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Autore: Colarose    17/05/2019    3 recensioni
Quando si perde tutto, non si fa che rimproverarsi di non aver fatto di più per non perdere quel tutto.
E Harry ha perso tutto.
Ma gli verrà data un seconda possibilità.
Un viaggio nel tempo, 27 anni indietro nel passato.
Prima che Voldemort seminasse terrore, prima della Prima Guerra Magica, prima dei Mangiamorte e prima della fondazione dell’Ordine della Fenice.
Prima di quel 31 ottobre, prima di quell’esplosione.
Prima dei Malandrini.
Una nuova responsabilità si fa carico sulle spalle di Harry: vincere la Prima Guerra, prima che ce ne sia anche una seconda.
Ma ci sarà un piccolo imprevisto.
**********
Siete pronti per la lettura?
Ma soprattutto, siete pronti per la storia del quinto Malandrino?
Genere: Comico, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, I Malandrini, Lily Evans, Marlene McKinnon, Mary MacDonald | Coppie: James/Lily
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Contesto generale/vago
Capitoli:
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Sì, sono una persona orribile. E sì, scannatemi, ma vi prego non uccidetemi, che altrimenti davvero non riesco a continuare la storia. Non pubblico da mesi, e finalmente eccovi qui il capitolo. Non vi sto a elencare i motivi per cui ho fatto questo colossale ritardo, anche perché le note lunghe a inizio capitolo non le sopporto neanche io, non preoccupatevi. Vi dico solo che, sia per mancanza di ispirazione, sia per impegni, ho scritto a un ritmo molto lento.
Detto questo, buona lettura. Spero vi piacca (:





 
 Sembrava un angelo

Lily guardò la superficie del tavolo di Grifondoro con uno sguardo cupo. Era vecchio, ma ben pulito, tanto pulito che, se non ci avesse prestato una peculiare attenzione, lo avrebbe visto come nuovo di zecca.

«Chissà chi lo lava, questo tavolo»  pensò la rossa vagamente, e fu proprio quando realizzò che aveva pensato una cosa così futile, che si rese conto di quanto in realtà fosse disperata. Una serie di pensieri superficiali e irrilevanti si susseguivano velocemente nella sua testa, entrando da una parte e uscendo dall'altra, e l'attimo dopo già non si ricordava più a cosa avesse pensato giusto qualche secondo fa. Ma quella tranquilla corrente di pensieri era meglio della temibile e forte corrente che cercava di evitare, perché sapeva che sarebbe stata capace di creare uno tsunami, da cui sarebbe stata travolta, distruggendo tutta la falsa quiete in cui cercava di rifugiarsi.

Strinse i pugni e alzò gli occhi, l'udito invaso da una forte confusione, creata da delle voci concitate, alcune curiose, altre orripilate, altre ancora terrorizzate, ma che in realtà poco importava. Riusciva a sentire il pesante silenzio che c'era tra loro, solo tra loro.
 

Erano tutti uniti.

Era costretta a sopportare il giocherellare ossessivo di Black con il suo braccialetto nero al polso, intanto che suo fratello gli teneva una mano sulla spalla; l'immobilità di Potter, e forse fu una delle poche volte che desiderò che si muovesse, tanto per avere uno spiraglio di normalità; il tremolare della gamba di Remus, che certe volte la muoveva in modo così agitato da creare una lieve scossa al tavolo; i continui gesti compulsivi di Minus, che erano di una varietà impressionante, dal mordersi l'interno guancia allo sfracellarsi le unghie; i settantamila sospiri di Mary, che avvenivano a intervalli regolari; il pallore spaventoso di Alice, appoggiata a Frank, che da poco aveva lasciato i suoi amici qualche posto più in là per farle sostegno; e le occhiate curiose, di pietà ed evidente disagio dell'amico del fratello di Black.

Ma alla fine, le andava bene così.

Non erano un gruppo unito, non tutti erano amici e né lo sono diventati d'un tratto. Ma vi era un laccio fragile formato da due persone che li teneva insieme.

Vi erano persone che erano preoccupate più per una che per l'altra persona, non per cattiveria, ma per una semplice questione di amicizia. Ma questo non toglieva il fatto che contribuiva a quel pesante clima di tensione.

Gli occhi di Lily scattarono all'enorme porta che dava alla Sala Grande, per poi riabbassarsi, delusi.

Ancora nessuno.

Lily sentiva un peso diventare sempre più opprimente al petto, mentre stringeva i pugni fino a piantare le unghie nella pelle. Tanti, tantissimi studenti erano tornati da Hogsmeade un bel po' di minuti fa, e loro ancora non si facevano vivi. E Lily lo aveva saputo, i Mangiamorte se ne erano andati via.
 

Sentiva il ticchettio di un orologio che in realtà non c'era, che scandiva i secondi. La corrente di pensieri futili si interruppe bruscamente, e la rossa sentì quell'altra corrente di pensieri, quella terribile e cupa, che aveva cercato di evitare, prendere il sopravvento. Pensò ad Harry e Marlene, a quanto volesse bene loro. Sentiva ogni secondo, ogni attimo, scandito sulla sua pelle, con esasperante lentezza. Pensò ad Harry, ai momenti passati con lui, a studiare, a confortarsi a vicenda, a ridere, o semplicemente a chiacchierare, ma che erano sempre piacevoli. A quando le insegnava pazientemente qualche incantesimo fuori dal programma e a quando si mostrava fintamente allegro, pur di non farla preoccupare. Pensò a Marlene, alla sua cotta per Harry, ai suoi abbracci, al suo sguardo dispiaciuto mentre la sentiva sfogarsi su Potter e al suo sorrisetto, divertito e quasi affettuoso, quando le chiedeva come faceva a sopportare quelli lì. A quando si nascondeva sotto le coperte per non essere svegliata la domenica, anche se era mezzogiorno passato (era sempre troppo presto) e a quando parlava nel bel mezzo della notte con Alice, talvolta svegliando qualcun altro nella stanza a causa del rumore che facevano.

Pensò a tutto questo in poco tempo, sentendo l'angoscia salirle, la sensazione d'impotenza schiacciarla. E si disse che quell'attimo era un "ora o mai più". Perché si stava accorgendo solo in quel momento di quanto tenesse a loro, e non ce la faceva a starsene ferma lì, seduta al tavolo di Grifondoro della Sala Grande, senza fare niente. Se non li avesse visti ora, proprio in quel momento in cui volgeva di nuovo lo sguardo alla porta della Sala Grande, giurò che si sarebbe alzata e che sarebbe andata a cercarli.

Nessuno.

Strinse le labbra e scrutò attenta tra le tante persone.

Una chioma scombinata di capelli corvini. Degli occhiali rotondi. Una cicatrice a forma di saetta.

