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Autore: Kat Logan    04/05/2019    4 recensioni
Makoto ripulì il banco del bar dalla sabbia e dall’ appiccicume di qualche Margarita finito lì sopra per colpa di qualche bevitore distratto. Ne aveva piene le orecchie di storie e confessioni che la gente le faceva con i piedi affondati nella sabbia fine di Malibù. Chi credeva che fare la barista fosse un lavoro semplice, si sbagliava. Lei era il confessore dei peccati più bollenti di tutta la costa e nel suo tempio sacro ogni peccato veniva perdonato con un cocktail.
«Adesso ve la racconto io una storia davvero stramba».
Avrebbe dovuto starsene zitta, ma qualcosa in lei era scattato come una molla e da confidente silenzioso, Makoto, divenne oracolo senza peli sulla lingua.
«C’è un pompiere che rischia di bruciarsi per amore e convive con un’aspirante star della musica. Un artificiere incosciente, arrogante e pieno di sé. E poi c’è lei, con lo sguardo che nasconde una ferita profonda perché per la seconda volta nella vita ha fallito in qualcosa…».
«E poi?». Usagi la interruppe presa dell’entusiasmo. «Gli altri personaggi di quest’avventura chi sono?».
Makoto sospirò, portandosi lo strofinaccio sulla spalla.
«Un timido genio, una baby sitter fuori controllo e una stupida barista…»
Genere: Azione, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Un po' tutti, Yaten | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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“Nothin' goes as planned.
Everything will break.
People say goodbye.
In their own special way.
All that you rely on and all that you can fake.
Will leave you in the morning. But find you in the day.
Oh you're in my veins and I cannot get you out
Oh you're all I taste at night inside of my mouth
Oh you run away 'cause I am not what you found”.
 
Andrew Belle – In My Veins


 
 
 
La calma piatta non esiste. Mamoru di quella convinzione ne aveva fatto uno stile di vita. Per lui poteva esistere la calma apparente, ma sapeva bene che nel bene o nel male la vita nascondeva sempre qualche sorpresa.
Il primo sentore fu l’incessante parlottare all’interno del dipartimento di sicurezza. Gruppetti di persone, più o meno della stessa divisione, erano intenti a raccontare qualche avvenimento succulento che doveva aver smosso le acqua di quella mattina sin troppo placida.
Un continuo inserire di monetine alle macchinette del caffè come fossero slot machine e qualche sguardo distratto gli si cucì addosso nell’attraversare il lungo corridoio.
Un tizio piccoletto, con i capelli a spazzola e la divisa dell’ hostage rescue team gli si avvicinò con fare circospetto e si fece avanti per una buona dose di curiosi.
«Hey, novizio».
Mamoru, per quanto poco incline a dar troppa confidenza a quello che lo stava etichettando quasi fosse l’ultima ruota del carro, si mostrò come sempre paziente e ben educato. Potevano passare gli strampalati soprannomi che Haruka gli affibbiava, ma dal primo che incontrava avrebbe desiderato un po’ più di rispetto.
«Hai bisogno?».
«Sei amico di quella testa calda, vero? Quella Ten’ō».
Siamo amici? Per mantenersi neutrale soppesò come sempre le parole.
«Lavoriamo assieme, perché?».
«Ha fatto un bel casino la tua amica. Ma che vi mangiate voi artificieri a colazione? Pane ed esplosivo?».
Cosa mi sono perso? Lasciò cadere nel vuoto quella battuta scialba e fece per recarsi alla sezione artificieri quando si sentì braccare da una mano smaltata che lo trascinò all’interno dell’archivio.
«Oh porca miseria» sbiascicò preso in contropiede e ritrovandosi col naso a un passo da una serie di faldoni impolverati.
«Se ne sono andati?».
Mamoru riconobbe la voce di Setsuna prima ancora d’incrociarne la figura.
«Ehm…» doveva ancora prendere atto di ritrovarsi nascosto col capo delle operazioni in quello che era grande come uno sgabuzzino, se poi doveva anche decifrare le frasi altrui la faccenda rischiava di divenire davvero complessa.
«Da chi stiamo scappando esattamente?».
«Ti facevo un po’ più pronto di riflessi Chiba…» bisbigliò la donna, affacciandosi a quella che appariva come una feritoia in vetro che svettava sopra la segnalazione “archivio”.
«Sono ancora tutti li fuori a parlarne vero?».
«Credo solo di aver capito che il nodo della questione è Haruka» rispose con fare un po’ sconsolato.
«Ten’ō, mi fa dannare» dichiarò Setsuna in un sospiro. «Non credevo però la questione fosse così grave».
Mamoru vagò con lo sguardo sopra le scaffalature, come se quei documenti potessero rivelargli le risposte del caso.
«Tra lei e Seya» puntualizzò il capo delle operazioni.
«Credevo fosse solo un bisticcio. Che lei avesse fatto una delle sue battutine scomode…».
«Si sono di nuovo presi a botte?!».
Lei rispose con un gesto di diniego del capo.
Mamoru la vide affranta per la prima volta. Ma Setsuna sapeva di doversi assumere delle responsabilità e fare ammenda.
«Come finirà?» si azzardò a chiedere Mamoru.
«Che non potrò lasciare impunito nessuno e ai piani alti decideranno il da farsi con me».
«Capo Meiō…». Mamoru si permise di metterle una mano sulla spalla per trasmetterle un po’ di supporto.
«Capita a tutti di sbagliare. L’importante è quello che si fa dopo per rimediare».
Setsuna sorrise debolmente.
Un uomo così avrebbe fatto girare la testa a chiunque.
Lei, recepito il messaggio, si schiarì la voce, drizzò le spalle e uscì a testa alta nel corridoio. Avanzò sicura così come aveva sempre fatto per tutta la vita.
«Voi tutti, scansafatiche. La ricreazione è finita. Smettetela di cincischiare e tornate a fare il vostro dovere. I gossip sono riservati al bar fuori orario di lavoro!».
 
