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Autore: Yanez76    15/05/2019    1 recensioni
In questa storia ho immaginato alcuni flash della vita di Elsa Schneider sia prima che dopo gli eventi narrati in "Indiana Jones e l'ultima crociata". La storia si ricollega alla mia precedente "L'ultima impresa del cavaliere del Graal" e ne costituisce un'espansione ma è di fatto una storia indipendente.
Genere: Avventura, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elsa Schneider, Henry Jones, Sr., Henry Walton Jones Jr.
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Bedford, Connecticut, primo luglio 1949.
 
Indiana Jones non voleva festeggiare il suo compleanno. Chiuso nel suo appartamento, con l’umore sotto i tacchi, continuava a ingollare del bourbon cercando di venire a patti con l’idea che era ormai trascorso mezzo secolo dalla sua nascita. Cinquant’anni… aveva cinquant’anni, continuava a ripetersi incredulo. Lui, che si riteneva sempre un eterno ragazzo, non riusciva proprio a capacitarsene.
Aveva ormai perso il conto di tutte le volte che era riuscito a scampare per un pelo alla morte ed era questo quello che ci aveva guadagnato: invecchiare.  Certo, non era ancora proprio decrepito; ma le migliaia di chilometri percorsi e gli innumerevoli strapazzi cui aveva sottoposto il proprio corpo avevano lasciato il loro segno. Aveva ormai valicato la linea d’ombra, era giunto al giro di boa: la giovinezza era definitivamente alle sue spalle e davanti a sé aveva una monotona vecchiaia da trascorrere abbarbicato ad una cattedra universitaria a scrivere tomi illeggibili che sarebbero serviti da strumenti di tortura per gli studenti, prima di andare a raccogliere polvere sugli scaffali di qualche oscura biblioteca.
Le fantastiche avventure di un tempo sarebbero presto divenute solo ricordi talmente sbiaditi da far persino dubitare che avessero mai realmente avuto luogo. In fondo, le sue più clamorose scoperte erano coperte da segreto militare, come quella dell’Arca dell’Alleanza che l’esercito si era affettato a requisire per tenerla chissà dove, o erano così pazzesche che non poteva parlarne senza correre il rischio di essere sepolto dagli sberleffi dei suoi colleghi che si reputavano archeologi seri. Chi mai infatti avrebbe potuto credergli seriamente se lui avesse raccontato di aver incontrato un crociato ancora vivo in pieno ventesimo secolo? O di aver restituito la prosperità ad un villaggio in India semplicemente recuperando delle pietre magiche, dopo aver affrontato una setta di adoratori di Kalì che gli Inglesi avevano debellato un secolo prima? Lo avrebbero certo preso per un vecchio pazzo e probabilmente l’unica cosa che ci avrebbe guadagnato sarebbe stato il ricovero in un istituto psichiatrico.
La verità era che, adesso che gli occhi di tutti erano rivolti con preoccupazione al futuro, a nessuno sembrava importare più nulla del passato, pensò malinconicamente l’archeologo. Si versò dell’altro whiskey e sedette sulla sponda del letto; sul comodino c’era il libro che stava leggendo, era nuovo, uscito neanche un mese prima. Gli piaceva quello scrittore, di lui aveva letto Senza un soldo a Parigi e Londra e La fattoria degli animali, ma quell’ultimo lavoro era veramente eccezionale e, al contempo, totalmente agghiacciante. L’autore aveva immaginato un mondo dominato dal totalitarismo dove non c’era più posto per la libertà individuale e dove il passato veniva cancellato e riscritto da chi stava al potere.
Un ghigno sarcastico gli si disegnò sul viso, ormai lui era inesorabilmente incamminato sul viale del tramonto; ma, in fondo, il mondo non stava poi messo molto meglio: i nazisti e i Giapponesi erano stati sconfitti solo per lasciare posto alla minacciosa potenza sovietica. Era questione di poco e i Russi sarebbero riusciti a dotarsi di armi nucleari così che la terza guerra mondiale avrebbe sancito la definitiva scomparsa dell’homo sapiens.
Un bel botto finale, forse in fondo non ci meritiamo altro…, pensò amaramente, vuotando il bicchiere.
