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Autore: Sandie    22/03/2019    3 recensioni
Genzo torna in Giappone lasciandosi alle spalle Amburgo e tutte le sue certezze crollate in pochi mesi.
Ritrovati la sua famiglia e gli amici di sempre, nel suo futuro ci sono le Olimpiadi di Madrid e decisioni importanti che apriranno un nuovo capitolo della sua vita. Un destino che condivide con Taro.
I loro percorsi si intrecciano con quelli di Kumi ed Elena: due ragazze che, come loro, dovranno costruire una
nuova vita, diversa da quella immaginata.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer, Taro Misaki/Tom
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo XVI

 

Ammissioni e scoperte

 

 

 

Genzo correva a ritmo sostenuto per le strade di Nankatsu, rischiarate e scaldate da un sole ormai quasi estivo.

Passò davanti al campo di calcio oggetto di tante contese e rivendicazioni con i suoi rivali della prima Nankatsu, dove stavano giocando dei bambini che avevano la loro stessa età dell'epoca.

In parte li invidiava: a dieci anni era tutto più semplice, i turbamenti sentimentali erano al di là dal venire e lui era anche riuscito a tenerli lontani per più tempo rispetto a molti suoi coetanei.

Si era svegliato con in mente il bacio sfiorato la sera prima, tra lui ed Elena.

Il freddo, granitico Genzo Wakabayashi non aveva più saputo resistere, alla fine.

In quel momento c'era solo Elena davanti a sé, nella mente e nei sensi, aveva dimenticato completamente la sua situazione e ogni altro legame.

Sentiva ancora il suo profumo dolce e discreto, vedeva ancora gli occhi azzurri fissi nei suoi, per poi chiudersi mentre i loro visi si avvicinavano.

Era andato a correre non solo per sua abitudine quotidiana, ma anche per evitare di crogiolarsi troppo in quel pensiero.

 

Tornato a casa, si infilò sotto la doccia, con l'intenzione di dedicare la solita ora alla navigazione su Internet, controllando la casella di posta elettronica e leggendo le notizie delle varie testate giornalistiche.

Ma un fuori programma lo costrinse a rinunciare a quella consuetudine.

Dalle finestre della sua camera da letto vide infatti, il previsto arrivo di Hiroji, Annie e i bambini. Ciò che non aveva immaginato, era di vedere anche la Lexus della famiglia Ujimori percorrere il vialetto di ghiaia che dal lungo e pesante cancello conduceva alla villa. A scenderne però fu soltanto Asami.

Genzo lasciò la sua stanza alcuni minuti dopo, quando tutti erano riuniti nel salotto.

Non appena comparì, la sua ragazza si alzò e andò ad abbracciarlo, sotto gli occhi benevoli di Hiroji e quelli indecifrabili di Annie.

 

«Era da tanto tempo che non venivo qui.» disse Asami, seduta sul divano a dondolo del salotto all'aperto nel giardino di villa Wakabayashi, dove lei e Genzo si erano spostati dopo il pranzo.

Respirò l'aria salmastra proveniente dalla baia di Suruga, da cui la città di Nankatsu distava pochissimi chilometri.

La ragazza aveva sempre amato quella zona del Giappone, scenario di tante giornate felici della sua infanzia. Il Monte Fuji che a Tokyo le sembrava così lontano, era sempre sullo sfondo, a dominare un paesaggio che manteneva intatte molte delle sue caratteristiche naturali, non ancora fagocitate da selve di edifici e grattacieli.

Genzo era in piedi a pochi passi da lei. Contemplò, ammirata come sempre, la sua figura statuaria. Indossava dei pantaloni neri e la maglietta bianca si tendeva sopra le sue ampie spalle.

«Vieni a sederti qui.» lo invitò quasi sussurrando, sorridendogli con fare suadente.

Lui si voltò verso di lei. Fino a non molto tempo prima, quel tono di voce e quell'atteggiamento lo avrebbero attirato come il canto di una sirena.

Ma da un po' di tempo ormai non era più così.

Il pensiero di Elena si era fatto sempre più frequente e doveva fare grossi sforzi su sé stesso per non concedersi dei momenti in cui chiudere gli occhi e lasciare che l'immaginazione corresse a briglie sciolte.

La chiamata di Kozo Kira era arrivata provvidenziale. Il c.t. gli aveva comunicato la convocazione per l'ultima partita contro l'Australia e lui sarebbe partito l'indomani, per raggiungere il J-Village.

Era ormai completamente guarito dalla frattura allo zigomo, e la maschera protettiva era una sorta di precauzione di cui avrebbe fatto definitivamente a meno di lì a un paio di settimane.

Era da considerarsi un giocatore recuperato e idoneo a difendere i pali se ce ne fosse stato bisogno, ma Kira lo aveva chiamato soprattutto per essere di sostegno ai suoi compagni.

Il suo carisma, la sua forza di carattere, la sua voglia di vincere avrebbero trasmesso agli altri ragazzi la fiducia indispensabile a battere l'Australia.

Sapeva già quindi che avrebbe visto la gara dalla panchina, ma era felice di poter condividere quei giorni con i suoi compagni e di avere un'altra importante questione cui pensare.

Ciononostante, sorrise ad Asami di rimando e si sedette accanto a lei.

La ragazza sospirò di piacere e gli si accostò, posandogli la testa su una spalla e la mano sul petto, accarezzandolo piano con le sue dita sottili.

«Sai … mi ricordo ancora benissimo di quando venivo qui a passare le vacanze. Tu ti allenavi ogni pomeriggio con il signor Mikami e poi facevamo merenda insieme, seduti proprio lì.» disse, indicando il tavolo in legno bianco poco distante, attorniato da alcune sedie di vimini.

«Ricordo un giorno in cui eri arrabbiato perché eri stato sfidato da un ragazzino appena arrivato in città e Mikami dovette sgridarti per costringerti a interrompere l'allenamento.» aggiunse, non udendo una risposta da parte di Genzo.

«Già, Tsubasa … immagino tu sappia che si è sposato con Anego e aspettano un bambino.» replicò, infine.

«Anego? Ah, quel maschiaccio!» rise Asami.

Genzo annuì con un mezzo sorriso, ricordando la dirompente capotifosa delle elementari.

«Crescendo, è cambiata. È diventata molto femminile. E vuole essere chiamata Sanae, altrimenti si arrabbia.»

«Non l'ho più vista da allora. E non mi sono più interessata al calcio, dopo che sei partito per la Germania. Tranne che per le notizie che Mikami o Hiroji e i tuoi genitori ci portavano su di te.» gli confidò, alzando la testa e guardandolo con un sorriso, che lui ricambiò, di nuovo senza replicare.