 
§§§
 
 
Immobile come un pezzo di ghiaccio Yaten fissava Seya in cagnesco.
Un vento dispettoso si era alzato, intiepidendo quel pomeriggio estivo e qualche avventore passeggiava sul molo.
Il capitano di un modesto peschereccio attraccato ogni giorno accanto alla sua barca da regata lo salutò con un cenno della mano e lui ricambiò con un gesto del capo. A nulla serviva temporeggiare, perché quel macigno sullo stomaco non si sarebbe spostato di lì fino a che suo fratello non si fosse dissolto come un lontano ricordo.
«Ti sei fatto una bella nuotata?» indagò Seya con fare sprezzante sondando gli abiti fradici dell’altro.
Yaten quasi sibilò. «Un piccolo incidente». La maglia impregnata d’acqua gli si appiccicava contro l’addome come una pelle di serpente e preso dalla stizza di liberarsi da quella costrizione la tolse gettandola ai suoi piedi.
«Vieni al dunque Seya. Cosa vuoi?».
«Si saluta così tuo fratello dopo tanto tempo?».
«Io un fratello non ce l’ho più. E da molto ormai. Se sei venuto qui per farmi vedere ancora una volta qual’è la differenza tra noi due, puoi anche scendere dalla mia barca».
«La tua barca…» il moro schioccò la lingua guardandolo esattamente come sei anni prima, dall’alto in basso.
«Ancora con questa storia?!» il minore era in procinto di esplodere e questa volta Michiru non era nei paraggi per mantenere una parvenza di civiltà tra i due.
«Di tuo non hai un bel niente Yaten. Ricordatelo sempre. Se non fosse stato per mamma e papà…».
«Se non fosse stato per loro…cosa? Cosa sarei ora?! A capo del golf club di Honolulu? WOW, l’aspirazione di una vita».
«Sei diventato più loquace. Però hai messo su il carattere del lupo di mare» gli rispose a tono l’altro mettendo le mani in tasca e ammorbidendo la propria postura.
Seya era diventato un giovane uomo dall’ultimo suo ricordo in cui era presente alle Hawaii. In ordine, elegante, arrogante più di quanto ricordasse e quel suo improvviso essere meno impostato nel portamento sembrò cozzare con tutto il resto.
«Non sono venuto qui per litigare» un vano tentativo di rassicurarlo.
Yaten spazientito alzò gli occhi al cielo. Non gli importava affatto il motivo della sua visita, voleva solo che se ne tornasse da dov’era venuto lasciandolo in pace una volta per tutte. Mentre Seya rimase lì. In silenzio. Nell’unico posto che in qualche modo poteva ormai considerare casa.
 
