aveva alcun tipo di esperienza in quel campo?
Vedere, sparse tra le schiere di soldati, alcune chiome color biondo platino gli face sorgere un'idea.
- Uomini delle Cinque Terre! - tuonò, lasciando che l'emozione del momento lo trascinasse. - Oggi ci troviamo sul campo che deciderà il destino del nostro tempo. Oltre quelle mura - e con un cenno indicò la capitale dietro di sé - si nascondono coloro che ancora non si sono arresi. So che fra di voi ci sono anche Uomini del Nord, e comprendo la ferita che ora percorre il loro cuore. Saranno costretti a versare sangue del loro sangue. Ma oggi noi tutti combattiamo per qualcosa che vale questo sacrificio.
- Per l'Ariador! - gridò qualcuno, accolto da urla di ovazione. - Per le Cinque Terre! - fece eco qualcun altro, e il frastuono si fece totale. Jel lasciò correre lo sguardo sulle "sue" truppe. C'era chi combatteva per riscattare le perdite dell'Ariador, chi per patriottismo, chi perché mosso da una reale fede nelle istituzioni delle Cinque Terre. Sicuramente c'erano anche miserabili, assassini e criminali arruolatisi per sfuggire alla forca. Eppure quel giorno avrebbero solcato quel terreno tutti insieme, volenti o nolenti.
- Voglio che il primo e il secondo battaglione del fronte orientale muovano sulla città, insieme a quelli di Lord Thistle e Lord Edmure. Gli altri attenderanno un mio ordine. Avanti, e concludiamo questa guerra!
Alzò la spada e la puntò contro il cielo come aveva visto fare da molti altri comandanti, dai quali si sarebbe sentito sempre irrimediabilmente distante. Non sapeva esattamente perché, dopotutto si poteva dire si fosse guadagnato la posizione di prestigio che ricopriva in quel momento, eppure si percepiva così distante dal proprio elemento; non era quello il suo posto, avrebbe dovuto essere insieme a loro, i soldati dell'Avanguardia, no, avrebbe dovuto trovarsi al Santuario a combattere contro Sephirt...
Gli uomini appartenenti alla fanteria leggera gli sciamarono a fianco. Jel mantenne fermo lo sguardo su Amaria, in parte perché non voleva raccogliere l'onere di guardare in quei molti occhi che sarebbero stat spenti di lì a poco, in parte per non perdersi nulla di quanto accadeva sulle mura della capitale. Non vide pentoloni d'olio bollente come aveva immaginato. Non c'erano particolari difese aggiuntive oltre alle poco nutrite schiere di arcieri sistemate lungo l'intero perimetro.
Una sgradevole sensazione di cui non avrebbe saputo spiegare la natura esatta incrinò vagamente l'animo del Consigliere. Era poco probabile che Theor avesse lasciato la sua città difesa da protezioni così blande.
Li superiamo per una proporzione di dieci a uno. Fra noi ci sono i migliori maghi di Fheriea. Qualunque cosa abbia architettato, non basterà.
Con il cuore che gli martellava nelle orecchie, Jel si preparò ad assistere da lontano all'inizio dell'assedio.