Il suo bel viso assunse un'espressione perplessa «Oggi sei così taciturno … sei preoccupato per la partita?»

Scosse piano la testa «Lo ero di più prima, quando dovevamo sperare in un loro passo falso. Ora dipende da noi, anche se abbiamo il vincolo dei tre gol da segnare.»

«Vorrei tanto venire allo stadio, ma parto per Kyoto proprio domani.» disse, stringendosi nelle spalle.

«Per Kyoto?» chiese il ragazzo, aggrottando le sopracciglia.

«Sì, te ne avevo parlato una settimana fa, non ricordi? È un viaggio di alcuni giorni con compagni e professori d'università. Visiteremo monumenti, musei e biblioteche. Mi servirà per scrivere la mia tesi di laurea.» rispose, perplessa e un po' delusa.

Genzo assentì «Certo, ora ricordo. Scusami, è che sono settimane particolari.»

La ragazza fece un cenno di diniego «Non ti preoccupare. So quanto queste Olimpiadi siano importanti per te.»

Lui abbozzò un sorriso.

«In bocca al lupo, Genzo.» gli sussurrò, avvicinandosi e posandogli un bacio sulle labbra.

 

Genzo aprì la porta di casa e trovò davanti a sé proprio l'unica persona che mai si sarebbe aspettato di vedere in quel momento.

«Elena.» disse, l'espressione stupita e una scintilla negli occhi neri che le fece trattenere il fiato.

«Ciao Genzo.» rispose lei dal canto suo, gli occhi azzurri che lo guardavano leggermente spalancati.

Trasalì, fortunatamente senza darlo a vedere, quando vide Asami comparire dietro il ragazzo e fissarla con la stessa espressione di quando l'aveva incontrata nella stanza in cui era stato ricoverato.

La salutò facendo un inchino.

L'ereditiera ricambiò con un cenno del capo e un lieve sorriso.

«Ho appena riportato la giacca di tua madre.» disse poi a Genzo, volgendosi leggermente verso Hitomi che teneva tra le mani l'indumento perfettamente stirato e ripiegato.

Il ragazzo fece un cenno d'assenso e la ringraziò.

«Vado … le mie allieve mi aspettano in palestra.»

Genzo la salutò, voltandosi poi a guardarla mentre si avviava verso il cancello.

Asami lo osservò.

Sembrava essersi rianimato nei pochi minuti in cui aveva visto quella ragazza.

I suoi occhi erano più accesi e sembravano voler trattenere la sua immagine quanto più a lungo possibile.

Aveva alternato lo sguardo dall'uno all'altra durante quel breve dialogo e aveva visto una muta complicità che le aveva fatto avvertire un tuffo al cuore e un senso d'inquietudine.

 

Asami si congedò da villa Wakabayashi nel tardo pomeriggio, salutando con un breve abbraccio e un piccolo bacio Kenichi e Aiko, e dando poi una carezza su una guancia a Genzo.

Salita in auto, ordinò al suo autista di fermarsi davanti al complesso sportivo Shiroyama.

Una volta entrata, salutò cortesemente la segretaria, che rispose con un sorriso altrettanto cordiale.

«La signorina Rulli è qui?»

«Sì, sta facendo lezione.»

Asami la ringraziò e si diresse verso l’area in cui si tenevano gli allenamenti di ginnastica artistica.

Elena stava supervisionando e dando consigli e indicazioni alle giovanissime atlete, tutte impegnate nella preparazione alle Nazionali juniores, mostrando la postura da tenere durante gli esercizi e correggendo le imperfezioni dei movimenti.

Indossava dei pantaloncini e una canottiera come le ginnaste, i capelli legati in una coda.

Era bella, socievole, dal modo di fare deciso come avevano fama di essere le ragazze di origine tedesca.

Strinse le labbra e ripensò all’incontro tra lei e Genzo.

Doveva averla vista praticamente ogni giorno, quando si trovava a Nankatsu.

Si conoscevano abbastanza da chiamarsi per nome, cosa che, lo ricordava benissimo, non avevano fatto quel giorno all’ospedale.

Ma poi c’era stata quella notte che Genzo aveva ammesso di aver trascorso per intero allo Juntendo Hospital, quando lo zio di lei era stato ricoverato per trauma cerebrale.

Con lei …

Girò sui tacchi e si incamminò verso l’uscita del centro sportivo, per poi risalire sull'auto.

Il suo autista ripartì dopo averle lanciato un'occhiata attenta dallo specchietto retrovisore, che gli rimandò l'immagine di una ragazza dall'espressione turbata.

 

Era passata circa un’ora da quando Asami era andata via.

Dopo essere rimasto seduto sul divano a giocare alla PlayStation con Hiroji, Genzo si alzò e andò nella sua stanza per prendere una giacca.

Il mattino dopo avrebbe dovuto alzarsi presto per arrivare al J-Village in tempo.

Troppo presto … e lui doveva rivederla prima.

Mentre usciva dalla sua camera, Annie era sul corridoio e lo guardava, attenta.

«Genzo, hai finito di leggere quel romanzo?»

«No … mi mancano gli ultimi capitoli.»

«Sbrigati a leggerli. Lo dico per te, non per me.» gli disse, con un lampo esortativo nei suoi occhi verdi «E poi Genzo … se vuoi parlare, io sono sempre disposta ad ascoltarti.» aggiunse.

«Lo so. Grazie, Annie.»

La cognata gli strizzò un occhio e si diresse verso le scale.

Prima di partire per Naraha, avrebbe infilato nel suo trolley anche quel libro con la copertina dagli angoli un po' consunti che gli aveva prestato una settimana prima.

 

Elena alzò lo sguardo e vide Genzo sulla soglia della porta d'entrata della palestra e avvertì un nodo alla gola.

Aveva pensato spesso alla sera precedente e aveva reagito mettendo ancora più impegno nel suo lavoro di quanto non fosse già solita fare.

Mayuko era a Tokyo per via di un incontro con i vertici della Federazione giapponese di ginnastica artistica e aveva quindi avuto gioco facile nel far credere alle ragazze che ciò fosse dovuto alla necessità di ovviare all'assenza della sua datrice di lavoro.

Il ragazzo sembrava quasi aver pianificato con cura il momento in cui comparire, visto che avvenne durante una breve pausa concessa alle ragazze da pochi minuti.

Le fece un cenno di saluto con la mano, cui rispose di rimando.