Già da lì, Lily fu talmente veloce nell'alzarsi che neanche realizzò di farlo. L'attimo prima era seduta al tavolo, l'attimo dopo stava stringendo forte Harry, colto di sorpresa. Per un po' le braccia di Harry rimasero ferme, lungo i suoi fianchi, poi lentamente le alzò, incerto, e ricambiò l'abbraccio.
 
Gli occhi di Lily rimasero stretti e chiusi, ignorando il baccano che si sentiva dal punto dove fino a qualche secondo fa pativa l'ansia in compagnia. Quando Harry si mosse leggermente, Lily aprì gli occhi, quasi rilassata, per poi spalancarli di colpo, di nuovo terrorizzata e ansiosa.

Si staccò con uno scatto, trattenendo il fiato, e guardò Harry.

Mancava qualcuno. «Dov'è Marlene?» sussurrò.

L'amico le lanciò un breve sguardo angosciato, non proferendo parola. A Lily parve di congelarsi, e difatti non si mosse di un millimetro quando giunsero anche gli altri subito dopo, intanto che Harry distoglieva lo sguardo, rivolgendolo a James e Sirius, che sembravano intenzionati a travolgerlo.

Lily non distolse lo sguardo, continuò a seguire per qualche secondo i movimenti di Harry, questi barcollava e quasi cadeva, mentre Sirius lo stingeva in una morsa (che magari a prima vista non sembrava neanche un abbraccio). E James sorrideva quasi ridendo, invaso dal sollievo, guardandoli.

Lily sbattè le palpebre, lasciò per un attimo stare l'appena accennato sorrisetto di Harry, che sembrava far fatica anche al solo curvare le labbra lievemente in su, e guardò dietro di sé. Le sue amiche erano bloccate, Mary tremava e osservava con gli occhi spalancati il vuoto.

Il sorriso di Alice andava via via scemando, gli occhi lucidi. Probabilmente all'inizio stava per piangere dalla gioia, ma una volta visti i fatti, la gioia era durata ben poco.

Una lacrima scese.

Lily vide Mary voltare la testa talmente velocemente che era un miracolo che non le fosse venuto un crampo. La corvina camminò con passo deciso e frettoloso verso Harry. Tolse Regulus dalla propria strada spintonandolo con noncuranza, poi Remus e infine James, parandosi davanti a Harry con la postura rigida e le labbra quasi tremolanti.

«Marlene?» domandò, con voce raschiata. Sirius tolse il braccio dalle spalle di Harry, con la faccia di chi solo ora nota qualcosa di importante.

Guardò Harry «Vero... dov'è?»

Remus, leggermente dietro Peter, già previde qualcosa di terribile, perché lo sguardo del Potter si fece sfuggente al solo nome della ragazza.

«Al San Mungo» rispose Harry, alzando a forza lo sguardo e guardandoli con occhi di chi cerca di trattenere più emozioni possibili «Durante... uno scontro ha perso molto sangue, quindi è stata portata d'urgenza lì da un Auror.»

Mary si fece bianca a vista d'occhio.

Harry aprì la bocca, poi la richiuse, esitando a parlare. Deglutì e si decise: «Starà bene» cercò di rassicurare la corvina di fronte a lui, poi strinse le labbra e chinò la testa.

Peter lo osservò con uno sguardo sofferente mentre cercava di mostrarsi tranquillo, intanto che si guardava le mani con una faccia inespressiva.

Eppure le mani non avevano niente di particolare, erano perfettamente pulite.

Di colpo alzò la testa, di nuovo il capo fiero, e Peter sospirò.

Perfino lui l'aveva capito: Harry era così, pensava lui a se stesso, mai si mostrava abbattuto.

«Voi come state?» chiese, analizzando i loro vestiti sporchi e i loro capelli inguardabili.

«Bene. Madama Chips ci ha curato tutti» rispose Remus, che al momento sembrava l'unico in grado di dire qualche parola.

Harry aggrottò le sopracciglia «Strano che non vi abbia costretto a rimanere lì.»

«Voleva, in realtà, » precisò Sirius, poi fece una smorfia «ma l'infermeria era, ed è ancora, praticamente piena, restando lì, in mezzo a tutta quell'agitazione, a tutte quelle persone che corrono da una parte all'altra... con l'odore di disinfettante e sangue costantemente sotto al naso... non è molto terapeutico. Diciamo che ce ne siamo scappati il prima possibile.»

Non avevano neanche ascoltato la McGranitt, che aveva detto loro di andare a lavarsi per togliersi tutta quella cenere e tutto quel sangue dal corpo, perchè nessuno di loro era capace di andare tranquillamente a farsi una doccia con il pensiero martellante di Harry e Marlene.

Harry annuì senza un apparente motivo dopo lunghi attimi di silenzio.

«Dovresti andarci tu, in infermeria» borbottò Peter, con una voce piccola piccola, osservando i vari tagli sparsi per il corpo di Harry.

Harry rispose di sì nello stesso tono tentennante, quasi come se fosse stordito, si girò e si incamminò di nuovo verso l'uscita.

Il pensiero della loro amica bionda, dell'orrore che avevano visto, aleggiava su di loro. Tutto sembrava spaventosamente fuori luogo, inadatto e stupido da dire. Le bocche erano cucite, serrate, alcune sembravano voler cacciare qualche parola ma, esitanti, si richiudevano. L'allegria di James, Sirius e Lily quando avevano accolto Harry già sembrava un lontano ricordo, quasi dimenticato. La verità era che in quei momenti ogni attimo sembrava un'infinità, il tempo si allungava e faceva pesare la sua durata, che poi era solo immaginaria, sulle spalle delle persone.

Regulus guardò Sirius, Sirius annuì e il ragazzo si voltò verso Daniel facendo un cenno con il capo, e silenziosi se ne andarono. Erano intrusi, non provavano ciò che stavano provando loro, ed era meglio così, meglio risparmiarli da quell'aria che sembrava soffocare tutti.

Gli altri si mossero insieme ad Harry, tutto pur di dare un senso a quel tempo in cui ogni secondo era un minuto, ogni minuto sembrava quasi un'ora. Vollero muoversi e non starsene immobili, per darsi l'impressione che il tempo stesse effettivamente passando in modo evidente. Ogni passo durava un secondo, nella norma, e quindi era passato solo un secondo, ora che si era fatto quel passo; era breve, quel secondo, non era di certo un minuto.

Il tempo scorreva ancora come prima.
 
Harry entrò nell'infermeria e sentì lo stesso identico odore che aveva descritto Sirius. Se lo aspettava.

Ma quando fu colpito dall'odore di sangue, deglutì vistosamente, spalancando gli occhi.



"Rosso, cos'è questo odore? Rosso, rosso, rosso. Tremo, la testa svuotata. E c'è solo quel rosso rosso rosso..."



«Vieni qui, non startene lì, sei d'intralcio!» esclamò un ragazzo piuttosto giovane, in divisa bianca. Forse era uno degli aiutanti di Madama Chips.

Harry sbattè le palpebre e la sensazione di trovarsi ancora in quel vicolo isolato dal mondo, con Marlene sanguinante ai piedi, scomparve rapidamente.