Si volse allo specchio ed ebbe un moto di stizza quando, nell’immagine che esso gli restituiva, gli sembrò di intravvedere le fattezze di suo padre. Decise che doveva sbarazzarsi della barba che iniziava ad ingrigire, aumentando fastidiosamente la sua somiglianza con il genitore. Era quello il suo destino? Sarebbe diventato anche lui un vecchio professore bilioso, spauracchio dei suoi studenti, i quali, dal canto loro, lo avrebbero considerato solo un rudere del passato?
Sebbene, dopo l’avventura alla ricerca del Graal, lui e Senior avessero riallacciato i rapporti, non si vedevano spesso, giusto per le feste comandate. Gli davano sui nervi tutti quei suoi predicozzi pedanti sulla necessità di mettere la testa a posto, farsi una famiglia e dargli finalmente un nipote. Lui non era fatto per quel tipo di vita, era uno spirito libero e nessuna donna sarebbe mai riuscita ad incatenarlo stabilmente a sé, neanche la sua collega Sophia Hapgood ci era riuscita, così come non c’erano riuscite Willie o Elsa e neppure…
Indy buttò giù un altro sorso di bourbon mentre l’immagine di Marion gli si riaffacciava alla mente. Le altre donne che aveva avuto erano delle avventuriere; in fondo, loro erano come lui: volevano solo divertirsi senza tante complicazioni. Erano piene di risorse e, di certo, se la sapevano cavare perfettamente anche senza di lui: Willie aveva la sua brillante carriera artistica e frotte di ammiratori adoranti; Elsa poi era stata addirittura capace di riemergere sana e salva da un abisso apparentemente senza fondo! Se mai, un giorno, delle sventole del genere avessero deciso di accasarsi, non avrebbero certo avuto problemi ad accalappiare qualche ricco pollo da spennare. Ma Marion era diversa, lei ci aveva creduto veramente…
Chissà dov’era adesso, chissà se si era rifatta una vita con qualcun altro, qualcuno che la meritasse davvero, che non l’abbandonasse davanti l’altare, chissà se talvolta pensava ancora a lui, se lo odiava ancora per tutto quello che lui le aveva fatto…
Il campanello suonò, distogliendolo dai suoi foschi pensieri.
“Arrivo, arrivo, un momento”, bofonchiò Jones, infilando le pantofole e avviandosi verso l’uscio.
“Il professor Jones?” chiese l’uomo alla porta con una voce che rivelava un accento straniero; aveva il volto leggermente abbronzato e gli occhi inespressivi di un azzurro slavato.
“Sono io, cosa desiderate?”, rispose l’archeologo in tono seccato, preparandosi a congedare sbrigativamente l’ennesimo piazzista di aspirapolveri.
“Ecco, professore, vorrei che esaminaste il mio libro…”, fece l’uomo, sollevando il grosso volume che teneva tra le mani.
Indy alzò gli occhi sbuffando, credendo di trovarsi davanti l’ennesimo mattoide che, convinto di aver fatto chissà quale scoperta sensazionale, veniva ad assillarlo, proponendogli i suoi deliri.
“Adesso sono molto occupato. Se volete, la mia segretaria al Marshall College sarà lieta di fissarvi un appuntamento.”, disse spazientito, facendo per chiudergli la porta in faccia quando, d’improvviso, l’uomo premette il dorso del volume e, con un rumore secco, dall’apertura superiore della costola del libro uscì una lingua di fuoco ed un proiettile sfiorò di pochi millimetri il corpo di Jones andando ad esplodere contro il muro dietro di lui.
“In alto le mani, professore! In questo libro, ci sono dieci proiettili 25 dum-dum, sparati da una batteria elettrica: un trucchetto che mi consente di girare tranquillamente armato sotto il naso di voialtri imbecilli dei servizi americani.”
“Ah! Allora voi dovete lavorare per la concorrenza, per i Russi…”, sibilò Jones tra i denti, con una smorfia di disgusto.