 
§§§
 
 
Come due fuggitive, senza voltarsi indietro erano salite sul pick-up percorrendo le strade dissestate della costa.
Haruka, occhi puntati sull’asfalto, guidava immersa in un muto silenzio.
Senza rendersene conto la mente era tornata ai giorni dell’orfanotrofio e a quei pallidi stralci di ricordi che ancora custodiva dentro.
Erano dei flash sconnessi che le affollavano le mente. La camerata colma di letti, una marea di bambini, le vessazioni di quelli più grandi nei confronti degli ultimi arrivati. Era stato come vivere allo zoo piuttosto che in una casa rifugio, ma lei, come una delle più ostili piante avrebbe messo radici anche nel bel mezzo della desolazione del deserto pur di sopravvivere.
Poi, ancora una volta, come un’immagine in loop, la calda gentilezza di Sarah e l’espressione più rara sul viso di Amos ad accoglierla.
Fu un solo microscopico istante, un tremore all’altezza dello sterno. Cos’era? Malinconia forse? Quasi boccheggiò. Schiuse le labbra e tentò di dir qualcosa pur di scacciare quella stramba sensazione.
Con la coda dell’occhio notò la figura di Michiru. Seduta accanto a lei. Con il mento poggiato al dorso della mano e lo sguardo triste volto verso l’oceano.
«Ferma l’auto». Solo la voce di Michiru spezzò il suono cadenzato dei penumatici intenti a divorare i chilometri.
«Siamo nel bel mezzo del nulla…»
«Accosta» ribatté risoluta.
Haruka ubbidì. Fece appena in tempo a fermare quella corsa verso il nulla che Michiru aveva già aperto la portiera per catapultarsi fuori dalla vettura.
Immobile, con le mani ancora ancorate al volante guardò nello specchietto retrovisore. Solo la polvere alzata da quell’imminente arresto di marcia.
Dov’era finita, lei?
Spento il motore scese per raggiungerla. La trovò al dissiparsi delle particelle ocra che si erano alzate in volo. Ricurva in avanti con una mano sulle labbra e lo sguardo di chi vede solo macerie attorno a sé.
«Sono un disastro» sibilò Michiru tentando malamente di soffocare un singhiozzo. Era come vagare all’interno di un labirinto e all’improvviso aver la certezza che si è irrimediabilmente perso l’orientamento. Se Seya per anni era stato la sua stella polare, si era spento. E lei aveva brancolato nel buio, accanendosi per una scintilla che non sarebbe più tornata vivida come un tempo.
«Ma che stai dicendo…». Haruka poco avvezza a certe situazioni poté solamente seguire ciò che l’istinto le diceva. E ogni singola fibra del suo corpo, era votata alla protezione di quella Dea scesa in terra che aveva intrecciato il suo cammino.
«Perché sei tornata indietro?» le domandò Michiru con lo sguardo rivolto al mare. Aveva paura a guardarla perché ogni volta pareva diventare irrazionale in sua presenza.
La bionda si sedette a bordo della strada su uno sperone roccioso che dava sull’infinito blu.
«Ho avuto paura» le costò dire quelle parole, coscienziosa del fatto che certi timori possono annientarti e rivelarli è sempre una scelta pericolosa. «Ho avuto paura che potesse farti del male. Lui non mi piace».
«E perché sei tornata indietro dentro a quella scuola?».
«Per lo stesso motivo».
Michiru inspirò. Ecco la chiave di uno dei tanti quesiti che le affollavano la mente. Quella sconosciuta in qualche modo la faceva sentire al sicuro. Seya aveva vegliato su di lei per anni, da bambini, da adolescenti e poi aveva smesso. Come se il diventare adulti implicasse che Michiru sapesse badare a sé stessa in ogni situazione. Lei non era sprovveduta, né tantomeno debole, ma aveva i suoi nei come chiunque altro. Delle piccole anomalie, dovute al proprio vissuto che se da una parte l’avevano resa una combattente dall’altra l’avevano indebolita. Michiru sapeva come cavarsela ma allo stesso tempo aveva bisogno di un angelo custode pronto ad aiutarla a rialzarsi quando cedeva ai suoi incubi.
Si sedette anche lei, piegando le ginocchia per poggiarci la guancia umida e poterla finalmente guardare.
«Non mi ha fatto del male. E a te ne ha fatto?».
«Solo per un momento, credo».
«Mi dispiace».
«Non importa».
«Posso chiederti un’altra cosa?».
Haruka sospirò pesantemente. «Se proprio insisti».
Michiru abbozzò un mezzo sorriso. Per un momento non l’aveva riconosciuta ma quell’ultima risposta poteva solamente essere da Haruka Ten’ō. «Perché te ne importa così tanto di me?».
Bella domanda. Perché?.
Il sole cominciava a battere insistentemente sulle loro spalle.
«Onestamente?».
«Non credo tu sappia dirla una bugia. Quindi sì, va bene la verità. Ovviamente».
«Beh, proprio non lo so».
«Nemmeno io so più molte cose ultimamente» confessò l’altra. «Puoi portarmi a casa, Haruka?».
«Ne sei sicura?».
Michiru accennò ad un sì col capo. Per quanto non lo comprendesse più, Seya non meritava quella come loro ultima conversazione.
Haruka si pulì maldestramente le mani nei pantaloni impolverati per poi aiutare Michiru ad alzarsi.
«Hollywood?».
«Si?!».
«Per la cronaca. Questo non vale come appuntamento».
«Lo so».
 