Si accorse di starsene impalato in mezzo alla confusione e si diresse verso il ragazzo con passo svelto.

Lo lasciò fare, si lasciò esaminare e curare.

Perché era venuto lì, maledizione? Era capacissimo di curarsi da solo.

Le porte furono spalancate e la professoressa Sprite entrò agitata e con il fiatone, teneva la bacchetta puntata dietro, apparentemente verso il nulla.
Poi la mosse leggermente e comparve un ragazzo svenuto che volteggiava, la gamba era fasciata strettamente con delle bende.

«Poppy! Questo ragazzo ha bisogno di urgenti cure!» urlò, e Madama Chips accorse.

«Ho diminuito l'emorragia, ma l'ho trovato in una pozza di sangue. Ne ha perso troppo» sussurrò in modo concitato, guardando il ragazzo.



"Il respiro rallenta, gli occhi sono lucidi. Non chiuderli! Un incantesimo, un incantesimo... maledizione, non sono così inutile! E invece sì, perché sento solo la nausea, riesco solo a guardare il sangue che macchia i miei vestiti, riesco solo a restare paralizzato, e la mia mente si limita solo a vedere e a non reagire. Non riesce a fare niente...



«Calmati, Pomona» disse Madama Chips, guardando velocemente l'infermeria. Trovò uno spazio libero e si diresse lì, facendo segno alla professoressa di seguirla alla svelta.

«Ho cercato di non farlo vedere agli studenti, già sono troppo agitati. Oh! Spero che questo sia l'ultimo trovato!» mormorò la Sprite, impallidendo al pensiero di altri studenti sepolti sotto le macerie.

«Speriamo...»

Non c'era un letto, ma Madama Chips lo fece comparire, e mise il ragazzo sul materasso, poi chiuse le tende, e Harry non vide più niente.



...non riesce neanche a pensare, a pensare a qualcosa che possa salvarti"



Harry si alzò di scatto, pallido come un cencio, e il Medimago fece un verso di sorpresa, mentre la sua bacchetta andava a sbattere contro la spalla di Harry, dove stava finendo di curare un taglio piuttosto brutto.

«Che stai facendo?!» esclamò irritato.
 
«Sto bene» rispose Harry. Il ragazzo alzò le sue sopracciglia folte, scettico.

«Siediti, ragazzino, devo finire di curarti» disse con tono che voleva essere autoritario. Fallì miseramente, e Harry lo guardò impassibile, ancora alzato.

Poi si voltò e lo superò.

«Che vieni a fare qui se neanche ti fai curare?» sbottò l'infermiere.

Harry sospirò «Sto bene, davvero. Non preoccuparti, occupati degli altri feriti» rispose continuando a camminare, intanto che sguainava la bacchetta e se la puntava alla spalla, poi sussurrò la formula e il taglio si rimarginò. Fece velocemente la stessa cosa sul labbro inferiore e sul fianco.

Il ragazzo lo guardò sbattendo le palpebre, mentre oltrepassava le porte.

«Geffrey, portarmi una Pozione Risvegliante, presto!»

Il ragazzo dalle sopracciglia folte sembrò risvegliarsi, e dopo un attimo di disorientamento, scattò verso l'armadietto a prendere la pozione.


Harry non sapeva che cosa gli fosse preso.

Sapeva solo che doveva vedere Marlene, doveva sapere come stava e cosa aveva passato. L'odore del sangue, di tutte le ferite degli studenti che necessitavano di essere curate e quella agitazione avevano fatto sbilanciare l'equilibrio di calma e indifferenza che aveva trovato in un angolino della sua testa, e in cui si era rifugiato. Era sempre stata una persona dal sangue freddo, da quel che ricordava, ma era stata la prima volta che si era trovato davanti a uno spettacolo del genere, si era bloccato, e non era da lui.

La verità era che la paura di perdere qualcuno a lui caro si era rafforzata ancor di più dopo le perdite che aveva subito. Quella paura lo aveva paralizzato, vedere quasi la vita scivolare via dal corpo di una persona a cui voleva bene, il senso di impotenza di fronte agli eventi, la sensazione di aver fallito nel proteggere qualcuno.

La sofferenza che ne sarebbe conseguita.

Si era buttato di nuovo, quando era capitato nel 1971.

Si era buttato di nuovo negli affetti, anche qui, aveva accettato di avere da perdere.

Eppure, avrebbe dovuto ormai averlo imparato, più ci tieni, più hai da perdere, e quindi più soffri. Sei più vulnerabile, ma allo stesso tempo più forte.

Aveva accettato di nuovo il grande rischio di una sofferenza che già conosceva, e se n'era reso conto da poco, quando invece l'aveva accettata da anni.

«E neanche impari la lezione, sei proprio uno zuccone.»

Harry cercava di convincersi che ne valeva la pena. Una vita da soli è una vita sprecata, dopotutto.



Alice vide Harry uscire dall'infermeria, in faccia un'espressione piuttosto decisa. Li superò quasi in modo frettoloso, come se non li avesse visti, lasciandoli lì impalati con le loro facce confuse.

«Harry! Dove stai andando?» lo chiamò James.

Harry neanche si prese il disturbo di voltarsi «Da Silente.»

«Cosa?!» si lasciò sfuggire Frank.

Alice aggrottò le sopracciglia, trovando il corvino parecchio strano. Cosa gli era preso? Era uscito dall'infermeria con un atteggiamento completamente diverso da quello con cui vi era entrato. Alice se lo ricordava, era entrato con uno sguardo impassibile e cupo, che si spostava in continuazione a guardarli, mentre quasi camminava trascinandosi. Ora invece a malapena li guardava, sembrava animato da un nuovo spirito.

«Ehi, datti una calmata, Potter. Mi spieghi ora che cosa c'entra Silente?» se ne uscì di colpo Mary infastidita e irritata, muovendosi per stare al suo passo.

Remus si bloccò nel fare la stessa azione.

Forse fu il tono in cui lo disse, fatto sta che Harry si fermò.

«Devo chiedergli una cosa» rispose in modo vago.

«Che cosa?» insisté Mary piuttosto brusca, probabilmente con un diavolo per capello. Alice già giudicava incredibile che non se la fosse presa ancora con nessuno fino a quel momento, o che non fosse andata a rintanarsi in qualche angolino, desiderosa di distaccarsi per un attimo dal mondo circostante.

Harry sospirò irritato. «Il permesso per andare al San Mungo.»

Mary lo guardò stupita, Remus intervenne cautamente: «Harry, non so se ti rendi conto della situazione...»