“Esattamente, professor Jones, ora state indietro e tenete le mani bene in alto!”, intimò l’agente sovietico, costringendo Indy a retrocedere fino alla parete in fondo alla stanza; poi, mentre con una mano continuava a tenere sotto tiro l’archeologo, puntandogli contro il finto libro, con l’altra estrasse dal taschino una fialetta, versandone il contenuto nel bicchiere del bourbon.
“Bevete!”, ordinò.
“Cos’è?”, chiese Jones, rabbrividendo.
“Idrato di cloralio. Non temete, servirà solo a mettervi fuori combattimento per un po’ in modo che non mi creiate problemi quando vi impacchetterò per bene e vi consegnerò ai miei superiori. Vogliono farvi alcune domande a proposito di ciò che avete visto a Roswell due anni fa.”
“Roswell? Volete dire Roswell nel New Mexico?”, fece Jones scoppiando a ridere, “E cosa volete che abbia mai visto a Roswell? Cristo santo, non c’è assolutamente nulla da vedere in quel buco di paese!”
“Non cercate di fare il furbo con me, Jones! Sappiamo perfettamente che vi sono stati mostrati i resti di una nave spaziale aliena precipitata in quel luogo.”
“Una nave… spaziale? Ah, ah, questa sì che è buona. Certo che ne avete di fantasia voialtri, non credevo che anche in Russia leggeste Amazing Stories.”
“Basta! Non sono qui per ascoltare i vostri ridicoli tentativi di guadagnare tempo. Bevete!”.
“Crepa, compagno!”
“Vi consiglio di non farmi perdere la pazienza: prima vi ho mancato di proposito, ma io non sbaglio mai. Ho l’ordine di prendervi vivo; ma conosco dei punti molto dolorosi dove posso colpirvi pur lasciandovi in vita…”
Indiana Jones rivolse uno sguardo fulmineo alla porta d’ingresso alle spalle del sovietico e il suo viso parve rasserenarsi un poco mentre sulle sue labbra compariva l’accenno di un sorriso ironico.
“Patetico! Siete davvero patetico, Jones! Credete forse di essere in uno di quei vostri stupidi film americani e di riuscire a farmi voltare fingendo di aver visto qualcuno dietro le mie spalle? È il trucco più vecchio e scontato del mondo! Voi Americani siete proprio un branco di pagliacci, dei palloni gonfiati, non avete neppure idea del potenziale di quello che avete trovato in quella nave spaziale, ma quando ci metteremo le mani noi…”
Il russo non terminò la frase, il calcio della colt si abbatté pesantemente sul suo occipite, facendolo crollare a terra senza un gemito.
“Grazie mille, è il cielo che vi manda!”, fece Indy con un sospiro di sollievo.
“Di nulla, voi dovete essere il professor Jones, immagino.”
“In carne ed ossa.”
“Felix Leiter.”, si presentò l’uomo, tendendo la mano in un gesto amichevole, “Lavoro anch’io per la ditta. Mi hanno detto che siete un collega.”
“Sì, ho lavorato per l’OSS durante la guerra.”
L’agente della CIA si voltò verso la porta, “Potete entrare, generale.”
Indiana Jones fu felice di vedere apparire il generale Robert Ross, che entrò accompagnato da due militari.
“Tutto bene, Indy?”, si informò il graduato.
“Adesso sì, ma ti confesso che me la sono vista brutta.”
“SMERSH, Smiert Spionam.”, spiegò Leiter, accennando all’uomo che giaceva a terra. “In russo vuol dire Morte alle spie, è la sezione più segreta dei Servizi sovietici.”
Il generale fece un cenno ai due militari, che si affrettarono a prelevare l’agente sovietico, ancora privo di sensi, portandolo via dopo averlo legato saldamente. Felix Leiter li seguì con lo sguardo, volgendosi verso la porta.
“Ehi! Ma guarda chi c’è… Benvenuta bellezza!”
Seguendo lo sguardo di Leiter, Indy si girò anche lui verso la porta per vedere a chi l’agente segreto avesse rivolto quel saluto e non poté trattenere un’esclamazione di sorpresa nel riconoscere l’aggraziata figura femminile che era appena entrata.
“Ehilà, Indy! È un pezzo che non ci vediamo…”, fece la donna, indirizzandogli un sorriso radioso.