Si avvicinò. Indossava una giacca sopra la maglietta e un paio di jeans scuri. Attirò, come al solito, gli sguardi ammirati delle allieve, cui si aggiunse presto la curiosità.

«Come mai qui?» gli chiese, notando che non aveva il consueto borsone con sé.

«Sono solo passato a salutarvi … domani parto presto. Torno al J-Village.»

Elena spalancò gli occhi, piacevolmente sorpresa.

«Giochi contro l'Australia?»

«No, andrò in panchina, pronto a entrare se ce ne sarà bisogno. Il titolare sarà ancora Morisaki e io mi fido di lui.»

«Sì, ha fatto molto bene nelle ultime due partite.»

«Come hai detto tu, la qualificazione è nuovamente nelle nostre mani.» le ricordò, sorridendo di sbieco.

«Già …» mormorò la giovane, visibilmente imbarazzata per l'allusione a quella sera e al gesto che aveva accompagnato quelle parole.

Tacquero per un momento. Elena sembrava aver assunto di nuovo un atteggiamento riservato. Genzo maledisse la sua incapacità di evitare quella provocazione.

«Ormai manca poco anche per voi.» le disse quindi, cercando di rimediare.

«Già … sono un po' emozionata.» ammise.

«Le ragazze si stanno allenando con impegno, e con due allenatrici come te e la signorina Shiroyama, questa squadra raggiungerà ottimi risultati. E io sarò allo Yoyogi Stadium a vedervi.» concluse, con un tono di voce più affettuoso.

«Grazie, Genzo.»

I suoi occhi si accesero e le labbra si distesero in un sorriso.

Era nuovamente riuscito a farle abbassare le difese … e proprio lì dove si sentiva pressoché invulnerabile.

Rimasero a guardarsi.

Come al solito, avvertivano la sensazione che altre parole aleggiassero in sospeso tra di loro, ma non riuscirono a dirsi nient'altro.

Inoltre c'erano le ragazze che li fissavano con fin troppo interesse.

«Buongiorno, Wakabayashi-san!» Arimi comparve dietro Elena, agile come un folletto.

«Ciao Arimi! Sei pronta?»

«Mi sto allenando come una matta tutti i giorni, da mesi.» rispose, con un sorriso fiero e le mani dietro la schiena.

«Allora ci vediamo allo Yoyogi Stadium. Fatevi valere.» rispose prima di salutarle, stando bene attento a rivolgere a Elena l'ultimo e il migliore dei suoi sorrisi, facendole mancare un battito, per l'ennesima volta.

 

«Che gentile Wakabayashi a venire a trovarci!» sorrise Mitsuyo.

«Io credo sia venuto soprattutto per la signorina Rulli.» insinuò Shinobu «Avete visto come la guarda?» chiese poi, abbassando la voce con occhi maliziosi.

«Se è così, beata lei!» sospirò Hanako.

«Ehi, ragazze! La pausa è finita. Le chiacchiere non fanno vincere medaglie!» gridò Elena battendo le mani con un'espressione temibile sul viso, inducendo le sue ginnaste a rimettersi immediatamente al lavoro.

L'unica che continuava a sorridere era Arimi, al pensiero che forse aveva agito, seppure inconsapevolmente, da Cupido.

 

Quando Elena uscì dalla palestra, i suoi pensieri tornarono nuovamente a Genzo.

Estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e selezionò il nominativo di Taro dalla rubrica.

Le rispose dopo un paio di squilli … fortunatamente non era impegnato con l'allenamento.

 

Il ragazzo stava scendendo le scale che portavano all'atrio dell'albergo quando il suo cellulare squillò.

Guardò con aria interrogativa il nome di Elena campeggiare sullo schermo, per poi accettare la chiamata.

«Ciao Elena. Dimmi.»

«Taro … dopo la partita ho bisogno di parlarti.» replicò.

«Hai bisogno … c'è qualche problema?»

«Sì. Cioè, non proprio … non so come definirlo. So solo che non è una cosa di cui discutere per telefono.» rispose un po' impacciata, pronunciando l'ultima frase con un po' di concitazione.

Taro corrugò le sopracciglia, sempre più perplesso «Va bene, Elena. Quando esco dallo stadio mi dirai tutto.» concesse infine, rassicurato dal fatto che non era successo nulla di preoccupante.

 

Dopo la cena, i ragazzi si radunarono davanti al televisore per vedere un film.

Genzo lo trovò noioso per i suoi gusti e lanciando un'occhiata a Misaki, constatò che il centrocampista doveva essere d'accordo con lui dal momento che smanettava sul suo smartphone senza mai alzare gli occhi sulle scene che si susseguivano sul largo schermo.

Si alzò così dal suo posto, gli scosse leggermente la spalla con una mano e gli bisbigliò qualcosa, in seguito al quale anche Taro si alzò e lo seguì fuori dall'albergo.

«Ti va di farmi qualche tiro?» gli chiese, ottenendo un cenno d'assenso dal centrocampista.

Si recarono nel campo di calcio pochi metri più avanti.

Accesero i riflettori e presero dei palloni, dopodiché Genzo si mise in porta.

Taro arrivò portando il pallone con il piede, lo posizionò e poi indietreggiò di alcuni passi. Dopo una breve rincorsa, calciò con forza, di sinistro.

Genzo si spostò con agilità e tolse il pallone dall'incrocio dei pali.

Il portiere aveva dovuto attendere prima di buttarsi, perché il tiro di Misaki era ad effetto.

«Bel tiro, Misaki.»

«Non ancora abbastanza da segnare contro di te, Wakabayashi.»

«Renderesti felice una ragazza di nostra conoscenza.» ironizzò il portiere, con apparente noncuranza.

«Non ne sono così sicuro.» replicò l'amico, con un sorriso sornione che gli fece alzare un sopracciglio.

Si sedettero sulla panchina.

«Con Asami? Tutto bene?»

Genzo strinse le labbra e abbozzò un sorriso.

«Dalla tua espressione, non sembrerebbe un sì.»

«Non mi sento più coinvolto come all'inizio della nostra storia.» ammise.

«È perché ti sei innamorato di un'altra ragazza di nostra conoscenza?» insinuò, ripetendo volutamente le parole usate poco prima dal portiere.

Genzo spalancò gli occhi, poi li chiuse, con un sorriso obliquo, come se ancora faticasse a credere che fosse capitato proprio a lui che fino a quel periodo aveva sempre avuto relazioni di scarsa importanza.

«L'ho notato da un po', sai.»

«È così evidente?»