«Me ne rendo conto!» sbottò Harry, voltandosi di scatto a guardarlo «Solo... solo che non riesco a togliermela dalla testa! Lei sta lì... di fronte a me e...» si bloccò, abbassando le braccia (che si erano alzate nel gesticolare) e stringendo i pugni. «Io voglio sapere come sta» concluse. Era una costante, non riusciva a liberarsi da quel pensiero; eppure, Harry era consapevole che doveva concentrarsi su altro, come ad esempio sul semplice fatto che Voldemort ora sapesse della sua esistenza, ma non ci riusciva. E cercare di rassicurarsi pensando che al San Mungo avrebbero sicuramente curato Marlene (perché andiamo, se lui era stato capace di guarire temporaneamente la ferita, Medimaghi esperti avrebbero fatto di meglio) era completamente inutile. Non si calmava.

«E non ti è venuto in mente che anche noi vorremmo saperlo?» giunse la voce di Mary, che lo guardava con un'espressione ancora più dura. «Ora volevi per caso andartene lì da solo, lasciando noi qui?»

Harry si irrigidì e non rispose, mentre la sua mente razionale sembrava riprendere il controllo dei suoi impulsi.

«Rispondi e non guardarmi con 'sta faccia da pesce lesso!» esclamò Mary, irritata dal suo silenzio. Aveva gli occhi azzurri rabbiosi e trasudava tensione da tutti i pori, tensione che fino a quel momento aveva accumulato. Ad Hogsmeade, al fottuto tavolo di Grifondoro della Sala Grande, mentre si dirigeva insieme agli altri all'infermeria e mentre aspettava fuori.

«Ho solo pensato che non avrebbe mandato tutti noi, ma solo pochi, per mantenere un certo controllo in questa assurda situazione in cui si trova Hogwarts» sparò a bruciapelo Harry, ben sapendo che non aveva pensato proprio a un bel niente. Quando si era diretto nell'ufficio da Silente aveva pensato egoisticamente solo a se stesso e alla sua preoccupazione, non c'entrava un tubo il controllo e il numero di persone che andavano al San Mungo.

Per qualche motivo, Mary sembrò tutt'altro che calmarsi a questa affermazione, piuttosto ottenne l'effetto contrario «E cosa ti fa pensare che tu debba essere tra le prime poche persone, eh?! Ti sei dimenticato che io, Alice e Lily siamo sue amiche?»

Il corvino la guardò come a trafiggerla. Questo no, poteva accettare di ricevere urla contro per aver avuto l'intenzione di andarsene da solo al San Mungo, ma dire che lui non avesse neanche il diritto di visitarla il prima possibile...

«Stesso discorso vale anche per me» rispose freddamente.

«Ah, quindi secondo te tu sei legato a lei quanto noi?» rispose Mary, alzando un sopracciglio.

A quel punto Harry non si trattenne più.

«Senti, io non sto a giudicare le amicizie, a differenza tua. Io non ti dico che non hai il diritto di essere tra i primi a farle visita, e neanche tu devi farlo con me. Perché sono stato io e non tu a vederla stesa a terra in una pozza di sangue, talmente bianca da sembrare un cadavere. Sono stato io che a vederla così non ci ho capito più niente andando in palla, e sono stato io a rischiare di perderla davanti ai miei stessi occhi. Io, non tu.» sibilò, con tono velenoso «Quindi fammi il piacere di non dimenticarti questo.»

Cadde il silenzio, Mary di fronte a lui sembrava incapace di parlare.

Harry rimase immobile, lo sguardo furioso e l'attenzione totalmente concentrata sulla ragazzina di fronte a lui, ignorando lo sguardo degli altri. Non notò Lily bianca come uno straccio, lo sguardo intenso di Remus, l'astio che esprimeva Sirius mentre osservava Mary né Alice, che lentamente, quasi con circospezione, si avvicinava.

La corvina sembrava cercare di racimolare velocemente i pezzettini del suo orgoglio sparsi a terra.

Harry stava quasi per voltarsi e andarsene, da qualunque parte ma andarsene. Non voleva vedere presidi che somigliavano a Merlino di Re Artù, musi lunghi o altre persone sanguinanti che venivano portate in infermeria. No, non voleva vedere niente e nessuno. Voleva semplicemente lasciarsi per un attimo tutto alle spalle e poi magari affrontarlo nel modo giusto.

Alice si avvicinò abbastanza da prendere delicatamente il braccio di Mary. Aveva la faccia distrutta e sembrava più vecchia di quanto fosse in realtà, a Harry ricordò vagamente la faccia di Neville mentre con quasi la stessa identica espressione raccoglieva i cadaveri il giorno della Battaglia.

«Non serve a niente mettersi a litigare...» sussurrò fievolmente, guardando l'amica e poi spostando gli occhi su Harry, guardandolo brevemente come una madre che cerca di scusare i suoi figli per il loro comportamento scorretto. Poi gli lanciò un altro sguardo, come se ora stesse rimproverando anche un po' lui. «C'è anche troppo caos, Silente è impegnato. Meglio... meglio andare quando tutto si sarà calmato» disse.

Mary tolse velocemente il braccio dalle mani di Alice, e scoccando un'occhiata di indifferenza a entrambi, si andò a sedere su una delle sedie che erano fuori l'infermeria.

Harry annuì «Hai ragione. Io... vado un attimo in bagno» borbottò, sparando la scusa più cretina che avesse mai detto in vita sua. Poi si incamminò via, da solo, insieme al vortice confuso che erano i suoi pensieri.


*


Harry non aveva ancora detto niente agli altri. Né nessuno aveva chiesto a qualcun altro come aveva vissuto l’attacco. Diciamo che evitavano di parlarne, non volevano rievocare brutti ricordi.

La situazione al castello dopo qualche ora si era finalmente calmata, non c’erano più professori che correvano da una parte all’altra, e i feriti avevano smesso di arrivare dal villaggio. L’infermeria era piena, ma calma, la povera Madama Chips aveva approfittato della situazione per accasciarsi su una sedia, asciugandosi la fronte imperlata di sudore.

Il gruppetto di cui si è parlato fino a questo momento sembrava essersi lievemente ripreso, ora non avevano più segni della battaglia sul corpo; erano vestiti e conciati come al solito, quasi quasi se qualcuno non avesse osservato le loro facce, avrebbe potuto credere che quel giorno fosse stato come un qualunque giorno di un qualunque anno scolastico.

Ma le facce c’erano, c’erano le facce di tutti gli studenti, fino a prova contraria nessuno camminava con la testa mozzata, quindi quel qualcuno non avrebbe mai potuto credere che non fosse successo niente di particolare.

Arrivò l’orario di cena, i Malandrini si diressero lì taciturni, e appena entrarono notarono gli stendardi neri al soffitto.

La Sala era pressoché piena, nonostante questo meno rumorosa del solito, molti studenti erano pallidi e coloro che non erano andati ad Hogsmeade bisbigliavano fra loro.

Remus vide qualche studente piangere al proprio tavolo.

Hogwarts era in lutto.

Certo, perché mica tutti erano stati fortunati come loro, pensò Remus con amarezza, mica tutti erano sopravvissuti, né erano tornati tutti interi.