“Elsa! Che diavolo ci fai tu qui?!”
“Sorpreso di vedermi?”
“Figuriamoci, evidentemente anche tu sei come una moneta falsa, spunti sempre fuori…”
“Beh, lo sai che in questi ultimi tempi collaboro anch’io con la ditta.”
“Già, immagino ti troverai a tuo agio a lavorare come spia… In fondo avevi già maturato una bella esperienza nel settore, Mata Hari.”, fece Indy sarcastico.
“Invece di prendermi in giro, dovresti ringraziarmi! Se abbiamo saputo in tempo che i servizi russi si interessavano a te, è solo grazie all’aiuto di un mio amico inglese che ho conosciuto in Svizzera durante la guerra.”, rispose Elsa piccata.
“Ah, ah, sei si tratta di Gimbo, posso immaginare in quale modo avete fatto amicizia, biondona!”, intervenne Leiter, ridacchiando in modo allusivo.
“Grazie per averci tolto le castagne dal fuoco, Leiter.”, li interruppe il generale Ross, “Ma adesso muoviamoci: dobbiamo interrogare il russo, speriamo possa dirci qualcosa…”.
“Sarà difficile”, rispose Leiter, “Quelli della SMERSH sono ossi duri. Secondo le nostre informazioni, i Russi sembrano molto interessati a quell’incidente in New Mexico ed hanno incaricato quella vecchia carogna di Rosa Klebb e la sua migliore allieva, una certa Spalko, di scoprire cosa c’è sotto. Stalin deve tenerci davvero tanto a quei marziani per aver mandato loro...”
Ross lo fulminò con lo sguardo, irritato dal tono vagamente ironico dell’agente segreto.
“Senza offesa, generale, ma sapete che sono un tipo con i piedi per terra e faccio fatica a prendere troppo sul serio tutte quelle storie di omini verdi provenienti dallo spazio o di armi magiche di secoli fa. Vedete, a me, per combattere, non servono trucchi magici: mi basta avere la mia fedele sputafuoco in mano e una bistecca al sangue e un po’ di whiskey di quello buono nello stomaco.”
“Va bene, va bene… Ma adesso muoviamoci!”, bofonchiò Ross.
Il generale salutò Indiana Jones: “Ci vediamo, Indy. Stai tranquillo, abbiamo smantellato la rete degli agenti comunisti che ti stavano alle costole; per il momento almeno non ci dovrebbero essere altri pericoli, ma tieni gli occhi aperti, ok?”
“Ok, Bob, grazie del consiglio.”
“Andiamo, ragazzi! Viene anche lei, dottoressa Schneider? Se vuole, posso darle un passaggio.”
“No, grazie, generale, vorrei scambiare due parole con il professor Jones.”
Il generale uscì, seguito da Leiter e dagli altri militari che chiusero la porta, lasciando Indy solo con Elsa.
“Posso offrirti da bere?”, fece Indy indicando il bicchiere di bourbon.
“Indy! Ti avverto che tentare di narcotizzare un’agente della CIA per approfittare della situazione potrebbe essere considerato alto tradimento…ridacchiò Elsa.
Indiana Jones rimase per un attimo senza parlare fissando quella donna che gli suscitava sentimenti contrastanti. Certamente era molto felice di vederla sana e salva e in perfetta forma: quando lei gli era letteralmente scivolata dalle mani, cadendo in quel crepaccio, lui ne era stato sinceramente addolorato e si era anche sentito terribilmente in colpa per non essere riuscito a salvarla. Se, però, nel piangerla come morta era stato pronto a perdonarle tutto, adesso, al vedersela davanti viva e vegeta con quell’aria sfrontata e baldanzosa, gli ritornavano alla mente tutti i suoi inganni, tutta la doppiezza di cui si era mostrata capace pur di ottenere quello che voleva.
Se è venuta qui non è certo un caso, questa vuole certo qualcosa… pensò tra sé.
“Avanti, bella, sputa il rospo.”, le disse, seguitando a fissarla con il suo solito sguardo ironico.
“Andiamo, Indy, non guardarmi così… Non sarai mica ancora arrabbiato per quel piccolo ehm… equivoco che c’è stato tra di noi?”, fece Elsa cercando di assumere l’aria più innocente di questo mondo.