 
§§§
 
 
Usagi, appoggiata allo scivolo dove Hotaru era intenta a fare su e giù fissava lo schermo del suo cellulare. Ancora nessuna chiamata. Eppure dopo il loro incontro in gelateria aveva creduto che lui l’avrebbe cercata. Si sarebbe accontenta anche di un cuoricino sotto a uno dei suoi scatti del profilo instagram, ma forse non aveva nemmeno avuto il tempo di mettersi a cercarla sui social.
 
«Deve proprio essere così impegnato il mio principe azzurro?» in preda ad un sospiro sconsolato si lasciò andare a quella riflessione a voce alta.
Hotaru, sempre pronta a dire la sua, l’aveva sentita e aveva prontamente interrotto quel suo “su e giù” per intervenire in aiuto ai dubbi della propria baby sitter.
«Certo che sono impegnati. Devono sempre salvare le principesse».
Quanta verità aveva potuto tirar fuori quella bambina?
«In effetti il mio Mamoru le salva di continuo…» ponderò la ragazza.
«Chi è Mamouuu, Bunny?».
Indagò pensierosa la bambina aggrappandosi alla sponda blu dello scivolo con entrambe le mani.
«Mamoru, Hotaru-chan. Mamoru. Non è una mucca!» esclamò con fare saccente Usagi e le guance inevitabilmente imporporate.
«Pure mio papà si chiama così». La vocetta che aveva proferito parola, Usagi non l’aveva mai sentita. Abbassò lo sguardo e all’altezza delle proprie ginocchia una bambina dai grandi occhi scuri e i capelli raccolti in due simpatici codini la stava fissando.
«Come, come?».
Un’altra voce e un correre affannato s’intromisero in quella conversazione che stava prendendo una strana piega, oltreché troppo di dominio pubblico.
Ami, trafelata, raggiunse la piccola impicciona che aveva colto Bunny alla sprovvista.
«Corri già troppo veloce, devi starmi vicina!» il rimprovero bonario della zazzera blu non sembrò venir troppo preso sul serio dalla bambina.
Usagi aggrottò la fronte pensierosa. Dove l’aveva già vista? Passò in rassegna, col dito sullo schermo, gli avatar dei propri contatti. Nulla. Eppure non era una faccia nuova, ne era sicura. Avrebbe voluto scattarle una foto e trascinarla sulla barra di google per una ricerca incrociata come i famosi conduttori del programma Catfish, ma ebbe timore di una denuncia. Sarebbe stata la volta buona per cacciarsi realmente nei guai e se fosse successo mentre badava a Hotaru sarebbe stato un vero e proprio disastro. Così infilò nella tracolla il suo dispositivo e si armò di coraggio.
«Perdonami, posso farti una domanda?» domandò un po’ intimidita.
L’altra ragazza fece un’espressione strana, quasi si sentisse ancora più a disagio di lei. «Mi hai riconosciuta vero? Questo cappellino non serve a nulla…» bofonchiò.
«Mizuno no!» strillò la bambina dalla capigliatura simpatica. «Non toglierlo o dopo verranno tutti a scocciarci».
Usagi si domandò se non fosse la più piccola a fare da balia alla più grande. Ma infondo chi era lei per criticare?
«Mizuno…ODDIO MIZUNO!».
«SSSSSSSSSSSSSHHHHH!!!» in tre le fecero cenno di abbassare il tono della voce, zittendola all’istante.
«Santa polenta» esalò sottovoce. «Sei quella lì. Quella che Michiru ha vestito. Il genio dell’algoritmo amoroso!».