Al tavolo dei professori vi erano tutti gli insegnati, non composti come al solito, ma piuttosto trasandati e stanchi. La McGranitt aveva una faccia impassibile, ma Harry la conosceva troppo bene, sapeva che la Vicepreside provava tutt’altro che indifferenza. Il professor Lumacorno era l’angoscia in persona, il professor Vitious bisbigliava qualcosa alla Sprite che se ne stava con il capo chino. Quel che stupì Harry fu vedere addirittura il professor Ruf che fluttuava dietro al grande tavolo, con la solita faccia seriosa.

Andarono a sedersi al tavolo di Grifondoro, che non era allegro e vivace come al solito.  

Silente si alzò, e tutti immediatamente si zittirono.

  «Oggi non è stato un giorno facile per nessuno» iniziò, scrutando gravemente gli studenti da dietro gli occhiali a mezzaluna «Molti di voi si sono ritrovati ad affrontare per la prima volta una terribile realtà, una realtà fatta di urla, paura e dolore. Chi vi è tornato, ne è tornato ammaccato e con una consapevolezza in più, ma purtroppo non tutti ce l’hanno fatta. Ci sono dei posti…» Silente indicò con un gesto della mano i tavoli in generale della Sala «dei posti vuoti lasciati da coloro che oggi hanno perso la vita, lasciando un vuoto anche nei cuori dei propri cari. Erano forti, freschi della loro giovinezza, avevano una vita davanti a loro. Credo che tempi ancor più oscuri si avvicinino inesorabilmente, e una volta fuori, la bolla in cui Hogwarts vi permette di stare, che vi estrania dal resto del mondo, non ci sarà, e vi ritroverete catapultati fuori. E allora io vi prego di non dimenticarli, i vostri compagni che hanno perso la vita questo giorno. Quando e se per voi dovesse venire il momento di scegliere la strada da percorrere, tra la morale e l’immoralità, tra la paura e il coraggio, tra l’umanità e la crudeltà, pensate a ciò ch’è successo a loro, a dei giovani ragazzi, per essere stati semplicemente ad Hogsmeade, a godersi una bella giornata. Io propongo di brindare in loro onore e ricordo, di brindare in nome dei caduti.»

La Sala fu invasa dal grattare delle panche, mentre tutti si alzavano. Ersero i calici, e dissero, in un unico e cupo coro di voci: «Ai caduti.»



 
*


 
Egregi signori Richard McKinnon e Caren McKinnon
 
Siamo spiacenti di informarvi che oggi, 20 Dicembre 1973, si è verificato un attacco da parte di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato al Villaggio di Hogsmeade, nel quale vostra figlia Marlene McKinnon è stata coinvolta. Ha riportato gravi ferite e, al fronte di questo, ci siamo permessi di portarla urgentemente all’Ospedale San Mungo.
Al momento è al Quarto Piano- Reparto Lesioni da Incantesimo.
Con auguri di pronta guarigione
vi porgiamo cordiali saluti.
Ministero della Magia


 
 
 Fu quello che lesse Richard McKinnon quello stesso pomeriggio, dopo aver tolto la lettera dalle mani tremanti di sua moglie. Ora era in soggiorno, ad aspettare che la moglie e il figlio si finissero di preparare in fretta e furia. La lettera che il Ministero della Magia aveva mandato loro era ancora aperta sul tavolo, mezza stropicciata dalle mani di Caren, intanto che la leggeva.

Sentì un frastuono di passi e vide sua moglie e suo figlio di cinque anni che scendevano velocemente le scale. Quel piccoletto aveva scatenato il finimondo per andare a trovare Marlene insieme a loro, e non essere accompagnato dalla nonna materna.

Caren si era vestita con abiti piuttosto a caso, raro per lei (ci teneva molto al suo aspetto), tanta era stata la fretta di essere pronta e vedere al più presto Marlene. Non che Richard fosse stato da meno.

Caren lo guardò, con il fiatone.

 «Andiamo?»



 
Nell’atrio del San Mungo Richard guardò quasi con angoscia le tre persone in fila al bancone, manco fossero dieci. Micheal si nascose dietro le gambe della mamma, osservando inquietato un signore-gallo: aveva piume che gli spuntavano dalle braccia e dalle gambe (da quella parte spuntavano dal bordo dei pantaloni, vicino alle scarpe) e, a completare il tutto, un bel becco al posto della bocca. Il signore-gallo starnazzava come un ossesso, correndo in tondo per il centro dell’atrio. Tre Medimaghi lo presero per le braccia piumate e lo trascinarono su per le scale.

 «Sono qui in visita per Marlene McKinnon» disse velocemente Richard, ignorando il gallo umanoide che scappava di nuovo, quasi inciampando su di lui.

 «Nome?» chiese la signora al bancone.
 «Richard, Caren e Michael McKinnon, la sua famiglia»


La signora controllò velocemente una scheda e annuì. Poi controllò su un lungo elenco.

 «Camera 252, quarto piano, prima porta a sinistra, sala operatoria. Non so se ve la faranno vedere tanto presto» borbottò «Il prossimo!»



 
 «Lene si trova là dentro?» domandò sussurrando Michael, il dito puntato verso la camera 252.

 «Sì» rispose Caren, sovrappensiero.

Michael aggrottò le sopracciglia «Allora perché non entriamo?» sbottò.

 «Perché la stanno curando, e daremmo fastidio stando lì dentro» spiegò pazientemente Richard. Caren era troppo impegnata a fissare intensamente la porta, come se sperasse di vederci attraverso.

Michael guardò entrambi, poi la porta, corrucciato. Fatto questo, andò a sedersi sulle sedie d’attesa, dondolando le gambe avanti e indietro, nervosamente. Non capiva esattamente cosa stesse succedendo, sapeva solo che sua sorella si era fatta molto male. Ma non aveva quelle sbucciature sul ginocchio o sui gomiti che lui si procurava spesso. Ma qualcosa di molto più brutto. Forse gli stavano mettendo un cerotto speciale?

Forse non doveva essere così preoccupato, alla fine quello che facevano i Medimaghi era curare, quindi l’avrebbero curata sicuramente. Perché era questo il loro lavoro, facevano stare bene le persone. Questo diceva la mamma, no?

Strinse le mani e le gambe dondolanti si fermarono. Lui piangeva per una sbucciatura, chissà come faceva male a Marlene la ferita…
Quanti cerotti speciali e quanti bacetti della mamma sulla bua sarebbero bastati per farla guarire completamente?



 
Caren odiava non sapere. Prima di tutto, sua figlia era là dentro, in sala operatoria, a essere curata da chissà che cosa. Non sapeva quanto la situazione fosse grave, oltre al fatto che non sapeva neanche le circostanze in cui l’avevano trovata. Richard le strinse la mano, delicatamente. Caren gliela stritolò. Forse gli aveva fatto male, in ogni caso, Richard non lo diede a vedere.