Jel misurava a grandi passi la sua tenda.
Per quanto il campo distasse dalla città, dall'interno giungevano a intermittenza gli schiamazzi e i tonfi sordi della battaglia. Era qualcosa di molto simile a un'agonia stare lì in ascolto, senza riuscire a impedirsi di immaginare quanto stesse accadendo a meno di un miglio di distanza.
Su un tavolo c'era una fiala di vino delle Isole Crimsief che fino a quel momento non era stata toccata. Il mago ne riempì un calice e lo vuotò in pochi sorsi, come si trattasse della medicina a tutti i suoi mali.
Riprese a camminare in circolo, fece altri due giri della tenda, poi vuotò un altro bicchiere. Non era particolarmente forte, pensò. Una bottiglia non sarebbe stata sufficiente a fargli dimenticare anche solo un grammo dell'agitazione che lo pervadeva.
Accadde all'improvviso, senza che nulla avesse potuto farlo presagire. Uno scompenso nel naturale flusso di Magia che regolava l'ambiente circostante, come se per un attimo esso fosse venuto meno.
Jel non ebbe il tempo di avvertire uno sgradevole calore diffondersi nel suo stomaco come un cupo presentimento, perché un istante più tardi un boato risuonò all'esterno della tenda. Lo spostamento d'aria fu così forte e improvviso da costringerlo in ginocchio.
Boccheggiando - si sentiva stranamente a corto d'ossigeno - il Consigliere si aggrappò a un tavolino per rimettersi in piedi. Quando la sua testa smise di girare si trovò davanti il volto atterrito di un attendente.
- Il generale Fánersan richiede immediatamente la vostra presenza - annunciò, pallidissimo. - Lui dice che... È qui... la Strega Rossa è qui!
Per un istante Jel avvertì le forze abbandonarlo. La paura lo assalì così intensa da dargli l'impressione di svenire. Ma durò solo un istante.
Uscì dalla tenda come una furia.
Percepiva dietro di sé, provenire dalla città, le esalazioni di un immenso incendio. Il crepitio del fuoco che stava divorando parte della città risuonava in lontananza come mille voci diaboliche. Ma semplicemente si rifiutò di guardare. - È vero? - gridò entrando nel padiglione del generale Fánersan. Il generale Marat era già lì, insieme ad altri cinque o sei Lord. - Sephirt è là fuori?
Sembravano tutti quanti stravolti.
- Le nostre previsioni erano errate - latrò uno dei lord, un'uomo tarchiato che indossava un farsetto color porpora. - Theor ci ha fregati un'altra volta.
- Avremmo dovuto immaginarlo - commentò un secondo. - Un buon padrone lascia il proprio mastino più feroce a difesa della casa.
- Queste chiacchiere sono fuori luogo, nonché inutili - abbaiò Marat sovrastando le voci di chi si stava apprestando a rispondere. - Dobbiamo decidere cosa fare, alla svelta.
- Non possiamo lasciare i nostri uomini là fuori a morire! - esclamò quello che Jel riconobbe come il lord di Lialel. - La città è in fiamme, e con la Strega Rossa quell'incendio continuerà a divampare finché non li avrà divorati tutti.
- Hanno già combattuto contro di lei in altre occasioni.
- Ma questa volta non erano preparati! Dobbiamo ordinare la ritirata, rimandare l'assalto decisivo a un altro giorno.
- In quel caso sì che l'operazione si risolverebbe in un massacro per le nostre truppe!
- Silenzio! - nell'udire la voce di Fánersan, che fino a quel momento si era mantenuto in silenzio, i presenti si zittirono quasi all'istante. Il generale li squadrò con occhi fiammeggianti. - Non sarà parlandoci addosso come un branco di imbecilli che riusciremo a trarci fuori da questa situazione.
Su questo non c'erano dubbi.
Jel si rivolse al gerarca delle Cinque Terre prima che questi potesse riprendere a parlare.
- Generale... è davvero qui? È lei, Sephirt?
Per qualche secondo l'uomo si limitò a fissarlo stupito poi, lentamente, annuì.
- Allora devo andare.
Senza attendere risposta voltò le spalle ai generali e marciò deciso verso l'ingresso della tenda.
- Consigliere Jel, non vi ho dato il permesso di lasciare questa tenda.
Ignorò la voce del generale Fánersan. Nessuno gli avrebbe impedito di agire, questa volta.
Mosse ancora un paio di passi.
- Jel Cambrest.
Il suono di diverse spade sfoderate accompagnarono quelle parole pronunciate in tono perentorio. Il giovane si voltò; le guardie ai lati dell'ingresso brandivano le loro lame e lo fissavano torve. Dietro di lui, Fánersan aveva assunto un cipiglio quantomai contrariato. Più che mai in quel momento il mago capì perché fosse il gerarca più temuto dell'Esercito delle Cinque Terre.
- Non vi consiglio di disubbidire a un ordine diretto - disse con voce misurata, benché i suoi occhi brillassero d'ira. - Rischiereste la corte marziale.
Allora avrebbe affrontato quel destino, se fosse sopravvissuto. Ma in quel momento Sephirt era più importante di qualunque altra cosa.
Quando si voltò verso il consiglio lì riunito, i presenti dovettero scorgere qualcosa di davvero risoluto nel suo sguardo, perché non uno di loro parlò. Jel si rivolse esclusivamente al generale Fánersan, senza timore di guardarlo negli occhi.
- I Lord hanno ragione - proferì seccamente. - Con Sephirt là fuori i nostri uomini non hanno scampo. Non ha importanza il loro numero, lei li ucciderà tutti dal primo all'ultimo. Non c'è niente che possa fermarla. Ma se c'è qualcuno che ha una possibilità, quello sono io.
- E, sentiamo, perché? - nella voce di Fánersan era presente una traccia di feroce scherno.
- Perché Sephirt vuole uccidermi. Lo desidera più di ogni altra cosa al mondo, e non avrà pace finché non l'avrà fatto. Se vado là fuori, se mi faccio vedere da lei, posso attirarla fuori città, lontano dagli scontri. In questo modo guadagnerete il tempo che vi serve per evacuare le truppe delle Cinque Terre. O completare la conquista della città.
- Come sappiamo che funzionerà?
- Non lo sapete - lo freddò Jel. - Siete voi il generale, le decisioni strategiche spettano a voi. Ma per quanto riguarda me, questa volta non mi fermerete. Ho rimandato questo momento troppo a lungo.
Si voltò, questa volta definitivamente, verso l'ingresso della tenda. Mentre lo varcava, nessuno parlò, né le guardie tentarono di trattenerlo. Ma come fu fuori, esposto alle raffiche di vento che trasportavano fin lì i fumi del campo di battaglia, i volti dei generali svanirono dalla sua mente, come ogni altra cosa che non riguardasse lei, la Strega Rossa. Sephirt.
Evocò attorno a sé una barriera che lo proteggesse da frecce, lame e fiamme mentre si avvicinava alla città.
Finalmente il momento era arrivato.








*la «striscia» (spada da lato a striscia) è la spada a lama sottile tipica del Rinascimento, evoluzione italiana delle spade da lato francesi del XVI secolo.
  
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