«Sei un ragazzo generoso e ti fai in quattro per aiutare gli amici, ma certe tue attenzioni per Elena mi sembravano andare oltre il semplice desiderio di aiutarla. E quel pomeriggio a Miho …»

« … ti ha rivelato tutto.»

Taro sorrise. Genzo sospirò.

«È innegabilmente bella, ma non è solo questo. Con lei posso essere me stesso e parlare di qualsiasi argomento, ma soprattutto, mi sento attratto dal suo entusiasmo, dalla sua determinazione, dalla voglia di riuscire in quello che fa, dalla passione che mostra nell'insegnare ciò che sa alle sue allieve.» tacque per alcuni secondi. I suoi occhi si erano illuminati nell'elencare quelle qualità che tanto apprezzava nell'ex ginnasta. Era un'espressione che Taro non aveva mai visto nell'amico, pur conoscendolo da tanti anni.

«Asami è una ragazza intelligente, gentile, raffinata. Però è come … è come se vivesse soltanto nel suo mondo dorato e non volesse uscirne. Con lei frequento solo ristoranti alla moda, compagnie altolocate, discoteche in cui il prezzo dell'ingresso è così alto che alla fine ci si ritrova solo la jeunesse dorée giapponese. E io, forse perché sono un calciatore e mi sono trasferito in Germania da ragazzino, mi sento un estraneo in mezzo a quella gente, sebbene faccia parte del mio ceto sociale.» riprese, lo sguardo fattosi serio.

Taro annuì, mostrando di comprendere.

«E con Elena?»

«È reciproco, Misaki. La sera della partita contro il Vietnam, l'ho accompagnata a casa. Non sono riuscito a resistere e mi sono avvicinato per baciarla … e lei non si è tirata indietro.»

Taro lo guardò, aspettando che fosse lui a proseguire.

«Purtroppo, il cane del maestro Nerlinger ha abbaiato proprio mentre stava per succedere.» confidò, con una smorfia tra il contrariato e il divertito che fece ridere Taro.

«Lei continua a sentirsi in colpa per il suo ex fidanzato.» riprese, dopo il breve attimo di ilarità «Se cedesse, penserebbe che in fondo quello che le aveva detto era vero, che lei gli era rimasta accanto per compassione e non perché ne era innamorata. Teme di essere una persona meschina, invece è una ragazza splendida. Vorrei farglielo capire …» disse, con un tono di voce appassionato che Taro gli aveva sentito solo quando parlava dei traguardi da raggiungere nella sua carriera di calciatore. Un tono che tradiva anche sofferenza, data dalla sensazione di dover sconfiggere qualcosa di più potente di lui.

«Elena potrebbe anche essere trattenuta dalla tua relazione con Asami. Prima dovresti spiegare la situazione a quella che è ancora la tua ragazza, Wakabayashi. Poi sarai libero di dichiararti.»

Genzo strinse le labbra «Credevo che Asami potesse essere la donna giusta. La conosco da tanti anni ed era l'unica con cui potevo scambiare più delle solite frasi. Finché non ho cominciato a conoscere meglio Elena. E ora mi ritrovo in questa situazione … sarebbe bastato aspettare un po'. Vorrei evitare di farla soffrire.»

«Purtroppo è inevitabile.» replicò Taro, guardandolo con comprensione «Hai seguito i tuoi sentimenti, Wakabayashi. Proprio perché in quel periodo eri convinto che Asami fosse quella giusta, hai cominciato una storia che lei per prima ha voluto. E poi …» gli strizzò un occhio « … è una ragazza talmente bella e raffinata che nessuno oserebbe biasimarti per averle ceduto.»

Genzo abbozzò un sorriso. Taro riprese il filo del discorso.

«A me è successo con Azumi … avevamo iniziato una storia che è finita non appena io mi sono ripreso dall'infortunio e lei è andata all'università. Credo che siamo rimasti tutti un po' suggestionati dalla storia tra Tsubasa e Sanae. Anche Misugi e Matsuyama hanno trovato presto la donna della loro vita, e noi abbiamo cercato la nostra Sanae, Yayoi o Yoshiko nella ragazza che abbiamo avuto vicino da ragazzini. E così io mi sono infatuato di Azumi come tu di Asami. Per poi incontrare due donne che hanno scompaginato tutto.»

«Mi avevi detto che con Kinuyo è finita … »

«Non sto parlando di Kinuyo … cioè, sì, con lei ho vissuto una storia che è durata poco, ma è stata molto intensa. Avevo perso la testa per lei … ma ho finito per scottarmi.» emise un breve sospiro «In questi mesi ho conosciuto meglio una ragazza che è il suo opposto: ha un sogno e si sta impegnando con tutte le sue forze e tutto il suo talento per realizzarlo, a costo di litigare con suo padre. Non ha la malizia e le sottili arti seduttive di Kinuyo, ma mi ha colpito per la sua vivacità e il suo entusiasmo.»

«Stai parlando di Sugimoto?» chiese Genzo, dando voce a una sua intuizione.

Taro annuì.

Genzo fece un mezzo sorriso «È un bel peperino.» commentò, divertito «Hai già fatto la prima mossa?»

Taro scosse la testa con un leggero sorriso «Non ancora.»

«Beh, che aspetti?»

«Ho voluto frequentarla un po', prima. Chissà, forse temo di ricevere un'altra delusione come con Kinuyo. Voglio essere sicuro di interessarle sul serio.»

«Ti capisco, Misaki. Però bisogna rischiare. Non conosco molto Sugimoto, ma mi sembra una ragazza sincera. Non credo ti illuderà, né giocherà con i tuoi sentimenti.»

«Siamo in due allora, a dover rischiare.» disse, con un'occhiata significativa.

«Già … tra poche settimane Elena tornerà a casa, Misaki. Il pensiero che potrei non rivederla più mi tormenta. E passeranno altre settimane, forse mesi, prima che possa incontrarla di nuovo. Prima di allora … voglio essere sicuro che non uscirà dalla mia vita.» 

 

Il sole al tramonto tingeva il cielo di striature color pesca. Su Tokyo spirava una brezza calda, rendendo il clima molto simile a quello di un mese prima, a Sydney.

Il Giappone era chiamato a ribaltare quel risultato.

I tifosi giapponesi avevano gremito il National Stadium di Tokyo, trasformandolo in una bolgia come Kozo Kira li aveva esortati a fare nelle sue dichiarazioni in conferenza stampa.

Il c.t. aveva promesso di lasciare il mondo del calcio in caso di mancata qualificazione.

