Singing
is the answer
5-Supermarkets have the red colour of embarrassment
«Ferma,
ehi… Ehi!» Åsli tentò un’ultima volta
di bloccare il carrello pieno nell’attraversare l'ennesima
corsia di articoli per la casa; Raon lo guardò distrattamente,
chiedendogli invece quale dei due stracci da cucina preferisse. Le
scelte ricadevano tra il cagnolino triste o la giraffa con la
cravatta.
«Ah ah.» “Certo, ti sento ma non ti
ascolto.”
«Lo sapevo. Sapevo che non avrei mai dovuto
accettare. I tuoi gusti sono assolutamente pessimi, te lo ha mai
detto nessuno?»
«Più o meno tutti credo.»
Il
ragazzo sbuffò ma la sua attenzione venne attirata da un
semplice servizio da tè in ceramica: la trama floreale dai
colori accesi gli aveva ricordato la scanzonata vecchietta che
adorava prenderlo in giro ad ogni occasione. Raccolse teiera e
tazzine complete di piattino e tentò di adagiare il pacchetto
delicatamente nel carrello. La giovane non s’era neppure
accorta del tentativo, fino a che non venne letteralmente bloccata
con i piedi.
«Che carino! Estimatore di tè?»
«Beh,
non proprio. Tu invece? Estimatrice del cattivo gusto?»
Raon
rise sincera: gli chiese il motivo di tale domanda, un po’ per
burla, un po’ per farlo ridere, nel momento in cui una tovaglia
a cuori rosa venne fatta cadere su un cuscino da divano verde acido
con il prezzo volutamente nascosto. Lui indicò gli
innumerevoli articoli scelti quasi esclusivamente da lei: «cattivo
gusto.»
«Che crudele. Io lo definirei carino, non
certo kitch.»
Åsli afferrò le presine da forno
in stile naïf sventolandogliele davanti agli occhi. «Non
devo mica arredare la cucina delle bambole.»
Sbuffò
sonoramente contrariata nel tentativo di far pesare in maniera palese
il suo disappunto; era lì per dargli una mano, voleva e anzi
doveva, ed era anche per colpa sua. Non aveva certo scelto lei di
trovarsi in una situazione simile.
«Se ti fossi fatto
bastare i dolcetti, ora non saresti qui a sorbirti il mio cattivo
gusto, come adori chiamare il mio senso estetico nell'arredo.»
«Se
tu non fossi arrivata a lavori fatti, ora te ne staresti a casa a
leggere scan yaoi sbavando davanti al computer.» Forse aveva
esagerato, forse non avrebbe dovuto dirlo in una maniera così
cinica. Non poteva farci niente, la frase aveva preso l’autostrada
cervello/lingua senza neppure una sosta intermedia. Era fatto così,
e non se ne vergognava in nessun modo.
«Portatile.»
«Cosa?»
«Ho
detto portatile. Le scan le leggo lì.»
“Non
funziona neppure l’ironia con lei. Non ha proprio peli sulla
lingua.”
«Senti, che ne dici se poggiamo tutta questa
roba da qualche parte e ci fermiamo un attimo? Sarà almeno
un’ora che siamo chiusi qui dentro.»
«No, prima
passiamo in cassa, paghi e poi andiamo via. Prima finiamo prima ce ne
andiamo.»
«Così puoi tornare a guardare le tue
cose porno.» Touché.
«Ovvio.» Ironia
destabilizzata.
Il ragazzo si passò le dita sulle palpebre
scuotendo la testa: possibile che prendesse sul serio ogni singola
frecciatina che le lanciava con noncuranza? Un assurdo carattere
cristallino e prevedibile. Il fatto di non averla mai vinta con lei
in maniera assoluta risiedeva nelle risposte ricevute senza neppure
pensare alle conseguenze.
«D’accordo, passiamo in
cassa e poi usciamo di qui. Ho un sacco di cose da fare.»
«Immagino:
leggere commenti su YT, rispondere a qualche ragazzina arrapata che
ti dice quanto ti ama sotto alle foto del tuo profilo, gongolare dei
fan che ti seguono ad ogni video.»
«Hai parlato
proprio tu di arrapate?»
«Io almeno non mi sciolgo in
brodo di giuggiole a scrivere messaggi osceni tramite google
traduttore per far sapere ad un ragazzo famoso quanto sia
sensuale.»
«Andiamo a pagare.»
«Sì,
che è meglio.»