Ami, con espressione colpevole avvampò. Era da sempre stata una ragazza riservata e nonostante la fama accumulata non si era ancora abituata. Essere al centro dell’attenzione non era nelle sue corde, il che la rendeva piuttosto nervosa.
«Diciamo che ho una specie di ragazzo» cominciò Usagi già su di giri, dimenticando del tutto la spiegazione di Michiru su di lei. «Posso fidarmi del tuo algoritmo? Cioè come fa a capire realmente se lui è per me, per me o meno? Io devo essere sicura!».
Hotaru era già annoiata da tutto quel ciarlare. Scalciò un po’ per attirare l’attenzione per poi decidere di scivolare sin a terra e raggiungere la coetanea per conoscerla meglio.
«Per quanto sia io ad averlo inventato beh, direi che è più affidabile la tua esperienza con lui che il mio programma» le rispose gentilmente l’altra.
«Ci siamo già viste però da Michiru, non è vero? Scusami non ricordo il tuo nome!».
Bunny le porse una mano perché potesse stringerla. «Si! Sono Usagi, ma tutti mi chiamano Bunny. Ci siamo viste il giorno che sei venuta con quei due bestioni che…oh, ma dove sono ora?».
«Beh io…».
«PAPA’!!!». Il grido di Chibiusa e il suo tirare insistentemente la maglia a righe di Ami non le lasciò finire la frase. «C’è papà Ami!» insistette indicando con la mano l’alta figura che si accingeva a raggiungerle.
Usagi per un momento non svenne.
Come sarebbe a dire papà?!!! Quello è…Si portò entrambe le mani davanti alla bocca come se avesse appena singhiozzato.
«Sei sposata con Mamoru?!».
Famosa, intelligente e pure sposata con IL MIO MAMORU?! Che umorismo pessimo la vita. Non è possibile, NON E’ POSSIBILE!!!
«Oh no, santo cielo! Hai frainteso!» l’altra si apprestò a smentire il pensiero della bionda, mentre la bambina corse incontro a Mamoru che non tardò a stringerla tra le braccia e a darle un bacio sulla fronte.
Chibiusa era tutto ciò che rimaneva della sua amata Serenity. Il pezzo di felicità che le aveva regalato prima di scoprire di essere malata e lasciarlo in un mondo che era divenuto grigio e triste.
«Bunny» era un saluto imbarazzato quel nominare il suo nome. Uno dei motivi per cui Mamoru non si era lanciato per un nuovo appuntamento era quel suo piccola grande segreto. L’avere una bambina poteva essere un deterrente per una nuova relazione.
«Ecco perché i due gelati. Non eri goloso…» fu la risposta di Usagi che non trovava il coraggio di guardarlo in faccia. Non ci stava capendo più niente.
«Beccato!» sorrise lui, mentre la bambina apriva i palmi sui suoi occhi canticchiando un «non guardare, non guardareeeee» via via sempre più insistente.
Il giovane la fece scendere e l’attenzione di Chibiusa venne prontamente catturata da Hotaru che la trascinò a rincorrere una farfalla.
«Ti ringrazio per aver badato a lei, Ami». Usagi dovette mordersi la lingua e s’impose di non fare con il labiale l’imitazione di lui. Stava per dare fuori di testa anche se non aveva compreso mezza virgola di tutta quella situazione.
«Tranquillo, è sempre un piacere. Ora io…andrei. Ho un mucchio da fare in laboratorio!» annunciò la ragazza salutando entrambi con un cenno della mano prima di dileguarsi.
 