Memore del 3-1 subìto a Sydney contro una squadra che schierava tutti i giocatori tesserati per importanti club europei, aveva contattato Tsubasa Oozora e Kojiro Hyuga, per richiedere la loro disponibilità a tornare in Nazionale per la partita contro l'Australia, cedendo alle pressioni dei mass media e dell'opinione pubblica e venendo meno al suo stesso proposito, ma incontrando il rifiuto dei due campioni.

Tsubasa e Kojiro avevano rigettato la convocazione di Kira, riponendo piena fiducia nei compagni che fin lì avevano disputato il torneo.

Affidavano le sorti della Nazionale Under 23 ai giocatori che l'avevano portata a quello che era a tutti gli effetti uno spareggio.

Avevano saputo riprendere il destino nelle loro mani nelle gare precedenti, potevano farcela a battere gli australiani con tre gol di scarto.

Elena si sentiva tesa, ma nello stesso tempo avvertiva un senso di malinconia, di precoce nostalgia.

Era l'ultima partita della Nazionale che avrebbe visto, almeno in Giappone.

Aveva seguito il percorso di quei ragazzi, con alcuni dei quali aveva stretto un rapporto d'amicizia, con coinvolgimento e passione. E ora voleva vederli conquistare la qualificazione.

Prese posto tra Yukari e Kumi, che quella sera aveva accanto a sé Madoka, ormai stabilitasi nella capitale per motivi di studio, che rimase inizialmente stupita e delusa per la mancata presenza in campo di Shun, lasciato in panchina da Kira.

Non poteva credere che, proprio la sera in cui il Giappone doveva vincere con tre gol di scarto, il c.t. avesse rinunciato a schierare fin dal primo minuto proprio l'attaccante che aveva segnato in quasi tutte le partite fin lì disputate.

 

«Misaki, lei c'è?»

Taro guardò verso gli spalti, approfittandone per cercare un'altra presenza che gli premeva vedere. Individuò entrambe e alzò una mano in segno di saluto.

«Sì, Wakabayashi.»

Genzo annuì e andò a sedersi in panchina, tra Takasugi e Wakashimazu.

 

Il calcio d'inizio venne assegnato all'Australia.

I giocatori della squadra ospite stavano semplicemente passandosi il pallone, con tutta calma, prendendo tempo. L'obiettivo era preservare le energie per il secondo tempo e prevalere così sugli avversari, innervosendoli nel frattempo con una avvilente melina.

Elena strinse le labbra. Sapeva bene chi era Giis Coleman: un allenatore molto celebre in Europa, un olandese giramondo, una vecchia volpe.

La strategia stava dando i suoi frutti. I giocatori nipponici sembravano essere caduti nella trappola.

Ma il selezionatore dell'Australia non aveva fatto i conti con la sagacia di Kozo Kira e con lo straordinario spirito di sacrificio dei gemelli Tachibana, che con la collaborazione di un lancio alto e preciso da parte di Misaki, permisero al Giappone di passare in vantaggio.

Lo sforzo impiegato nell'esecuzione della loro ultima "catapulta infernale" li costrinsero a uscire dal campo in barella, sofferenti ma fieri e orgogliosi del proposito raggiunto.

Il Giappone era in vantaggio, a pochi minuti dall'inizio della partita.

Nitta e Wakashimazu entrarono al loro posto.

Madoka, che si era da poco seduta, schizzò nuovamente in piedi, fremente d'entusiasmo.

 

Taro ritornò di corsa a centrocampo, con il pallone sotto il braccio.

Voleva che il gioco riprendesse il più rapidamente possibile, perché mancavano altri due gol da segnare, che in una partita del genere erano tantissimi; la difesa dei Socceroos, composta da calciatori alti e prestanti, era difficile da superare ed era indispensabile siglare il secondo gol entro la mezz'ora.

In caso contrario, il sacrificio dei Tachibana sarebbe stato inutile.

I giocatori australiani ricevettero da Coleman l'ordine di giocare in modo più aggressivo, per contrastare il rinnovato vigore giapponese.

Ishizaki passò a Misaki, che si era portato sulla fascia destra dopo aver scambiato la posizione con Misugi.

Avanzò, saltando due difensori australiani con un salto poderoso, mantenendo il pallone incollato al piede.

Si mise in posizione di tiro. Il possente difensore Alo Phard cercò di fermarlo opponendogli tutto il corpo, ma Taro lo saltò trattenendo il pallone tra i piedi e lo lanciò di tacco verso Wakashimazu, che stava correndo verso la porta, seguito da Nitta.

Affrontato da due difensori alti e robusti quanto lui, Ken tirò in rovesciata verso Shun.

L'attaccante eseguì un hayabusa shoot  di una potenza inaudita, che si infilò in rete con un Malic rimasto immobile, senza nemmeno aver visto la palla.

Madoka saltò in piedi e si mise a saltare coinvolgendo Kumi nella sua gioia sfrenata.

«È quello … è il tiro che ha preparato insieme a Wakashimazu quando sono andati sui Monti Hida!» spiegò con voce ansante, dopo essersi ricomposta a fatica.

Elena e Yukari batterono le mani, guardandosi divertite.

 

Dopo che un potente rasoterra di Matsuyama era finito fuori sfiorando l'esterno della porta, il portiere australiano riuscì a parare il kamisori shoot di Soda e a togliere dall'incrocio dei pali il flying drive shoot di Misugi.

Subito dopo arrivò il duplice fischio dell'arbitro, che consentì ai Socceroos di tornare negli spogliatoi senza subire il terzo gol.

Kira lasciò la panchina estremamente fiducioso per il secondo tempo: era certo che il Giappone avrebbe segnato il gol della vittoria, quello che l'avrebbe portato alle Olimpiadi.

I tifosi sugli spalti, non erano da meno. L'euforia aleggiava in tutta la larga frangia dei supporter nipponici, che pregustavano la gioia della qualificazione, come se fosse stata soltanto questione di tempo.

«Siamo già avanti di due gol! Dai che ce la facciamo!» gongolò Manabu.

«Attenzione però … se segnano un gol tocca farne uno in più.» avvertì Nishio.

«Non fare il gufo!» lo riprese Iwami «Hai visto che facce avevano i nostri avversari mentre si avviavano fuori dal campo?»

«Io ho visto quella di Coleman ed era sorridente. Quello è un volpone, sono sicuro che caricherà i suoi giocatori a dovere.» replicò l'ex difensore della Ootomo.

Elena dovette concordare con quest'ultimo. Certo, aver già segnato due gol era sicuramente un ottimo viatico per il prosieguo della gara.

Taro era stato decisivo in entrambe le reti, con i suoi assist.