“Elsa! A causa di quel piccolo equivoco, come lo chiami tu, io e mio padre abbiamo rischiato di restarci secchi! I tuoi amichetti nazisti hanno tentato di più volte di farci la pelle e abbiamo anche rischiato di finire arrosto in quel maledetto castello di Brunwald!”
“Quelli non erano i miei amichetti! Io… beh, ammetto di aver fatto qualche errorino di valutazione, una svista e…”
Ma sentila! Una svista …
“Oh, Indy, cerca di capire… ero in difficoltà, non avevo scelta, e poi, a Brunwald, non è stata tutta colpa mia: sei stato tu ad incendiare tutto… E poi, in fondo, non sono stata forse io quella che ha fermato Vogel quando voleva farvi fuori? E nel tempio del Graal, con Donovan che ti minacciava con la pistola, non sono stata sempre io a salvare la situazione? Andiamo… perché parlare sempre del passato? Adesso lavoro per la CIA, sono dalla parte dei buoni, no?”
Che spudorata! Guarda come rigira la frittata adesso… Voglio proprio vedere dove andrà a parare.
“Ascolta, Indy, vedi, lo sai che io sono una studiosa, il mio posto è in un’Università. Ammetto che lavorare per la ditta può essere divertente; ma alla lunga stanca, e così ho pensato di fare domanda per essere assunta al Marshall College e se magari… ecco, se tu mi appoggiassi un pochino potrei facilmente ottenere la cattedra di Storia dell’Arte…”
Ah, lo dicevo io, ecco cosa voleva…
“Ci pensi, Indy? Potremmo tornare a lavorare assieme, in fondo siamo un’ottima squadra. E poi… beh, potremmo anche riprendere quel che abbiamo iniziato a Venezia…”, disse lei con un sorrisetto birichino più che eloquente.
“Uhm, come a Venezia dici? Sembra una proposta interessante...”, fece Indy sorridendo.
Lo sapevo che avresti ceduto, Indiana Jones, non si resiste al mio fascino… È stato persino più facile del previsto, pensava Elsa, soddisfatta di sé.
“Oh, Indy, grazie! Lo sapevo che potevo contare su di te. Sono certa che, lavorando assieme, faremo molta strada.”
“Beh, per la verità, al momento, mi accontenterei di andare a farmi una doccia. Dopo tutto quello che è successo oggi, sento di averne bisogno…”, rispose l’archeologo.
Uhm, anche quella volta a Venezia è successo dopo che ero uscita dalla doccia… si disse tra sé la bionda, presa da una fantasia maliziosa.
“Uhm, sì, mi sembra una buona idea: anch'io ho bisogno di una doccia. Che ne dici, posso farti compagnia?”, propose Elsa, facendogli l’occhiolino.
“Ma ti bagnerai tutta…”
“Sono già tutta bagnata...”
Ma sì, perché no, in fondo, alla mia età, ogni lasciata è persa si disse Jones.
Le si avvicinò, accarezzandole il viso con una mano; lei chiuse gli occhi, offrendogli le sue labbra carnose. Si baciarono appassionatamente; poi, tra risolini eccitati, iniziarono a spogliarsi a vicenda, armeggiando impazienti con bottoni, cerniere e gancetti.
Lei si girò, volgendogli la schiena perché lui le slacciasse il reggiseno. Erano passati undici anni; ma Elsa, quasi quarantenne, sfoggiava ancora un fisico invidiabile. Impaziente, l'archeologo agganciò con le dita l’elastico delle mutandine, facendo scivolare via, lungo le gambe slanciate della donna, l'ultimo indumento che ancora la ricopriva. Trattenendo il fiato, contemplò le candide rotondità dei suoi glutei che gli parvero così perfette da poter rivaleggiare con una statua marmorea di Afrodite callipigia. Quando, però, volle posare le sue mani su quella pelle morbida e levigata, lei si ritrasse con civetteria.
Voglio renderlo completamente pazzo di me. Facciamolo soffrire ancora un po’ …
“Mani a posto, ragazzaccio!”, lo redarguì scherzosamente agitando l’indice, prima di voltarsi e condurlo per mano nella stanza da bagno.