Mamoru aveva conosciuto Ami quando si era trasferito con la moglie per le cure sperimentali. Stava emergendo nel campo della medicina dopo il suo debutto con l’algoritmo sentimentale. Ma nonostante la professionalità e la preparazione della giovane nulla servì a salvare Serenity. Dopo la morte della donna Ami si sentì in dovere di non abbandonarlo. Lui aveva contribuito a finanziare alcune sue nuove ricerche e lei si era impegnata per continuare a ricercare una cura che avrebbe potuto salvare milioni di vite.
 
Lo scalpiccio delle scarpe di Ami si fece sempre più lontano.
Per un momento non ci furono parole tra Bunny e Mamoru, solo il frinire delle cicale e le voci ovattate delle due bambine che avevano inventato un gioco tutto loro.
«Io…» doveva giustificarsi forse? «Non sapevo come chiederti di uscire per…questo».
«Per il fatto che hai già una relazione con un genio o che avete una bambina al di fuori del matrimonio?». Bunny non riuscì a frenare la lingua. Le mani serrate in due pugni distesi lungo il corpo e lo sguardo volto verso l’erba. Si sentiva presa in giro e un po’ stupida per averci creduto ancora una volta.
«Che cosa?! Oddio, no. Non ho una relazione con Ami, né tanto meno una figlia con lei!».
Usagi piegò il capo da una parte leggermente rincuorata alla rivelazione del giovane. «Quindi lei è…la baby sitter?». In un attimo aveva ritrovato la sete di risposte e la speranza di non essersi sbagliata su quel futuro che sognava ad occhi aperti per loro due.
«Un’amica di famiglia. Mi aiuta con Chibiusa alle volte».
«Mh». Lo sguardo azzurro di Usagi vagò in cerca di Hotaru. Le due bambine sembravano andare d’amore e d’accordo.
Le parvero due farfalle intente a rincorrersi in mezzo ad un campo di fiori.
Mamoru prese il coraggio a due mani. Ormai era fatta. Se voleva buttarsi il momento giusto era quello o tanto valeva sciupare anche quella che poteva essere l’ultima occasione. «È un problema per te?».
Usagi piantò le sue perle azzurre nello sguardo di Mamoru. L’essere un padre single era solo un singolo tassello in quell’insieme che faceva di quel giovane uomo Mamoru Chiba. Lei, per quanto fosse maldestra o goffa non era un tipo che si arrendeva facilmente.
Era proprio come in quelle commedie romantiche di cui faceva incetta nelle serate solitarie a casa. Uno dei momenti che la facevano sospirare. Quello in cui uno dei due protagonisti scopre dell’altro qualcosa che può rivelarsi una vera e propria sfida nel loro rapporto.
Riescono sempre a superarlo perché alla fine è vero amore. Rifletté Usagi, prendendosi ancora qualche secondo.
«I bambini mi piacciono. Sono brava con loro. Perciò, no. Non è un problema per te».
Qualcuno avrebbe davvero rinunciato ad uscire con lui per una bambina?
«Allora che ne dici?» la incalzò lui ancora una volta. «Sopravvivi un pomeriggio con Chibiusa e usciamo a cena».
Lei scoppiò a ridere. Quello era sicuramente il modo più originale che avessero mai usato per invitarla ad uscire; oltre che il primo.
 
 
 



Note dell'autrice:
Lo so. Lo so. E' breve e noioso. E' semplicemente la seconda parte (finale) del precedente capitolo che era diventata da solo un'epopea. Perciò, non demordete. Arriverà pure il prossimo e sarà SICURAMENTE più tutto. Considerate questo un ponte tra il precedente e il prossimo. Insomma, non lasciatevi avvilire (come la sottoscritta) da questo capitolo! XD 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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