La sua presenza era stata fondamentale in tutto il torneo … sarebbe stato bello se avesse segnato lui il gol risolutivo.

Ma un'Australia che schierava tutti i giocatori militanti in prestigiose squadre europee e quindi mettendo in campo tutto il suo potenziale, avrebbe certamente fatto di tutto per non essere battuta da un Giappone che aveva rinunciato ai suoi campioni impegnati in Europa.

 

Alla mezz'ora del secondo tempo, la qualificazione tornò in bilico.

Taro tentò un'iniziativa personale, cercando con un salto di evitare l'intervento in contemporanea di due avversari, ma uno di questi, il centrocampista Shooker, lo colpì con i tacchetti sulla caviglia destra e si impossessò del pallone.

Il numero undici cadde a terra con uno strido di dolore, tenendosi la gamba ferita.

L'arbitro lasciò proseguire l'azione, lasciando esterrefatti i giocatori giapponesi che per un momento rimasero inerti, permettendo così al forte australiano di avanzare e ingannare i difensori fingendo un tiro che trasformò in un passaggio di tacco a Konwell.

Il tiro di quest'ultimo venne deviato in rete dall'inserimento di Duviga.

I giocatori giapponesi contestarono inutilmente la decisione dell'arbitro, che non aveva ritenuto falloso l'intervento del difensore australiano.

Mancava un quarto d'ora … e i gol da segnare erano diventati due, contro una squadra che aveva ripreso coraggio.

 

Misaki infortunato, uscì dal campo per ricevere le cure mediche.

«Non hai nessuna distorsione, Misaki. Mi basterà farti una fasciatura.» gli disse il giovane infermiere dello staff medico, dopo avergli tastato la caviglia.

«Bene … ma per favore, fai in fretta!» lo esortò, con un tono quasi aggressivo che solitamente non gli apparteneva, ma la qualificazione stava ora sfuggendo di mano, e lui non era in campo a combattere con i suoi compagni.

 

Genzo tremò dalla rabbia. I suoi compagni si stavano demoralizzando, dopo aver incassato il gol dell'Australia.

Ma mancava ancora un quarto d'ora… dovevano segnare due gol invece di uno.

Quindici minuti… due gol. Non poteva accettare che finisse così, senza nemmeno lottare e sputare sangue se necessario, fino all'ultimo secondo!

Scattò in piedi, fino a ritrovarsi poco dietro la linea di bordocampo.

 

Elena trattenne il fiato.

Un ragazzo con la tuta bianca e blu della Nazionale e un berretto bianco in testa era spuntato da sotto la tettoia della panchina.

Genzo era in piedi, poco dietro la linea di bordocampo e stava suonando la carica ai dieci ragazzi rimasti sul rettangolo di gioco.

«Morisaki, reagisci! Tocca a te incoraggiare i tuoi compagni! Ragazzi, non arrendetevi! La vera partita comincia ora, ORA!» gridò, i pugni stretti e le gambe divaricate, il berretto bianco calcato in testa.

Quelle frasi carpite da quella striscia di campo ebbero in lei l'effetto di una scarica di adrenalina.

Serrò i pugni e si voltò verso gli altri supporter.

«Genzo ha ragione, ragazzi! È in momenti come questo che dobbiamo farci sentire di più e tifare per i nostri ragazzi, fino a perdere la voce!» gridò, incurante di aver chiamato il portiere per nome davanti a tutti, i pugni ancora più stretti e incassando un ulteriore grido di approvazione, per poi riprendere a incitare la Nazionale Under 23 con una foga ancora maggiore.

 

Gli incitamenti di Wakabayashi sembrarono sortire il loro effetto su Morisaki, che compì una parata difficile su un tiro di Shooker.

Il pallone rotolò oltre la linea, permettendo a Taro, di nuovo in piedi dopo la medicazione, di riprendere la gara.

Il centrocampista rientrò in campo con fiducia ed energia rinnovate.

Superò almeno metà squadra avversaria con una stupenda serie di dribbling e finte, per poi lanciare verso Igawa, che con la coda dell'occhio aveva visto correre lungo la fascia, spiazzando così i due difensori in stretta marcatura su Wakashimazu e Nitta.

Il difensore segnò in tuffo, di testa il gol del 3-1, riscattando definitivamente l'espulsione subita a Sydney.

Mancavano sette minuti … la speranza era tornata tra i tifosi giapponesi, ancora più forte.

E Il National Stadium tornò a essere una bolgia.

Coleman cambiò modulo e schema di gioco e rinforzò la difesa, lasciando Duviga in avanti come unica punta e assegnando a Macbeth la marcatura su Misaki.

Kira rispose alla mossa del collega sostituendo Sawada con Mitsuru Sano, per avere una nuova fonte di gioco.

Il fantasista venne bloccato subito dai giocatori australiani che diedero vita a un contropiede cui Ishizaki impedì la rete del 3-2 che avrebbe stroncato il loro sogno.

Di nuovo in possesso del pallone, Sano attirò su di sé tre avversari, stordendoli con i suoi dribbling. Poi passò a Misaki, che a sua volta lanciò verso Nitta.

Il tiro dell'attaccante del Reysol Kashiwa venne respinto con il petto da un difensore, ma la sfera tornò verso Misaki, che saltò per evitare l'intervento del portiere ed eseguì una splendida rovesciata, segnando il gol del 4-1.

Kumi e Madoka si abbracciarono così forte da rischiare di stritolarsi a vicenda, ma tutti erano troppo stravolti dalla gioia e impegnati a saltare, urlare e a sventolare bandiere per farci caso.

Il Giappone difese con fermezza e tenacia il risultato per i minuti restanti e a nulla valsero gli strenui tentativi della selezione australiana.

Coleman riconobbe la sconfitta e il valore dell'avversario e si complimentò con il suo collega, esortando la sua squadra a vincere una medaglia.

I giocatori giapponesi festeggiarono inondandosi a vicenda con bottiglie d'acqua.

Jito, sceso in campo dalla tribuna con la piccola Lisa Igawa, e Wakashimazu afferrarono il loro c.t. e con l'aiuto degli altri ragazzi lo sollevarono e lo lanciarono più volte in aria, tra grida di esultanza e risate.

Poi corsero tutti sotto la curva giapponese, formando una linea quanto più larga possibile.

Madoka, Kumi, Elena e Yukari batterono le mani felici, ognuna con lo sguardo rivolto verso un giocatore in particolare, tra legami già ufficiali e altri che attendevano la svolta che ne avrebbe sancito la nascita.