Nemmeno stavolta era riuscito ad avere
l’ultima parola, ma l’espressione che aveva usato per
ribattere era mirata, come se fosse cambiato per un attimo il suo
atteggiamento. Chissà perché poi, gelosa non sarebbe
potuta essere di sicuro. La notorietà portava ad avere a che
fare anche con persone che riversavano sul web il proprio
apprezzamento in maniera esplicita ed alle volte imbarazzante, e di
questo Åsli era a conoscenza. Caricò per metà la
spesa notando la presenza di una piccola cornice d’argento: non
riuscendo a trovare l’utilità di un oggetto simile, la
prese tra le dita rigirandola un paio di volte e la poggiò su
uno dei ripiani.
Venne letteralmente fulminato con lo
sguardo.
L'appoggiò con movimento lento e studiato per
evitare di ricadere nelle ire della vicina decisamente pepata,
continuando a riporre il tutto; cose di ogni tipo gli erano passate
davanti agli occhi, di dubbio gusto decisamente ma utili. Non aveva
mai dato troppa importanza a quello che serviva davvero in casa,
considerando che di quel genere di cose s'era occupata Kisha a suo
tempo. L'immagine della ragazza si stagliò nella sua mente, ma
venne cancellata con un colpo di spugna subito dopo, finendo
nuovamente nell'oblio.
Non doveva pensare a lei, in nessuna
maniera.
Non lo avrebbe fatto più, non ora che s'era deciso
a cambiare vita e città.
Doveva pensare esclusivamente al
suo lavoro, non alle cazzate, nemmeno al passato che saltuariamente
tornava a tormentarlo.
Pagò con la certezza che una ragazza
avrebbe decisamente pensato a tutto in occasioni simili, non
tralasciando nessun particolare. Sospirò spingendo il pesante
carrello verso l'area ristoro sperando in una pausa più che
meritata, e non dal supermercato, bensì da Raon stessa: quando
ci si metteva, non era in grado di stare zitta per più di
cinque minuti di fila.
«...sli?»
Come
facesse a riversare così tante sillabe una dopo l'altra
poi.
«Signor notorietà? È diventato sordo?»
Si
stupì d'essere richiamato in maniera così impertinente
e si voltò corrugando la fronte: «che c'è? Di
cosa vuoi blaterare stavolta, logorroica?»
«L'ordinazione.»
Sbuffò
nascondendo l'imbarazzo di quella uscita senza senso, tentando di non
focalizzare l'attenzione sulla banconiera che se la stava ridendo
sotto ai baffi.
«Un caffè va bene,
grazie.»
«Perfetto.»
Raon saldò il conto alla cassa e si portò all'altezza
di uno di quei tavolini da bar accostati ad alti sgabelli, famosi per
la mancanza di comodità; faticò a mantenere
l'equilibrio dall'alto del suo metro e sessanta, per poi affondare i
denti in uno dei croissant più golosi tra quelli esposti. Il
ragazzo la raggiunse trattenendo tra le dita la tazzina
bollente.
«Mangi sempre così?»
«Sì,
perché?»
«Complimenti, riesci ad essere un
figurino nonostante le calorie che fagociti ad ogni sfizio o merenda
extra.»
Lei restò per un attimo sul chi va la: non
sapeva se interpretare la cosa come un complimento oppure come un
insulto al suo stile di vita.
«Se te lo stai chiedendo, era
proprio un insulto. Ingorda.»
«Eh vabbé, l'idea
di stare a dieta e mangiare esclusivamente sano mi mette ansia, va
bene?» La domanda retorica piccata si mostrò per quello
che era: un tentativo di mascherare la sensazione allo stomaco di
aver percepito un minimo di apprezzamento, scavando in profondità
all'interno di quel sarcasmo che tanto caratterizzava ogni singola
osservazione del ragazzo. Lui scoppiò a ridere macchiandosi la
felpa, rigorosamente bianca, con evidentissime gocce scure.
«Almeno
io non sono un completo disastro.» Rise pure lei sporca di
zucchero a velo fino alla punta del naso.
Per un attimo si
guardarono mentre Åsli le passava il polpastrello sulla pelle
recuperando la sostanza dolce e portandosela alle labbra,
succhiandola con entusiasmo. «Mhn, buono. Quasi quasi la
prossima volta ne prendo una anche io. Saprai sicuramente
indirizzarmi in qualche buon posticino scommetto. Chissà
quanti ne avrai provati, no?»
«Smettila!» Gli
rispose improvvisamente, senza riflettere.
«Ehi, non voleva
essere un'offesa la mia!»
«Non è per quello,
imbecille!» Si sollevò dallo sgabello raggiungendo la
toilette del centro commerciale e richiudendosi con violenza la porta
alle spalle.
«Certo che è davvero strana.»