Elsa fece scorrere l'acqua, calda come piaceva a lei, ed entrò nella nuvola di vapore, seguita da Indy. Là dentro, in due, ci stavano un po’ stretti; ma di certo la cosa non li infastidiva affatto. Restarono per un po’ ad assaporare la piacevole sensazione dell’acqua che scorreva sui loro corpi nudi, costretti a sfiorarsi di continuo.
Indy cominciò a stuzzicarla, baciandole il collo e le spalle e dandole qualche piccolo pizzicotto; ma Elsa fu irremovibile: chiuse l’acqua, prese una saponetta ed iniziò ad insaponarlo, strofinandolo accuratamente dappertutto mentre ammirava ogni dettaglio di quel corpo ancora muscoloso e virile. Divertito, lui la lasciò fare, finché non fu completamente imbiancato.
“Ora tocca a me.”, disse infine, prendendo la saponetta dalla mano di Elsa per ricambiarle il favore. Fece scorrere il sapone sopra quei meravigliosi seni che si protendevano sfrontati verso di lui finché non furono coperti di schiuma ad eccezione delle rosse punte dei capezzoli che, rizzatisi al tocco delle sue dita, facevano capolino sbucando dalla massa bianca. Un languido sospiro sfuggì dalle labbra di Elsa mentre Indy scendeva ad insaponarle il pancino piatto e il folto ciuffetto biondo che proteggeva il suo punto più delicato e sensibile. Poi lui la girò, prendendo ad insaponarle la schiena.
“Ecco, adesso un po’ qui… e ancora un po’ là... Oh, accidenti! Mi è scivolato il sapone.”
“Non preoccuparti, Indy, lo prendo io.”
Fingendo una mossa maldestra, ma in realtà perfettamente calcolata, la mano di Elsa giunse esattamente al punto cui mirava.
“Ooops… Oh!”
“Elsa! Guarda che quello non è il sapone…”, ridacchiò lui.
“Ooh, Indy…”, mugolò lei, constatando che ciò che teneva in mano si stava selvaggiamente impennando tra le sue dita insaponate.
L’archeologo infilò audacemente una mano tra le cosce di Elsa, costringendola a divaricarle e, mentre con l’altra ne saggiava la saldezza del seno, prese ad esplorare la sua parte più segreta e misteriosa, già tutta stillante dei suoi umori più arcani, strappandole un gemito di voluttà quando giunse a scoprirne il piccolo rilievo nascosto, reso turgido dal desiderio.
Il getto caldissimo e vaporoso che sciacquò i loro corpi non servì di certo a calmarli. Anelanti, rossi in viso, frementi di bramosia, i due unirono le loro labbra, prendendo a baciarsi con voracità mentre le loro lingue guizzavano, sfiorandosi smaniosamente. La passione, ormai incontenibile, li travolse: cedendo ai propri istinti, Indy l’afferrò saldamente alla vita, sollevandola e appoggiandole la schiena contro le piastrelle della parete. Elsa, ormai troppo eccitata per resistere oltre, gli serrò i fianchi tra le sue lunghe gambe, attirandolo a sé e guidandolo con la mano nella sua calda femminilità, ribattendo poi colpo su colpo ai suoi affondi e stringendolo con tutta la forza del suo corpo atletico, quasi a volerlo fagocitare dentro di sé. I loro respiri si fecero sempre più rapidi e affannosi, i loro cuori martellavano impazziti nei petti e i loro fianchi si muovevano ritmicamente sempre più veloci, finché due gridi gutturali e simultanei non segnarono la conclusione della danza d’amore.
Uscirono ansimanti dalla doccia, Indy le porse un asciugamano e ne prese uno per sé, asciugandosi vigorosamente; poi, lasciandola alle prese con i suoi lunghi capelli biondi e arruffati, uscì dal bagno e andò a indossare la sua veste da camera.
Quando Elsa uscì, ancora avvolta nell’asciugamano, era radiosa in volto e sulle sue belle labbra aleggiava un sorrisetto soddisfatto, di trionfo.