 

«E così pur tra mille peripezie ragazzi, alla fine ce l'abbiamo fatta!» gridò euforico Makoto Soda, accolto dal boato dei suoi compagni.

La Nazionale Under 23 al completo stava festeggiando la qualificazione in una rinomata pasticceria del quartiere di Shibuya, con una torta gigantesca e fiumi di bevande assortite.

Kira non era con loro, ligio più che mai alla sua parola d'ordine "Astinenza" e aveva preferito una più tranquilla cena con Tatsuo Mikami, Munemasa Katagiri, Minato Gamo e gli altri membri del suo staff.

Elena mise una mano su un braccio di Taro e gli lanciò un'occhiata significativa.

Il centrocampista annuì e si diresse con lei verso l'uscita del ristorante, seguiti dai mormorii maliziosi di alcuni tra i ragazzi.

La scena non era sfuggita né a Genzo né a Kumi, che li avevano cercati con gli occhi per tutto il tempo.

Kumi non seppe cosa pensare. Genzo era perplesso.

Entrambi non riuscirono a trascorrere quella serata di festa con la spensieratezza immaginata e voluta.

 

Si sedettero nell'unico tavolo rimasto libero nella gelateria, da poco inaugurata, che si trovava a pochi metri dalla pasticceria.

Elena ordinò un'enorme coppa di gelato alla panna e frutti di bosco, Taro fece altrettanto con crema pasticcera e cioccolato.

«Hanno messo anche le amarene … mi fanno impazzire.» commentò entusiasta l'insegnante quando il gelato fu finalmente davanti a lei, prima di tuffare il cucchiaio e gustarne il primo boccone.

Taro sorrise e la imitò, poi decise di entrare in argomento.

«Allora, di cosa devi parlarmi?»

Esitò un attimo, indecisa su come cominciare, poi scelse di lasciar perdere i preamboli.

«Si tratta di Genzo.»

Taro annuì una volta, con un leggero sorriso.

«Ti sei innamorata di lui.»

Elena per poco non si strozzò con la panna, provocando una leggera risata nell'amico.

«La metti già in questi termini?» chiese, il viso paonazzo e la voce indispettita.

«E che altro dovrei dire?» ribatté lui tranquillamente.

La ragazza strinse le labbra e volse gli occhi verso il basso «Io non so cosa provo per lui.»

«Ho guardato la partita contro il Vietnam a casa sua. Mi ha invitata a cena, con noi c'erano anche il signor Mikami e il signor Hoffmann. Alla fine della serata, mi ha accompagnata a casa e …» emise un leggero sospiro «… stavamo per baciarci. Ma Wilhelm ha abbaiato e ha interrotto tutto.» disse, divertita suo malgrado.

Taro ridacchiò, ricordando quello stesso episodio raccontatogli da Genzo la sera prima.

«Lì per lì mi ha dato fastidio.» ammise «Poi, a mente fredda, ho pensato che è stato meglio così, avevo ceduto a un momento di debolezza di cui poi mi sarei pentita. Ma quattro giorni fa l'ho rivisto in palestra e … ormai succede sempre così, con lui. Sento il cuore battere più forte, vederlo mi rende felice.»

«Vedi che non sono lontano dalla verità.»

Elena abbassò gli occhi e fece un lieve sorriso «Lui mi piace, Taro. È affascinante, sicuro di sé, determinato … e generoso. Ma … non è passato neppure un anno e io mi sento già attratta da un altro uomo. Mi sembra una cosa … sbagliata, ecco.»

«Diventare una persona arida e incapace di amare è sbagliato, Elena.»

Lei lo guardò, stringendo le labbra.

«Ho anche un altro dubbio … il suo procuratore gli ha detto che ha sempre ottimi gusti in fatto di donne, come a dire che ne ha avute tante a scaldargli il letto. Io non voglio allungare la sua lista.»

«Wakabayashi non ti tratterebbe mai come un trofeo di caccia. Ha stima e rispetto per te, non sta giocando con i tuoi sentimenti. Posso garantire su questo.»

Elena gli rivolse un'espressione scettica. «Passo parte delle mie vacanze in Germania e mi è capitato ogni tanto di sfogliare qualche rivista di gossip … ho trovato spesso fotografie di Genzo in compagnia di una bella ragazza, mai la stessa. Titoli tipo "Lo charme giapponese del SGGK fa un'altra vittima" e commenti come "Ad appena vent'anni il SGGK vanta già un curriculum anche sentimentale di tutto rispetto" e così via. Non è che succederà anche con me? Dopo pochi mesi potrebbe conoscere una ragazza che lo attrarrà di più e lui mi metterà da parte.»

«Allora non ti limitavi a guardare le foto, li leggevi anche gli articoli su Wakabayashi.» la punzecchiò, e lei per tutta risposta scosse la testa sorridendo.

«Comunque quelli erano dei flirt, Elena. Ragazze più che disponibili, conosciute e frequentate nello spazio di poche settimane che poi si vantano di essere state a letto con il grande portiere. Wakabayashi si è innamorato di te proprio perché ti ha conosciuta e ha capito che non sei come quelle.»

«Davvero pensi che sia addirittura innamorato?»

Taro la guardò divertito. Aveva sgranato gli occhi, come se faticasse a rendersi conto di ciò che era avvenuto in quei mesi … qualcosa che lei avrebbe certamente escluso nei suoi primi mesi di permanenza in Giappone.

«Di certo è molto preso da te. Non l'ho mai visto così.»

«E come spieghi il fatto che stava per baciarmi, pur essendo legato a un'altra donna? Questo denota la sua incostanza!»

A quel punto, Taro fu costretto a rivelarle la conversazione avuta con il portiere al J-Village. E ciò che Genzo aveva detto di lei, l'ammissione dei suoi sentimenti e quando si era reso conto di provarli.

Elena avvertì una morsa stringerle il petto sempre più, man mano che Taro le riferiva quanto confidatogli dall'amico, al punto che smise di mangiare. La parte finale del gelato si era sciolta e ora, nella sua coppa, era rimasta soltanto una crema bianca striata da rivoli di sciroppo rosso.

Non poteva credere che Genzo avesse parlato di lei in termini così appassionati.

Si sentiva orgogliosa di aver suscitato in lui un sentimento tanto fervido, ma nel contempo era sempre più confusa e combattuta, tra il desiderio di ricambiarlo e la difficoltà di andare oltre i suoi sensi di colpa.

«Taro … non so, forse sto sbagliando, ma io ancora non riesco a non pensare a Gianluca e a quello che gli è accaduto. Non riesco a sentirmi in pace con la mia coscienza, è più forte di me. E comunque Genzo è ancora fidanzato con la Ujimori. Pochi giorni fa lei era a Nankatsu. Li ho visti insieme.»