 
Venticinque minuti dopo, un Medimago con numerose macchie di sangue sul camice (che fecero rabbrividire i tre della famiglia), uscì dalla sala. Si tolse il mascherino e la cuffia sui capelli, tenendo stretta al petto una cartellina portafogli. Ma non ebbe neanche il tempo di sospirare che subito Caren si alzò per chiedere informazioni.

 «Oh… voi dovete essere la sua famiglia» sussurrò guardando i tre, e si mise subito in una posizione più professionale.

 «Come sta mia figlia?» domandò Caren, mentre Richard distraeva Michael.
 «Fuori pericolo» assicurò subito il Medimago, e Caren sospirò di sollievo «La ferita, benchè fosse semplicemente un taglio profondo sul fianco destro, è stata difficile da rimarginare.»

Caren cercò di ignorare il “semplicemente” che sembrava solo voler sminuire le cose «Perché?»

«Il taglio si apriva continuamente prima che potessimo finire l’operazione, e usciva sangue. Era un taglio particolare, in verità mi stupisco che un ragazzo sia riuscito a farlo rimarginare da solo in poco tempo e per una precisa mezz’ora. – il Medimago sembrò non far caso all’espressione confusa della signora dai capelli castani di fronte a lui – Anche se ha forzato i tessuti sottocutanei, questo non ha fatto che complicare le cose. Erano più vulnerabili e li abbiamo fatti rimarginare nel modo più delicato possibile, ci è rimasta una cicatrice, alla fine. Nonostante le forzature ai tessuti, posso dire con certezza che se il ragazzo non avesse fermato l’emorragia temporaneamente, non avremmo avuto l’occasione di curare la ragazza» concluse sicuro. «Aveva anche una costola ammaccata e altre ferite minori per il corpo, che abbiamo prontamente curato» aggiunse.
 
 «Il ragazzo…?» mormorò Caren, spaesata.

 «Dottor Silvien! Il permesso!» esclamò un Medimago, spuntando dall'uscio della porta. Anche questi non aveva un bell’aspetto, il suo camice era quasi sporco quanto quello del Dottor Silvien in questione, il Medimago che aveva parlato sino al quel momento.

 «Oh, giusto! Ci autorizza a usare qualche pozione per rimettere sua figlia in sesto al meglio?» domandò rapidamente il Dottor Silvien.

 «Certamente!» acconsentì Caren subito. Si alzò sulle punte e cercò di sbirciare all’interno della sala operatoria, oltre le spalle del dottore, ma era quasi completamente avvolta nel buio, se non per una luce intensa al centro della stanza. Però c’erano due Medimaghi che coprivano la visuale.
 «Quando posso vederla?» sbottò.

 «Tra poco esce, poi camera 264» disse rapidamente il Dottor Silvien, le ficcò in mano la cartellina portafogli, con sopra un documento, e una penna «Compili questo, poi me lo consegni» disse entrando nella sala operatoria a passo svelto, esclamando qualcosa, del tipo: «Pozione Rimpolpasangue, dose da emergenza A!»

Giusto qualche minuto dopo le porte della sala si aprirono completamente e uscirono i due Medimaghi (tra cui quello di prima, che aveva chiamato il Dottor Silvien) e il dottore. Portavano un letto su rotelle, sul quale vi era stesa supina una figura leggermente pallida. Aveva i capelli biondi chiusi in una cuffia blu, le coperte erano tirate fino a poco sotto le clavicole, e non sembrava avere una maglietta.

 «Ha preso colorito» disse sollevato il Dottor Silvien.

Era la sua bambina.

La sua piccola forte bambina.

Respirava regolarmente, in volto stampata un’espressione completamente rilassata.

Caren non si era neanche accorta dell’arrivare di suo marito, troppo rapita dall’osservare Marlene, dalla sensazione di quel peso in petto che si sollevava.

 «Marlene! Marlene sta bene!» esclamò Michael felice, aggrappandosi alle sponde di metallo del letto, e tirandosi sulle punte.

Richard sentì le gambe farsi di gelatina e quasi cedette, delicatamente prese nella propria mano quella di Marlene, accarezzandone il dorso.

«Dio mio, è andato tutto bene» solo questo riusciva a pensare.

«Dottore! Il Signor Taylor è fuori controllo!» urlò un infermiere, correndo dal Dottor Silvien.

 «Vi avevo detto di trattenerlo solo per qualche minuto! Dov’è ora?»

 «All’atrio, è quasi scappato»

Il Dottor Silvien si voltò verso Caren, urgentemente. «Il documento, signora.»

Caren sembrò risvegliarsi «Oh sì, certo. Tenga.»

 «Grazie» disse il dottore prendendo la cartellina, poi si voltò e si avviò non verso le scale, ma verso una porta. «La ragazza ha bisogno di molto riposo, non si risveglierà tra poco. Potrà stare con lei tra una decina di minuti, il tempo che la sistemiamo» disse velocemente.

 «Aspetti!» il Dottor Silvien si fermò.

 «Mia figlia in che condizioni è stata trovata? Chi l’ha portata qui?» chiese.
Il Dottor Silvien si guardò attorno nervosamente, l’infermiere che lo aspettava fremendo «Non lo so, signora McKinnon. L’unica cosa che so è che c’è stato un attacco ad Hogsmeade, e che un Auror l’ha portata qui, dicendo che un ragazzino aveva curato temporaneamente la ferita, provocata da Arti Oscure, per una mezz’ora e che la ragazza aveva bisogno di urgenti cure. Solo questo.»

Caren stette immobile.

 «Dottor Silvien!» chiamò l’infermiere.

 «Sì sì, possibile che la trasformazione in gallo colpisca anche il cervello?!» sbottò, poi aprì la porta bianca, entrò insieme all’infermiere, e la chiuse dietro di sé. Dopo qualche secondo, la suddetta porta scomparì, lasciando dietro di sè una piccola "X" blu.*

 «Allora la portiamo alla camera 264, signori» disse un Medimago, poi iniziarono a muovere velocemente il letto, seguiti dalla famiglia. 

 
Un quarto d’ora più tardi, Caren se ne stava seduta su una sedia accanto al letto della camera 264, con a fianco il marito. Michael era dall’altra parte del letto, accarezzava le punte dei capelli biondi di Marlene distrattamente, che a lui erano sempre tanto piaciuti (si immaginava a volte con i capelli biondi lui, rimpiazzandoli a quelli mori che aveva).

I suoi occhi marroni avevano cercato rapidamente un cerotto speciale per il corpo di sua sorella, ma non avevano trovato niente. Probabilmente il cerotto aveva fallito e non l’avevano più usato, per questo non c’era.

Sua sorella sembrava un angelo, proprio come quelli delle favole.

Certo, non aveva le ali, gli angeli poi sicuramente non indossavano un pigiama, ma a Michael sembrava lo stesso un angelo.