Al vederla così, bellissima e sfrontata, Indiana Jones fu preso da un moto di rabbia.
Credi di avere già vinto, eh? Pensi di tenermi in pugno, di potermi manovrare come un burattino, di fare di me il tuo giocattolo…
Ancora dolcemente stordita, Elsa fece per prendere una sigaretta dalla sua borsa.
“Ok, bella, adesso che mi hai dato il tuo regalo di compleanno, puoi anche portare quel tuo bel culetto fuori da casa mia.”, le disse con il suo solito sorrisetto sarcastico.
Elsa lo guardò esterrefatta.
“Ma... Indy, cosa stai dicendo? Non capisco...”
“Dico che puoi scordarti che io ti faccia ottenere un posto al Marshall.”
“Cosa?! Brutto vigliacco traditore! Come... come puoi farlo dopo… dopo che… tu, tu mi, mi hai...”
“Usata? Giocata? Tradita? Esattamente le cose che tu hai fatto a me, a mio padre e chissà a quanti altri.”
Elsa si morse le labbra, fremente di rabbia.
“Ancora con quella vecchia storia?! Ma ti ho detto che...”
“Che non credi nella svastica? Sì, questo lo so bene: tu non credi in niente altro che non sia il tuo tornaconto personale. Sei sempre disposta a tutto per ottenere quello che vuoi. Credevi che dopo aver fatto un po’ di ginnastica con te nella doccia avrei fatto tutto quello che volevi? Che ti avrei seguita come un cagnolino? Credevi che mi avresti fatto innamorare? Mi spiace deluderti; ma tu non sei lei e non lo sarai mai. Mi dispiace, carina, sei una gran bella puledra ed è stato piacevole montarti; ma non puoi avere sempre tutto quello che vuoi semplicemente aprendo le gambe.”
Lo schiaffo di Elsa lo colse in pieno volto, risuonando forte nella stanza.
“Ora, mi sono stancato!”, riprese lui furente, “Ti do cinque minuti per rivestirti ed uscire da qui con le tue gambe, altrimenti ti butterò fuori così, nuda come sei; quindi ti conviene sbrigarti se non ci tieni a far vedere le tue grazie per le strade di Bedford!”
Elsa si rivestì in silenzio, le sue labbra erano contratte dalla collera, i suoi occhi, stretti come feritoie, mandavano lampi infuocati.
Quando Indy le aprì la porta per farla uscire, si chinò ancora una volta su di lei, protendendo le labbra.
“Non mi saluti più come fate in Austria?”, la canzonò.
Il ginocchio di Elsa scattò rapidissimo, colpendolo in pieno al basso ventre.
“No, questo saluto l’ho imparato in America!” disse, con una smorfia che esprimeva tutta la sua rabbia e il suo orgoglio ferito, “Non ho idea di chi sia questa lei; ma se, come mi sembra di capire, non vuole avere più nulla a che fare con una carogna come te, Indiana Jones, posso solo dire che fa benissimo!”, aggiunse, prima di andarsene sbattendo la porta, lasciando l’archeologo, piegato e dolorante, a proferire le imprecazioni più irripetibili.
Ma guarda quel cafone imbecille! In fondo, stavolta, non avevo cattive intenzioni, non facevo nulla di male! Sono una scienziata, una studiosa, volevo solo avere un posto degno di me, non vedo cosa ci sia di sbagliato! Gli ho chiesto solo un piccolo aiutino, non mi pare poi un crimine… Gli ho anche dato un piccolo “incoraggiamento” e lui… lui mi tratta così dopo… dopo avermi… si diceva Elsa, camminando furente per le vie di Bedford.
Dopo che lei gli aveva dato quello che lui voleva, quello zoticone non aveva neppure voluto esaudire una sua piccola innocente richiesta, quindi, quello in torto era evidentemente lui! Messasi a posto la coscienza con questo ragionamento, la bionda, calmatasi un attimo, sedette su una panchina pensando al da farsi.
Bah, ormai il Marshall me lo sono giocato, devo provare in qualche altra università…
“Ma certo!”, esclamò, schioccando le dita, “Come ho fatto a non pensarci prima? Andrò a Princeton!”
   
 
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