Raon
sospirò davanti allo specchio dell'antibagno, reggendosi al
lavabo con entrambe le braccia: tentava invano di regolarizzare il
respiro ed il battito cardiaco. “Quanto sono stupida, cosa
cavolo mi prende adesso?” L'ideale sarebbe stato rinfrescarsi
un attimo, ma neppure il lavello sembrava voler collaborare. Aprì
una, due, tre volte il rubinetto, senza alcun risultato, colpendo la
base stessa: il getto uscì d'improvviso ad alta pressione,
amplificato dalla mano che erroneamente aveva premuto contro di esso.
L'acqua le si rovesciò completamente addosso, inzuppandole il
torso ed il volto.
Rise
isterica come non mai e prese a calci il lavandino lasciando
un'evidente impronta di scarpa; l'imprecazione si levò con
tutta la mancata grazia possibile, attirando l'attenzione di Åsli
che si premurò di rassicurare la barista e chiederle di
sorvegliare il carrello della spesa. La prima reazione dopo aver
spalancato la porta offese palesemente la ragazza: le risate si
stavano sprecando.
«Che cazzo stai ridendo a fare?»
«No,
scusa... è che... è che sei davvero ridicola, sul
serio!» Faticava ancora a trattenersi, ritrovandosela
completamente zuppa da capo a piedi. «Carino però
l'intimo, non si direbbe tu fossi capace di scegliere qualcosa di
femminile.» Aveva ancora parlato a sproposito senza neppure dar
peso ad ogni singola parola detta; si rese conto d'aver fatto
un'altra gaffe solo quando il volto di lei si riempì di
lacrime.
«Ehi, no aspetta... cosa fai adesso? Ti metti a
piangere pure?»
«Sei un vero idiota, vattene!»
Raon non stava capendo più come gestire le emozioni che le
stavano letteralmente sfuggendo di mano. Si trovava in un bagno
pubblico, bagnata fradicia, senza un solo cambio di vestiti e
arruffata come un pulcino sotto la pioggia. Riaprì gli occhi e
si ritrovò il giovane a petto nudo a pochi centimetri di
distanza.
«Aspetta un momento, non vorrai mica
approfittare?» lo spinse via con foga contro la porta schiusa
del bagno, facendo levare un'ulteriore imprecazione.
«Certo
che a volte non capisci proprio un cazzo. Ti pare che approfitterei
in situazioni simili? Ti sto prestando una maglietta, scema.»
Si
girò imbarazzata, più per il fatto d'aver travisato il
gesto di cortesia che non ritrovarsi in maglietta chiara e intimo
evidente davanti ad un mezzo estraneo. «Come farai?»
«Io
sono capace di arrangiarmi, mica come te. Senti, lascia fare,
altrimenti perderemo pure il bus per tornare a casa.»
Raon
si ritrovò voltata di schiena, mentre il giovane le stava
sfilando
la maglietta e pure sganciando i ferretti del reggiseno; la sua
schiena venne scossa da brividi profondi, ed abbassò la testa
nella speranza di non far notare la pelle paonazza fino alla punta
delle orecchie. «Non
era necessario.»
«Che cosa? Se non ti fossi levata
anche questo,» disse lui indicando l'intimo stretto tra le
mani, «non avresti potuto infilarti nemmeno questa.» La
voce ferma tremò per un attimo mentre la guardava di sottecchi
nel suo rivestirsi.
«Beh, io esco.»
La ragazza lo
seguì a ruota leggermente a disagio, mantenendo lo sguardo
basso e le mani infilate nella felpa aperta che miracolosamente s'era
salvata dall'incidente. Alzò le iridi giusto per notare Åsli
che chiedeva con noncuranza un sacchetto di plastica alla barista,
sbandierando le coppe in pizzo chiaro che stringeva tra le dita come
fossero un trofeo.
Se possibile, il colore delle sue guance superò
il disagio precedentemente dimostrato.
«Andiamo, ti
prego...» lo strattonò nascondendo il volto con l'altra
mano e recuperando il carrello di corsa, mentre la banconiera le
faceva l'occhiolino con il pollice alzato sorridendo
sorniona.
Angolo
dell'autrice (che per una volta s'è divertita un sacco e ha
fatto fare figuracce a non finire!)
Rieccomi,
salve a tutti! Un altro capitolo che mi è piaciuto scrivere,
che mi ha donato il buonumore in un periodo in cui manca da far
schifo. Mi ci è voluta un'eternità, ma i contrattempi
sono tanti e insormontabili. Mi auguro comunque che la storia abbia
preso una piega piacevole, questi due più si odiano più
sono divertenti insieme!
Alla prossima, grazie a tutti voi per
essere passati di qui, per avere un pensiero dedicato e per aver
letto e recensito: siete dolcissimi.
-Stefy-