Era serena, la sua faccia era perfettamente pulita, e non sporca come lo era sul letto-carrello (così lo aveva chiamato). Era bella sistemata sotto le coperte, le labbra erano schiuse e respirava delicatamente.

Michael lasciò stare i capelli di Marlene e le prese la mano. Magari così avrebbe capito, mentre sognava, che c’era qualcuno che l’aspettava.

 «Il dottore ha parlato di una cicatrice» sussurrò Richard, al quale Caren aveva raccontato tutto ciò che le avevano riferito. Non aveva commentato, ma Caren se lo aspettava, alla fin fine suo marito era sempre stato abbastanza taciturno e in quella situazione lo era anche di più «Vediamo… vediamo com’è ridotta?» chiese.

Caren strinse le mani. Fino a quel momento aveva un po’ evitato di pensarci. Si era immaginata quanto sua figlia avrebbe detestato quella cicatrice, un brutto dettaglio sul suo corpo. Avrebbe preferito non vederla, non quando l’aspetto di sua figlia, pulito e candido, le faceva dimenticare cosa le era successo (tralasciando che erano in un ospedale…).

Guardò Richard, invecchiato di dieci anni nel giro di un’ora, a questo punto si chiese come fosse ridotta lei. La guardava cautamente con i suoi occhi scuri, come se temesse di farla crollare con qualche parola sbagliata.

«Ok» disse. Alla fine era solo una cicatrice, no?

Scostò le coperte e alzò la maglietta a sua figlia, delicatamente.

Le si mozzò il fiato.

Era una lunga e leggermente larga cicatrice bianca, un po’ rossa ai lati, che si stagliava con arroganza, mostrandosi in tutta la sua evidenza. La cicatrice partiva da dietro l’anca, giusto tre centimetri, poi risaliva lungo il fianco e per tutta la vita e, leggermente l’obliqua, arrivava poco sotto il seno, al lato.

Non era bella, e certo, cosa si potrebbe mai aspettare da una cicatrice? Ma non era neanche passabile, a una prima occhiata subito si notava.

Richard l’accarezzò in modo soffice, con occhi affranti, poi ritrasse la mano.
Caren rimise a posto la maglietta, rimboccò le coperte e non parlò.

 «Mamma» il piccolo Michael la chiamò. Guardò brevemente il volto della sorella, incosciente, e fece un piccolo sorrisino «Marlene mi ha stretto la mano!»



 
*


 
Il giorno dopo, Harry si stava recando furtivamente all’ufficio di Silente. In verità si stava nascondendo solo da possibili incontri con Lily, Alice o Mary. Soprattutto con Mary. Gli sarebbe andata addosso accusandolo di voler andare da solo da Marlene e robe del genere.

Ma Harry non stava andando da Silente per andarsene al San Mungo da solo. Cioè, doveva semplicemente chiedere, poi ci sarebbe andato, ma non da solo. Comunque, questo non era il motivo principale. Doveva dire a Silente che ormai Voldemort sapeva della sua esistenza, e questa era una cosa tutt’altro che positiva. Per giunta, non gli stava né indifferente né simpatico, ora che se ne stava a fare i suoi doveri quotidiani da Signore Oscuro, ci scommetteva. Anche questa, non era una cosa positiva.

Questo lo sapevano i Malandrini, si erano raccontati le loro versioni della battaglia prima di mettersi a letto.

Tutto era iniziato con James che aveva annunciato a tutti la scomparsa della sua foglia.





 
«Non ho la foglia» disse James d’un tratto, uscendo dal bagno, ancora con lo spazzolino in mano. Aveva in faccia un’espressione completamente spaesata. Harry ebbe il sospetto che l’avesse scoperto solo ora, quando si era accorto che non c’era niente da cui stare attenti mentre si lavava i denti.

 «Credevo che avessi imparato a lavarti i denti con la foglia in bocca» sospirò Remus.

 «No no, non me li sono lavati i denti. Io la foglia non ce l’ho proprio, e chissà da quanto.»

 Peter arrossì, e borbottò: «Neanche io, l’ho vomitata insieme ai cioccolatini che avevo mangiato, appena sono arrivato qui.»

 «Come scordarselo. Mi hai quasi vomitato addosso, Peter» replicò Sirius risentito al solo ricordo, Peter balbettò scuse. «E tu, James? Che hai fatto? Hai vomitato arcobaleni?»

 «Ehi! Guarda che io sono stato coinvolto in un’esplosione! Un miracolo se fosse sopravvissuta, la foglia. Tu ce l’hai, piuttosto?!» sbottò indignato.

 «Cer… aspe'» si interruppe Sirius, sentendo una strana assenza. Ispezionò la bocca con la lingua, spalancando gli occhi «Dove cazzo è finita?!» imprecò, corse allo specchio, mentre la lingua faceva di nuovo il giro turistico della bocca. La spalancò davanti allo specchio. Non c’era il minimo verde.

«Maledizione!» esclamò. Poi la sua mente ripercosse quel che aveva detto James.

 «No, aspetta… un’esplosione?!» si voltò di scatto verso James, che ora era guardato da tutti. «E tu ce lo dici con questa tranquillità?!»

 «E sei ancora vivo?» sussurrò Harry, immaginando James dentro un negozio, che esplodeva, le macerie che cadevano tutte insieme.

 «Dovevo forse morire?» chiese James, fintamente offeso.

 «Ovvio che no!» ringhiò Sirius, come se James avesse appena bestemmiato.
James sobbalzò, colto alla sprovvista. Guardò gli occhi di Sirius ed ebbe la sensazione che si fosse trattenuto dal dire: “Se tu fossi morto ti avrei resuscitato, ti avrei ucciso io personalmente e poi ti avrei resuscitato un’altra volta” o qualcosa del genere. 

 «Non facevo sul serio» disse cautamente «Non ero dentro l’edificio, cioè… edificio… era un sudicio pub, alla fine. E un pazzo megalomane ha deciso di farlo saltare così, a caso, solo perché sapeva che c’eravamo io e la Evans vicino. Se non fosse stato per l’incantesimo che la Evans ha scagliato su di noi per farci sfrecciare in aria mentre cadevamo, ora non sarei qui» spiegò velocemente.

Calò il silenzio «Beh, alla fine non mi vuole morto. È già un passo avanti, no?» il debole tentativo di James di smorzare la tensione andò a vuoto.

«Effettivamente appena ti ho visto mi sembravi uno saltato in aria» borbottò Remus.

 «Non dire stronzate, Remus. Tu a malapena riuscivi a pensare» sbuffò Sirius.

Remus alzò gli occhi al cielo, le labbra gli si incurvarono in una specie di ghignetto malandrino che lasciò confuso Sirius  «Almeno da parte mia era per la ferita. Tu ti eri imbambolato a guardare James come se fosse Dio sceso in terra.»

Sirius lo guardò male, a disagio, James si aprì in un sorriso e Peter soffocò una risata, mentre Harry guardava il tutto divertito e con una strana luce malinconica negli occhi.