Il ragazzo fece un lieve cenno del capo. Sarebbe stato facile dirle che innamorarsi di Wakabayashi o di qualcun altro non l'avrebbe certo resa una persona di poco valore, ma l'esperienza che Elena aveva vissuto era stata talmente traumatica che era impossibile giudicare senza averne sperimentato gli effetti sulla propria pelle.

Inoltre era comprensibile da parte sua l'intenzione di non accettare le attenzioni del portiere che evidentemente faticava a troncare la sua relazione, finché non sarebbe stato libero.

«Aspetterò. Tornata in Italia, starò per un po' di tempo senza vedere Genzo, e allora vedremo se la mia è solo un'infatuazione o se è qualcosa di più importante.»

Quella decisione non avrebbe fatto piacere al suo amico, ma Taro non riusciva a criticarla, nonostante il dubbio che Elena, con la scusa di voler fare chiarezza nel suo cuore, stesse in realtà cercando di fuggire dai suoi sentimenti.

 

Fecero ritorno al locale con aria rilassata e divertita.

«Ah, rieccovi! Dove vi eravate nascosti?» li accolse Taki, con un bicchiere di sake in una mano e una fetta di torta nell'altra.

«Siamo andati nella gelateria qui vicino. Ne avevamo sentito parlare bene ed eravamo curiosi.» replicò prontamente Taro.

«E ne avete approfittato per un romantico tête à tête.» insinuò Ryo con aria maliziosa.

«Hai poca fantasia, Ishizaki.» lo liquidò Elena.

«Beh, siete sgattaiolati via quasi subito, quasi prima che iniziassimo a festeggiare!» insistette il difensore.

Elena alzò gli occhi al cielo, seccata.

Sentiva gli occhi di Genzo su di sé, ma evitò di incrociarli.

Ignorando la parte di torta rimasta sul grande tavolo, si diresse verso il bagno.

 

Chiuse il rubinetto e schiacciò il grosso pulsante dell'erogatore di aria calda, stendendo poi le mani sotto il diffusore.

Si sentì picchiettare sulla spalla e quando si voltò, si ritrovò davanti Kumi che la fissava, seria.

«Elena, devo chiederti una cosa.» le disse, rispondendo alla sua occhiata interrogativa.

«Tu e Misaki … che rapporto vi lega veramente?»

L'italiana aggrottò le sopracciglia, invitando l'amica a spiegarsi meglio.

«Io e Madoka ti abbiamo vista tornare a casa con Wakabayashi, la sera della partita con il Vietnam.» continuò l'ex manager, senza badare all'espressione sempre più stranita dell'amica «Abbiamo anche visto che stavate per baciarvi. Ma stasera sei uscita con Misaki, mentre il resto della squadra festeggiava la qualificazione … non puoi giocare con i sentimenti di due ragazzi.»

Elena sgranò gli occhi, poi sorrise e scosse la testa, desiderosa di chiarire subito quell'equivoco.

«Taro è un mio caro amico … gli ho chiesto come mi devo comportare con Genzo.»

Kumi sentì la tensione in mezzo al petto abbandonarla.

«Sei innamorata di Wakabayashi?» le chiese, con spontaneità.

«Non lo so. Mi piace molto, questo sì. Ma tu, perché ci tenevi tanto a sapere di me e Taro? Non sarà che …»

Kumi abbassò la testa con un lieve sorriso, un po' impacciata.

«Sì, ho una cotta per Misaki. Da qualche mese, ormai. Ma poi sei arrivata tu e ho visto che avevate molta confidenza, e ho voluto capire cosa ci fosse esattamente tra voi …»

«Quindi tu, per tutto questo tempo …» replicò Elena, stupita di come tante cose le fossero sfuggite e nel rendersi conto di come in quei mesi si fosse concentrata quasi esclusivamente su sé stessa.

Scosse la testa, con uno sguardo rassicurante «No, siamo soltanto buoni amici. E lui conosce da tempo sia me sia Genzo, quindi era il più adatto a darmi un consiglio.»

«Bene. Quindi ora posso confessargli i miei sentimenti … sai, io sono convinta che quando una persona ti piace, l'unica cosa da fare è dirglielo.»

«Hai ragione, Kumi. Mi piacerebbe vedere Taro con una ragazza come te, credo che potreste stare bene insieme.»

Elena le sorrise ancora, con affetto.

Sì, a ripensarci, c'erano stati dei particolari rivelatori. L'entusiasmo più accentuato quando a segnare era il numero undici, lo scambio di sguardi quella sera a Sydney, dopo la tentata violenza di quel mascalzone … che tradivano qualcosa di più della naturale predisposizione di Taro a preoccuparsi per gli altri e ad aiutarli.

Lì per lì non ci aveva fatto molto caso, concentrata com'era sul suo lavoro alla palestra, sulla necessità di tenere a bada i ricordi, la sua stessa mancanza d'interesse per la possibilità di innamorarsi di nuovo … anzi, non l'aveva minimamente considerata. Finché non aveva cominciato a conoscere meglio Genzo.

Lui era stato la sorpresa, l’imprevisto, la variabile impazzita. Per lui, era successo ciò che lei dava per scontato non sarebbe più potuto avvenire.

«E tu, dirai a Wakabayashi quello che provi?» la voce di Kumi interruppe le sue congetture.

Elena alzò le spalle, dubbiosa «La nostra situazione non è così semplice. Lui è ancora impegnato … e io non mi sento pronta per avere una nuova storia.»

Kumi increspò le labbra «Rischiate di perdervi, così. Tu gli piaci sul serio, Elena. Dopo averti vista uscire con Misaki, è stato di pessimo umore per tutta la sera. Era accigliato e ha parlato pochissimo.»

L'italiana avvertì l'ennesima stretta al cuore. Ma rimaneva sempre un fatto incontrovertibile …

«Lui ancora non lascia la sua ragazza.»

«Se ti vuole davvero, lo farà. E tu … amare qualcuno non può essere una colpa. Non rinunciarci.»

  

 

 

 

 

 

 Un saluto a chi è su questa pagina!

Questo capitolo è un po' di transizione, con più dialoghi e introspezione psicologica che azione e fa da preludio al prossimo, in cui tutti i protagonisti della storia saranno chiamati ad affrontare i loro sentimenti.

Grazie a tutti coloro che stanno seguendo le vicende di Genzo, Taro, Elena e Kumi! :-*

Sandie

  
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