 «Casomai sono io Dio sceso in terra, Remus» cercò di darsi un contegno Sirius.

Fu l’accenno di una lieve risata sincera, che però aveva un non so che di impercettibilmente triste, che fece voltare i presenti, stupiti, verso Harry. Non che vedere Harry ridere fosse una cosa totalmente anomala. Però Harry quel giorno, se non pochi minuti fa, era sembrato con l’umore a terra, la bocca cucita, mentre ascoltava silenziosamente, se non aggiungendo qualche frase buttata là, le loro piccole conversazioni. Quelle conversazioni erano una consolazione per loro, il semplice parlare con i propri amici li faceva sentire un po’ meglio.

 «È bello vedere che, nonostante tutto, riusciate a scherzarci su» commentò con un sorrisetto teneramente triste, ma anche amaro, come a dire che lui non ne era capace.

Il sorriso di James si congelò sulla faccia. No, Harry non li stava rimproverando per scherzare in una situazione del genere, in una situazione in cui erano morti loro coetanei e in cui Marlene era in ospedale. Sembrava che quasi fosse contento che il tutto non li avesse turbati talmente tanto da non fare neanche una piccola battuta. Ma lui non scherzava e non parlava, se ne stava in disparte, da spettatore.

Peter abbassò lo sguardo, ricordò il lancio dello schiantesimo che aveva fatto d’impulso, della soffocante presenza di tutte quelle persone da Madama Piediburro, la nausea. E i suoi occhi caddero sulla sciarpa di Sirius, sporca di sangue, abbandonata in un angolo della stanza.

 «Perché qui, poi? Perché è successo ad Hogsmeade? Non è che al momento siamo questa grande minaccia per… – rabbrividì – Voi-Sapete-Chi» sussurrò.

«Ora no» affermò Remus «Ma lo saremo, in futuro. Tanto vale prevenire.»

«Ragionamento corretto, ma Voldemort non l’ha fatto per questo» disse Harry con voce stanca.

Peter sussultò e un brivido percorse Sirius sulla schiena. Ora che sapeva ciò che era in grado di provocare, al momento non era capace di rimanere indifferente al suo nome. James serrò la mascella, uno squarcio di rabbia ad attraversargli gli occhi.

 «E per cosa, allora?» chiese James, stringendo i pugni.

 Harry deglutì, il viso gli si oscurò «Per me.»

Un’espressione sbigottita passò per il viso di tutti.

 «L’attacco era un diversivo. Quattro Mangiamorte ci hanno attaccato contemporaneamente. E questi erano molto più bravi degli altri. Mi hanno fatto indietreggiare finchè non sono arrivato in un vicolo insieme a Marlene. C’era Voldemort. L’ha legata e poi l’ha fatta svenire. Poi ha chiesto se volevo unirmi a lui, dicendo sciocchezze sul potere, che ero davvero abile, che per me stare qui sicuramente era una noia… cose del genere. Ho rifiutato, e lui prima di andarsene, insieme a tutti i Mangiamorte, ha ferito Marlene, facendole un taglio profondo sul fianco.» continuò Harry sussurrando, poi aprì i palmi delle mani. Rosso. «Ho risanato il taglio per mezz’ora e un Auror l’ha portata al San Mungo» concluse tetramente.

Poi sospirò.

«E ora sa della mia esistenza e probabilmente sono passato alla sua lista nera. Fantastico, no?» domandò sarcastico.

«Fantastico» riuscì a ripetere Sirius, con lo sguardo perso nel vuoto.
Harry guardò i volti degli amici, tutti persi e sorpresi. James no, lui sembrava quasi livido di rabbia.

L’atmosfera lo stava schiacciando.

Fece un’altra risatina, un po’ amara e ironica. «Strano, eh? Ho combattuto contro quattro Mangiamorte e ho incontrato Voldemort, ma c’ho ancora la foglia in bocca.»



 
Harry avvicinò per sbaglio la lingua alla foglia e venne colpito dal sapore acido. Strizzò gli occhi.
Alzò la mano con lentezza, ancora un po’ incerta, poi bussò alla porta di Silente.























*Ho pensato che per trasportare i pazienti dei vari reparti rapidamente, ma anche per dare ai Medimaghi la possibilità di andare da un piano all'altro in meno di un minuto in caso di emergenza, ci fossero delle "scorciatoie" riservate al personale. Le "X" segnalano i punti in cui ci sono delle porte nascoste, che si attivano appena qualcuno del personale si avvicina. Una volta all'interno, si deve semplicemente dire il piano e il nome del reparto, e dopo qualche secondo, magicamente aprendo di nuovo la porta ci si ritroverà nel reparto. Un sistema di porte collegato, insomma. Tutto una mia fantasia, ma vabbè.

Angolo Autrice
Sono crudele a lasciarvi di nuovo la suspense, dopo tanto tempo. Mi sento in colpa. Ma poi il capitolo verrebbe troppo lungo, e non mi pare il caso, altrimenti diventa abbastanza pesante, immagino.
Forse Mary in questo capitolo vi sembrerà antipatica, ma me la immagino così a reagire all’ansia e al dolore. Impulsiva, che pensa solo a sé e magari alle sue amiche, senza tener conto dei sentimenti degli altri. E orgogliosa, perché credo che mai si scuserà con Harry.
Ed Harry impulsivo anche lui, un po’ egoista. Ma credo che, quando sei mezzo sconvolto, non ti soffermi tanto a pensare agli altri.
Una nota sul fratellino di Marlene: ho sempre pensato che ce ne avesse uno. Quando dicevano che i McKinnon erano morti, perché i Mangiamorte avevano attaccato la loro casa, ho sempre immaginato Marlene che si sacrificava per suo fratello. Quindi avevo intenzione di dare qui un fratello a Marlene, non sapevo però quando farne accenno, quindi ora ho sfruttato la situazione per inserirlo.
L’ultima scena è quasi totalmente un ricordo. Sia per chiarire la questione delle foglie, sia per far vedere che Harry aveva raccontato ai ragazzi di Voldemort. Non so quanti di voi ci avranno fatto caso, ma nel capitolo precedente c’erano accenni alla perdita delle foglie di Sirius e James XD:

Le lenti erano completamente spaccate e la montatura tutta storta. Nel chinarsi, vide qualcosa di verde (possibile che una piantina fosse sopravvissuta?) ma non si soffermò molto su di essa. Riparò gli occhiali con un "Reparo" e li porse a Potter.”
 
“Sirius la guardò con le sopracciglia aggrottate, poi sentì qualcosa andargli di traverso, e tossì, finchè non si costrinse a deglutire.”

 
E con questo vi saluto.
Alla prossima!
 
P.s. Come avrete capito, ma giusto per specificare, la seconda e la terza scena non sono messe in ordine cronologico.
P.s.s. Mi scuso per eventuali errori di grammatica o/e battitura
 
 




Capitolo gentilmente revisionato da lilyy, grazie!  
   
 
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